Zenone di Elea
di Daniele Lo Giudice
Zenone nacque ad Elea mentre Parmenide era in vita, e di questo fu discepolo. Visse ad Elea fino a quando la città non cadde sotto il dominio di un tiranno e la tradizione racconta di come egli abbia cercato di contrastarlo con ogni mezzo, persino al prezzo della propria vita.
Quando fu arrestato, secondo i racconti, egli fu sottoposto a tortura perchè rivelasse i nomi dei suoi amici cospiratori.
Zenone fece i nomi di persone vicine al tiranno e queste furono messe a morte.
Subito dopo affermò di voler svelare un segreto all'orecchio del tiranno, e quando questi gli fu vicino, gli addentò l'orecchio con grande forza nel tentativo di staccarglielo. Lasciò la presa solo quando le guardie del corpo lo costrinsero con la forza.
Infine si mozzò la lingua con i suoi stessi denti, per evitare di parlare ancora sotto tortura, e sputò la punta in faccia al tiranno stesso.
Fu allora stritolato in un mortaio.
Questa versione dei fatti circa la morte di Zenone potrebbe anche essere creduta come vera. Lungi dal disegnare la personalità di un vero filosofo, sembra piuttosto testimoniare a favore di un carattere dominato dalla passione e dall'odio, per nulla preoccupato da fattori etici e morali, estremamente disinvolto nel mandare coscientemente a morte persone che, per quanto appartenenti al partito avverso, erano pur sempre innocenti.
Se si pensa al processo ed alla condanna di Socrate, e si mettono a confronto i due comportamenti, si ha l'esatta misura della statura morale di Zenone, anche se molti sono inclini ad enfatizzarlo come un presunto campione della libertà.
Come filosofo, Zenone non apportò nulla di nuovo alla dottrina del proprio maestro Parmenide.
Tuttavia, sia Platone che Aristotele riconobbero in lui l'inventore della dialettica, cioè dell'argomentazione a favore di una tesi preconcetta mediante la confutazione della tesi avversa ed il tentativo di mostrarla come contraddittoria o impossibile.
Zenone applicò questo metodo per sostenere due delle tesi fondamentali della dottrina di Parmenide, ovvero che l'essere è, ed è uno, dunque per negare la molteplicità degli esistenti; inoltre per confutare anche il movimento e la realtà del divenire, quindi i cambiamenti nello stato delle cose.
Considerando bene quanto disse Zenone, si ha la conferma che l'eleatismo fu una posizione filosofica del tutto contraria allo sviluppo delle ricerche fisiche e naturalistiche, ed a qualsiasi progetto umano tendente a signoreggiare la natura. Alla base di esso vi era la considerazione primaria che i sensi ingannano, non qualche volta, ma sempre, e che dalle percezioni derivano non verità e fedeli resoconti, ma solo ingannevoli opinioni, l'una diversa dall'altra.
Alla luce della storia del pensiero filosofico, scientifico, politico e giuridico successivo, verrebbe da dire che nelle intenzioni dell'eleatismo si potrebbe anche riconoscere non già il desiderio di verità, ma il buon proposito di evitare all'umanità il rischio di cadere nelle mani di scienziati folli.
Nelle società civili si arriva sempre ad un punto nel quale si pretende che qualche opinione sia scienza, e si divulga l'illusoria credenza che questa scienza possa essere guida dell'uomo. E si badi, la scienza e non il lume della ragione di ciascuno, come, al contrario, si era affermato nell'illuminismo.
Ma, una volta prese le distanze dal più acritico trionfalismo scientista, occorre qui ribadire che, mentre la via della scienza, si è in qualche modo rivelata utile e feconda, accrescendo, in generale, e con molti errori, la consapevolezza del posto dell'uomo nel mondo e, persino nel cosmo, la via dell'eleatismo non ha prodotto altro che sofismi (nel senso deleterio del termine), cavilli e menzogne.
Zenone, da molti persino ammirato per la presunta genialità dei suoi ragionamenti, ebbe indubbiamente qualche merito ed è dovere dello studioso evidenziarlo. Probabilmente fu il primo, se non altro, il primo di cui si ha traccia, a considerare l'infinito non solo nel verso dell'infinitamente grande, ma anche nel verso dell'infinitamente piccolo. Leggendo il VI libro della Fisica di Aristotele, quando ci si imbatte nell'affermazione che il continuo non è fatto di indivisibili, si comprende immediatamente quanto lo stesso stagirita debba alla dialettica zenoniana ed alla sua intuizione dell'infinito potenziale e dell'infinitesimo.
Ma, bisogna guardarsi dal rischio di credere ad una maggiore vicinanza di Aristotele all'eleatismo che all'atomismo di Democrito, il quale al contrario, postulò la realtà come una costruzione composta di indivisibili, gli atomi, come particelle ultime, e di vuoto, cioè di nulla.
