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Herbert Spencer (1820 - 1903 )

Con Herbert Spencer siamo al tentativo di fondare una filosofia, nel vero e proprio senso di una visione cosmologica, sulla base di una teoria allora ritenuta scientifica, ovvero il trasformismo biologico elaborato da Lamarck.
Erroneamente si crede spesso che la filosofia spenceriana debba qualcosa alle scoperte di Darwin, ed insieme le preceda: in realtà i rapporti tra Spencer e Darwin furono freddi e persino conflittuali. Spencer aveva parlato di evoluzione ben prima di Darwin, ma lo stesso Darwin fu sempre piuttosto restio ad usare questo termine. Di temperamento scientifico estremamente prudente, il grande naturalista, piuttosto scettico nei confronti di ogni grandiosa filosofia, fu anzi convinto, per lungo tempo, che fosse esagerato parlare di evoluzione e fosse molto più corretto limitarsi a selezione naturale, intesa come sopravvivenza del più adatto alle sfide della vita e dell'ambiente, e discendenza con modificazioni.
Il ricorso al termine evoluzione, infatti, porta, anche se non sempre necessariamente, a riconoscere che nelle mutazioni biologiche vi sia una teleologia, o almeno una teleonomia, che guida le mutazioni stesse, e che quindi queste siano orientate ad un fine (chissà quale ?), mentre per Darwin, la selezione naturale era dovuta solo alla legge della sopravvivenza dei più adatti. Che questo sia anche in fine, ed in che senso lo sia, a Darwin era implicitamente abbastanza chiaro. Non c'è individuo animale che non tiri a campà, a meno che qualche fondamentale istinto non si sia modificato e/o snaturato. Le variazioni vanno nella direzione di un miglioramento delle condizioni della vita stessa, cioè ad un riduzione relativa delle condizioni che la rendono possibile. Ma la convinzione che l'ambiente potesse essere modificato a vantaggio dell'uomo appartenne a Spencer. Gli animali non sono coscienti delle modificazioni che introducono nell'ambiente; per quanto attivi, essi sono in realtà passivi.
In Spencer era invece ben presente che, sulla scia di Lamarck, vi era negli uomini un impulso interno al miglioramento, e questa era una delle cause stesse dell'evoluzione.
In ordine alle ragioni del contrasto Spencer-Darwin, lo stesso Darwin espresse un giudizio nei confronti di Spencer che vale la pena di riportare: «La conversazione di Herbert Spencer mi pareva interessante, ma non mi piaceva particolarmente e sentivo che non sarei entrato facilmente in intimità con lui. Penso che fosse estremamente egoista. Dopo aver letto qualcuno dei suoi libri provo in genere un'entusiastica ammirazione per il suo talento eccezionale, e mi sono domandato se in un lontano futuro egli non sarà per caso classificato assieme a pensatori come Cartesio, Leibniz e altri, anche se di questi autori conosco ben poco. Cionondimeno, non sono consapevole d'essermi giovato nella mia opera degli scritti di Spencer. Il suo modo di trattare qualunque argomento con un sistema puramente deduttivo è del tutto opposto alla mia struttura mentale. Le sue conclusioni non mi convincono mai, e dopo aver letto qualcuna delle sue discussioni mi è successo molte volte di dire a me stesso : " Ecco un bell'argomento da lavorarci sopra una mezza dozzina d'anni." Le sue fondamentali generalizzazioni (che qualcuno ha paragonato per importanza alle leggi di Newton!), e che sono forse utilissime in campo filosofico, sono di tal natura che non appaiono utilizzabili, in campo strettamente scientifico. Sono piuttosto definizioni che non leggi di natura e non aiutano a predire ciò che accadrà in casi particolari. Comunque sia, a me non sono state di alcuna utilità. »(Il passo compare ora nell'edizione integrale dell'Autobiography, London 1958, e in C. Darwin, Viaggio di un naturalista intorno al mondo -Autobiografia - Lettere [1831-1836] a cura di Pietro Omodeo, Milano, 1967)
Quando lo stesso Darwin, sulla spinta di diverse pressioni, in un'ulteriore edizione dell'Origine della specie, dovette infine ammettere che Spencer era stato un suo predecessore, lo nominò nel suo libro semplicemente come oppositore del Creazionismo.L'unica cosa che li univa, per Darwin, e nella quale Spencer lo aveva indubbiamente preceduto, era il rifiuto di credere che l'uomo fosse stato impastato col fango il primo venerdì del mondo.

Sia quel che sia, considerato che la riserva di Darwin su Spencer rappresentò in qualche modo la sempre ben radicata riserva di scetticismo che gli scienziati provano rispetto alle spesso indebite generalizzazioni dei filosofi, a noi non rimane che considerare che Spencer mostrò un grande coraggio intellettuale (od una grande dose di spregiudicatezza) nell'esplicitare quel qualcosa che molti intelletuali pensavano privatamente, ma che nessuno osava dire apertamente, ovvero che l'uomo non solo discendeva dalle scimmie, ma addirittura da forme di vita ancora più primordiali.
Riferirsi a Lamarck non era affatto comodo. La comunità scientifica era divisa, e gli antievoluzionisti erano molti più potenti ed autorevoli dei simpatizzanti per l'evoluzione. Le chiese erano fermamente contrarie ed estremamente influenti.
E poi, a ben guardare, nemmeno Lamarck si poteva considerare evoluzionista nel senso filosofico promosso da Spencer.
Spencer stesso aveva portato le teorie di Lamarck ben oltre Lamarck.

Vita ed opere
Herbert Spencer era nato il 27 aprile 1820 a Derby, in Inghilterra. Aveva seguito studi in parte regolari, ed in parte avventurosi, diventando ingegnere ferroviario.
Nel 1840 aveva letto i Principi di geologia di Lyell. Le argomentazioni contro la filosofia zoologica di Lamarck, anzichè indurre Spencer a respingerla, lo portarono ad accettarla.
In proposito egli stesso scrisse: «La sua conformità al generale modo di procedere in tutti i campi, le conferiva un'attrazione irresistibile e la mia fede in essa non vacillò mai in seguito, per quanto mi si deridesse negli anni successivi perchè vi restavo legato». (Autobiograpy, London 1904, I, 201)
Ma nel 1845, ricevuta una piccola eredità, ebbe il colpo di fortuna di poter abbandonare il lavoro e dedicarsi a tempo pieno allo studio ed all'attività pubblicistica. Dal 1848 al 1853 fu redattore della rivista Economist.
Ma Spencer era troppo attirato dallo studio della natura e dalla connessione con l'attività ed il pensiero umano per rimanere ingabbiato anche in una normale routine giornalistica.
Andava maturando le sue idee ed incominciava a sostenerle con vigore, come nei saggi Social Statics: or, the Conditions Essential to Human Happiness Specified, and the First of Them Developed e Teoria della Popolazione: dedotta dalla legge generale della fertilità animale, del 1852. Da questa lettera, sempre del 1852, vediamo quanto fosse già in stadio avanzato la sua concezione evolutiva della storia, intesa soprattutto come storia biologica: "Non è possibile trarre alcuna inferenza dai fatti della storia, o da quelli che si presumono tali senza che vi intervengano le vostre idee sulla natura dell'uomo: e se la concezione che avete della natura umana è erronea, l'inferenza sarà sbagliata. Ma se la vostra concezione della natura umana è giusta, potrete procedere senza alcun bisogno delle inferenze tratte dalla storia. Se chiedete come è possibile pervenire a una teoria vera della natura umana, rispondo: studiatela nei fatti che vedete intorno a voi e nelle leggi generali della vita. Quanto a me, poichè considero l'umanità il risultato più alto dell'evoluzione della vita sulla terra, preferisco considerare l'intera serie dei fenomeni accertabili fin dalle origini. Amo anche la storia, ma quella del cosmo come un tutto." (dalla Lettera a Edward Lott del 23 aprile 1852, citata in Duncan, Life and Letters)
Da questa lettera si comprende chiaramente l'attegiamento antiempirico di Spencer, non a caso ingegnere. Noi ricaviamo l'interpretazione dei fatti alla luce di una teoria, che abbiamo intuito inizialmente. Da essa deduciamo.
Sempre più frequentemente si ritagliava tempo per gli studi e la sua attività di saggista e, nel frattempo, riuscì a completare la sua prima opera veramente importante, The Principles of Psychology, del 1855. Purtroppo di questo lavoro esistono solo due parziali traduzioni in italiano: Le basi del pensiero a cura di G. Salvadori, Bocca 1907; L'evoluzione del pensiero, Bocca 1909.
Nel 1857 veniva pubblicato il già menzionato saggio sul Progresso, e, finalmente, nel 1862, veniva alla luce il primo volume dei Principi di filosofia sintetica, progettato nel 1860.
Nel 1861 uscì Educazione intellettuale, morale e fisica, che fu un best seller ed incontrò larghi consensi anche negli ambienti accademici.
Ad esso seguirono i 2 voll. dei Principi di Biologia (1864 - 1867), Principi di sociologia (1870 - 1872), Istituzioni Cerimoniali (1879), Istituzioni Politiche (1882), L'uomo contro lo stato (1884), Istituzioni Ecclesiastiche (1885), Principi di moralità (Parte prima: Le basi dell'etica nel 1873 e l'importante parte IV, La Giustizia, nel 1881). Nel 1893 uscì L'inadeguatezza della selezione naturale; nel 1904 fu pubblicata postuma l'Autobiografia in 2 voll. e nel 1911 Saggi sull'educazione. Herbert Spencer era morto a Brighton nel 1903.

