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La filosofia della scienza di Karl Popper
Tutti contro Popper: un catalogo delle obiezioni
di Silvana Poggi
A mio avviso, Popper non è un autore del tipo "o con me o contro di me", nonostante abbia fatto del suo meglio per provocare reazioni infastidite e per piacere assai poco agli amanti del bon ton. Riuscì persino a litigare con un filosofo vicinissimo alle sue posizioni come William Warren Bartley III, e la "rottura" durò ben dodici anni, a causa di una lezione nella quale questi aveva criticato Popper per alcuni aspetti dogmatici. Poi si riconciliarono e non poteva essere diversamente. Stessa sorte toccò a Joseph Agassi, allievo di Popper e popperiano tra i più convinti. Anche Agassi finì nel cerchio infernale del "nido di vespe", la congrega di Lakatos, Feyerabend e John Watkins.
Credo che nonostante tali "asprezze"e manifeste rigidità, molto intollerante nei confronti dei suoi critici, il pensiero di Popper si possa accettare a spizzichi e sviluppare parzialmente. La raccomandazione metodologica del falsificazionismo potrebbe persino venire accettata da chi crede ancora nell'induzione. Ovviamente con alcune varianti. Ciò che conta ai fini di un'esposizione tranquilla ed obiettiva della storia della filosofia della scienza nel XX secolo, è che si capisca che il pensiero di Popper non poteva passare "come se niente fosse". Il filosofo austriaco ha lasciato un segno profondo, e i termini delle diverse discussioni, in molti campi, sono effettivamente cambiate, al punto che si può considerare Popper come un passaggio imprescindibile della filosofia del Novecento. Ma "imprescindibile" non significa al di sopra della mischia, inquestionabile, o quant'altro possa apparire come definitivo. Per le sue intrinseche caratteristiche, il pensiero di Popper prestava - e presta - il fianco ad attacchi e riserve di ogni genere. Volendo egli stesso dettare "il metodo" delle scienze, si è trovato più volte di fronte a metodi che non ci stavano a farsi ingabbiare in uno schema.
E' impresa pressoché impossibile raccogliere in poche pagine un'antologia rappresentativa di tutte le critiche e le obiezioni che hanno toccato espicitamente e implicitamente le idee di Popper. Ho isolato la parte specifica riguardante l'epistemologia dal contesto generale e mi sono concentrata su alcuni punti che ritengo importanti. Anche in questa scelta c'è un margine di rischio, visto che le posizioni politiche di Popper non sono disgiungibili dalla sua metodologia antidogmatica. E che, anzi, come sostenuto da qualcuno, non si può spiegare questa metodologia senza quella idea generale per la quale anche le teorie combattono una lotta per la sopravvivenza in dura competizione con altre teorie, in una "società aperta" e quindi competitiva, inquieta, sempre in discussione. Anche la metateoria, cioè la filosofia che riflette sulle scienze, non va esente da questa guerra infinita. E ciò, comunque, lungi dall'allontanare gli interessati ad una riflessione sulla filosofia della scienza, dovrebbe interessare e coinvolgere.
Alle idee di Popper si sono opposti in molti e sui più svariati terreni. Ovviamente, i primi a reagire furono i seguaci di Freud e di Adler, nonché i marxisti. Gli psicoanalisti hanno continuato a seguire la loro presunta "non-scienza", e il mondo, come ironizza Hillman, "va sempre peggio", però (o proprio per questo?) continua ad andare in analisi.
I marxisti hanno replicato alle feroci critiche popperiane (ma con grandi difficoltà e grandi rimozioni, a mio avviso) asserendo che il marxismo non ha mai preteso di essere una dottrina definitiva della verità, ma solo una "guida per l'azione" e un orizzonte interpretativo delle dinamiche storiche e sociali, mirante a spiegare la più grande "contraddizione" della storia. Insomma, a dare quelle spiegazioni "soddisfacenti" di una insoddisfazione generale che una scienza pura dell'economia non potrebbe dare. Ma di questi aspetti della replica e della controcritica a Popper si occuperanno altri.
Non tutta la scienza è fisica-matematica, non tutta è falsificabile, però...