In realtà, Aristotele, impegnato allo spasimo per riaprire la via alla ricerca scientifica, ed allo studio del necessario, che solo può essere oggetto di scienza, contestò sia l'eleatismo che l'atomismo, e proprio nella polemica contro l'eleatismo egli giunse a chiarire alcuni concetti fondamentali ancor oggi, concetti quali quello di motore, di forza, di quiete, di sostanza, di relazione.
l'importanza di Zenone nella galleria dei filosofi non è dunque solo negativa. Il suo negativismo costrinse molti brillanti ingegni a misurarsi con l'assurdo ed a estrarre il meglio da sè e dalla riflessione per confutare l'assurdità stessa.
Argomenti contro la molteplicità
Zenone fu, dunque, più che un filosofo, un difensore dogmatico dell'ideologia parmenidea.
Il primo argomento utilizzato contro la molteplicità consisteva in questo: "se gli enti sono molti, essi saranno allo stesso tempo simili, per il fatto che risultano esistenti, e dissimili, per il fatto che sono molti; il che è contraddittorio e dunque impossibile".
Con il secondo argomento Zenone asseriva che, "se gli enti sono molti, ciascuno di essi sarà allo stesso tempo uno, perchè identico a sé stesso, e molteplice, perchè dotato di molti predicati. Anche questo risulta contradditorio e, dunque, impossibile".
Con il terzo argomento, detto della dicotomia, Zenone affermava che "se gli enti sono molti, ciascuno di essi sarà insieme infinitamente piccolo, perchè divisibile all'infinito, e infinitamente grande, perchè ugualmente divisibile all'infinito, in parti aventi, comunque, sempre una grandezza".
Un quarto argomento, infine, consisteva nell'osservare che "se gli enti sono molti, sono anche in numero finito, perchè sono tanti quanti sono, ed allo stesso tempo, e nello stesso senso, sono anche infiniti, perchè tra essi ne esistono infiniti altri; il che è contraddittorio e quindi impossibile".
Col senno di poi è facile obiettare che tutte le affermazioni contro la molteplicità di Zenone sono ingannevoli: egli non solo nega l'esistenza delle cose e che la nostra percezione di esse sia vera, ma nasconde anche il fatto che ogni nostro giudizio deriva dalla percezione delle cose in relazione l'una con l'altra.
Se diciamo, ad esempio, che una montagna è alta, è perchè l'abbiamo posta in relazione ad una collina, od ad una montagna meno alta. La nozione di alto, il concetto di altezza, non sarebbe possibile se tutte le cose fossero uno e non esistessero, quindi, differenze.
Ciò che in qualche misura pare sconvolgere le nostre semplici menti, tuttavia, non viene solo da questa sorta di lucida follia, ma dal fatto che molti filosofi l'abbiano presa talmente sul serio al punto di farsi obbligo di confutarle, non già muovendo dalla realtà, ma sul piano puramente logico-dialettico.
Il problema che si pone, allora, una volta accettato il principio che i sensi ingannano, sempre ed in generale, e non solo qualche volta, e che noi vediamo la molteplicità, ma essa non esiste, è che non abbiamo più alcun solido punto di riferimento. Nella fisica moderna, se si vuole misurare qualcosa, si deve avere un sistema di riferimento. Altrimenti si fanno chiacchiere, ma non operazioni di precisione.
C'è da capire che tale smarrimento non riguarda solo il rapporto tra i discorsi e le cose, ma l'interno dello stesso discorso, il rapporto tra le sue parti, lo stesso significato delle parole.
Zenone dice: è impossibile che una cosa sia allo stesso tempo grande e piccola, è assurdo. Già, ma l'astuto imbroglione gioca con le parole e omette di dire che una cosa può essere grande in un senso, e piccola in un altro; omette di dire che, ad esempio, Luigi è grande (rispetto alla media) ma è piccolo (rispetto ai giocatori di basket, oppure ai suoi fratelli che sono dei giganti).
Quando Aristotele presenterà il principio di non contraddizione, dirà che questo si basa sul fatto che una cosa non può essere e non essere nello stesso tempo e nello stesso senso. Un uomo non può essere seduto e contemporaneamente in piedi, ma può essere metaforicamente "seduto" su un barile di polvere, ed allo stesso tempo in piedi.
Lo stesso principio di non-contraddizione presentato da Aristotele sarà quindi la migliore confutazione delle confutazioni di Zenone nei confronti della molteplicità.
Quando, ad esempio, Zenone dice che gli enti sono simili, in quanto esistenti (quindi simili nell'esistere), ed allo stesso tempo dissimili, in quanto molti, dice una duplice sciocchezza che di fatto si confuta da sola. In primo luogo, lo dice lui stesso, gli enti sono simili proprio in quanto esistenti, e non per altro, quindi sono simili solo in questo.
