La
costruzione si trova a Moglia, a circa 5 km. dal centro del paese, tra il
borgo di Coazze di Moglia e la frazione Galvagnina di Pegognaga. Grande
casa signorile rinascimentale internamente decorata da affreschi del Giulio
Romano o, più probabilmente, di allievi dell’illustre maestro, il fabbricato
si presenta come un edificio dalla pianta quadrata imperfetta (m. 21,5 x m.
21) che si articola su due piani. Dotato di un ampio salone a pian terreno
(12,50 x 10) e di numerose stanze, all’interno possono essere ancora apprezzati,
oltre agli affreschi, il pavimento con formelle originali e i soffitti lignei
a cassettoni. Uno stemma dipinto su un camino attesta che il palazzo appartenne
ai Gonzaga, signori di Mantova.
Data
l’estrema scarsità di documentazione una fitta oscurità
avvolge la cronistoria della Galvagnina Vecchia. Non è dato sapere quale denominazione
la villa avesse prima che venisse acquistata, probabilmente
tra il 600 ed il 700, dai nobili Galvagni, assumendo così il nome di Galvagnina
Superiore e poi di Galvagnina Vecchia. Sarebbe quanto mai importante scoprirlo,
per poter interpretare adeguatamente eventuali documenti che si riferiscono
all’edificio e che senza questo basilare elemento di conoscenza potrebbero
essere passati del tutto inosservati. Secondo una tesi avanzata da Maria Grazia
Fringuellini, avversata però da altri ricercatori, il tenimento sarebbe stato
denominato in origine ‘corte de la Moja’. Comunque
sia, risulta estremamente arduo risalire alle origini di questo prezioso monumento.
Quella della fondazione del fabbricato appare invero una questione di difficile
soluzione. Una tesi piuttosto ardita, non essendo confortata da documenti,
è quella che data la costruzione della villa al 1461 per mano di un certo
architetto Giorgio da Guastalla su ordine del marchese di Mantova Ludovico
II (marchese dal 1444 al 1478). Secondo un’altra tesi, avanzata da Maria Grazia
Fringuellini - un misconosciuto avanzo di arte giuliesca:
la Galvagnina Vecchia presso Moglia, in Palazzi e ville del contado mantovano
(Firenze 1966), pp.21 ss. - la fondazione del tenimento potrebbe risalire al marchese Francesco II, marito d’Isabella
d’Este, grande amatore di cavalli e dell’arte venatoria. Il marchese, invero,
avrebbe potuto avere notevole interesse a far erigere il fabbricato, quale
centro di allevamento e residenza di caccia, nella campagna mogliese, a tratti
acquitrinosa ed impervia, ma anche ricca di selvaggina ed adatta all’addestramento
dei destrieri. Secondo la stessa Autrice la corte
agreste sarebbe stata per le medesime passioni molto cara anche al figlio
di Francesco II, il duca Federico, il quale dopo la venuta a Mantova di Giulio
Romano nel 1524, avrebbe ordinato al maestro, subito impegnato nella costruzione
di Palazzo Te e in altre commissioni d’architettura e di pittura, di trasformare
il massiccio e nudo palazzo in una sontuosa dimora di campagna. L’intervento
potrebbe essere stato programmato in vista della visita dell’Imperatore Carlo
V, calato a Mantova nel 1530 con a fianco il cardinale
Ercole Gonzaga, fratello di Federico. é certo infatti
che l’Imperatore del Sacro Romano Impero, in tale occasione, fu ospite in
molte delle dimore rurali gonzaghesche, e con ogni probabilità partecipò a
battute di caccia anche alla "Moja". E' poi certo che nella seconda
metà del 500 Guglielmo Gonzaga, duca di Mantova (1550-1587) e di Monferrato
(1573-1587) ordinò alcuni lavori di ornamento del
palazzo, dal momento che sul camino di una stanza del piano superiore si vede
affrescato lo stemma da lui assunto nel 1573, quando l’Imperatore Massimiliano
gli conferì appunto il titolo di duca del Monferrato. Si
ignora quando il tenimento abbia cessato di essere proprietà dei signori
di Mantova. Da documenti del ‘700 si scopre tuttavia
che la corte è ormai in proprietà dei nobili Galvagni, presenti nella zona
già dal ‘500 con possedimenti via via sempre più estesi. Le
storia recente del prezioso palazzo agreste appare assai lontana dagli
antichi fasti. Dopo numerosi passaggi di proprietà il fabbricato è adibito
per decenni ad abitazione contadina ed in parte utilizzato come rustico
e pollaio. Lo scorrere del tempo, l’incuria e taluni deprecabili interventi
edilizi causano danni irreparabili all’edificio e agli affreschi. Nel 1939
un intervento della Sovrintendenza ai Monumenti scongiura
la completa deturpazione del monumento, ma nel 1961 la Sovrintendenza stessa
è interpellata per ottenere il nulla osta all’abbattimento, essendo l’edificio
pericolante. I proprietari e locatori dell’antico fabbricato sono intimati
a far sgomberare l’edificio dai conduttori. Lo sgombero avviene all’inizio
del 1963. Nel 1967 crollano circa 15 metri quadrati di tetto. L’interessamento
per le gravissime condizioni dell’edificio conducono dapprima il
‘Fondo A. Mantegna’ ad effettuare una donazione a favore del Comune
di Mantova per l’acquisto di Villa Galvagnina ed in seguito il Comune di Mantova
a formalizzare l’acquisto. Da allora Galvagnina Vecchia è in proprietà del
Comune di Mantova. Nel 1989, in occasione delle celebrazioni giuliesche, la
villa è stata aperta al pubblico con una considerevole affluenza di visitatori.
