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Herbert Spencer (1820 - 1903 )
Con Herbert Spencer siamo al tentativo di
fondare una filosofia, nel vero e proprio
senso di una visione cosmologica, sulla base
di una teoria allora ritenuta scientifica,
ovvero il trasformismo biologico elaborato da Lamarck.
Erroneamente si crede spesso che la filosofia
spenceriana debba qualcosa alle scoperte
di Darwin, ed insieme le preceda: in realtà
i rapporti tra Spencer e Darwin furono freddi
e persino conflittuali. Spencer aveva parlato
di evoluzione ben prima di Darwin, ma lo stesso Darwin
fu sempre piuttosto restio ad usare questo
termine. Di temperamento scientifico estremamente
prudente, il grande naturalista, piuttosto
scettico nei confronti di ogni grandiosa
filosofia, fu anzi convinto, per lungo tempo,
che fosse esagerato parlare di evoluzione
e fosse molto più corretto limitarsi a selezione naturale, intesa come sopravvivenza del più adatto
alle sfide della vita e dell'ambiente, e
discendenza con modificazioni.
Il ricorso al termine evoluzione, infatti, porta, anche se non sempre necessariamente,
a riconoscere che nelle mutazioni biologiche
vi sia una teleologia, o almeno una teleonomia, che guida le mutazioni stesse, e che quindi
queste siano orientate ad un fine (chissà
quale ?), mentre per Darwin, la selezione
naturale era dovuta solo alla legge della sopravvivenza dei più adatti. Che questo sia anche in fine, ed in che
senso lo sia, a Darwin era implicitamente
abbastanza chiaro. Non c'è individuo animale
che non tiri a campà, a meno che qualche
fondamentale istinto non si sia modificato
e/o snaturato. Le variazioni vanno nella
direzione di un miglioramento delle condizioni
della vita stessa, cioè ad un riduzione relativa
delle condizioni che la rendono possibile.
Ma la convinzione che l'ambiente potesse
essere modificato a vantaggio dell'uomo appartenne
a Spencer. Gli animali non sono coscienti
delle modificazioni che introducono nell'ambiente;
per quanto attivi, essi sono in realtà passivi.
In Spencer era invece ben presente che, sulla
scia di Lamarck, vi era negli uomini un impulso interno al miglioramento, e questa era una delle
cause stesse dell'evoluzione.
In ordine alle ragioni del contrasto Spencer-Darwin,
lo stesso Darwin espresse un giudizio nei
confronti di Spencer che vale la pena di
riportare: «La conversazione di Herbert
Spencer mi pareva interessante, ma non mi
piaceva particolarmente e sentivo che non
sarei entrato facilmente in intimità con
lui. Penso che fosse estremamente egoista.
Dopo aver letto qualcuno dei suoi libri provo
in genere un'entusiastica ammirazione per
il suo talento eccezionale, e mi sono domandato
se in un lontano futuro egli non sarà per
caso classificato assieme a pensatori come
Cartesio, Leibniz e altri, anche se di questi
autori conosco ben poco. Cionondimeno, non
sono consapevole d'essermi giovato nella
mia opera degli scritti di Spencer. Il suo
modo di trattare qualunque argomento con
un sistema puramente deduttivo è del tutto
opposto alla mia struttura mentale. Le sue
conclusioni non mi convincono mai, e dopo
aver letto qualcuna delle sue discussioni
mi è successo molte volte di dire a me stesso
: " Ecco un bell'argomento da lavorarci
sopra una mezza dozzina d'anni." Le
sue fondamentali generalizzazioni (che qualcuno
ha paragonato per importanza alle leggi di
Newton!), e che sono forse utilissime in
campo filosofico, sono di tal natura che
non appaiono utilizzabili, in campo strettamente
scientifico. Sono piuttosto definizioni che
non leggi di natura e non aiutano a predire
ciò che accadrà in casi particolari. Comunque
sia, a me non sono state di alcuna utilità.
»(Il passo compare ora nell'edizione
integrale dell'Autobiography, London 1958, e in C. Darwin, Viaggio di un naturalista intorno
al mondo -Autobiografia - Lettere [1831-1836] a cura di Pietro Omodeo, Milano, 1967)
Quando lo stesso Darwin, sulla spinta di
diverse pressioni, in un'ulteriore edizione
dell'Origine della specie, dovette infine ammettere che Spencer era
stato un suo predecessore, lo nominò nel suo libro semplicemente come
oppositore del Creazionismo.L'unica cosa che li univa, per Darwin, e
nella quale Spencer lo aveva indubbiamente
preceduto, era il rifiuto di credere che
l'uomo fosse stato impastato col fango il
primo venerdì del mondo.
Sia quel che sia, considerato che la riserva
di Darwin su Spencer rappresentò in qualche
modo la sempre ben radicata riserva di scetticismo
che gli scienziati provano rispetto alle
spesso indebite generalizzazioni dei filosofi,
a noi non rimane che considerare che Spencer
mostrò un grande coraggio intellettuale (od
una grande dose di spregiudicatezza) nell'esplicitare
quel qualcosa che molti intelletuali pensavano
privatamente, ma che nessuno osava dire apertamente,
ovvero che l'uomo non solo discendeva dalle
scimmie, ma addirittura da forme di vita
ancora più primordiali.
Riferirsi a Lamarck non era affatto comodo.
La comunità scientifica era divisa, e gli
antievoluzionisti erano molti più potenti
ed autorevoli dei simpatizzanti per l'evoluzione.
Le chiese erano fermamente contrarie ed estremamente
influenti.
E poi, a ben guardare, nemmeno Lamarck si
poteva considerare evoluzionista nel senso filosofico promosso da Spencer.
Spencer stesso aveva portato le teorie di
Lamarck ben oltre Lamarck.
Vita ed opere
Herbert Spencer era nato il 27 aprile 1820
a Derby, in Inghilterra. Aveva seguito studi
in parte regolari, ed in parte avventurosi,
diventando ingegnere ferroviario.
Nel 1840 aveva letto i Principi di geologia di Lyell. Le argomentazioni contro la filosofia
zoologica di Lamarck, anzichè indurre Spencer
a respingerla, lo portarono ad accettarla.
In proposito egli stesso scrisse: «La
sua conformità al generale modo di procedere
in tutti i campi, le conferiva un'attrazione
irresistibile e la mia fede in essa non vacillò
mai in seguito, per quanto mi si deridesse
negli anni successivi perchè vi restavo legato».
