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Times out of joint
Spettri II: scongiurare il passato, rispondere al morto
di Mario Cornarino
Rincorrere e afferrare uno "spirito" di Marx, farlo rivivere qui ed ora non è poi tanto facile. Ci si può perdere in un mare di discorsi, di retoriche e controretoriche, banalità, assurdità, a far guerre a spettri e fantasmi che si annidano in noi stessi e che stanno anche negli altri. Si rischia di rimanere "bloccati" da altri fantasmi, ingaggiare dispute sul terreno della filologia, sul senso di un'espressione come "dittatura del proletariato". Da un certo punto di vista essa è quanto di più minaccioso sia stato profferito da bocca umana contro tutti coloro che proletari non sono. Da un altro è una speranza, è stata una speranza, il fantasma sorridente di un sol dell'avvenire che si non è mai presentato al mondo se non coperto da nuvole nerastre. Visibile oltre il visibile: utopia e insieme minaccia di distruzione e di morte.
"Dittatura del proletariato" voleva dire che la transizione dalla forma borghese alla forma socialista non sarebbe stata indolore, e nemmeno "democratica" e nemmeno incruenta. Terrore-orrore, il primo spettro sarebbe stato Robespierre, o una sua ripetizione, la prosecuzione del terrore borghese nel terrore comunista. Era onesto prevederlo, avvisare? O era sola la minaccia di un duo di barbuti spacconi? Fatto sta che, enunciandosi in modo performativo, attraverso il Manifesto, il comunismo diventava uno spettro che per metà prendeva corpo, e per l'altra metà rimaneva fantomale. Il corpo erano le bandiere rosse, gli scioperi, i congressi. Poco più che uno spirito, appunto. Derrida evidenzia che Marx "gioca" con gli spettri. Ma lo spettro che spaventava la Santa Alleanza dei reazionari non era uno spettro inventato da Marx. Aveva una sua autonomia oggettiva. Ed è per questo che spaventava e che veniva usato per spaventare sempre più. E, tuttavia, dice Derrida, lo spettro «di cui Marx parlava c'era senza esserci. Non c'era ancora. Non ci sarà mai. Non c'è Dasein dello spettro senza l'inquietante estraneità, senza la strana familiarità (Unheimlichkeit) con qualche spettro.» Cos'è uno spettro? E' la frequenza con cui viene intercettato, visto, intravisto. Visibilità dell'invisibile. «E la visibilità, per essenza, non si vede perché resta epékeina tes ousias. al di là del fenomeno o dell'essente. Lo spettro è anche, tra altre cose quel che si immagina, quel che si crede e che si progetta su uno schermo immaginario, là dove non c'è nulla da vedere. Neanche lo schermo, a volte, e uno schermo ha sempre nel fondo, nel fondo che è, una struttura di apparenze dileguanti. Ma ecco che non si può arrestare l'occhio per scrutare il ritorno. Da cui la teatralizzazione della parola stessa, e la speculazione spettacolarizzante sul tempo. Bisogna capovolgere ancora una volta la prospettiva fantasma o revenant, sensibile insensibile, visibile invisibile, lo spettro, soprattutto, ci vede. Dall'altra parte dell'occhio, effetto visiera, ci guarda prima ancora che noi lo vediamo, o che vediamo tout avant. Ci sentiamo osservati, a volte sorvegliati da lui anche prima di ogni apparizione. Soprattutto, ed ecco l'evento, poiché lo spettro è dell'evento, ci vede mentre ci visita. Ci rende visita. Visita dopo visita, perché ritorna a vederci e perché visitare, frequentativo di visere (vedere, esaminare, contemplare), traduce bene la ricorrenza o la revenance, la frequenza di una visita... Marx viveva nella frequentazione degli spettri.»