Non sono allora simili in assoluto, ma solo nel fatto di esistere.
In secondo luogo, dice Zenone, sono dissimili in quanto molti. Ma questa è davvero una sciocchezza proprio perchè si dice che le cose sono dissimili non perchè sono tante, o poche, ma perchè presentano delle differenze, le quali non hanno a che vedere con la quantità, ma con la forma, il contenuto, o anche la stessa identità. Zenone, probabilmente, intendeva dire: sono dissimili in quanto identità. Luigi è diverso da Pietro: non hanno la stessa identità. Certo, in questo sono dissimili, ma essendo entrambi ingegneri, sono simili. Dove sta l'assurdità? Dove sta l'impossibilità? Dove sta la contraddizione?
Solo nella testa bacata di Zenone e nella sua evidente malafede di ideologo votato alla causa di Parmenide come un fanatico kamikaze.
Argomenti contro il movimento
La più celebre confutazione della realtà del movimento proposta da Zenone fu quella del pieveloce Achille all'inseguimento di una tartaruga che non raggiungerà mai.
Cosa disse Zenone? Posto che la tartaruga abbia un passo di vantaggio, Achille dovrà raggiungere il posto che essa occupa, ma nel frattempo essa avrà mosso, e quando Achille sarà giunto in a, essa si sarà mossa in b, e quando Achille avrà raggiunto b, essa sarà andata in c, e quando Achille ... così all'infinito.
La sostanza del ragionamento di Zenone, per quanto si siano scritte in proposito tremende sciocchezze, è scorretta per un motivo molto semplice: egli ha scomposto le tre fondamentali dimensioni della realtà, quella di tempo, spazio e quantità di materia, isolandole e distorcendole. Achille e la tartaruga non sono punti privi di dimensione, ma corpi fisici dotati di massa, che occupano uno spazio s1 e s2, si muovono lungo una direttrice di spazio s3, ed impiegano un tempo t1 e t2 per andare da a a b alla velocità v1, la tartaruga, e v2, Achille.
Il ragionamento per il quale mentre Achille va in a, la tartaruga va a b, e così all'infinito, potrebbe essere valido solo se Achille e la tartaruga diminuissero la loro massa corporea in modo proporzionale al trascorrere del tempo ed all'avanzare nello spazio. Solo così, in effetti, verrebbe sempre a crearsi uno spazio più piccolo, ma pur sempre uno spazio, tra Achille e la tartaruga.
Ma, Zenone si guardò bene dal porre questa premessa per il motivo che essa, non solo non negava la realtà del movimento, ma, addirittura, ammetteva come possibile un mutamento nella composizione materiale dei corpi.
D'altra parte, sia considerando Achille e la tartaruga come corpi reali, sia considerandoli come punti inestesi, che in fisica si dicono ora punti materiali, se non si fanno giochetti da prestigiatore per nascondere la relazione tra tempo e spazio, tutto è ugualmente chiaro.
Semplicemente considerando costanti le velocità v1 e v2, è evidente che il punto inesteso Achille raggiungerà il punto inesteso tartaruga in un punto inesteso x, come è facilmente dimostrabile disegnando degli assi cartesiani sui quali segnare le progressive.
La stessa categoria di velocità, del resto, si descrive sempre con una formula il cui significato è quello di indicare quanto spazio si percorre in un tempo dato, ad esempio 50 km/h. Dividendo la velocità per il tempo si trova lo spazio percorso da un corpo dotato di moto rettilineo uniforme: ad esempio a 50 km/h, in mezzora si fanno 25 km.
Ponendo che tartaruga vada ad una velocità di 0,02 km/h ed Achille vada a 20 km/h, è facile stabilire sia dove che quando Achille raggiungerà la tartaruga, se si precisa che essa precede Achille di 0,001 km.
Un altro argomento fu quello della freccia. Secondo Zenone una freccia scagliata da un arco, è immobile. Perchè?
Perchè in ogni istante essa non può che occupare lo spazio della sua lunghezza e non "allungarsi" fino ad occupare un altro spazio.
Qui l'equivoco si gioca sull'identità assoluta tra lunghezza della freccia e spazio occupato dalla stessa. In realtà non sono la stessa cosa: lo spazio, sempre che si abbia un sistema di riferimento, è fatto di luoghi immobili successivi, mentra la freccia è un mobile che percorre questo spazio.
Un altro argomento ancora fu quello della dicotomia. Per andare da A a B un mobile x deve prima fare la metà del percorso, e prima di fare la metà deve prima fare la metà della metà, e prima ancora la metà della metà della metà, e prima ancora la metà della metà della metà della metà, e così all'infinito. Il mobile x non arriverà mai a B.
Letture consigliate:
un buon libro di fisica per le scuole medie
superiori .
DLG - 25 luglio 2002