Comincerei col dire che non sono mancati approcci al pensiero popperiano meno "difensivi" di quelli marxisti e psicoanalitici, e allo stesso tempo più concreti. Per esempio, ha destato sensazione la rivolta dei biologi, e più in generale, dei filosofi della biologia, in merito all'insensatezza di voler ricavare dal modello della fisica una metodologia generale delle scienze, la quale, così messa, non può che risultare applicabile che a macchia di leopardo nel campo della ricerca biologica. Non tutta la biologia è falsificabile, come del resto non era falsificabile la prima legge di Newton, ma questo non significa che essa sia metafisica. Sul terreno della ricerca biologica, in sostanza, il criterio di demarcazione tra scienza e non-scienza proposto da Popper sembra particolarmente esposto a reazioni negative. In proposito sono di un certo rilievo le osservazioni svolte da W. C. Kneale nel 1974. Per Kneale Popper si era concentrato sulle scoperte scientifiche indirizzate a scoprire una struttura della natura, e quindi "leggi universali" riguardanti tutti i mondi possibili. Secondo Kneale, tuttavia, buona parte del mondo scientifico è interessata al "contenuto" del mondo naturale. Ma proprio questa idea del "contenuto", lungi dall'essere una vaga chimera, può portare a rendere accettabile l'idea che non tutte le proposizioni scientifiche possano prendere la forma di "proposizioni non verificabili di illimitata universalità". (1) Una seconda critica metteva in evidenza la discutibilità dei criteri con cui erano stati scelti da Popper gli eventi della storia della scienza veramente significativi ai fini di una evidenza della Logica della scoperta (Discovery, in inglese, ma si dovrebbe ricordare che il titolo originario era Forschung, ricerca, in tedesco). Uno di questi eventi "dimenticati" da Popper è stato evidenziato da Donald Gillies nel suo libro (scritto a 4 mani con Giulio Giorello) La filosofia della scienza nel XX secolo. (2) Qui troviamo nell'esempio della scoperta della penicillina un classico caso di procedimento induttivo creativo (insieme a una certa dose di fortuna) da parte di Fleming. Gillies riconosce a Peter Mitchell (1989) il merito di aver evidenziato che è "una sorprendente caratteristica del procedimento d'induzione congetturale il fatto che una teoria sembri contenere più informazioni del limitato insieme di dati singoli dai quali essa è stata originariamente inferita induttivamente. La teoria utile deve contenere non solamente la successione di tutti i dati particolari, ma anche alcuni principi di natura più generale a cui quelli rimandano. Il compito del ricercatore fantasioso è di congetturare quali potrebbero essere tali principi generali". Mitchell e Gillies considerano quindi il "congetturare fantasioso" come qualcosa di molto intimo al procedimento induttivo, mentre Popper dice che la questione del "come" non ha rilevanza, ed è questo che dà da pensare, perché il "come" non è qualcosa di irrazionale, come sosterrà più tardi Feyerabend, ma solo di difficilmente sondabile. Persino violare le regole del procedimento scientifico, a volte, può essere razionale in vista di uno scopo.
Anche nel campo della biologia, tuttavia, non sono mancati scienziati e ricercatori che hanno riconosciuto di aver tratto da Popper grande ispirazione. Tra questi è interessante il caso di Günter Wächtershäuser, un chimico organico tedesco "esploso" negli anni '90 con una ipotesi sull'origine della vita che meriterebbe maggiore diffusione. Essa rappresenta un'alternativa alle diverse versioni attualmente circolanti della teoria del mondo a RNA.
Interpretando Monod, Popper aveva sostenuto che l'origine della vita è "una barriera impenetrabile alla scienza e un residuo irriducibile di tutti i tentativi di ridurre la la biologia a chimica e fisica". La teoria di Wächtershäuser potrebbe però smentire questa convinzione tardopopperiana. Wächtershäuser sostiene comunque di aver fondato la metodologia delle sue ricerche sulla filosofia della scienza di Popper. In particolare sul rifiuto del "bisogno immaginario di derivare la biologia dalla chimica". Benché le leggi della chimica esercitino delle costrizioni sulla infinità gamma di possibilità biologiche, una teoria dell'emergere della vita è una "teoria biologica" anche se considerata equivalente ad una teoria dell'emergere di "percorsi biochimici".
Ma anche restando alla fisica...
Anche nei settori della filosofia della scienza più legati al concetto di fisica quale "scienza regina" non sono mancate obiezioni e, in qualche caso, vere levate di scudi.