I primi lineamenti della filosofia di Spencer
Spencer offre un significativo contrasto con Comte, anche se al pari di questi credeva che la scienza sociale, in quanto mirante a scoprire le leggi dello sviluppo storico, possedesse la chiave per intendere i doveri e il destino dell'uomo, e fornisse una base scientifica all'etica individuale e alla politica sociale.
Ma, mentre Comte respingeva la società competitiva del XIX secolo in quanto dominata dall'anarchia, sia sul piano teorico che su quello pratico, e la considerava come transizione tra il medioevo e la futura comunità dell'era scientifica, Spencer esaltava l'individualismo e su di esso modellava la società del futuro.
Per Spencer lo sviluppo progressivo era l'attributo generale dell'esistenza, non solo la caratteristica peculiare della società, come in Comte.
Fin dall'inizio il pensiero di Spencer mostrò due peculiarità: credenza nel laissez faire in materia sociale e politica e l'adesione all'ipotesi dello sviluppo.
Di Comte accettò la divisione della sociologia in statica e dinamica.
La statica sociale si occupa dell'equilibrio di una società perfetta. Essa si propone di determinare le leggi cui dobbiamo obbedire per ottenere la completa felicità. (Social Statics: or, the Conditions Essential to Human Happiness Specified, and the First of Them Developed, new York, 1882, p 447 -ristampa dell'edizione originale del 1850)
La dinamica sociale studia le forze da cui la società è condotta progressivamente verso la perfezione, cioè i fattori che dispongono gradualmente gli esseri umani ad obbedire alle leggi che determinano la loro felicità.
La società perfetta è quella in cui gli individui hanno perduto ogni inclinazione a impegnarsi in attività dannose agli altri.
La società del suo tempo non era perfetta, nè offriva ad ogni individuo uguale libertà nell'esercizio delle sue facoltà, nè era composta di individui i cui desideri fossero compatibili con i diritti degli altri.
Tale imperfezione si spiega col fatto che la natura umana non si è ancora adattata alle condizioni di vita del moderno ordinamento industriale.
Ogni imperfezione è carenza di adattamento, dovuta ad un eccesso di facoltà, oppure alla mancanza di una o più di facoltà.
Spencer diceva che la natura originaria era conveniente a una condizione primitiva di lotta brutale per la sopravvivenza.
Scrisse: «L'uomo primitivo deve possedere una costituzione adatta all'attività cui è costretto, unitamente a una capacità latente di svilupparsi, quando lo permettano le condizioni di esistenza, fino a raggiungere la forma compiuta dell'uomo. Al fine di preparare in qualche modo la terra per gli uomini che la abiteranno in futuro, ...egli deve possedere un carattere che gli consenta di liberarsi delle razze che mettono in pericolo la sua vita e che occupano il posto necessario all'umanità...in altre parole, egli dev'essere quel che chiamiamo un selvaggio, e dev'essergli consentito di adattarsi alla vita sociale man mano che la conquista della terra rende quest'utima possibile.» (Social Statics, p.69)

L'uomo cominciò come un bruto condizionato dal problema della sopravvivenza. La forza della necessità lo portò allo stato sociale ed a nuove tecniche, migliorando le condizioni di vita. Questi miglioramenti trasformarono la natura umana.
Nella società primitiva gli uomini erano tenuti assieme dalle forze brutali e dal culto dell'eroe. Ma con il progredire delle civiltà il senso morale, basato sulla simpatia e sulla consapevolezza istintiva dei diritti personali, si rafforzò e la cooperazione volontaria cominciò a sostituirsi agli accomodamenti coercitivi. Quando sarà pienamente sviluppato, il senso morale renderà impossibile e superfluo il governo.
Ma questo processo poteva venire accellerato, proiettando sempre più l'individuo su sè stesso e costringendolo così a sviluppare l'operosità, la frugalità, la prudenza, l'indipendenza morale e la cooperazione volontaria.
Tale azione - sosteneva - è paragonabile alla "severa disciplina della natura" in atto nel mondo biologico. Come in natura la lotta per l'esistenza provoca l'estinzione del malato, del deforme, dell'inadatto, così nella società la competizione elimina l'ignorante, l'imprevidente e l'indolente. "In parte eliminando i meno sviluppati e in parte sottoponendo i sopravvissuti all'incessante disciplina dell'esperienza, la natura assicura lo sviluppo a una razza che sia in grado di comprendere le condizioni di esistenza ed insieme di agire su di esse. E' impossibile sospendere in una qualsiasi misura questa disciplina, opponendosi alla conseguenza dell'ignoranza, senza differire in eguale misura il progresso." (idem, pag 413)
Scrisse ancora: «Data una terra non soggiogata; dato l'essere umano, dedito alla propria diffusione e all'occupazione della terra; date le leggi stesse della vita, non avrebbe potuto verificarsi una serie di mutamenti diversa da quella effettivamente svoltasi...Il progresso, quindi, non è un accidente, ma una necessità. La civiltà non è un prodotto dell'arte, ma è parte della natura: è una cosa sola con lo sviluppo dell'embrione o lo schiudersi di un fiore. Le modificazioni che l'umanità ha subito e cui è ancora soggetta discendono da una legge che sottende l'intera creazione organica; e se la razza umana non si estingue e l'insieme delle condizioni resta immutato, tali modificazioni devono infine realizzarsi compiutamente. » (idem)

Si capisce così perchè Spencer avesse una concezione biologica del mutamento storico.
In Theory of Population, 1852, individuò la causa prossima del progresso nella pressione delle popolazioni sulle risorse naturali.
Partendo da: 1) la capacità di autoconservazione varia inversamente alla capacità riproduttiva
2) il grado di fertilità varia inversamente allo sviluppo del sistema nervoso.
arrivò a mostrare che la pressione demografica operava nel senso di rendere più complesso il sistema nervoso e di ridurre la fertilità, ristabilendo così un equlibrio tra popolazione e mezzi di sussistenza. Poichè la specie umana era soggetta a un rapido incremento numerico, da queste premesse derivava anche che l'umanità doveva subire uno sviluppo dell'organizzazione nervosa che poteva infine ridurre la riserva di energia vitale disponibile per la riproduzione della specie.
Confronto tra capacità cranica di africani e australiani coi popoli civili: 30% in meno.

