ALLEVAMENTO INTENSIVO MANZI |
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Più che mucche spugne da latte Animali spremuti come macchine negli allevamenti intensivi di bovini Di Oscar Grazioli Il viaggio nella "follia zootecnica" continua con i bovini, altro caposaldo dell'allevamento intensivo nel nostro paese.
Avete idea di quante volte partorisce una vacca allo stato naturale? Almeno sette volte. Nell'allevamento intensivo dove la vacca da latte ormai non è più bovino, ma un'unica immensa spugna che si chiama mammella, il tasso di rimonta è del 30 per cento. Vi spiego in soldoni che cosa significa. Significa che una vacca partorisce tre volte nella vita non di più. Perchè? Semplice. L'esasperata produzione di latte non le permette di partorire altre tre volte. Non ce la fa proprio. Dopo tre parti è "spappolata", roba da macello. Il suo patrimonio genetico è come una molla possente che la spinge a produrre latte, e basta.
Oggi le vacche non sono più tutte legate alla catena come una volta, ma non lasciatevi ingannare da questa cortesia umana. Cento quintali di latte in dieci mesi sono circa 30-35 litri di latte al giorno per 300 giorni. Se non è la Ferrari di Shumi sarà la Renault di Alonso. Basta un piccolo trauma sulla mammella o l'azione della mungitrice sui capezzoli usurati ed è la mastite, ed è il macello, perchè la vacca è la sua mammella. Le articolazioni sono talmente fragili che guai a scivolare, non si alza più. Ed è il macello.
A sentire parlare di Afta, l'allevatore più mangiapreti si fa il segno della croce. Una tragedia. Migliaia di vacche con la febbre ed eruzioni sulla lingua. Il bianco latte che non sgorga più da bestie che non possono mangiare per diversi giorni. Abbattimenti di massa, piani d'emergenza. Nelle pampas argentine il vaquero a sentire parlare di afta
sorride. Arriva, fa star male, fa morire qualche capo e poi se ne va come è
arrivata. Poco più
L'afta fa paura a chi tiene milioni di mammelle concentrate in capannoni, una di fianco all'altra, sperando che ogni giorno dalla spugna esca più latte. Provate a pensare diversamente. Meno latte, più spazio, più parti, più vitelli e alla fine più carne senza ricorrere all'importazione di vitelloni. Troppo facile.
L'abominio totale si raggiunge con la produzione di vitelli a carne bianca. Negletti dai proprietari della madre (tanto, dopo una dozzina di giorni vengono venduti, magari dalla Polonia all'Italia), non assumono il colostro, ovvero il primo latte che gli donerebbe anticorpi nei confronti delle malattie. Arrivano nei luoghi dove vengono ingrassati, indeboliti e disidratati, per cui devono essere trattati subito con antibiotici e reidratanti. Pesano 40 chilogrammi e devono arrivare a 240 chili di peso con una carne bianca candida. Via il ferro allora, ma senza ferro non si vive. Allora dategli un po' di ferro, ma poco, il minimo e che sia poco assorbibile. Dategli da mangiare beveroni di acqua e latte in polvere in uno spazio di 1,6 metri quadrati per un vitello di 150 chili. Fortuna che hanno vietato le gabbie dove venivano allevati singolarmente. Adesso vanno a gruppetti nei box, ma non i primi 15 giorni, quando vengono legati con le catene uno ad uno perchè altrimenti come si fa a controllare chi ha mangiato due litri di beverone e chi mezzo litro?
Naturalmente, inutile dire che gli animali indeboliti dai viaggi, dalla mancanza di colostro, da un'alimentazione innaturale per un ruminante sono soggetti ad infezioni virali (Herpesvirus dell'IBR) e batteriche (Pasteurelle, Bordetelle) che li portano spesso a morte. E tutto questo per avere cosa? Carne dietetica? Il vitellino che il pediatra indica alla mamma? Ormai è ampiamente dimostrato che la carne di questi animali ha un contenuto di grassi e colesterolo uguale a quello del tacchino e del pollo. In più talvolta si trova la sorpresina di vedere lievitare le tettine dei propri bambini. E allora? Il vero problema è che dobbiamo smaltire le scorte eccessive di latte in polvere prodotto, a livello europeo, dalle immense mammelle di cui sopra. Non mettetevi a ridere. C'è solo da piangere.
DA LIBERO - 10 MAGGIO 2003 |
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