Nel 1958, Norwood Russell Hanson considerava che sia il neopositivista Reichenbach che Popper avevano di fatto accettato la separazione tra "contesto della scoperta e contesto della giustificazione", già teorizzata da Herschel nell'Ottocento, e denunciava la rinuncia di Popper a dire qualcosa sulla "scoperta" come un relegare nel mistero la genesi di nuove idee. (3) L'idea che il normale processo induttivo avesse qualcosa a che fare con il "contesto della scoperta" era più che sensata. Successivamente, lo stesso Hanson metterà in discussione "la possibilità di distinguere con facilità tra le ragioni offerte per accettare una teoria e quelle che l'hanno suggerita inizialmente". Era una critica che toccava nuovamente il contesto della scoperta. E Nickles, nel 1980, avrebbe osservato: "Stabilire la teoria completa, controllata, è soltanto l'ultimo stadio di un processo sofisticato di attività ragionata, e ignorare la parte restante darebbe ( e ha dato) un'immagine molto distorta dell'apprendimento scientifico." Tra l'altro, tali critiche potrebbero sembrare ancora più fondate se si pensa che quando Popper affronta il problema della metodologia delle scienze sociali, egli fa proprio appello alla necessità di una forma di ricostruzione razionale. Perché qui si, e là no?
Fu nel 1965 che emerse una vera e propria opposizione a Popper. David Oldroyd (4) rilevava che la reazione a Popper non ebbe un carattere direttamente dialettico, ma prese piede lentamente, come manifestazione di un certo disagio rispetto alle più evidenti unilateralità popperiane. La situazione "precipitò" solo durante il Colloquio Internazionale sulla Filosofia della Scienza al Bedford College di Londra, appunto nel luglio del '65. Esso vide contrapposti uno stuolo di popperiani e Thomas Kuhn con pochi adepti. Non è questa la sede per spiegare in dettaglio le posizioni di Kuhn, ma dobbiamo osservare, quantomeno, che per Kuhn la scienza procede per rivoluzioni, quindi momenti di scienza straordinariamente sconvolgente, ai quali seguono lunghe fasi di scienza normale, periodi nei quali, cioè, la scienza non fa altro che (usiamo un termine tipicamente popperiano) corroborare il paradigma scientifico che si è imposto con la rivoluzione, affrontando nei limiti del paradigma dominante tutti i problemi ed i rompicapo che si presentano. Secondo Kuhn, ed i suoi sostenitori, la disanima popperiana delle scoperte scientifiche ha una relativa validità rispetto ai momenti di scienza rivoluzionaria, ma non tiene affatto conto dei periodi di scienza normale. Nel suo intervento al Colloquio, Kuhn sottolineava che l'approccio di Popper era "naturale e comune: le imprese di un Copernico o di un Einstein fanno miglior effetto di quelle di un Brahe o di un Lorentz; [ma] se scambiasse ciò che io chiamo scienza normale per un'impresa intrinsecamente priva d'interesse, Popper non sarebbe il primo a farlo. Tuttavia, è probabile che non si capiscano né la scienza né lo sviluppo della conoscenza, se si considera la ricerca esclusivamente attraverso le rivoluzioni che essa occasionalmente produce. Per esempio, benché il controllo degli impegni di fondo abbia luogo soltanto nella scienza straordinaria, è la scienza normale che scopre sia i punti da controllare sia le modalità di controllo". (5)
Era una critica in parte eccessiva, ma colpiva un bersaglio visibile. Nella storia della scienza non si è spesso "falsificato" in senso popperiano, cioé prima di rendere nota un'ipotesi. E' toccato agli "eredi" il compito di scoprire e spiegare tutte le anomalie, fino ad arrivare ad un momento di "crisi" ed alla necessità di un paradigma più soddisfacente.
La critica di David Oldroyd
Tra i più ostili alle posizioni di Popper va segnalato lo stesso David Oldroyd. A suo avviso, Popper ha spezzato l'arco della conoscenza disegnato da Platone in modo da generare un'asimmetria arbitraria, o comunque discutibile, nella dinamica del pensiero umano. Muovendo dall'interpretazione di un celebre passo di Repubblica, Oldroyd evidenzia che il processo di scoperta è simile a un arco poggiante su due pilastri. Uno consente di discendere, seguendo la via deduttiva, l'altro consente di ascendere, seguendo la via induttiva. Tale processo fu ancora più accuratamente analizzato e descritto da Aristotele; col passare del tempo, secondo Oldroyd abbiamo avuto numerosi sviluppi, ma sostanzialmente non si è mai andati oltre lo schema platonico se non per forzature. Bacone forzò sul lato del pilastro ascendente. Popper decise di forzare sul lato del pilastro discendente, non spiegando però come si arriva in cima, se con la scala mobile, o arrampicandosi con fatica, o, meglio ancora, prendendo la rincorsa e saltando.