Non si deve credere, avvertiva Spencer, che qualsiasi individuo sottoposto a forti sollecitazioni per la sopravvivenza subisca inevitabilmente un progressivo miglioramento del carattere. Sebbene l'umanità venga sottoposta prima o poi alla severa disciplina della natura, non tutti ne traggono vantaggi: "infatti, le famiglie e le specie che dalla crescente difficoltà di procurarsi un sostentamento, conseguente all'eccesso di fertilità, non vengono stimolate a migliorare la loro produzione - cioè ad ampliare la loro qualità mentale - si trovano sulla strada maestra dell'estinzione e vengono di necessità soppiantate da quelle che la pressione stimola positivamente. (A Theory of Population, Deduced from the General Law of Animal Fertility, in "The Westminster Review", LVII, 1852, pp 498-499)
La pressione demografica è il motore del progresso, sia in natura che in società: «Essa ha prodotto la diffusione originaria della specie. Ha spinto gli uomini ad abbandonare le le consuetudini predatorie e a dedicarsi all'agricoltura. Ha condotto al disboscamento della superficie terrestre. ha costretto l'uomo ad assumere una condizione sociale; ha reso inevitabile l'organizzazione in società e ha sviluppato i sentimenti societari. Ha stimolato il miglioramento progressivo della capacità di produrre e un'accresciuta abilità e intelligenza. Quotidianamente ci sollecita a un contatto più stretto e a rapporti di reciproca dipendenza in misura crescente. E dopo avere popolato l'intero globo, come è infine inevitabile, e aver portato tutte le sue parti abitabili al più elevato stadio di cultura - dopo aver intrapreso ogni strada per soddisfare le aspirazioni umane a una maggiore perfezione - dopo aver sviluppato parallelamente l'intelletto fino ad una completa adeguatezza al proprio lavoro e i sentimenti a un pieno adattamento alla vita sociale, dopo aver fatto tutto ciò, vediamo che la pressione della popolazione, portando gradualmente a compimento il proprio lavoro, giunge infine ad esaurirsi.» (A Theory of Population, Deduced from the General Law of Animal Fertility, in "The Westminster Revieuw", LVII, 1852, pag. 499-450)

La psicologia
I Principi di Psicologia, pubblicati nel 1855, furono ampiamente sviluppati e rivisti, indi ripubblicati nel 1870.
Anche in questo lavoro Spencer estese la teoria dell'evoluzione alla vita psichica, dichiarando che esiste affinità tra processi vitali e mentali. Ma nella psicologia di Spencer ebbero indubbiamente una grandissima influenza gli studi sull'embrione del biologo estone Karl von Baer (1792- 1876), che tra l'altro era radicalmente antievoluzionista.
Von Baer aveva descritto (Sull'ontogenesi degli animali. Osservazioni e riflessioni.) lo sviluppo del pulcino dal concepimento alla schiusa dell'uovo. In estrema sintesi, per von Baer, la massa embrionale inizialmente è non strutturata, quindi omogenea. Man mano si fa eterogenea, cioè si struttura a partire da quattro foglietti.
Dai due foglietti inferiori si formano gli organi vegetativi; dai due foglietti superiori gli organi animali. Le parti non sorgerebbero ex novo: " non si da Neubildung - scriveva von Baer - neoformazione, ma solo Umbildung, trasformazione.
Ciò significa che non si verifica una successione per la quale si aggiungono organi nuovi a quelli vecchi, ma una sequenza di divergenze che dalla massa amorfa va alla crescente specializzazione delle parti.
Spencer trasse delle conclusioni generali da questa descrizione e si sa che von Baer, proprio come Darwin, fu sorpreso e seccato dall'indebito uso che Spencer fece della sua teoria scientifica, perchè, ovviamente, riteneva che l'embriologia non avesse nulla a che fare con l'astronomia, la genesi del sistema solare e lo sviluppo delle società umane.
Spencer, in sostanza, estese la teoria baeriana dello sviluppo alla sfera bio-mentale, anch'essa caratterizzata come processo dall'indifferenziato allo strutturato, aggiungendovi di suo che il progressivo complicarsi dell'organizzazione nervosa aveva subito una lenta evoluzione in risposta ai mutamenti dell'ambiente.
"La dottrina secondo cui i nessi tra le nostre idee sono determinati dall'esperienza dev'essere estesa coerentemente, non solo a tutti i nessi stabilitisi per effetto dell'esperienza accumulata da ogni singolo individuo, ma a tutti quelli acquisiti in seguito all'esperienza acquisita da ogni specie. Poichè la legge astratta dell'intelligenza afferma che il rigore con cui l'antecedente di un qualsiasi mutamento fisico tende ad essere seguito dal suo conseguente è proporzionale alla persistenza dell'unione fra gli oggetti esterni da essi simboleggiati, ne deriva come legge per tutte le intelligenze concrete, che la forza con cui tale conseguente tende a seguire il suo antecedente è proporzionata, a parità delle altre condizioni, al numero delle volte in cui esso è seguito dall'esperienza. L'armonia tra tendenze interne e persistenze esterne, con tutte le sue complicazioni, può spiegarsi sulla base del solo principio secondo il quale le persistenze esterne producono quelle interne." (The Principles of Psychology , London 1855, p.529)
Le associazioni di idee possono quindi essere ereditarie, ed anzi, Spencer si convinse che le modificazioni ed i miglioramenti intellettuali ottenuti da un individuo nel corso della sua vita fossero trasmissibili ai suoi discendenti.
L'idea centrale di Spencer deriva da James Mill: le associazioni di idee regolano la vita mentale. Le sensazioni soggiacciono ai sentimenti, i quali dipendono sia dalle esperienze sensitive che dagli stati d'animo. Le connessioni realizzate determinano un passaggio dall'omogeneo al differenziato anche nel pensiero.
« Varie classi di fatti - scrisse - si uniscono ... nel provare che la legge della metamorfosi che vale tra le forze fisiche, vale del pari tra queste e le forze mentali. »
Anche la coscienza è il risultato dell'adattamento dell'ambiente nel quale si vive, anzi è lo strumento più importante per rispondere alle opportunità ed alle aggressioni. Della coscienza si possono studiare i fenomeni, cioè il prodursi delle impressioni e il modo con il quale si costituiscono idee astratte. Ma se di questi fenomeni si può ottenere una descrizione, per Spencer vi è un di più, che è inconoscibile, com'è inconoscibile la causa ultima di tutta la realtà.
In questo quadro, nel quale è rilevabile una ripresa della distinzione kantiana tra fenomeno e noumeno, la psicologia assumeva per Spencer il carattere oggettivo di scienza in grado di raccordare la struttura psichica (io sento, io penso) a quella fisiologica.
Rispetto a Comte, seguace della frenologia di Gall, e quindi convinto della non autonomia della sfera dello psichico, Spencer fu tuttavia convinto del fatto che essa era un dato della realtà umana, e che quindi fosse possibile una psicologia introspettiva capace di analizzare il modo in cui l'individuo si adatta all'ambiente, dove peraltro agisce in modo determinante l'istinto nelle sue forme più semplici. Da qui, inoltre, anche la possibilità di risalire all'introspezione ed all'analisi delle forme più articolate e complesse del pensiero, con l'emergere del momento raziocinante astratto. « L'evoluzione mentale (intelletto e sentimento) - scrisse Spencer - va misurato al grado più alto di lontananza dall'azione riflessa. »
Questo significa che l'uomo evoluto e civilizzato tiene a freno le passioni e si regola in base ai costumi del suo tempo e del suo ambiente. Inutile dire che questo tipo di psicologia era allineato ai principi della austerità moralistica vittoriana, tanto quanto lo era la religione, se non di più.
Il problema è che questa impostazione non riconosceva alcun diritto agli istinti fondamentali degli individui, quelli che nonostante millenni di evoluzione, soggiacciono sempre ad ogni nuovo individuo nato e permangono come parte fondamentale di quello che oggi si chiama patrimonio genetico ed allora si chiamavano caratteri ereditari. Per Spencer la cultura si trasmetteva attraverso i caratteri ereditari; in sostanza, attraverso la psicologia, in Spencer veniva ad affermarsi il principio delle razze superiori.