(Autobiograpy, London 1904, I, 201)
Ma nel 1845, ricevuta una piccola eredità,
ebbe il colpo di fortuna di poter abbandonare
il lavoro e dedicarsi a tempo pieno allo
studio ed all'attività pubblicistica. Dal
1848 al 1853 fu redattore della rivista Economist.
Ma Spencer era troppo attirato dallo studio
della natura e dalla connessione con l'attività
ed il pensiero umano per rimanere ingabbiato
anche in una normale routine giornalistica.
Andava maturando le sue idee ed incominciava
a sostenerle con vigore, come nei saggi Social Statics: or, the Conditions Essential
to Human Happiness Specified, and the First
of Them Developed e Teoria della Popolazione: dedotta dalla legge
generale della fertilità animale, del 1852. Da questa lettera, sempre del
1852, vediamo quanto fosse già in stadio
avanzato la sua concezione evolutiva della
storia, intesa soprattutto come storia biologica: "Non è possibile trarre alcuna inferenza
dai fatti della storia, o da quelli che si
presumono tali senza che vi intervengano
le vostre idee sulla natura dell'uomo: e
se la concezione che avete della natura umana
è erronea, l'inferenza sarà sbagliata. Ma
se la vostra concezione della natura umana
è giusta, potrete procedere senza alcun bisogno
delle inferenze tratte dalla storia. Se chiedete
come è possibile pervenire a una teoria vera
della natura umana, rispondo: studiatela
nei fatti che vedete intorno a voi e nelle
leggi generali della vita. Quanto a me, poichè
considero l'umanità il risultato più alto
dell'evoluzione della vita sulla terra, preferisco
considerare l'intera serie dei fenomeni accertabili
fin dalle origini. Amo anche la storia, ma
quella del cosmo come un tutto." (dalla
Lettera a Edward Lott del 23 aprile 1852,
citata in Duncan, Life and Letters)
Da questa lettera si comprende chiaramente
l'attegiamento antiempirico di Spencer, non
a caso ingegnere. Noi ricaviamo l'interpretazione
dei fatti alla luce di una teoria, che abbiamo
intuito inizialmente. Da essa deduciamo.
Sempre più frequentemente si ritagliava tempo
per gli studi e la sua attività di saggista
e, nel frattempo, riuscì a completare la
sua prima opera veramente importante, The Principles of Psychology, del 1855. Purtroppo di questo lavoro esistono
solo due parziali traduzioni in italiano:
Le basi del pensiero a cura di G. Salvadori, Bocca 1907; L'evoluzione del pensiero, Bocca 1909.
Nel 1857 veniva pubblicato il già menzionato
saggio sul Progresso, e, finalmente, nel
1862, veniva alla luce il primo volume dei
Principi di filosofia sintetica, progettato nel 1860.
Nel 1861 uscì Educazione intellettuale, morale e fisica, che fu un best seller ed incontrò larghi
consensi anche negli ambienti accademici.
Ad esso seguirono i 2 voll. dei Principi di Biologia (1864 - 1867), Principi di sociologia (1870 - 1872), Istituzioni Cerimoniali (1879), Istituzioni Politiche (1882), L'uomo contro lo stato (1884), Istituzioni Ecclesiastiche (1885), Principi di moralità (Parte prima: Le basi dell'etica nel 1873 e l'importante parte IV, La Giustizia, nel 1881). Nel 1893 uscì L'inadeguatezza della selezione naturale; nel 1904 fu pubblicata postuma l'Autobiografia in 2 voll. e nel 1911 Saggi sull'educazione. Herbert Spencer era morto a Brighton nel
1903.
I primi lineamenti della filosofia di Spencer
Spencer offre un significativo contrasto
con Comte, anche se al pari di questi credeva
che la scienza sociale, in quanto mirante
a scoprire le leggi dello sviluppo storico,
possedesse la chiave per intendere i doveri
e il destino dell'uomo, e fornisse una base
scientifica all'etica individuale e alla
politica sociale.
Ma, mentre Comte respingeva la società competitiva
del XIX secolo in quanto dominata dall'anarchia,
sia sul piano teorico che su quello pratico,
e la considerava come transizione tra il
medioevo e la futura comunità dell'era scientifica,
Spencer esaltava l'individualismo e su di
esso modellava la società del futuro.
Per Spencer lo sviluppo progressivo era l'attributo
generale dell'esistenza, non solo la caratteristica
peculiare della società, come in Comte.
Fin dall'inizio il pensiero di Spencer mostrò
due peculiarità: credenza nel laissez faire in materia sociale e politica e l'adesione
all'ipotesi dello sviluppo.
Di Comte accettò la divisione della sociologia
in statica e dinamica.
La statica sociale si occupa dell'equilibrio
di una società perfetta. Essa si propone
di determinare le leggi cui dobbiamo obbedire
per ottenere la completa felicità. (Social Statics: or, the Conditions Essential
to Human Happiness Specified, and the First
of Them Developed, new York, 1882, p 447 -ristampa dell'edizione
originale del 1850)
La dinamica sociale studia le forze da cui
la società è condotta progressivamente verso
la perfezione, cioè i fattori che dispongono
gradualmente gli esseri umani ad obbedire
alle leggi che determinano la loro felicità.
La società perfetta è quella in cui gli individui
hanno perduto ogni inclinazione a impegnarsi
in attività dannose agli altri.
La società del suo tempo non era perfetta,
nè offriva ad ogni individuo uguale libertà
nell'esercizio delle sue facoltà, nè era
composta di individui i cui desideri fossero
compatibili con i diritti degli altri.
Tale imperfezione si spiega col fatto che
la natura umana non si è ancora adattata
alle condizioni di vita del moderno ordinamento
industriale.
Ogni imperfezione è carenza di adattamento,
dovuta ad un eccesso di facoltà, oppure alla
mancanza di una o più di facoltà.
Spencer diceva che la natura originaria era
conveniente a una condizione primitiva di
lotta brutale per la sopravvivenza.
Scrisse: «L'uomo primitivo deve possedere
una costituzione adatta all'attività cui
è costretto, unitamente a una capacità latente
di svilupparsi, quando lo permettano le condizioni
di esistenza, fino a raggiungere la forma
compiuta dell'uomo. Al fine di preparare
in qualche modo la terra per gli uomini che
la abiteranno in futuro, ...egli deve possedere
un carattere che gli consenta di liberarsi
delle razze che mettono in pericolo la sua
vita e che occupano il posto necessario all'umanità...in
altre parole, egli dev'essere quel che chiamiamo
un selvaggio, e dev'essergli consentito di
adattarsi alla vita sociale man mano che
la conquista della terra rende quest'utima
possibile.» (Social Statics, p.69)
L'uomo cominciò come un bruto condizionato
dal problema della sopravvivenza. La forza
della necessità lo portò allo stato sociale
ed a nuove tecniche, migliorando le condizioni
di vita. Questi miglioramenti trasformarono
la natura umana.