Al termine della sua disanima, Oldroyd conclude molto negativamente la sua valutazione di Popper. "D'altra parte, penso non si debba tacere che il falsificazionismo, e la spiegazione della «logica» del metodo scientifico data da Popper, devono essere considerati degli insuccessi. L'incubo della tesi di Duhem-Quine non è stato ancora esorcizzato con successo, cosicché in realtà non c'è più certezza nel processo di falsificazione di quanta ce ne sia in quelli di verifica o di induzione." Oldroyd richiama, nella sua rassegna un lavoro di David Stove (6) in cui l'intera logica del falsificazionismo viene presentata come "una congerie diffusa di elementi disparati". E cita inoltre Anthony O' Hear (7) quale fautore di una tesi secondo la quale Popper avrebbe lasciato entrare l'induttivismo nel suo metodo per la porta di servizio.
O' Hear sostiene che non si può capire il mondo esterno se non presupponendo che in esso vi sia una sorta di stabilità. Ma come si potrebbe fare una qualsiasi osservazione falsificante senza un simile assunto, chiaramente induttivo? "Così - prosegue Oldroyd, riportando O' Hear, - nella ricerca scientifica, come in ogni attività umana, è necessariamente presupposto un qualche assunto induttivo (forse debole) dell'uniformità della natura. O' Hear sostiene, in effetti, che la nostra distinzione abituale fra il soggettivo e l'oggettivo - fra noi come persone e il mondo esterno degli oggetti - sarebbe impossibile senza una qualche presupposizione induttiva. E' perciò interessante che in uno dei suoi scritti posteriori Popper abbia riconosciuto che il suo assunto realistico che i risultati della ricerca scientifica conducano a una maggiore verosimilitudine era infettato da un «pizzico di induttivismo». "
La tesi Duhem-Quine
Dobbiamo spiegare in che consiste il principio Duhem-Quine e come mai costituisce un "incubo" per alcuni filosofi della scienza. Per ragioni di priorità anagrafica, ovviamente, la precedenza spetta a Pierre Duhem, filosofo e storico della scienza che visse a cavallo di Ottocento e Novecento. Egli scrisse: "... il fisico non può mai sottoporre al controllo dell'esperienza un'ipotesi isolata, ma soltanto tutto un insieme di ipotesi. Quando l'esperienza è in disaccordo con le sue previsioni, essa gli insegna che almeno una delle ipotesi costituenti l'insieme è inaccettabile e deve essere modificata, ma non gli indica quale dovrà essere cambiata." (8) Non è un problemino da poco, se consideriamo anche solo la storia della fisica e dell'astronomia. Ai nostri fini, è interessante notare che la tesi di Duhem era polemica nei confronti di Poincaré. Per quest'ultimo, infatti, i principi della meccanica newtoniana non sarebbero stati messi da parte in quanto rappresentavano le più semplici convinzioni disponibili, inconfutabili per via sperimentale. Secono Duhem, Poincaré aveva sbagliato a considerare isolatamente ogni principio della meccanica. Poincaré era un vero convenzionalista, Duhem lo era un po' meno. Per certi aspetti fu precorritore del falsificazionismo, anzi, il propugnatore di una specie di falsificazionismo ristretto perché, appunto, aveva compreso che alcune teorie fisiche, prese isolatamente, possono resistere a revisioni sperimentali. L'idea cui pervenne Duhem, e che sfida dalla tomba il falsificazionismo estremo popperiano, è che non esistono, in fisica, esperimenti cruciali. Quindi nemmeno falsificazioni cruciali. Ciò non significa che non esistano in altri campi, come la fisiologia. Infatti, Duhem riconobbe la validità degli esperimenti cruciali del medico Claude Bernard. E' incredibile come nel giro di qualche decennio le posizioni si possano completamente rovesciare. Altri diranno, infatti, che la fisica si può falsificare, la biologia no.
Naturalmente, Duhem argomentò la sua posizione, tra l'altro riflettendo sul famoso esperimento di Léon Foucault per misurare la velocità della luce nell'acqua. Era un esperimento concepito per decidere se scegliere la teoria corpuscolare o quella ondulatoria della luce. Duhem mostrò che non era sufficiente muovere da un solo assunto, ma che occorreva ricorrere a diverse ipotesi ausiliarie, e scrisse: "L'esperimento di Foucault non decide tra le due ipotesi dell'emissione e delle onde, ma tra due sistemi di teorie ciascuno dei quali deve essere preso in blocco, tra due sistemi completi, l'ottica di Newton e l'ottica di Huyghens." Ma questa ostinazione nel confronto globale portava in un vicolo cieco, cioè in una situazione di sostanziale indecidibilità.
