LA  BESSA

La Riserva Naturale Speciale della Bessa è situata tra 400 e 300 m. di altitudine alla base delle pendici meridionali del Mombarone, si estende per oltre 7 km da Nord ovest verso Sud est nel territorio dei comuni di Mongrando, Zubiena, Borriana e Cerrione ed è delimitata dalle colline della morena Bornasco – Vermogno e dai corsi dei torrenti Viona ed Elvo. La superficie di 7.5 kmq è quasi interamente ricoperta dai detriti di discarica della miniera d’oro romana di età repubblicana rappresentati nel terrazzo superiore da estesi cumuli di ciottoli ed in quello inferiore da sabbie, ghiaie e ciottoli di piccole dimensioni, residui del lavaggio per l’estrazione del metallo.

Le evidenze archeologiche più significative sono comprese nei 4.5 kmq del Terrazzo superiore e sono accessibili attraverso numerosi itinerari alcuni dei quali, a causa delle difficoltà di orientamento, necessitano dell'assistenza di un accompagnatore.

 

Il giacimento aurifero si formò per erosione e risedimentazione, da parte di corsi d’acqua, dei depositi morenici ricchi di oro trasportati dall’espansione dei ghiacciai valdostani avvenuta a partire da 1 milione di anni fa; contemporaneamente furono liberati dai detriti i grandi massi erratici che ora costellano a centinaia il territorio del parco.

Il testo e le immagini di questa pagina sono di

Albero Vaudagna

Per saperne di più: http://www.bessa.it

La presenza su cinquantacinque massi di oltre seicento incisioni prevalentemente a forma di coppella attesta una intensa frequentazione protostorica dell’area.

 A partire dal V/IV sec. a.C., si ritiene che la regione  fosse controllata dai Salassi poi, tra il 143 ed il 140 a.C., cadde nelle mani delle legioni romane di Appio Claudio (al quale il senato negò il “trionfo” a causa delle elevatissime perdite) e  l’estrazione dell’oro fu affidata ai pubblicani, gli imprenditori dell’epoca, che impiegarono nei lavori fino a 5000 uomini contemporaneamente (Plinio).

 Non è nota la durata del periodo di sfruttamento del giacimento, sappiamo però dallo storico Strabone che, nella seconda metà del I secolo a.C., le miniere erano già state abbandonate (o più probabilmente esaurite) e l’oro di Roma proveniva ormai in massima parte dalla Spagna.

Poco si conosce a proposito della vita dei cinquemila addetti alla miniera d'oro citati da Plinio, ma sulle imponenti pietraie che ne testimoniano la fatica rimangono, ancora oggi, i resti della loro presenza: murature a secco ricavate all' interno dei cumuli di ciottoli, a pianta prevalentemente quadrata o rettangolare, con superfici interne variabili da uno a decine di metri quadrati e profondità da alcuni decimetri ad oltre due metri che si ritiene fossero dotate di copertura e rivestimento interno in legno.

La “coltivazione” del giacimento aurifero di origine alluvionale necessitava di grandi quantità di acqua in quanto il terreno, contenente il metallo in pagliuzze o piccole pepite, doveva essere “lavato”. L’acqua fu probabilmente captata dal torrente Viona e fatta scorrere in un canale parallelo alla morena Bornasco – Vermogno che delimita ad Ovest il terrazzo e da questo furono derivati canali secondari che servirono i vari cantieri.  Il procedimento di estrazione consisteva nello scavo del sedimento costituito da sabbia e da ciottoli di varia pezzatura che, raccolti ed accatastati (dopo essere stati ripuliti), formarono i grandi cumuli che oggi caratterizzano il paesaggio della Bessa. Sabbia e ghiaia e piccoli ciottoli erano in seguito riversate in canali, dotati di rivestimento ligneo, a debole e costante pendenza in cui scorreva l’acqua ed un concentrato di oro e magnetite, che essendo di peso specifico più elevato tendeva a depositarsi per primo, veniva raccolto tramite procedimenti diversi (scalette, strati di erica). Un secondo lavaggio, probabilmente con il classico “piatto”, ancora oggi usato dai cercatori dell’Elvo, separava l’oro dai rimanenti minerali. Il sedimento ormai in gran parte privo di metalli era poi scaricato, in direzione del torrente Elvo (e nella parte meridionale del terrazzo anche in direzione opposta verso l’Olobbia), a formare i “conoidi antropici”.