Nella società primitiva gli uomini erano
tenuti assieme dalle forze brutali e dal
culto dell'eroe. Ma con il progredire delle
civiltà il senso morale, basato sulla simpatia
e sulla consapevolezza istintiva dei diritti
personali, si rafforzò e la cooperazione
volontaria cominciò a sostituirsi agli accomodamenti
coercitivi. Quando sarà pienamente sviluppato,
il senso morale renderà impossibile e superfluo
il governo.
Ma questo processo poteva venire accellerato,
proiettando sempre più l'individuo su sè
stesso e costringendolo così a sviluppare
l'operosità, la frugalità, la prudenza, l'indipendenza
morale e la cooperazione volontaria.
Tale azione - sosteneva - è paragonabile
alla "severa disciplina della natura"
in atto nel mondo biologico. Come in natura
la lotta per l'esistenza provoca l'estinzione
del malato, del deforme, dell'inadatto, così
nella società la competizione elimina l'ignorante,
l'imprevidente e l'indolente. "In parte
eliminando i meno sviluppati e in parte sottoponendo
i sopravvissuti all'incessante disciplina
dell'esperienza, la natura assicura lo sviluppo
a una razza che sia in grado di comprendere
le condizioni di esistenza ed insieme di
agire su di esse. E' impossibile sospendere
in una qualsiasi misura questa disciplina,
opponendosi alla conseguenza dell'ignoranza,
senza differire in eguale misura il progresso."
(idem, pag 413)
Scrisse ancora: «Data una terra non
soggiogata; dato l'essere umano, dedito alla
propria diffusione e all'occupazione della
terra; date le leggi stesse della vita, non
avrebbe potuto verificarsi una serie di mutamenti
diversa da quella effettivamente svoltasi...Il
progresso, quindi, non è un accidente, ma
una necessità. La civiltà non è un prodotto
dell'arte, ma è parte della natura: è una
cosa sola con lo sviluppo dell'embrione o
lo schiudersi di un fiore. Le modificazioni
che l'umanità ha subito e cui è ancora soggetta
discendono da una legge che sottende l'intera
creazione organica; e se la razza umana non
si estingue e l'insieme delle condizioni
resta immutato, tali modificazioni devono
infine realizzarsi compiutamente. »
(idem)
Si capisce così perchè Spencer avesse una
concezione biologica del mutamento storico.
In Theory of Population, 1852, individuò la causa prossima del progresso
nella pressione delle popolazioni sulle risorse
naturali.
Partendo da: 1) la capacità di autoconservazione
varia inversamente alla capacità riproduttiva
2) il grado di fertilità varia inversamente
allo sviluppo del sistema nervoso.
arrivò a mostrare che la pressione demografica
operava nel senso di rendere più complesso
il sistema nervoso e di ridurre la fertilità,
ristabilendo così un equlibrio tra popolazione
e mezzi di sussistenza. Poichè la specie
umana era soggetta a un rapido incremento
numerico, da queste premesse derivava anche
che l'umanità doveva subire uno sviluppo
dell'organizzazione nervosa che poteva infine
ridurre la riserva di energia vitale disponibile
per la riproduzione della specie.
Confronto tra capacità cranica di africani
e australiani coi popoli civili: 30% in meno.
Non si deve credere, avvertiva Spencer, che
qualsiasi individuo sottoposto a forti sollecitazioni
per la sopravvivenza subisca inevitabilmente
un progressivo miglioramento del carattere.
Sebbene l'umanità venga sottoposta prima
o poi alla severa disciplina della natura,
non tutti ne traggono vantaggi: "infatti,
le famiglie e le specie che dalla crescente
difficoltà di procurarsi un sostentamento,
conseguente all'eccesso di fertilità, non
vengono stimolate a migliorare la loro produzione
- cioè ad ampliare la loro qualità mentale
- si trovano sulla strada maestra dell'estinzione
e vengono di necessità soppiantate da quelle
che la pressione stimola positivamente. (A Theory of Population, Deduced from the
General Law of Animal Fertility, in "The Westminster Review",
LVII, 1852, pp 498-499)
La pressione demografica è il motore del
progresso, sia in natura che in società:
«Essa ha prodotto la diffusione originaria
della specie. Ha spinto gli uomini ad abbandonare
le le consuetudini predatorie e a dedicarsi
all'agricoltura. Ha condotto al disboscamento
della superficie terrestre. ha costretto
l'uomo ad assumere una condizione sociale;
ha reso inevitabile l'organizzazione in società
e ha sviluppato i sentimenti societari. Ha
stimolato il miglioramento progressivo della
capacità di produrre e un'accresciuta abilità
e intelligenza. Quotidianamente ci sollecita
a un contatto più stretto e a rapporti di
reciproca dipendenza in misura crescente.
E dopo avere popolato l'intero globo, come
è infine inevitabile, e aver portato tutte
le sue parti abitabili al più elevato stadio
di cultura - dopo aver intrapreso ogni strada
per soddisfare le aspirazioni umane a una
maggiore perfezione - dopo aver sviluppato
parallelamente l'intelletto fino ad una completa
adeguatezza al proprio lavoro e i sentimenti
a un pieno adattamento alla vita sociale,
dopo aver fatto tutto ciò, vediamo che la
pressione della popolazione, portando gradualmente
a compimento il proprio lavoro, giunge infine
ad esaurirsi.» (A Theory of Population, Deduced from the
General Law of Animal Fertility, in "The Westminster Revieuw",
LVII, 1852, pag. 499-450)
La psicologia
I Principi di Psicologia, pubblicati nel 1855, furono ampiamente
sviluppati e rivisti, indi ripubblicati nel
1870.
Anche in questo lavoro Spencer estese la
teoria dell'evoluzione alla vita psichica,
dichiarando che esiste affinità tra processi
vitali e mentali. Ma nella psicologia di
Spencer ebbero indubbiamente una grandissima
influenza gli studi sull'embrione del biologo
estone Karl von Baer (1792- 1876), che tra
l'altro era radicalmente antievoluzionista.
Von Baer aveva descritto (Sull'ontogenesi degli animali. Osservazioni
e riflessioni.) lo sviluppo del pulcino dal concepimento
alla schiusa dell'uovo. In estrema sintesi,
per von Baer, la massa embrionale inizialmente
è non strutturata, quindi omogenea. Man mano
si fa eterogenea, cioè si struttura a partire
da quattro foglietti.