Andiamo ora a Quine. Nel suo famoso articolo del 1951, Due dogmi dell'empirismo, Quine presentava osservazioni di tipo piuttosto simile a quelle di Duhem, ma con alcune differenze importanti. In primo luogo, infatti, Quine immetteva il suo ragionamento nel contesto di una distinzione tra asserzioni analitiche e asserzioni sintetiche. Duhem non aveva affrontato la questione. Quine contestava la distinzione tra i due tipi di asserzione. A suo avviso era palesemente falso che le proposizioni analitiche del tipo "tutti gli scapoli sono non sposati" non avesse un contenuto fattuale e quindi fosse "vera" indipendentemente dai fatti. Cosa c'entra tutto ciò? La posizione di Quine era grosso modo questa. L'uso sociale modifica il linguaggio. Esso si determina per "convenzione", e per "convenzione" ogni termine sfuma e modifica il suo significato. Quindi se una proposizione analitica tipo quella presentata viene a cadere in un luogo e in un tempo nel quale la parola "scapolo" non è sinonimo di non-sposato, ma di adolescente, o di vedovo, o di qualsiasi altra definizione linguistica, senza un corrispettivo fattuale cessa di essere vera. Se un enunciato è vero in quanto analitico, è vero per convenzione all'interno di un contesto linguistico. Con ciò ci troviamo di fatto davanti ad un "incontro" tra le posizioni di Duhem e quelle di Quine, oltre che a quelle del secondo Wittgenstein. In questa visione globale dell'esperienza "l'unità di misura della significanza empirica è tutta la scienza nella sua globalità" (9) Quine pensa la dimensione del linguaggio scientifico come un "campo di forza". "La scienza nella sua globalità è come un campo di forza i cui punti limite sono l'esperienza. Un disaccordo con l'esperienza alla periferia provoca un riordinamento all'interno del campo; si devono riassegnare certi valori di verità ad alcune nostre proposizioni. [...] Ma l'intero campo è determinato dai suoi punti limite, cioè l'esperienza, in modo così vago che rimane sempre una notevole libertà di scelta per decidere quali siano le proposizioni di cui si debba dare una nuova valutazione alla luce di una certe esperienza contraria."
Esistono comunque delle notevoli differenze tra le posizioni di Duhem e quelle di Quine: quelle di Quine sfidano il falsificazionismo in modo molto più radicale perché non si limitano al campo della fisica, come in Duhem, ma abbracciano l'intero campo culturale, linguistico ed epistemologico. Se la verità di un'asserzione non può essere analizzata separando le componenti linguistiche e fattuali, secondo quella tradizione che risale a Leibniz (verità di ragione e verità di fatto), avremo che quella verità potrà venire accertata solo mediante una combinazione di criteri semantici e criteri empirici. Questo significa che anche la verità delle asserzioni formulate da Popper nel linguaggio ideale del deduttivismo verrebbe a dipendere da elementi sia logici che empirici e che, soprattutto, sarebbe molto difficile determinare un confine tra l'insieme di ciò che è logico e ciò che è empirico. La situazione concettuale è ulteriormente complicata dalla seguente affermazione di Quine: " le nostre proposizioni sul mondo esterno si sottopongono al tribunale dell'esperienza sensibile non individualmente, ma solo in modo solidale." Perché il sapere umano è "un edificio fatto dall'uomo che tocca l'esperienza solo lungo i suoi margini."
Cosa ha dimenticato Oldroyd e cosa ha visto Lakatos
Ma Popper ha risposto ai suoi critici, cosa che Oldroyd ha omesso nel suo giudizio finale su Popper. E lo ha fatto in modo convincente. Popper ha chiamato il tipo di obiezioni Duhem-Quine "il mito della cornice", cioè la visione per la quale una discussione razionale sia possibile solo da chi condivide un comune quadro linguistico e concettuale. Essendo stregati da un linguaggio, noi non saremmo in grado di capire l'altro, gli altri. E scrisse: " Ammetto che in qualsiasi momento siamo prigionieri, catturati nella rete delle nostre teorie; delle nostre aspettative; delle nostre esperienze passate; del nostro linguaggio. Siamo prigionieri in un senso pickwickiano: se tentiamo, possiamo fuggire dal nostro quadro in qualsiasi momento. Innegabilmente, ci troviamo ancora in un quadro, ma sarà un quadro migliore e più spazioso; e potremmo di nuovo fuggire in qualsiasi momento.