Derrida consiglia di prendere sul serio un'ipotesi. Quella che il far paura sia anche farsi paura, e viceversa. «Poiché si potrebbe tentare di spiegare tutta l'eredità totalitaria del pensiero di Marx, ma anche gli altri totalitarismi che non per caso e giustapposizione meccanica gli furono contemporanei, come una reazione di panico di fronte al fantasma in generale. La risposta al fantasma che il comunismo rappresentava per gli Stati capitalistici (monarchici, imperiali o repubblicani) della vecchia Europa in generale è stata una guerra impaurita e senza pietà, nel corso della quale soltanto hanno potuto costituirsi, inaspriti fino alla mostruosità di un rigore cadaverico, il leninismo e poi il totalitarismo staliniano. Ma dal momento che anche l'ontologia marxista si batte contro il fantasma in generale, in nome della presenza vivente come effettività materiale, tutto il processo "marxista" della società totalitaria rispondeva anch'esso allo stesso panico.» Derrida suggerisce di considerare che è accaduto che Marx e marxismo "si siano sfuggiti", come se si fossero fatti paura a vicenda, nel corso della stessa caccia e della stessa persecuzione. Come se avessero avuto paura di qualcuno in loro. Di chi? Indubbiamente dell'altra faccia della Luna, di Giano bifronte, della belva umana, bionda o nera che sia, che non sta solo nel nazista, ma può stare anche nell'ebreo, nell'arabo, nel comunista russo o tedesco. «I totalitarismi nazista e fascista si trovarono tanto da una parte quanto dall'altra, in questa guerra di fantasmi, ma nel corso di una sola e medesima storia. E ci sono così tanti fantasmi in questa tragedia, nei carnai di tutti i campi, che nessuno potrà mai essere certo di essere da un solo e medesimo lato.»
Derrida sostiene che non c'è alcun "revisionismo" nell'interpretare l'origine dei totalitarismi come reazioni reciproche alla paura del fantasma comunista.
Insomma, il revenant fu il "persecutore" di Marx. E anche di Stirner. «Essi non hanno mai smesso, tutti e due, di perseguitare, il che è del tutto comprensibile, il loro persecutore... Marx era attratto dalla figura del fantasma, la detestava, la prendeva come testimone della sua contestazione, ne era tormentato... ossessionato. Dentro di sé, ma, naturalmente per respingerla, fuori. di sé. In sé fuori di sé: ecco il luogo fuori luogo dei fantasmi, ovunque fingano di eleggere domicilio. Forse, più di altri, Marx aveva dei revenants nella testa e sapeva senza sapere di cosa parlava ... » Per questo non amava i fantasmi da cui era attratto. Essi lo guardavano da sotto la visiera e Marx ne era ossessionato. Li combatteva senza pietà, cercando però di distinguere, dice Derrida, tra buoni e cattivi fantasmi. Lo spirito della rivoluzione è altra cosa dallo spettro. Geist è spirito, Gespenst è spettro, Gespenst è ciò che ossessiona i nemici del Geist della rivoluzione. E' come dire che non parliamo della stessa cosa, la cosa vista dal reazionario è terrificante, al limite della caricatura e della falsità, ma di quanto?
«Ma se è così difficile e rischioso, al di là di ogni possibile controllo, se i due restano indiscernibili, e finalmente sinonimi, è perché, anche agli occhi di Marx, lo spettro sarà stato innanzitutto necessario, si direbbe anzi vitale al dispiegarsi storico dello spirito. Marx eredita infatti in primo luogo l'annotazione hegeliana sulla ripetizione nella storia, si tratti di grandi eventi, di rivoluzioni o di eroi...» Tutte le generazioni ingoiate dalla storia gravano sul presente, sui viventi, lastet wie ein Alp, la loro tradizione "pesa come un incubo". Così essi ritornano. «Si tratta proprio di convocare (herschwören) degli spiriti come spettri nel gesto di uno scongiuro positivo, quello che giura per evocare e non per ricacciare. Ma ci possiamo attenere questa distinzione? Perché, anche se un tale scongiuro può sembrare accogliente ed ospitale, dal momento che evoca, lascia o fa venire il morto, non va però mai senza angoscia. E dunque senza un movimento di repulsione o di restrizione. [...] Lo scongiuro è angoscia perché chiama la morte al fine di inventare il vivo e far vivere il nuovo, per far venire alla presenza quel che ancora non c'è stato. Questa angoscia di fronte al fantasma è propriamente rivoluzionaria. Se la morte grava sul cervello dei viventi, e più ancora sul cervello dei rivoluzionari, deve ben avere qualche densità spettrale. Gravare è anche caricare, tassare, imporre, indebitare, accusare, assegnare, ingiungere. E più c'è vita, più si aggrava lo spettro dell'altro, più esso appesantisce la sua imposizione. E più il vivente deve risponderne. Rispondere al morto, rispondere al morto.»
MC - 30 marzo 2007