Dai due foglietti inferiori si formano gli
organi vegetativi; dai due foglietti superiori
gli organi animali. Le parti non sorgerebbero
ex novo: " non si da Neubildung - scriveva von Baer - neoformazione, ma
solo Umbildung, trasformazione.
Ciò significa che non si verifica una successione
per la quale si aggiungono organi nuovi a
quelli vecchi, ma una sequenza di divergenze
che dalla massa amorfa va alla crescente
specializzazione delle parti.
Spencer trasse delle conclusioni generali
da questa descrizione e si sa che von Baer,
proprio come Darwin, fu sorpreso e seccato
dall'indebito uso che Spencer fece della
sua teoria scientifica, perchè, ovviamente,
riteneva che l'embriologia non avesse nulla
a che fare con l'astronomia, la genesi del
sistema solare e lo sviluppo delle società
umane.
Spencer, in sostanza, estese la teoria baeriana
dello sviluppo alla sfera bio-mentale, anch'essa
caratterizzata come processo dall'indifferenziato
allo strutturato, aggiungendovi di suo che
il progressivo complicarsi dell'organizzazione
nervosa aveva subito una lenta evoluzione
in risposta ai mutamenti dell'ambiente.
"La dottrina secondo cui i nessi tra
le nostre idee sono determinati dall'esperienza
dev'essere estesa coerentemente, non solo
a tutti i nessi stabilitisi per effetto dell'esperienza
accumulata da ogni singolo individuo, ma
a tutti quelli acquisiti in seguito all'esperienza
acquisita da ogni specie. Poichè la legge
astratta dell'intelligenza afferma che il
rigore con cui l'antecedente di un qualsiasi
mutamento fisico tende ad essere seguito
dal suo conseguente è proporzionale alla
persistenza dell'unione fra gli oggetti esterni
da essi simboleggiati, ne deriva come legge
per tutte le intelligenze concrete, che la
forza con cui tale conseguente tende a seguire
il suo antecedente è proporzionata, a parità
delle altre condizioni, al numero delle volte
in cui esso è seguito dall'esperienza. L'armonia
tra tendenze interne e persistenze esterne,
con tutte le sue complicazioni, può spiegarsi
sulla base del solo principio secondo il
quale le persistenze esterne producono quelle
interne." (The Principles of Psychology , London 1855, p.529)
Le associazioni di idee possono quindi essere
ereditarie, ed anzi, Spencer si convinse
che le modificazioni ed i miglioramenti intellettuali
ottenuti da un individuo nel corso della
sua vita fossero trasmissibili ai suoi discendenti.
L'idea centrale di Spencer deriva da James
Mill: le associazioni di idee regolano la
vita mentale. Le sensazioni soggiacciono
ai sentimenti, i quali dipendono sia dalle
esperienze sensitive che dagli stati d'animo.
Le connessioni realizzate determinano un
passaggio dall'omogeneo al differenziato
anche nel pensiero.
« Varie classi di fatti - scrisse -
si uniscono ... nel provare che la legge
della metamorfosi che vale tra le forze fisiche,
vale del pari tra queste e le forze mentali.
»
Anche la coscienza è il risultato dell'adattamento
dell'ambiente nel quale si vive, anzi è lo
strumento più importante per rispondere alle
opportunità ed alle aggressioni. Della coscienza
si possono studiare i fenomeni, cioè il prodursi
delle impressioni e il modo con il quale
si costituiscono idee astratte. Ma se di
questi fenomeni si può ottenere una descrizione,
per Spencer vi è un di più, che è inconoscibile,
com'è inconoscibile la causa ultima di tutta
la realtà.
In questo quadro, nel quale è rilevabile
una ripresa della distinzione kantiana tra
fenomeno e noumeno, la psicologia assumeva
per Spencer il carattere oggettivo di scienza
in grado di raccordare la struttura psichica
(io sento, io penso) a quella fisiologica.
Rispetto a Comte, seguace della frenologia
di Gall, e quindi convinto della non autonomia
della sfera dello psichico, Spencer fu tuttavia
convinto del fatto che essa era un dato della
realtà umana, e che quindi fosse possibile
una psicologia introspettiva capace di analizzare
il modo in cui l'individuo si adatta all'ambiente,
dove peraltro agisce in modo determinante
l'istinto nelle sue forme più semplici. Da
qui, inoltre, anche la possibilità di risalire
all'introspezione ed all'analisi delle forme
più articolate e complesse del pensiero,
con l'emergere del momento raziocinante astratto.
« L'evoluzione mentale (intelletto
e sentimento) - scrisse Spencer - va misurato
al grado più alto di lontananza dall'azione
riflessa. »
Questo significa che l'uomo evoluto e civilizzato
tiene a freno le passioni e si regola in
base ai costumi del suo tempo e del suo ambiente.
Inutile dire che questo tipo di psicologia
era allineato ai principi della austerità
moralistica vittoriana, tanto quanto lo era
la religione, se non di più.
Il problema è che questa impostazione non
riconosceva alcun diritto agli istinti fondamentali
degli individui, quelli che nonostante millenni
di evoluzione, soggiacciono sempre ad ogni
nuovo individuo nato e permangono come parte
fondamentale di quello che oggi si chiama
patrimonio genetico ed allora si chiamavano
caratteri ereditari. Per Spencer la cultura
si trasmetteva attraverso i caratteri ereditari;
in sostanza, attraverso la psicologia, in
Spencer veniva ad affermarsi il principio
delle razze superiori.
L'inconoscibile e la relatività del conoscere
Nell'articolo sul progresso del 1857 (poi raccolto nei Saggi del 1867)
Spencer cominciò a scrivere sotto la forte
ispirazione dell'idea di evoluzione con una
dimensione cosmica.
Ma fu nei Primi Principi del 1860 che la tematica dell'inconoscibile emerse con tutta chiarezza. Sia la religione
che la scienza, secondo Spencer, attingono
la loro ragion d'essere dal mistero nel quale siamo immersi. Noi conosciamo
i fenomeni, ma non la loro vera ed ultima
ragione. Mentre la prima si accontenta di
ciò che tramanda la tradizione, fondata sulla
rivelazione e su ciò che hanno testimoniato
i padri della chiesa, la scienza cerca di
proseguire nella spiegazione della realtà
a partire dai nessi delle cose.
Secondo Spencer religione e scienza non sono
incompatibili, pur essendo vero che tutte
le religioni hanno fallito nell'interpretazione
della realtà. Lo stesso sviluppo delle religioni
porta infatti a dire che "la forza che
si manifesta nel cosmo è completamente imperscrutabile."