L'inconoscibile e la relatività del conoscere
Nell'articolo sul progresso del 1857 (poi raccolto nei Saggi del 1867) Spencer cominciò a scrivere sotto la forte ispirazione dell'idea di evoluzione con una dimensione cosmica.
Ma fu nei Primi Principi del 1860 che la tematica dell'inconoscibile emerse con tutta chiarezza. Sia la religione che la scienza, secondo Spencer, attingono la loro ragion d'essere dal mistero nel quale siamo immersi. Noi conosciamo i fenomeni, ma non la loro vera ed ultima ragione. Mentre la prima si accontenta di ciò che tramanda la tradizione, fondata sulla rivelazione e su ciò che hanno testimoniato i padri della chiesa, la scienza cerca di proseguire nella spiegazione della realtà a partire dai nessi delle cose.
Secondo Spencer religione e scienza non sono incompatibili, pur essendo vero che tutte le religioni hanno fallito nell'interpretazione della realtà. Lo stesso sviluppo delle religioni porta infatti a dire che "la forza che si manifesta nel cosmo è completamente imperscrutabile."
Ma anche la scienza si scontra contro il mistero della forza e delle sue origini, e pur procedendo sempre più avanti nello svelare e nello spiegare, non è mai riuscita ad entrare nel nucleo del mistero, piuttosto lo ha negato.
La scienza ci fornisce solo conoscenze relative, mai assolute. In ciò sembrava concordare con Comte, anche se spesso si ravvisa una vicinanza alle posizioni di Hamilton e Mansel.
In Spencer ha molta importanza il progresso scientifico, ma esso assume una veste del tutto ancillare, ovvero è considerato in modo piuttosto strumentale come supporto indispensabile al progresso filosofico, il solo capace di un significato veramente universale.
In altre parole: la scienza fornisce i dati "che consentono di includere verità speciali in verità generali e queste ultime in verità ancora più generali, ma pur sempre relative. Infatti le verità più generali non possono essere incluse in qualcosa di assoluto ed incondizionato, cioè al di sopra ed al di fuori del mondo sensibile.
Sostanzialmente sono questi gli argomenti evocati a favore della tesi sull'inconoscibile ed al di là del vago sentore kantiano, vi è certamente una specificità di Spencer dovuta al fatto che egli non si fermò ad una concezione solo negativa dell'assoluto e dell'incondizionato.
Nella tensione alla conoscenza del relativo, secondo Spencer, lo scienziato ed il filosofo sono, sia pure in misura diversa, consapevoli che la relatività del proprio sapere si misura comunque con l'assoluto. Se non avessimo la nozione dell'assoluto incondizionato, non avremmo nemmeno il senso di quanto sia relativa la nostra conoscenza. Di qui l'idea, piuttosto vicina al vitalismo biologico e chimico, che bisogna concepire l'assoluto come la forza misteriosa che si manifesta in tutti i fenomeni naturali.
Spencer avrebbe quindi una concezione dinamica e non statica dell'assoluto incondizionato. Esso non è solo qualcosa che sta al di là della nostra percezione, ma è qualcosa che interviene nel mondo, come forza propulsiva.
Per Spencer, ovviamente, i fenomeni non sono quindi pura apparenza (anche nel senso di inganno), ma manifestazioni certe dell'inconscibile. Di questi fenomeni si può avere quindi scienza, la quale è possibile, e rispetto alla religione, essa presenta l'indubbio vantaggio di essere capace di realismo e profondità.
Scrisse: « Quei modi dell'Inconoscibile che chiamiamo movimento, calore, luce, affinità chimica, etc... sono del pari, trasformabili l'uno nell'altro e in quei modi dell'Inconscibile che noi distinguiamo come sensazione, emozione, pensiero, e questi, a loro volta, sono direttamente o indirettamente trasformabili nelle loro forme originali. E' rapidamente diventato un luogo comune della scienza la tesi secondo cui un'idea o un sentimento non si manifesta che come risultato d'una qualche forza fisica spesa nella sua produzione. »

Il compito della filosofia
Per Herbert Spencer la filosofia avrebbe dovuto coltivare il compito di realizzare la connessione tra tutte le spiegazioni dei processi naturali offerte dalle scienze.
Gli scienziati avevano saputo fornire spiegazioni sintetiche di ogni specificità, ma erano sovente costretti a prendere atto della indipendenza reciproca di tali spiegazioni. Al contrario, secondo Spencer, esistevano procedure comuni di scoperta, e, soprattutto, tra una scoperta e l'altra vi doveva essere coerenza e non contraddizione. Spencer, in sostanza, non traeva conseguenze scettiche dal progressivo evolversi della scienza in discipline sempre più specifiche e specialistiche, restie a fornire descrizioni ed interpretazioni globali. Osò congetturare su queste ed osò delineare un grandioso quadro unitario, che nella sua "ingenuità", tuttavia, presentò anche qualche elemento di verità.
Scrive in proposito Stefano Poggi in Il Positivismo: « Tra i processi che - in forza della "spiegazione sintetica" - sono riconosciuti conformi a legge e che, pur nella loro specificità di processi dell'ordine organico o inorganico, sono tutti che hanno luogo "nel medesimo cosmo", è ovvio che non può non darsi una "cooperazione" conforme anch'essa a delle leggi. Di fatto, tutti i processi della natura presentano una stessa dinamica, sono costituiti dal gioco degli stessi elementi, così come accade per la "storia di tutti i processi concreti." La filosofia - riflettendo su quanto messo in luce dalle scienze - si trova a constatare che la materia è indistruttibile, che la "forza" è persistente pur andando incontro a continue trasformazioni di cui il ritmo del moto è il sintomo.»
La sintesi di tutte le spiegazioni scientifiche fu per Spencer "la legge della redistribuzione continua della materia e del movimento."

La quiete assoluta non esiste: leggi del mutamento
Secondo Spencer non esiste in natura la quiete assoluta: " ogni oggetto - non meno che l'aggregato di tutti gli oggetti -attraversa da un istante all'altro una qualche alterazione di stato...riceve o perde movimento in modo graduale o improvviso, nello stesso tempo in cui alcune o tutte le sue parti si trovano simultaneamente le loro relazioni reciproche."
Gli esempi più convincenti vengono dall'osservazione degli oragnismi viventi. Ma ciò che avviene nella sfera biologica non è altro da ciò che avviene in generale. Per questo è ricavabile un'ulteriore legge: « La storia generale di ogni aggregato è definibile come un mutamento da uno stato diffuso impercettibile ad uno stato concentrato percettibile, e poi di nuovo ad uno stato diffuso impercettibile.» Si avrebbe pertanto un continuo processo di integrazione seguito dalla disintegrazione e poi da una nuova integrazione, nel corso del quale la distribuzione e redistribuzione della materia presenterebbe un'infinità di momenti differenziati.
Per Spencer la realtà è un continuo movimento di integrazione e disintegrazione, soggetto alla legge generale che governa evoluzione e dissoluzione di strutture.
Dissoluzione ed evoluzione sono spesso concomitanti necessariamente, nel senso che solo grazie alla dissoluzione di un aggregato è possibile che si sviluppi ed evolva un nuovo aggregato. L'intero ragionamento di Spencer si fondava quindi su due leggi scientifiche molto generali, le più generali del suo tempo: l'indistruttibilità della materia, e il principio di conservazione dell'energia.

