luca marchesini |
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TRACCE L’ombra blu di Prussia trascolora nel verde e nel giallo senape fino ad alcuni brevi segmenti giallo arancio che accennano al profilo coricato di un corpo femminile. Nient’altro, tuttavia, segnala la presenza di quel corpo, come se la donna si fosse poi allontanata lasciando solo quella labile traccia. I segni di color arancione, progressivamente diradandosi, si spingono d’altra parte fino al vano della finestra, oltre la quale s’intravedono le sagome abbozzate di alcune palme e cespugli di piante grasse a interrompere le due strisce parallele della sabbia e del mare, senza che in ciascun elemento del paesaggio manchino d’esser presenti anche gli altri. Se il ricordo della figura della donna tende perciò a dissolversi nella luce di fuori, il verde delle palme e dei cespugli torna ad affiorare all’interno, là dove il blu collassa per effetto di un’infiltrazione o, forse, della sua stessa densità. I vari elementi si compenetrano nei diversi piani spaziali ma anche l’insieme bidimensionale dell’immagine ha un proprio piano spaziale, i cui elementi a loro volta si compenetrano. La figura di un uomo ha lasciato una traccia più labile, un segno marrone scuro, deciso ma corto, che potrebbe anche non essere interpretato come il profilo di un corpo umano: il ricordo del fianco che poggia a terra (sul pavimento, su un divano, sul letto?), mentre quello lasciato dalla donna era il segno del fianco rivolto verso l’alto. Le tracce mostrano che le due figure si sono trovate l’una di fronte all’altra, anche se a rigore non si può escludere che ciò sia avvenuto in momenti diversi. In ogni caso l’uomo ora è uscito di scena. Forse si è ritirato in un angolo d’ombra. La donna è in piedi, appoggiata di spalle alla finestra, nella sua mente, forse, un ricordo di copula. E’ sola o è come se fosse sola, i piedi come per gioco provano, con la pianta nuda, il freddo delle piastrelle. Una copula o molte copule i cui contorni nel ricordo si sovrappongono. Forse. I piedi sono nudi, tutto il suo corpo, forse, è nudo. L’uomo, invece, seduto al tavolo, ha indosso una camicia a righe azzurro pallido, di un timbro leggermente diverso da quello del mare. Dalla posizione in cui si trova può vedere, tuttavia, oltre la finestra alle spalle della donna, soltanto il cielo: non il mare, non meno immobile del cielo, e le palme sulla spiaggia e la sabbia con le sue insidie, di cui la tavola propone una versione circoscritta, sopra il bianco della tovaglia: un ramo di datteri, secchi e duri, come una lisca di pesce o un guscio d’aragosta. Posa la caffettiera sul fornello. L’uomo, adesso, è solo o è come se fosse solo, mentre posa sul fornello la caffettiera, cerca la scatola dei fiammiferi, l’ha trovata, e un sibilo che taglia l’aria e, poco dopo, un piccolo scoppio, né presta attenzione alle palme e alle insidie della sabbia e a quelle ancor più temibili del mare, alto e immobile, dell’immobilità apparente dei sogni, e forse un ricordo di copula, una copula o molte copule, mentre un odore di caffè verosimilmente pervade l’aria e un’aragosta sta ferma, fingendosi morta nell’attesa di un nemico. Un filo sale dalla sigaretta, si scioglie in trasparenze di china. Alla finestra, la donna indossa soltanto una camicia a righe azzurro pallido. Getta uno sguardo al mare, alto e immobile, e alle palme sul punto di frammentarsi. Potremmo, dice, prendere qualcosa al bar. La sua figura, come riassorbita dall’ombra, non risalta con effetti eccessivi di controluce, il seno solleva la camicia a righe. (Allusioni vegetali propongono un silenzio di contrasti riconciliati, macchie incruente di caffè, di frutta, sopra il bianco della tovaglia). Macchie di caffè, di gelato, sopra il bianco e il giallo della tovaglia. Scrivere cartoline per conoscenti di un altro universo, o sfogliare i giornali, davanti a una tazza di caffè o a un aperitivo dal gusto amaro, lui ecco sta leggendo un quotidiano, anche lei sta sfogliando un quotidiano, e le voci di bambini, di gente si sciolgono nell’aria e le palme che si sciolgono nell’aria, brevi segmenti disarticolati, anche i caratteri a stampa dei quotidiani sono sul punto di volar via, del quotidiano che lei sfoglia, sul tavolo, di quello che lui sostiene davanti a sé, così che la pagina interrompe la linea che separa dal cielo il mare troppo chiaro – devo aver preso sonno: il nostro appuntamento era per – quando ti ho vista venir giù per la scalinata, la tua andatura un po’ a scatti: sembravi ancora più sottile, nella tua camicia a righe azzurre, con quell’andatura tremolante. Ho sentito che sei stato in America. Si scosta dalla finestra, entrando e uscendo dall’ombra. Accende una sigaretta.
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Luca (Luca Angelo) Marchesini è nato nel 1953 a Milano, dove vive tuttora. Insegna filosofia in un liceo cittadino. E’ autore di testi teatrali (Il silenzio delle parole, Lo strano sogno di Solly Solisar, Inquieti risvegli) e racconti, pubblicati in riviste letterarie o in volume. Fantasmi pieni di sonno rappresenta una sorta di autobiografia onirica nella forma di testi narrativi fra loro variamente collegati. |