Ma anche la scienza si scontra contro il
mistero della forza e delle sue origini,
e pur procedendo sempre più avanti nello
svelare e nello spiegare, non è mai riuscita
ad entrare nel nucleo del mistero, piuttosto
lo ha negato.
La scienza ci fornisce solo conoscenze relative,
mai assolute. In ciò sembrava concordare
con Comte, anche se spesso si ravvisa una
vicinanza alle posizioni di Hamilton e Mansel.
In Spencer ha molta importanza il progresso scientifico, ma esso assume una veste del tutto ancillare,
ovvero è considerato in modo piuttosto strumentale
come supporto indispensabile al progresso
filosofico, il solo capace di un significato
veramente universale.
In altre parole: la scienza fornisce i dati
"che consentono di includere verità
speciali in verità generali e queste ultime
in verità ancora più generali, ma pur sempre
relative. Infatti le verità più generali
non possono essere incluse in qualcosa di
assoluto ed incondizionato, cioè al di sopra
ed al di fuori del mondo sensibile.
Sostanzialmente sono questi gli argomenti
evocati a favore della tesi sull'inconoscibile
ed al di là del vago sentore kantiano, vi
è certamente una specificità di Spencer dovuta
al fatto che egli non si fermò ad una concezione
solo negativa dell'assoluto e dell'incondizionato.
Nella tensione alla conoscenza del relativo,
secondo Spencer, lo scienziato ed il filosofo
sono, sia pure in misura diversa, consapevoli
che la relatività del proprio sapere si misura
comunque con l'assoluto. Se non avessimo
la nozione dell'assoluto incondizionato,
non avremmo nemmeno il senso di quanto sia
relativa la nostra conoscenza. Di qui l'idea,
piuttosto vicina al vitalismo biologico e chimico, che bisogna concepire
l'assoluto come la forza misteriosa che si
manifesta in tutti i fenomeni naturali.
Spencer avrebbe quindi una concezione dinamica
e non statica dell'assoluto incondizionato.
Esso non è solo qualcosa che sta al di là
della nostra percezione, ma è qualcosa che
interviene nel mondo, come forza propulsiva.
Per Spencer, ovviamente, i fenomeni non sono
quindi pura apparenza (anche nel senso di
inganno), ma manifestazioni certe dell'inconscibile.
Di questi fenomeni si può avere quindi scienza,
la quale è possibile, e rispetto alla religione,
essa presenta l'indubbio vantaggio di essere
capace di realismo e profondità.
Scrisse: « Quei modi dell'Inconoscibile
che chiamiamo movimento, calore, luce, affinità
chimica, etc... sono del pari, trasformabili
l'uno nell'altro e in quei modi dell'Inconscibile
che noi distinguiamo come sensazione, emozione,
pensiero, e questi, a loro volta, sono direttamente
o indirettamente trasformabili nelle loro
forme originali. E' rapidamente diventato
un luogo comune della scienza la tesi secondo
cui un'idea o un sentimento non si manifesta
che come risultato d'una qualche forza fisica
spesa nella sua produzione. »
Il compito della filosofia
Per Herbert Spencer la filosofia avrebbe
dovuto coltivare il compito di realizzare
la connessione tra tutte le spiegazioni dei
processi naturali offerte dalle scienze.
Gli scienziati avevano saputo fornire spiegazioni
sintetiche di ogni specificità, ma erano
sovente costretti a prendere atto della indipendenza
reciproca di tali spiegazioni. Al contrario,
secondo Spencer, esistevano procedure comuni
di scoperta, e, soprattutto, tra una scoperta
e l'altra vi doveva essere coerenza e non
contraddizione. Spencer, in sostanza, non
traeva conseguenze scettiche dal progressivo
evolversi della scienza in discipline sempre
più specifiche e specialistiche, restie a
fornire descrizioni ed interpretazioni globali.
Osò congetturare su queste ed osò delineare
un grandioso quadro unitario, che nella sua
"ingenuità", tuttavia, presentò
anche qualche elemento di verità.
Scrive in proposito Stefano Poggi in Il Positivismo: « Tra i processi che - in forza della
"spiegazione sintetica" - sono
riconosciuti conformi a legge e che, pur
nella loro specificità di processi dell'ordine
organico o inorganico, sono tutti che hanno
luogo "nel medesimo cosmo", è ovvio
che non può non darsi una "cooperazione"
conforme anch'essa a delle leggi. Di fatto,
tutti i processi della natura presentano
una stessa dinamica, sono costituiti dal
gioco degli stessi elementi, così come accade
per la "storia di tutti i processi concreti."
La filosofia - riflettendo su quanto messo
in luce dalle scienze - si trova a constatare
che la materia è indistruttibile, che la
"forza" è persistente pur andando
incontro a continue trasformazioni di cui
il ritmo del moto è il sintomo.»
La sintesi di tutte le spiegazioni scientifiche
fu per Spencer "la legge della redistribuzione
continua della materia e del movimento."
La quiete assoluta non esiste: leggi del
mutamento
Secondo Spencer non esiste in natura la quiete
assoluta: " ogni oggetto - non meno
che l'aggregato di tutti gli oggetti -attraversa
da un istante all'altro una qualche alterazione
di stato...riceve o perde movimento in modo
graduale o improvviso, nello stesso tempo
in cui alcune o tutte le sue parti si trovano
simultaneamente le loro relazioni reciproche."
Gli esempi più convincenti vengono dall'osservazione
degli oragnismi viventi. Ma ciò che avviene
nella sfera biologica non è altro da ciò
che avviene in generale. Per questo è ricavabile
un'ulteriore legge: « La storia generale
di ogni aggregato è definibile come un mutamento
da uno stato diffuso impercettibile ad uno
stato concentrato percettibile, e poi di
nuovo ad uno stato diffuso impercettibile.»
Si avrebbe pertanto un continuo processo
di integrazione seguito dalla disintegrazione
e poi da una nuova integrazione, nel corso
del quale la distribuzione e redistribuzione
della materia presenterebbe un'infinità di
momenti differenziati.
Per Spencer la realtà è un continuo movimento
di integrazione e disintegrazione, soggetto
alla legge generale che governa evoluzione
e dissoluzione di strutture.
Dissoluzione ed evoluzione sono spesso concomitanti
necessariamente, nel senso che solo grazie
alla dissoluzione di un aggregato è possibile
che si sviluppi ed evolva un nuovo aggregato.
L'intero ragionamento di Spencer si fondava
quindi su due leggi scientifiche molto generali,
le più generali del suo tempo: l'indistruttibilità
della materia, e il principio di conservazione dell'energia.