Carattere metafisico della dottrina evolutiva di Spencer
Per Spencer è la stessa legge dell'evoluzione universale che rende possibile le due leggi summenzionate e non viceversa; in pratica egli le dedusse dal principio dell'evoluzione posto in modo assiomatico.
Relativamente al modo in cui Spencer formulò lo stesso principio possiamo considerare che il principio stesso corrispondeva ad una intuizione metafisica. Infatti, pur essendo in presenza di fatti evolutivi, non si aveva ai tempi di Spencer alcuna prova scientifica che all'inizio della storia del cosmo vi fosse uno stato diffuso di caos indifferenziato, o meglio, una sorta di uovo cosmico (l'equivalente macroscopico dell'uovo di von Baer) contenente materiale omogeneo.
Anzi, per la verità, la comunità scientifica ai tempi di Spencer risultava divisa. Mentre i sostenitori dell'evoluzione biologica, sia lamarckiani che darwiniani venivano confutati non tanto dai creazionisti ecclesiastici, quanto da importanti fisici quali Lord Kelvin, il dibattito prendeva aspetti ed assumeva toni non sempre confacenti al supposto grado di civiltà dei contendenti.
Lord Kelvin, nel 1862, aveva pubblicato On the age of the Sun's heat, un lavoro nel quale, pur riconoscendo che era necessario abbandonare una visione meccanicista della natura, e sostituirla con una di tipo evolutivo, regolata da leggi fisiche, criticava come insostenibile la tesi dei tempi lunghissimi necessari all'evoluzione. L'età della terra era molto più breve. Gli argomenti di Darwin, secondo Lord Kelvin, violavano le leggi della fisica. E quelli di Spencer, ovviamente, ne tenevano conto in modo a dir poco approssimativo. Lo stesso Darwin nella sesta edizione dell'Origine della specie (1872) ammetterà che: « E' probabile, come fa rilevare William Thompson (Lord Kelvin, nda) che il mondo, nelle epoche molto antiche, andasse soggetto a cambiamenti delle condizioni fisiche molto più rapidi e violenti di quelli che avvengono attualmente. »
Ma Darwin non poteva immaginare che anche Lord Kelvin sarebbe stato smentito. Infatti, nel 1903 Pierre Curie ed Albert Labourde avrebbero annunciato che i sali di radio sono una fonte costante di calore. Pertanto la teoria kelviniana che descriveva la terra in origine come una palla di fuoco andata poi progressivamente e velocemente raffreddandosi, era imprecisa in quanto non teneva conto dell'effetto del radio sul calore. Ma questa, è tutta un'altra storia.

La sociologia spenceriana
Se è vero, come abbiamo visto, che la concezione della società umana come organismo vivente, trapassa disinvoltamente da destra, con Joseph De Maistre, a sinistra, con Saint-Simon, in Herbert Spencer, ritorna, per così dire al centro, con valenze che non possono definirsi nè restaurative, nè rivoluzionarie, ma semplicemente realistische e conciliative. La storia di questo concetto è lunga quanto quella del mondo. Lo ritroviamo già nel celebre apologo di Menenio Agrippa, il patrizio romano incaricato di ricondurre i plebei all'ordine ed alla sottomissione. Le classi sociali sono come parti dell'organismo umano, se una parte non funziona, tutto il resto va in malora. Muore il corpo sociale e quindi tutti vanno in rovina, non solo i ricchi.
La teoria si presta ad essere utilizzata anche in senso progressivo. Non ci possono essere cellule trascurate e sottonutrite, tutto il corpo deve ricevere il giusto, una equa porzione del nutrimento e del piacere.
Una obiezione a questa metafora, che non sembra particolarmente geniale, è che non è vero che le parti sociali sono simili alle parti del corpo del singolo dell'individuo, e che uno debba considerarsi braccio e l'altro mente in virtù della nascita. Tutti gli uomini sono uguali, in partenza, e non abbiamo il diritto di decidere chi sia braccio e chi mente, senza aver offerto a tutti i membri della società uguali opportunità. Non solo: il libero sviluppo dell'individuo potrebbe portare chi è braccio ad essere mente in modo molto più fine della mente stessa. Una visione cristalizzata dei ruoli rischia di uccidere la logica della vita. Nulla può escludere che l'ultimo degli uomini diventi statista di grandissimo valore, o musicista o scienziato o poeta.
Ma in realtà vi sono ancora ragioni più profonde per opporsi a questa metafora inesatta e piuttosto grossolana. La società è un aggregato di individui, ognuno dei quali ragiona con la sua testa. Ciascuno di essi non può non entrare in conflitto, sia pure circoscritto, con altri individui. Pertanto nel corpo sociale avviene spesso il contrario di quello che avviene nell'organismo vivente: non c'è armonia e cooperazione, ma competizione e sviluppo diseguale. Le questioni si risolvono solo se si perviene ad accordi, a regole, a limitazioni, non se si comprende che il mio utile, "in teoria", coincide con il tuo, ma se in realtà entrambi siamo persuasi che abbiamo un utile in comune, realizzabile con un equo commercio, oppure una equa cooperazione.
Spencer fu come sospeso tra queste due considerazioni, e probabilmente non si rese conto fino in fondo della problematicità delle sue posizioni: la teoria del laissez-faire cozzava con quella della società come organismo. E le imperfezioni, le disfunzioni, le crisi vere e proprie saranno destinate ad aumentare se si segue il lasseiz-faire, di per sè disorganico e disomogeneo, almeno quanto vi saranno crisi di rigetto e ribellioni dei singoli, quando il peso della logica dell'organismo si farà soffocante ed insopportabile. Il segreto di una società che tiene e sopravvive, e persino si sviluppa, consiste nel variare continuamente, nell'adeguarsi sul precario equilibrio, non nello scegliere, una volta per sempre ed in modo estremistico, l'ordine contro il disordine, o la libertà del singolo contro la tirannia dell'organismo.
In Spencer si possono trovare pagine contraddittorie solo in apparenza e pagine realmente contradditorie su questo punto. La felice, ottimistica sintesi la si potrebbe trovare solo in una società perfetta che invece non c'è, e forse non ci sarà mai. A meno che l'uomo non evolva moralmente, prima ancora che in un senso genericamente scientifico e intellettuale.
Ma l'evoluzione morale sembra proprio il punto debole di tutte le teorie evolutive. Il novecento è stato il secolo nel quale tutte le immoralità sembrano essersi manifestate al livello più alto. Nulla di quello che è successo nei millenni è paragonabile ai lager nazisti, a Hiroshima e Nagasaki. L'evoluzione ha prodotto Einstein, ma anche Hitler, Pol Pot e Bin Laden. Forse è vero che evoluzione e progresso non sono sinonimi e che solo la nozione di progresso dice chiaramente a cosa aspirano gli individui migliori, ovvero un progresso morale, prima ancora che materiale e spirituale. Del resto, chi l'ha detto che spirituale equivale a morale?
Ad onor del vero va detto che Spencer fu contrario alla separazione tra materiale e spirituale con una convinzione superiore di quella dimostrata da Stuart Mill.
Ma il punto di maggiore interesse della teoria sociale organica di Spencer è ovviamente quello in cui egli seppe evidenziare le fondamentali differenze tra un organismo vivente ed una società.
Le funzioni nell'organismo sono contigue, nella società sono discrete. Ma la differenza fondamentale sta nel fatto che mentre l'organismo ha come scopo il funzionamento dell'organismo stesso, la società ha come scopo la il benessere e la felicità dei suoi membri.
Ed è per questo che si può dunque parlare di società come organismi in crescita; l'incremento della popolazione, si noti la distanza da Malthus, è un fattore naturale di crescita che porta a strutture sempre più differenziate e complesse.
Anche la guerra, in questo ampio scenario di crescita, ha un suo ruolo specifico non solo distruttivo. La guerra, a volte, avvicina gli esseri umani più della pace, e dopo la guerra si realizzano interessanti fusioni. I conquistatori governano, i conquistati lavorano e questa è la base della differenziazione di classe.