Il punto centrale è che una discussione critica e un confronto dei vari quadri è sempre possibile. E' solo un dogma, un dogma pericoloso, quello secondo cui i diversi quadri concettuali sono come lingue reciprocamente intraducibili. Il fatto è che persino lingue totalmente differenti (come l'inglese, l'hopi o il cinese) non sono intraducibili e che ci sono parecchi hopi o cinesi che hanno imparato a padroneggiare molto bene l'inglese."(10)
Secondo Popper, posizioni come quelle di Quine rasentano l'irrazionalismo. Ma non è del tutto vero, se crediamo all'idea che l'unico vero irrazionalismo sta nel sostituire l'azione istintiva sempre e comunque ad ogni ragionamento preliminare sulle conseguenze prossime e remote del nostro agire.
Imre Lakatos, in La metodologia dei programmi scientifici (11), ha notato che la tesi Duhem-Quine può essere tuttavia interpretata in due modi, tramite una versione debole e mediante una versione forte. Quella debole "asserisce solo l'impossibilità di mandare a segno un colpo sperimentale diretto contro un bersaglio teorico strettamente specificato e la possibilità logica di modellare la scienza in un numero indefinito di modi differenti." Per Lakatos, dunque, l'interpretazione debole colpisce il falsificazionismo dogmatico, ma non quello metodologico: "essa nega solo che sia possibile refutare una componente separata di un sistema teorico". La versione forte, al contrario, esclude possa darsi qualsiasi regola razionale fra alternative. Questa posizione "è incompatibile con tutte le forme di di falsificazionismo metodologico".
Secondo Lakatos, ciò dovrebbe spingerci alla seguente domanda: "ogni controllo è una sfida alla nostra conoscenza nel suo complesso?" I popperiani resistono a questa sfida radicale perchè operano una confusione semantica fra due differenti nozioni del controllo. Per Popper il controllo sfida solo "una congiunzione finita specificata" del tipo se O (controllo) sfida T (teoria), T & O non può essere vera. L'interpretazione quineana di controllo è che "la sostituzione di O & T possa richiedere qualche cambiamento anche al di fuori di O & T. Il successore di O & T può essere incompatibile con qualche H in qualche regione lontana della conoscenza." Questa confusione semantica ha generato fraintendimenti logici. "Alcuni hanno intuito che il modus tollens innescato dalla confutazione può «colpire» premesse molto remote della nostra conoscenza totale e si sono perciò fatte intrappolare dall'idea che la «clausola ceteribus paribus» sia una premessa che è unita da una congiunzione alle premesse manifeste. Ma questo «colpire» non è un risultato del modus tollens ma della nostra successiva sostituzione del modello originario."
Lakatos ammette che la versione debole di Quine "è banalmente vera". Rispetto a ciò ci si può dividere in falsificazionisti ingenui (e dogmatici) come il primo Popper, e in falsificazionisti sofisticati, come appunto si ritiene Lakatos. "Il falsificazionista sofisticato consente di sostituire qualunque parte del corpo della scienza, ma solo a condizione che venga sostituita in modo «progressivo», che la sostituzione anticipi con successo fatti nuovi. Nella sua ricostruzione razionale della falsificazione «gli esperimenti cruciali negativi» non giocano alcun ruolo. Per lui non c'è nulla di male se alcuni brillanti scienziati agiscono di comune accordo per stipare tutto ciò che possono nel programma di ricerca con un nucleo inviolabile (o, se si preferisce, nel «quadro concettuale») da loro preferito. Finché l'ingegnosità - e la fortuna - consentono loro di espandere «in modo progressivo» il loro programma, restando fedeli al nucleo, ciò è loro permesso. Se un ricercatore di talento decide di sostituire («progressivamente») una teoria del tutto incontestata e fortemente corroborata perché gli accade di trovarla insoddisfacente su basi filosofiche, estetiche o personali, ebbene, buona faortuna a lui. Se due équipes che perseguono programmi di ricerca rivali sono in competizione, il successo arriderà probabilmente a quella i cui membri hanno più talento creativo - a meno che Dio non li punisca con con un'assoluta mancanza di successo empirico."