Carattere metafisico della dottrina evolutiva
di Spencer
Per Spencer è la stessa legge dell'evoluzione
universale che rende possibile le due leggi
summenzionate e non viceversa; in pratica
egli le dedusse dal principio dell'evoluzione
posto in modo assiomatico.
Relativamente al modo in cui Spencer formulò
lo stesso principio possiamo considerare
che il principio stesso corrispondeva ad
una intuizione metafisica. Infatti, pur essendo
in presenza di fatti evolutivi, non si aveva
ai tempi di Spencer alcuna prova scientifica
che all'inizio della storia del cosmo vi
fosse uno stato diffuso di caos indifferenziato,
o meglio, una sorta di uovo cosmico (l'equivalente
macroscopico dell'uovo di von Baer) contenente
materiale omogeneo.
Anzi, per la verità, la comunità scientifica
ai tempi di Spencer risultava divisa. Mentre
i sostenitori dell'evoluzione biologica,
sia lamarckiani che darwiniani venivano confutati
non tanto dai creazionisti ecclesiastici,
quanto da importanti fisici quali Lord Kelvin,
il dibattito prendeva aspetti ed assumeva
toni non sempre confacenti al supposto grado
di civiltà dei contendenti.
Lord Kelvin, nel 1862, aveva pubblicato On the age of the Sun's heat, un lavoro nel quale, pur riconoscendo che
era necessario abbandonare una visione meccanicista
della natura, e sostituirla con una di tipo
evolutivo, regolata da leggi fisiche, criticava
come insostenibile la tesi dei tempi lunghissimi
necessari all'evoluzione. L'età della terra
era molto più breve. Gli argomenti di Darwin,
secondo Lord Kelvin, violavano le leggi della
fisica. E quelli di Spencer, ovviamente,
ne tenevano conto in modo a dir poco approssimativo.
Lo stesso Darwin nella sesta edizione dell'Origine
della specie (1872) ammetterà che: «
E' probabile, come fa rilevare William Thompson
(Lord Kelvin, nda) che il mondo, nelle epoche
molto antiche, andasse soggetto a cambiamenti
delle condizioni fisiche molto più rapidi
e violenti di quelli che avvengono attualmente.
»
Ma Darwin non poteva immaginare che anche
Lord Kelvin sarebbe stato smentito. Infatti,
nel 1903 Pierre Curie ed Albert Labourde
avrebbero annunciato che i sali di radio
sono una fonte costante di calore. Pertanto
la teoria kelviniana che descriveva la terra
in origine come una palla di fuoco andata
poi progressivamente e velocemente raffreddandosi,
era imprecisa in quanto non teneva conto
dell'effetto del radio sul calore. Ma questa,
è tutta un'altra storia.
La sociologia spenceriana
Se è vero, come abbiamo visto, che la concezione
della società umana come organismo vivente,
trapassa disinvoltamente da destra, con Joseph
De Maistre, a sinistra, con Saint-Simon,
in Herbert Spencer, ritorna, per così dire
al centro, con valenze che non possono definirsi
nè restaurative, nè rivoluzionarie, ma semplicemente
realistische e conciliative. La storia di questo concetto è lunga quanto
quella del mondo. Lo ritroviamo già nel celebre
apologo di Menenio Agrippa, il patrizio romano
incaricato di ricondurre i plebei all'ordine
ed alla sottomissione. Le classi sociali
sono come parti dell'organismo umano, se
una parte non funziona, tutto il resto va
in malora. Muore il corpo sociale e quindi
tutti vanno in rovina, non solo i ricchi.
La teoria si presta ad essere utilizzata
anche in senso progressivo. Non ci possono
essere cellule trascurate e sottonutrite,
tutto il corpo deve ricevere il giusto, una
equa porzione del nutrimento e del piacere.
Una obiezione a questa metafora, che non
sembra particolarmente geniale, è che non
è vero che le parti sociali sono simili alle
parti del corpo del singolo dell'individuo,
e che uno debba considerarsi braccio e l'altro
mente in virtù della nascita. Tutti gli uomini
sono uguali, in partenza, e non abbiamo il
diritto di decidere chi sia braccio e chi
mente, senza aver offerto a tutti i membri
della società uguali opportunità. Non solo:
il libero sviluppo dell'individuo potrebbe
portare chi è braccio ad essere mente in
modo molto più fine della mente stessa. Una
visione cristalizzata dei ruoli rischia di
uccidere la logica della vita. Nulla può
escludere che l'ultimo degli uomini diventi
statista di grandissimo valore, o musicista
o scienziato o poeta.
Ma in realtà vi sono ancora ragioni più profonde
per opporsi a questa metafora inesatta e
piuttosto grossolana. La società è un aggregato
di individui, ognuno dei quali ragiona con
la sua testa. Ciascuno di essi non può non
entrare in conflitto, sia pure circoscritto,
con altri individui. Pertanto nel corpo sociale
avviene spesso il contrario di quello che
avviene nell'organismo vivente: non c'è armonia
e cooperazione, ma competizione e sviluppo
diseguale. Le questioni si risolvono solo
se si perviene ad accordi, a regole, a limitazioni,
non se si comprende che il mio utile, "in
teoria", coincide con il tuo, ma se
in realtà entrambi siamo persuasi che abbiamo
un utile in comune, realizzabile con un equo
commercio, oppure una equa cooperazione.
Spencer fu come sospeso tra queste due considerazioni,
e probabilmente non si rese conto fino in
fondo della problematicità delle sue posizioni:
la teoria del laissez-faire cozzava con quella
della società come organismo. E le imperfezioni,
le disfunzioni, le crisi vere e proprie saranno
destinate ad aumentare se si segue il lasseiz-faire,
di per sè disorganico e disomogeneo, almeno
quanto vi saranno crisi di rigetto e ribellioni
dei singoli, quando il peso della logica
dell'organismo si farà soffocante ed insopportabile.
Il segreto di una società che tiene e sopravvive,
e persino si sviluppa, consiste nel variare
continuamente, nell'adeguarsi sul precario
equilibrio, non nello scegliere, una volta
per sempre ed in modo estremistico, l'ordine
contro il disordine, o la libertà del singolo
contro la tirannia dell'organismo.
In Spencer si possono trovare pagine contraddittorie
solo in apparenza e pagine realmente contradditorie su questo punto. La felice,
ottimistica sintesi la si potrebbe trovare
solo in una società perfetta che invece non
c'è, e forse non ci sarà mai. A meno che
l'uomo non evolva moralmente, prima ancora
che in un senso genericamente scientifico
e intellettuale.