a) L'antropologia di Spencer
Spencer negò di aver derivato da Comte o da Saint-Simon la metafora della società come organismo vivente. Sostenne che era stato "il clima scientifico dell'epoca a suggerirlo". Ed in linea con questo concetto sostenne che le società erano soggette ad un processo di adattamento con l'ambiente naturale e le altre società contigue. L'adattamento stesso comportava la nascita di nuove funzioni sociali di tipo economico, giuridico-politiche, civili e militari. L'autentico interesse di Spencer per le forme sociali primitive lo portò a vagliare una serie impressionante di dati e testimonianze di viaggiatori, missionari, marinai, giornalisti, militari e "colonizzatori" in genere. Tutto questo veniva valutato dall'alto di una prospettiva eurocentrica, se non anglocentrica. La civiltà britannica era certamente al vertice della scala evolutiva e le società dei selvaggi erano viste come i gradini più bassi della scala. In particolare egli considerava le società più arretrate come l'espressione di razze deboli e non evolute, "inferiori ed infime".
Per Spencer le differenze tra le razze ed i popoli erano spiegabili con il clima, la conformazione geologica, la fertilità della terra e le limitazioni e gli stimoli ambientali erano dunque fattori decisivi dell'evoluzione umana.
La psiche e la mentalità dei primitivi erano costituite di sentimenti elementari, credenze nelle superstizioni e nelle pratiche magiche, nel sovrannaturale in genere. I loro comportamenti non erano necessariamente aggressivi, come alcuni raccontavano, spesso in modo interessato per giustificare lo sterminio dei selvaggi, ma certo era poco articolato e decisamente statico e ripetitivo. Il campo empirico dei primitivi era, per Spencer, ristretto e non aveva alcuna capacità di produrre idee e concetti astratti.
In sostanza il mondo dei selvaggi era un mondo fanciullesco, che rispecchiava l'infanzia dell'umanità, ma priva di quella dinamica che aveva portato l'umanità stessa ad emanciparsi. Su questo piano, dunque, il pensiero di Spencer veniva ad incontrarsi con quello di Haeckel, secondo il quale l'ontogenesi, ovvero lo sviluppo di ogni individuo vivente dall'embrione alla maturità, ricapitolava il cammino evolutivo che nei millenni aveva compiuto la specie, cioè la filogenesi.
Ora, ognuno può ben comprendere quanto questo pensiero fosse, e sia, più diffuso nel senso comune di quanto in genere si voglia ammettere. La convinzione che la società occidentale fosse superiore si basava e si basa sulla evidente superiorità tecnica e scientifica, sul fatto che ovunque arrivasse un tizio mezzo medico e mezzo missionario immediatamente venivano vinte la malattia e la morte con la medicina invece che con la magia rituale, di quanto fosse più lunga l'età media nei paesi civilizzati, di quanto comunque fossero superiori le convinzioni religiose e filosofiche degli europei.
Molti critici hanno visto in questa antropologia spenceriana, che comunque sembrava escludere che l'europeo avesse anche qualcosa da imparare dai selvaggi, una anticipazione delle teorie razziste. Ciò non mi sembra del tutto accettabile, non solo perchè Spencer non propugnò mai alcuna teorizzazione dello sterminio dei più deboli, ma si limitò al dato oggettivo della superiorità occidentale e della selezione mediante adattamento, ma anche perchè egli non nascose mai le sacche di debolezza della stessa civiltà occidentale.
Nei Principi di sociologia egli evidenziò in modo particolare come l'evoluzione non sia un processo lineare, ma un andare avanti con molte fermate e moltissimi passi indietro: «Si ritiene normalmente che l'evoluzione comporti in ogni campo un'intrinseca tendenza verso qualcosa di superiore, ma si tratta di una concezione erronea. In tutti i casi essa è determinata dall'interazione di fattori interni ed esterni. Questa interazione produce dei mutamenti finchè viene raggiunto un equilibrio fra l'azione dell'ambiente e l'azione che l'aggregato oppone ad esso - un equilibrio completo se l'aggregato è privo di vita, un equilibrio dinamico se è vivente. In seguito a ciò l'evoluzione praticamente cessa, continuando a mostrarsi soltanto nell'integrazione progressiva che approda alla rigidità. Se, nel caso degli aggregati viventi che costituiscono una specie, l'azione dell'ambiente resta costante di generazione in generazione, anche la specie rimane costante. Se invece l'azione dell'ambiente cambia, la specie muta fino a disporsi di nuovo in equlibrio con esso. Ma ciò non significa affatto che tale mutamento sia una tappa dell'evoluzione. Normalmente non ne deriva nè un avanzamento nè una regressione; e spesso, poichè alcune strutture precedentemente acquisite diventano superflue, il risultato è una forma più semplice.
Soltanto di quando in quando la modificazione dell'ambiente avvia nell'organismo una nuova complicazione e produce così un tipo per qualche aspetto superiore. Di qui il fatto che, mentre alcuni tipi non sono avanzati nè regrediti per lunghissimi periodi di tempo e molti altri hanno subito un'ulteriore evoluzione, in numerosi tipi si è verificato un arretramento.
Ciò che avviene nell'evoluzione organica vale anche per l'evoluzione superorganica. Anche se, considerando l'insieme delle società, si può ritenere che l'evoluzione sia inevitabile come effetto ultimo dei fattori interni ed esterni che interagiscono premendo su di esse per periodi di tempo indefiniti, non è possibile sostenere che l'evoluzione è un fatto inevitabile, o anche solo probabile in ogni società particolare. Un organismo sociale, al pari di un organismo individuale, è soggetto a modificazioni finchè entra in uno stato di equilibrio con le condizioni ambientali, stato in cui permane senza ulteriori mutamenti di struttura. Quando le condizioni mutano dal punto di vista meteorologico o geologico, per modifcazioni della flora o della fauna, per la migrazione susseguente alla pressione demografica o per la fuga di fronte al sopraggiungere di nuove razze, ne deriva qualche mutamento nella struttura sociale. Ma tale mutamento non significa necessariamente un avanzamento. Spesso il mutamento è orientato verso una struttura che non è nè superiore nè inferiore. Quando l'habitat impone modi di vita inferiori, ne risulta una forma di degradazione. Soltanto occasionalmente la nuova combinanzione di fattori è tale da causare un mutamento che rappresenta un passo avanti, nell'evoluzione sociale e dà inizio a un tipo sociale che si diffonde e soppianta quelli inferiori. In questi aggregati superorganici, come in quelli organici, un progresso che può ritenersi tale per qualche aspetto provoca una regressione per qualche altro: le società maggiormente evolute costringono quelle meno evolute in habitat sfavorevoli, determinando così una limitazione nella loro diffusione o un decadimento della struttura. »(Principles of Sociology - New York, 1877, I, pp. 106-107-108)

b) La sociologia vera e propria
E' su tali premesse antropologiche che Herbert Spencer costruì la sua sociologia, la quale aveva in comune con quella di Comte solo la definizione, anche se, seguendo punto per punto l'analisi che egli condusse della società come organismo vivente, si potrebbe ricavare una impressione del tutto diversa. Ponendosi in una posizione analitico-diagnostica nei confronti delle società, come un medico si sarebbe posto nel sezionare un cadavere per ricavarne l'anatomia e la fisiologia, Spencer si trovò a cercare per ogni elemento della vita sociale un analogo nelle funzioni organiche dell'organismo e non ebbe esitazioni nel paragonare le linee ferroviarie al sistema vascolare, l'economia ed il lavoro al sistema nutritivo, e il sistema politico a quello nervoso-regolativo.
Tuttavia, le differenze tra Comte e Spencer sono facilmente individuabili. Per Comte la sociologia era la disciplina che, accertati i fatti sociali e le leggi secondo le quali necessariamente si svolgono, sarebbe stata in grado di effettuare previsioni. Il fine stesso della sociologia era identificabile nella sociocrazia, cioè un governo oridinato in grado di vincere l'anarchia morale e spirituale derivante dal crollo della religione e della metafisica come fondamenti delle credenze umane.
Per Spencer la sociologia era solo un modo di analizzare i fenomeni ed anche prevederne gli sviluppi che, tuttavia, non poteva in alcun modo arrogarsi il diritto di fissare le mete ed istradare sui binari il treno del progresso. Questo compito specifico era riservato alla morale. Ribadendo la distinzione tra sociologia e morale, il filosofo di Derby veniva a salvare la morale stessa da qualsiasi relativismo sociologico ed antropologico. E' probabile che non si sia sufficientemente meditato su questa posizione spenceriana, ma occorrerebbe osservare che per Spencer, come del resto per Kant, la morale era inscindibile dalla libertà. Se si vuole dimostrare di essere veramente liberi, occorre uscire dalla spirale negativa della morale imposta dal timore religioso o dalla paura delle punizioni umane. L'uomo evolve realmente se sceglie liberamente il proprio sistema morale e se questo sostanzialmente corrisponde ai valori etici della convivenza civile. Furono questi i motivi per i quali Spencer optò per una filosofia politica non solo liberista e liberale, ma perfino libertaria. Egli vide, prima di molti altri, che non bastava superare la religione del timore e della punizione divina, ma anche la religione dello stato ed il timore della repressione politico-giuridica.
Per Spencer, in sostanza, non occorreva più che gli individui fossero "guidati", e che lo sviluppo spontaneo avrebbe prodotto i frutti migliori. L'intervento dello stato diventava un ostacolo e non uno stimolo.
All'obiezione, presente persino nelle file dei liberals e dei whigs, che lo stato avrebbe dovuto comunque fare qualcosa per combattere la miseria e l'ingiustizia, Spencer rispose che nella società vi erano altri agenti che potevano far meglio dello stato e delle burocrazie.