La critica di Lakatos
Possiamo riassumere la critica-superamento di Imre Lakatos a Popper in due punti: a) la logica della scoperta non appartiene alla psicologia, essa è comunque una procedura razionale e oggettiva, b) anche per questo i programmi di ricerca hanno grandissima importanza nella storia della scienza. In tale impostazione risulta che i programmi hanno sempre una dimensione più ampia rispetto al problema del successo o della caduta di singole teorie. Un programma di ricerca non può essere gettato via troppo presto, anche qualora non abbia ricevuto la chance di essere provato e corroborato. Lo scienziato deve conservare il nucleo del programma, assegnando importanza all'"euristica negativa", cioè a quali vie di ricerca evitare. Ma nei programmi di ricerca esiste anche un'euristica positiva che costituisce l'insieme delle ipotesi ausiliari necessarie a completare il programma. Secondo Lakatos, come già in Popper, è la metafisica, quella più razionale, che ispira gli scienziati; la storia della scienza è storia di metafisiche rivali. Ma un programma di ricerca parte da decisioni metodologiche. Tali decisioni devono individuare ipotesi da considerare "non falsificabili". Questa posizione richiama il paradigma kuhniano: gli scienziati mantengono un accordo essenziale e di fondo su alcuni punti. Attorno a questo nucleo, Lakatos vede svilupparsi una protective bell, una cintura protettiva fatta di ipotesi ausiliarie, teorie osservative, condizioni iniziali; essa deve reggere l'urto dei controlli attraverso adattamenti in grado di assorbire e spiegare le anomalie.
Feyerabend contro Lakatos, Popper e anche Kuhn
Definendosi "falsificazionista sofisticato", Lakatos operò così una relativa difesa del pensiero popperiano, cercando di "correggerlo" nel punti più rigidi, introducendo un elemento "dialettico". E da Popper riprese comunque interamente la prospettiva fallibilista. Su questo piano non poteva che entrare in un dialogo polemico con Paul K. Feyerabend, un genio anarchico e antimetodologico capace di ricorrere ad ogni tipo di argomento per denunciare come sotto lo strato delle apparenze l'impresa scientifica di ogni tempo fosse stata viziata da clamorose forzature e contraddizioni logiche.
In un primo tempo, Feyerabend prese a bersaglio l'empirismo, ma fu presto chiaro che il suo vero obiettivo era quello di demolire l'edificio della razionalità codificata e sbaragliare la nuova ortodossia dei popperiani. A leggere Contro il metodo si possono provare quel tipo di emozioni che sembrano oggi lavorare a sostegno della tesi che la vera intelligenza non è formale, ma emotiva. Se il falsificazionismo fosse stato applicato integralmente, dice Feyerabend, esso avrebbe spazzato "via la scienza quale la conosciamo e non le avrebbe mai permesso di avere un inizio". Ergo, se c'è stato un inizio, è perché era palesemente sbagliato, e persino illogico. Tuttavia, un inizio c'è stato. E dopo allora, molti altri. La teoria si estende a molti campi. "L'apparato concettuale lentamente emergente della teoria comincia ben presto a definire i suoi problemi, e i problemi, fatti e osservazioni anteriori sono o dimenticati o messi da parte come irrilevanti. Questo è uno sviluppo interamente naturale e del tutto incontestabile. Perché infatti un'ideologia dovrebbe essere vincolata da problemi anteriori i quali, in ogni caso, hanno senso soltanto nel contesto abbandonato e ora ci appaiono sciocchi e innaturali?"
E' su questa linea interpretativa che Feyerabend si diverte a smascherare Lakatos come un hegeliano materialista dialettico, un "leninista" dell'epistemologia. Ma proprio a Lakatos ed a Kuhn, Feyerabend eleva un elogio per aver insegnato che la metodologia popperiana è rigida, schematica e irrealistica. Popper, secondo Feyerabend, "ha troppo risentito dell'influenza del circolo di Vienna". Qualsiasi caso storico si voglia considerare, si vedrà che i principi sbandierati da Popper quali le falsificazioni, l'aumento di contenuto, l'eliminazione delle ipotesi ad hoc, la regola dell'onestà ecc. non danno un'immagine adeguata dello sviluppo della scienza. Nell'impresa scientifica c'è più opportunismo di quanto la metodologia popperiana sia in grado di ammettere. Anche Kuhn viene criticato. La sua rappresentazione del cammino della scienza è falso. La scienza non è una successione di rivoluzioni e normalità, ma un conflitto permanente tra maggioranze ortodosse e ottuse (la vera palude) e una minoranza creativa. Kuhn ha incoraggiato, con le sue tesi, gli specialisti più gretti, quelli impegnati nei rompicapo minuti di ogni giorno, e i dilettanti più impreparati, quelli che dovrebberi darsi all'ippica o alla letteratura invece che a rivoluzionare la scienza.