Ma l'evoluzione morale sembra proprio il
punto debole di tutte le teorie evolutive.
Il novecento è stato il secolo nel quale
tutte le immoralità sembrano essersi manifestate
al livello più alto. Nulla di quello che
è successo nei millenni è paragonabile ai
lager nazisti, a Hiroshima e Nagasaki. L'evoluzione
ha prodotto Einstein, ma anche Hitler, Pol
Pot e Bin Laden. Forse è vero che evoluzione
e progresso non sono sinonimi e che solo
la nozione di progresso dice chiaramente a cosa aspirano gli individui
migliori, ovvero un progresso morale, prima
ancora che materiale e spirituale. Del resto,
chi l'ha detto che spirituale equivale a morale?
Ad onor del vero va detto che Spencer fu
contrario alla separazione tra materiale
e spirituale con una convinzione superiore
di quella dimostrata da Stuart Mill.
Ma il punto di maggiore interesse della teoria
sociale organica di Spencer è ovviamente
quello in cui egli seppe evidenziare le fondamentali
differenze tra un organismo vivente ed una
società.
Le funzioni nell'organismo sono contigue, nella società sono discrete. Ma la differenza fondamentale sta nel fatto
che mentre l'organismo ha come scopo il funzionamento
dell'organismo stesso, la società ha come
scopo la il benessere e la felicità dei suoi
membri.
Ed è per questo che si può dunque parlare
di società come organismi in crescita; l'incremento
della popolazione, si noti la distanza da
Malthus, è un fattore naturale di crescita
che porta a strutture sempre più differenziate
e complesse.
Anche la guerra, in questo ampio scenario
di crescita, ha un suo ruolo specifico non
solo distruttivo. La guerra, a volte, avvicina
gli esseri umani più della pace, e dopo la
guerra si realizzano interessanti fusioni.
I conquistatori governano, i conquistati
lavorano e questa è la base della differenziazione
di classe.
a) L'antropologia di Spencer
Spencer negò di aver derivato da Comte o
da Saint-Simon la metafora della società
come organismo vivente. Sostenne che era
stato "il clima scientifico dell'epoca
a suggerirlo". Ed in linea con questo
concetto sostenne che le società erano soggette
ad un processo di adattamento con l'ambiente
naturale e le altre società contigue. L'adattamento
stesso comportava la nascita di nuove funzioni
sociali di tipo economico, giuridico-politiche,
civili e militari. L'autentico interesse
di Spencer per le forme sociali primitive
lo portò a vagliare una serie impressionante
di dati e testimonianze di viaggiatori, missionari,
marinai, giornalisti, militari e "colonizzatori"
in genere. Tutto questo veniva valutato dall'alto
di una prospettiva eurocentrica, se non anglocentrica.
La civiltà britannica era certamente al vertice
della scala evolutiva e le società dei selvaggi
erano viste come i gradini più bassi della
scala. In particolare egli considerava le
società più arretrate come l'espressione
di razze deboli e non evolute, "inferiori
ed infime".
Per Spencer le differenze tra le razze ed
i popoli erano spiegabili con il clima, la
conformazione geologica, la fertilità della
terra e le limitazioni e gli stimoli ambientali
erano dunque fattori decisivi dell'evoluzione
umana.
La psiche e la mentalità dei primitivi erano
costituite di sentimenti elementari, credenze
nelle superstizioni e nelle pratiche magiche,
nel sovrannaturale in genere. I loro comportamenti
non erano necessariamente aggressivi, come
alcuni raccontavano, spesso in modo interessato
per giustificare lo sterminio dei selvaggi,
ma certo era poco articolato e decisamente
statico e ripetitivo. Il campo empirico dei
primitivi era, per Spencer, ristretto e non
aveva alcuna capacità di produrre idee e
concetti astratti.
In sostanza il mondo dei selvaggi era un
mondo fanciullesco, che rispecchiava l'infanzia
dell'umanità, ma priva di quella dinamica
che aveva portato l'umanità stessa ad emanciparsi.
Su questo piano, dunque, il pensiero di Spencer
veniva ad incontrarsi con quello di Haeckel,
secondo il quale l'ontogenesi, ovvero lo sviluppo di ogni individuo vivente
dall'embrione alla maturità, ricapitolava
il cammino evolutivo che nei millenni aveva
compiuto la specie, cioè la filogenesi.
Ora, ognuno può ben comprendere quanto questo
pensiero fosse, e sia, più diffuso nel senso
comune di quanto in genere si voglia ammettere.
La convinzione che la società occidentale
fosse superiore si basava e si basa sulla
evidente superiorità tecnica e scientifica,
sul fatto che ovunque arrivasse un tizio
mezzo medico e mezzo missionario immediatamente
venivano vinte la malattia e la morte con
la medicina invece che con la magia rituale,
di quanto fosse più lunga l'età media nei
paesi civilizzati, di quanto comunque fossero
superiori le convinzioni religiose e filosofiche
degli europei.
Molti critici hanno visto in questa antropologia
spenceriana, che comunque sembrava escludere
che l'europeo avesse anche qualcosa da imparare
dai selvaggi, una anticipazione delle teorie
razziste. Ciò non mi sembra del tutto accettabile,
non solo perchè Spencer non propugnò mai
alcuna teorizzazione dello sterminio dei
più deboli, ma si limitò al dato oggettivo della superiorità occidentale e della selezione
mediante adattamento, ma anche perchè egli
non nascose mai le sacche di debolezza della
stessa civiltà occidentale.
Nei Principi di sociologia egli evidenziò
in modo particolare come l'evoluzione non
sia un processo lineare, ma un andare avanti
con molte fermate e moltissimi passi indietro:
«Si ritiene normalmente che l'evoluzione
comporti in ogni campo un'intrinseca tendenza
verso qualcosa di superiore, ma si tratta
di una concezione erronea. In tutti i casi
essa è determinata dall'interazione di fattori
interni ed esterni. Questa interazione produce
dei mutamenti finchè viene raggiunto un equilibrio
fra l'azione dell'ambiente e l'azione che
l'aggregato oppone ad esso - un equilibrio
completo se l'aggregato è privo di vita,
un equilibrio dinamico se è vivente. In seguito
a ciò l'evoluzione praticamente cessa, continuando
a mostrarsi soltanto nell'integrazione progressiva
che approda alla rigidità. Se, nel caso degli
aggregati viventi che costituiscono una specie,
l'azione dell'ambiente resta costante di
generazione in generazione, anche la specie
rimane costante. Se invece l'azione dell'ambiente
cambia, la specie muta fino a disporsi di
nuovo in equlibrio con esso. Ma ciò non significa
affatto che tale mutamento sia una tappa
dell'evoluzione. Normalmente non ne deriva
nè un avanzamento nè una regressione; e spesso,
poichè alcune strutture precedentemente acquisite
diventano superflue, il risultato è una forma
più semplice.