c) La politica
Coerentemente, forse fin troppo, con questa ottimistica visione dello sviluppo e dell'evoluzione umana, le posizioni politiche di Spencer da un lato si distinsero per la loro tranquilla prudenza e dall'altro mostrarono una carica eversiva spesso sottovalutata.
Innanzi tutto egli non credette nelle soluzioni taumaturgiche e nei procedimenti deus ex machina: nella natura umana esistevano difetti ineliminabili nel breve periodo; nessuna soluzione politica od economica radicale avrebbe potuto cambiare la precaria situazione morale della maggioranza. Per questo Spencer si pronunciò per lasciare libero corso allo sviluppo lentio e graduale, diremmo oggi non drogato e non gasato. Criticò persino Stuart Mill per le sue audaci posizioni scrivendo: « Allo stesso modo che non si può abbreviare la via tra l'infanzia e la maturità, evitando quel noioso processo di accrescimento e di sviluppo che si opera insensibilmente con lievi incrementi, così non è possibile che le forme sociali più basse divengano più elevate, senza attraversare piccole modificazioni successive. » (da Introduzione alla Sociologia - p. 388 - trad. italiana del 1904)
In quest'ambito si comprende in cosa Spencer fu del tutto rivoluzionario ed iconoclasta. Nello scritto Man versus State, pubblicato nel 1892, egli spiegò che "il gran pregiudizio dell'epoca presente" era costituito dalla persuasione che il Parlamento fosse depositario del diritto divino esattamente come un tempo lo era la monarchia.
Secondo Spencer un vero liberalismo doveva arrivare a negare l'autorità illimitata del parlamento e dei governi. Non si doveva più credere all'infallibilità dei parlamentari e dei ministri, perchè era proprio questo atteggiamento fideistico a generare scontento e sentimenti rivoluzionari. A questa idea ingenua dello stato in grado di far tutto e porre rimedio a tutto, quasi fosse un dio onnipotente, ed in netto contrasto con la pochezza delle sue realizzazioni, si doveva pertanto imputare lo stesso crescere dello scontento e la diffusa convinzione della necessità di una rivoluzione sociale.
Gli obbiettivi della critica di Spencer erano soprattutto il populismo e la demagogia dei politici suoi contemporanei, ma è evidente che egli, esortando ad una dissacrazione delle istituzioni e della presenta investitura divina del potere, si proponeva di insegnare ai sudditi di sua Maestà ad un maggiore senso di responsabilità civica e morale.
Il fatto che egli assegnasse al tranquillo corso degli eventi lo sviluppo stesso, pertanto, non comportava alcun automatico ruolo passivo degli individui. Tutt'altro: l'individuo era destinato a crescere, lo stato destinato a diminuire.
Fu in base a queste radicate convinzioni che Spencer si fece promotore, proprio nelle pagine di Man vs State, di una denuncia dettagliata dei tradimenti che i liberali inglesi avevano attuato nei confronti del liberalismo.
L'istruttivo elenco che ne fa Karl Polanyi in La Grande Trasformazione rende bene l'idea dell'estremismo di Spencer, contrario ad ogni legislazione restrittiva. «Nel 1860 - scrive Polanyi - si autorizzò l'istituzione di "analisti dei cibi e delle bevande da stipendiare per mezzo dei tributi locali"; seguì una legge che prevedeva "l'ispezione delle installazioni a gas", un'estensione della legge sulle miniere "che considerava reato l'impiego di ragazzi sotto i dodici anni che non frequentassero le scuole e che non fossero in grado di leggere e di scrivere". Nel 1861 fu attribuita agli ispettori della Poor Law [l'autorità] di obbligare alla vaccinazione", comitati locali furono autorizzati "a fissare le tariffe dei mezzi di trasporto", e alcuni organismi localmente costituiti "avevano dato loro autorità di tassare la località per opere di irrigazione e per rifornire di acqua il bestiame." Nel 1862 fu varata una legge per la quale diventava illegale "una miniera di carbone con un solo pozzo di ventilazione"; una legge che attribuiva al Consiglio per l'educazione medica il diritto esclusivo "di fornire una farmacopea il cui prezzo doveva essere stabilito dalla Tesoreria". Spencer colpito dall'orrore, riempì diverse pagine con un elenco di queste misure e di altre simili. Nel 1863 venne "l'estensione della vaccinazione obbligatoria alla Scozia ed all'Irlanda". Vi fu anche una legge con la quale venivano nominati degli ispettori della "salubrità o insalubrità degli alimenti", un Chimney-Sweeper's Act per impedire la sofferenza e la morte di bambini messi a spazzare condutture troppo strette, una legge sulle malattie contagiose ed una sulle biblioteche pubbliche che attribuiva poteri locali "per i quali una maggioranza può tassare una minoranza per i suoi libri".
Per Spencer queste erano altrettante prove inconfutabili di una cospirazione antiliberale e tuttavia ciascuna di queste leggi si occupava di problemi che sorgevano dalle moderne condizioni industriali e mirava a salvaguardare degli interessi pubblici contro pericoli inerenti a tali condizioni, o in ogni caso al metodo di mercato di occuparsi di questi. Per una mente senza pregiudizi, essi provano la natura puramente pratica e pragmatica della contromossa "collettivista". La maggior parte di coloro che sostenevano queste misure erano convinti sostenitori del laissez-faire, e certamente non intendevano che il loro consenso alla formazione di un corpo di vigili del fuoco a Londra implicasse una protesta contro i principi del liberalismo.» (Polanyi - La grande trasformazione)
Si capisce da queste note quanto Spencer mancasse di realismo e senso della misura e privilegiasse in modo davvero dogmatico il principio teorico alla necessità pragmatica.
Nulla mi è più estraneo che un tentativo di giustificazione di questo rigido dogmatismo ideologico. Tuttavia, se qualche considerazione si può spendere a favore di Spencer, essa viene dall'esperienza stessa degli stati moderni e dalla insulsa tendenza a rendere obbligatori, attraverso la proliferazione incontrollata di leggi, comportamenti che spesso non vengono compresi, e rispetto ai quali non si comprende nemmeno perchè debbano essere obbligatori. Nulla vieta ad esempio di consigliare la vaccinazione antiinfluenzale, ma sarebbe davvero umiliante renderla obbligatoria, senza considerare che proprio l'obbligatorietà concorrerebbe ad indebolire ulteriormente la difese immunitarie naturali di cui siamo, fortunatamente, ancora in possesso. A fronte di migliaia di individui che non si ammalano perchè vaccinati, vi sono probabilmente più individui che non si ammalano perchè non vaccinati, ma dotati di forte costituzione e di un buon sistema immunitario.
La goffa e paradossale protesta di Spencer contro la dittatura collettivista, paradossalmente patrocinata in Inghilterra più dai conservatori e dai liberali, che dai socialisti stessi, non aveva dunque altro motivo che il seguente: era una limitazione della libertà, cioè un ostacolo alla crescita della consapevolezza.