é stato l’ultimo momento di gloria per l’antica residenza di caccia
dei Gonzaga. Attualmente la villa, dopo un
ulteriore crollo del tetto ed un ulteriore ripristino, non è visitabile a
causa della pericolosità dell’edificio.
Come
si è detto dal 1524 Giulio Pippi, detto Romano (Roma 1499 ca. - 1546 Mantova),
celebre pittore ed architetto già allievo e collaboratore di Raffaello (Sala
di Costantino in Vaticano), è a Mantova dove, per ordine del duca Federico, erige il Palazzo
del Te con i suoi splendidi affreschi. Anche le sorprendenti decorazioni a
fresco che ornano la Galvagnina Vecchia possono farsi risalire a Giulio Romano
o comunque alla sua scuola. Di sicura ispirazione
giuliesca sono le decorazioni che animano la grande
sala a piano terra. Anche qui, come nelle sale del
Te, figure del mito classico compongono scenari nutriti di violenta libertà
narrativa e di simbolismi, anche qui la decorazione, complice la ricca policromia,
è intesa ad annullare la materialità delle pareti. Figure mitologiche si stagliano
contro un paesaggio agreste fatto di selve, dossi e paludi, un paesaggio che,
alludendo alla passione dell’uomo per quella natura intatta, doveva ispirare
al visitatore una continuità tra l’interno del palazzo e le terre che lo circondavano,
quasi che le pareti si aprissero sulla campagna circostante. La ripartizione
ideale delle pareti è assolta da imponenti figure a coppie alte circa tre
metri che si ergono sopra uno zoccolo mentre sulla parete di fronte al portone
posteriore s’innalzano due aggraziate figure femminili che, ponendosi in corrispondenza
di una delle travi, fungono inaspettatamente da ideali cariatidi. Più in alto,
a confine con il soffitto a cassettoni lignei, corre un fregio continuo in
cui si avvicendano festoni di verzure di ispirazione
mantegnesca e gioiosi putti. Gli affreschi del piano superiore del palazzo
della Galvagnina appartengono con ogni probabilità
ad un momento posteriore rispetto all’intervento a piano terra. Il
citato stemma di Guglielmo, duca di Mantova e Monferrato dal 1573 al 1587,
fa pensare che l’intervento pittorico al piano superiore risalga a questo
spazio temporale. Anche gli affreschi del piano superiore sono comunque
di pregevole fattura. Superba per disegno e colori è
la rappresentazione dello stemma più volte citato: al centro del grande scudo
popolato da quattro aquile nere in campo bianco che si guardano divise dalla
croce rossa, simboli concessi dall’imperatore Sigismondo al primo marchese
di Mantova nel 1433, spicca uno scudetto diviso in nove compartimenti animati
da simbolismi gentilizi; sopra il grande scudo campeggia in cimiero il monte
Olimpo con il motto "Fides", simboli araldici concessi da Carlo
V a federico II nel farlo duca nel 1530; lo stemma è circondato dal collare
del Toson d’Oro. All’autore del pregevole scudo vanno attribuite verosimilmente
anche le altre decorazioni della stessa stanza, le cui pareti risultano
tagliate ciascuna in tre pannelli separati da fauni. In ognuno dei pannelli
è fissato un tondo dal quale spunta un putto alato in scorci sempre differenti.
Dintorno ai tondi si dipana, su fondo bianco, un’abbondante rappresentazione
di grottesche affini, per la cadenzata trama di amorini,
festoni, uccelli e satiri, a quelle eseguite tra il 1582 ed il 1584 dal Fornaretto
Mantovano in stanze del palazzo del giardino di Sabbioneta, quali il gabinetto
di Venere e quello delle Grazie. Del resto non è assurdo pensare che, visti
i rapporti esistenti in quegli anni fra le due signorie gonzaghesche di Mantova
e Sabbioneta, qualche autore dei dipinti di Sabbioneta si sia spostato anche
alla Galvagnina ad ultimare lo sfarzo di quel signorile soggiorno agreste.
M.G. Fringuellini, Un misconosciuto avanzo di arte giuliesca: la Galvagnina Vecchia presso Moglia, in Palazzi e ville del contado mantovano (Firenze 1966), pp.21-34;
AA.VV., Quaderni di storia locale. Speciale Galvagnina, 1990.