Quanto a Lakatos, si può dire che la sua visione dialettica gli ha consentito di insistere sulla contraddizione, contro Popper e i neopositivisti, considerandola la vera motrice dello sviluppo scientifico. Tuttavia, anche Lakatos ha ceduto alle lusinghe della metodologia, illudendosi di poter selezionare i programmi di ricerca discriminando tra progressivi e regressivi. Con ciò, dice Feyerabend, la scienza sopravvive. Ma su basi del tutto irrazionali, perché decidere tra due programmi e il loro grado di progressività non è affatto possibile. Feyerabend ammette che gli standard di Lakatos sono più vicini alla scienza rispetto ai precedenti dei neopositivisti, di Popper e Kuhn, ma questa potrebbe essere "l'impressione creata dal modo in cui Lakatos presenta la sua metodologia, questo è il modo in cui essa appare al lettore incauto ed entusiasta."
In realtà, prosegue Feyerabend, "Lakatos non ha dimostrato che i suoi standard sono gli standard della scienza, non ha dimostrato che conducono a risultati sostanziali, non è riuscito neppure a conferir loro una forza se non usando la pressione, l'intimidazione, le minacce... [...] Egli sceglie arbitrariamente la scienza come misura di metodo e di conoscenza senza avere esaminato i meriti di altre ideologie professionali. Per lui queste ideologie sono semplicemente inesistenti. Ignorandole, egli dà soltanto una caricatura dei principali rivolgimenti sociali e intellettuali; ignorando le influenze 'esterne', egli falsifica la storia delle discipline, insinuando che le deviazioni dagli standard non erano necessarie per il loro progresso."
E' evidente, da queste poche righe, come colpendo Lakatos, Feyerabend colpisca la sua matrice più rigida, cioè la metodologia popperiana, che Lakatos si è limitato ad "aggiornare".
E' ancora possibile una difesa della razionalità dell'impresa scientifica sulla linea di Popper dopo queste burrasche?
Potrei chiudere questa panoramica con una risposta seccamente affermativa alla domanda perché, dopotutto, a me pare che proprio a partire da Popper, e attraverso Lakatos, sia possibile salvare il nucleo epistemologico del falsificazionismo come metodo e del fallibilismo come orizzonte di consapevolezza. L'idea del fallibilismo è la vera "cintura protettiva" sia dello scienziato, sia di chi pretende di riflettere sul lavoro dello scienziato. Ci possiamo sbagliare, insomma, l'importante sta nel sapersi correggere discutendone.
(1) il testo di W. C. Kneale, non tradotto in italiano, si intitolava The demarcation of science in P. A. Schilpp - The Philosophy of Karl Popper - La Salle, Open Court. Schoschet, G. J. 1974 / Queste e informazioni in G. Stokes - Popper - Il Mulino 2002
(2) D. Gillies e G. Giorello - La filosofia della scienza nel XX secolo - Laterza 2006
(3) N. R. Hanson - I modelli della scoperta scientifica - Feltrinelli 1978
(4) D. Oldroyd - Storia della filosofia della scienza - Il Saggiatore 1989
(5) T. S. Kuhn - Logica della scoperta o psicologia della ricerca? - in I. Lakatos - La metodologia dei programmi di ricerca scientifici. Scritti filosofici I, Il Saggiatore 1985
(6) D. C. Stove - Popper on Scientific Statement - sulla rivista "Philosophy", vol. 53, 1978
(7) A. O' Hear - Karl Popper - Routledge & Keagan Paul 1980
(8) P. Duhem - La teoria fisica: il suo oggetto e la sua struttura - Il Mulino 1978 (ed. originale - La théorie physique: son object et sa structure - Paris 1906)
(9) W. V. O. Quine - Due dogmi dell'empirismo - in Il problema del significato - Ubaldini 1966
(10) K. R. Popper - La scienza normale e i suoi pericoli - in Lakatos/ Musgrave (a cura di G. Giorello) - Critica e crescita della conoscenza - Feltrinelli 1976
(11) I. Lakatos - La metodologia dei programmi scientifici - Il Saggiatore 1996
(12) P.K. Feyeraband - Contro il metodo - Feltrinelli 1979
SP - 1 settembre 2005