La pedagogia
Il lavoro intitolato Educazione intellettuale, morale e fisica, pubblicato nel 1861 fu soprattutto un grosso successo editoriale e non solo per quei tempi. L'impianto dell'opera era ovviamente organizzato attorno al concetto di evoluzione.
Cosa e come bisogna insegnare, si chiese Spencer? Dipende dallo scopo dell'educazione. Lo scopo è preparare alla vita, pertanto un criterio che viene prima di tutti gli altri è quello dell'utilità. Spencer riprese dunque la celebre formuletta d'Isocrate, il vituperato nemico di Platone ed Aristotele, ma vi assegnò un significato molto diverso.
L'utile era per Spencer ciò che serve alle diverse attività, ovvero un criterio del tutto opposto alla formazione di un sapere umanistico e rettorico che potrebbe farci solo passivi consumatori di cultura, o poeti, o retori, se provvisti di talento.
Non a caso il criterio che ordina la gerarchia dei saperi è individuato nelle attività che servono allo sviluppo ed alla conservazione della salute individuale.
Sono utilissime le nozioni di igiene, fisiologia, educazione fisica. La conoscenza non edonistica e, diremmo oggi, non culturistica, del proprio corpo porta alla conoscenza delle proprie possibilità fisiche e mentali. Subito dopo vengono le scienze, cioè la serie dei saperi funzionali che introducono alla tecnologia, cioè al saper fare anche in pratica.
Ma secondo Spencer vi è un fattore spesso trascurato dalla pedagogia tradizionale, che viene ad assumere un ruolo estremamente importante: saper fare il genitore. Padre e madre devono assimilare tutto ciò che la scienza ha detto in proposito, in particolare per quanto attiene a fisiologia, puericoltura, pedagogia e psicologia.
Padre e madre possono imparare a regolare le loro funzioni educative secondo due leggi che soprassiedono allo sviluppo armonico di mente e corpo: 1) "la sola disciplina salutare, in casa o fuori, è l'esperienza delle conseguenze buone o cattive che dai nostri atti naturalmente discendono" (ovvero non cura nè freni eccessivi, ma lasciare agire naturalmente le cose); 2) "le parole contenute nei libri non possono far nascere le idee se non che in proporzione all'esperienza acquisita intorno alle cose" (ovvero, non forzare lo sviluppo intellettuale con l'istruzione formale e mnemonica, ma puntare sull'osservazione e sulla lezione dei fatti).
Spencer insistette sulla necessità di insegnare le cognizioni necessarie per entrare a far parte dell'organismo sociale e considerò essenziale la dottrina utilitarista dell'azione indirizzata alla felicità del maggior numero.
In tale contesto assumono una funzione fondamentale le scienze alle quali si era dedicato lo stesso Spencer, ovvero la biologia, la psicologia, le analisi sociali. Ma il punto centrale su cui attirò l'attenzione è che il percorso educativo deve portare all'integrazione sociale, ma in modo critico ed utile insieme. Ciò è possibile se, e solo se, i ragazzi vengono indotti a ricapitolare tutto il cammino evolutivo, ed in ultima istanza, a diventare evoluzionisti essi stessi.
Anche riconoscendo una certa percentuale di dogmatismo in questa impostazione, non può sfuggire il fatto che essa propugnava esattamente l'opposto dell'insegnamento autoritario, nozionista e dogmatico e mirava a rendere i giovani autosufficienti e consapevoli dei loro mezzi e delle loro possibilità.
L'educazione intellettuale era per Spencer un invito all'osservazione, alla ricerca, persino una sorta di autoeducazione attraverso la lezione dei fatti. Lo studio doveva essere divertimento e non penosa ripetizione, proprio perchè giocato sullo sviluppo spontaneo e non sulla coercizione. "Chi ha studiato con piacere, continuerà ad istruirsi."
«Ed invero - scrisse - poichè è nell'ordine della natura che, per tutte le creature, il piacere che accompagna il soddisfacimento delle funzioni necessarie alla vita serva di eccitamento a compierle, noi, che nel periodo dell'educazione spontanea abbiamo avuto campo di avvertire che il piacere che prova il bambino nel tenere in bocca un pezzo di corallo, o nel distruggere i suoi giocattoli, lo conduce ad azioni che gli danno conoscenza della proprietà della materia, noi, dico, scegliendo e ponendo innanzi agli oggetti di studio nell'ordine che più interessa il fanciullo, obbediamo alla volontà della natura, armonizzando i nostri procedimenti con le sue leggi. Noi siamo dunque sulla via della dottrina da molto tempo enunciata dal Pestalozzi; cioè che nell'ordine e nei metodi, l'educazione deve uniformarsi al processo naturale dell'evoluzione mentale. » (da L'educazione intellettuale, morale e fisica - Trevisini, 1889, pp. 59 )
La stessa educazione morale, nostante il clima vittoriano, non viene postulata come repressiva. Spencer è molto attratto dai castighi naturali, cioè dalla lezione dei fatti, dalle brutte e barbine figure che si fanno se si è sleali, maldicenti, bugiardi o ladruncoli, ma anche spericolati o superbi.
L'efficacia di questa impostazione si misura sui fatti, su come il bambino impara a regolarsi da sè, a capire da solo, ad acquistare un carattere fermo ed a credere in sé stesso.

L'etica
L'etica di Spencer è conseguente alla sua visione antropologica, sociologica e psicologica.
A suo avviso gli individui imparano le costumanze e le regole del vivere civile adattandosi all'ambiente nel quale nascono e vivono.
L'epoca storica del suo tempo era contrassegnata dal passaggio da un regime militare, burocratico e statalista, intrinsecamente autoritario e dogmatico, ad un regime industriale, potenzialmente libertario e democratico, che rendeva gli individui più responsabili e consapevoli.
Questa ulteriore evoluzione veniva ad accentuare la differenza qualitativa tra la vita di un selvaggio e quella di un uomo civilizzato. La vita di quest'ultimo era infatti estensivamente ed intensivamente più lunga e più ricca, dunque più felice. Anzi, la felicità stessa, per Spencer, consisteva nell'intensità della vita.
Per quanto edonisticamente vicino all'utilitarismo, Spencer ne diede comunque un'interpretazione diversa perchè l'evoluzione si era incaricata di stabilire nell'individuo civilizzato un a priori morale che gli impediva di agire solo per l'utile ed il piacere immediato.
Rispetto a tutti gli utilitaristi, Stuart Mill compreso, Spencer si mostrò dunque più aperto al recupero di tematiche kantiane, e non sarebbe del tutto sbagliato considerarlo come un prosecutore, con altri mezzi ed in un contesto diverso, della teoria kantiana della moralità.
In Spencer il senso del dovere e l'obbligatorietà morale non si fondavano sull'utile, ma semmai venivano a contrapporsi, senza che fosse sempre possibile una vera sintesi.
La contrapposizione egoismo - altruismo era secca; il momento epocale privilegiava al momento l'egoismo, ma in prospettiva ci si poteva attendere che la stessa parola obbligazione perdesse d'importanza e persino di significato nel senso che ciò che dobbiamo fare è anche quello che vogliamo fare.
Note ottimistiche che contrastavano tuttavia con l'inquietudine che accompagnò gli ultimi anni della vita del filosofo di Derby.
Il mondo stava effettivamente cambiando, ma anzichè orientarsi verso la libertà dei singoli, sembrava nuovamente retrocedere verso la militarizzazione e la burocratizzazione. Già nei primissimi anni del novecento era possibile intravvedere, non senza angoscia, le catastrofiche conseguenze del nuovo imperialismo.

Bibliografia consigliata:
Biologia e teoria sociale di J.C. Green, sta in: Evoluzione: biologia e scienze umane - a cura di Giuliano Pancaldi - Mulino - Bologna, 1976