Soltanto di quando in quando la modificazione
dell'ambiente avvia nell'organismo una nuova
complicazione e produce così un tipo per
qualche aspetto superiore. Di qui il fatto
che, mentre alcuni tipi non sono avanzati
nè regrediti per lunghissimi periodi di tempo
e molti altri hanno subito un'ulteriore evoluzione,
in numerosi tipi si è verificato un arretramento.
Ciò che avviene nell'evoluzione organica
vale anche per l'evoluzione superorganica.
Anche se, considerando l'insieme delle società,
si può ritenere che l'evoluzione sia inevitabile
come effetto ultimo dei fattori interni ed
esterni che interagiscono premendo su di
esse per periodi di tempo indefiniti, non
è possibile sostenere che l'evoluzione è
un fatto inevitabile, o anche solo probabile
in ogni società particolare. Un organismo
sociale, al pari di un organismo individuale,
è soggetto a modificazioni finchè entra in
uno stato di equilibrio con le condizioni
ambientali, stato in cui permane senza ulteriori
mutamenti di struttura. Quando le condizioni
mutano dal punto di vista meteorologico o
geologico, per modifcazioni della flora o
della fauna, per la migrazione susseguente
alla pressione demografica o per la fuga
di fronte al sopraggiungere di nuove razze,
ne deriva qualche mutamento nella struttura
sociale. Ma tale mutamento non significa
necessariamente un avanzamento. Spesso il
mutamento è orientato verso una struttura
che non è nè superiore nè inferiore. Quando
l'habitat impone modi di vita inferiori,
ne risulta una forma di degradazione. Soltanto
occasionalmente la nuova combinanzione di
fattori è tale da causare un mutamento che
rappresenta un passo avanti, nell'evoluzione
sociale e dà inizio a un tipo sociale che
si diffonde e soppianta quelli inferiori.
In questi aggregati superorganici, come in
quelli organici, un progresso che può ritenersi
tale per qualche aspetto provoca una regressione
per qualche altro: le società maggiormente
evolute costringono quelle meno evolute in
habitat sfavorevoli, determinando così una
limitazione nella loro diffusione o un decadimento
della struttura. »(Principles of Sociology - New York, 1877, I, pp. 106-107-108)
b) La sociologia vera e propria
E' su tali premesse antropologiche che Herbert
Spencer costruì la sua sociologia, la quale
aveva in comune con quella di Comte solo
la definizione, anche se, seguendo punto
per punto l'analisi che egli condusse della
società come organismo vivente, si potrebbe
ricavare una impressione del tutto diversa.
Ponendosi in una posizione analitico-diagnostica
nei confronti delle società, come un medico
si sarebbe posto nel sezionare un cadavere
per ricavarne l'anatomia e la fisiologia,
Spencer si trovò a cercare per ogni elemento
della vita sociale un analogo nelle funzioni
organiche dell'organismo e non ebbe esitazioni
nel paragonare le linee ferroviarie al sistema
vascolare, l'economia ed il lavoro al sistema
nutritivo, e il sistema politico a quello
nervoso-regolativo.
Tuttavia, le differenze tra Comte e Spencer
sono facilmente individuabili. Per Comte
la sociologia era la disciplina che, accertati
i fatti sociali e le leggi secondo le quali
necessariamente si svolgono, sarebbe stata
in grado di effettuare previsioni. Il fine
stesso della sociologia era identificabile
nella sociocrazia, cioè un governo oridinato
in grado di vincere l'anarchia morale e spirituale
derivante dal crollo della religione e della
metafisica come fondamenti delle credenze
umane.
Per Spencer la sociologia era solo un modo
di analizzare i fenomeni ed anche prevederne
gli sviluppi che, tuttavia, non poteva in
alcun modo arrogarsi il diritto di fissare
le mete ed istradare sui binari il treno
del progresso. Questo compito specifico era
riservato alla morale. Ribadendo la distinzione tra sociologia
e morale, il filosofo di Derby veniva a salvare
la morale stessa da qualsiasi relativismo
sociologico ed antropologico. E' probabile
che non si sia sufficientemente meditato
su questa posizione spenceriana, ma occorrerebbe
osservare che per Spencer, come del resto
per Kant, la morale era inscindibile dalla
libertà. Se si vuole dimostrare di essere
veramente liberi, occorre uscire dalla spirale
negativa della morale imposta dal timore
religioso o dalla paura delle punizioni umane.
L'uomo evolve realmente se sceglie liberamente
il proprio sistema morale e se questo sostanzialmente
corrisponde ai valori etici della convivenza
civile. Furono questi i motivi per i quali
Spencer optò per una filosofia politica non
solo liberista e liberale, ma perfino libertaria. Egli vide, prima di molti altri, che non
bastava superare la religione del timore
e della punizione divina, ma anche la religione
dello stato ed il timore della repressione
politico-giuridica.
Per Spencer, in sostanza, non occorreva più
che gli individui fossero "guidati",
e che lo sviluppo spontaneo avrebbe prodotto
i frutti migliori. L'intervento dello stato
diventava un ostacolo e non uno stimolo.
All'obiezione, presente persino nelle file
dei liberals e dei whigs, che lo stato avrebbe
dovuto comunque fare qualcosa per combattere
la miseria e l'ingiustizia, Spencer rispose
che nella società vi erano altri agenti che
potevano far meglio dello stato e delle burocrazie.
c) La politica
Coerentemente, forse fin troppo, con questa
ottimistica visione dello sviluppo e dell'evoluzione
umana, le posizioni politiche di Spencer
da un lato si distinsero per la loro tranquilla prudenza e dall'altro mostrarono una carica eversiva spesso sottovalutata.
Innanzi tutto egli non credette nelle soluzioni
taumaturgiche e nei procedimenti deus ex
machina: nella natura umana esistevano difetti
ineliminabili nel breve periodo; nessuna
soluzione politica od economica radicale
avrebbe potuto cambiare la precaria situazione
morale della maggioranza. Per questo Spencer
si pronunciò per lasciare libero corso allo
sviluppo lentio e graduale, diremmo oggi
non drogato e non gasato. Criticò persino
Stuart Mill per le sue audaci posizioni scrivendo:
« Allo stesso modo che non si può abbreviare
la via tra l'infanzia e la maturità, evitando
quel noioso processo di accrescimento e di
sviluppo che si opera insensibilmente con
lievi incrementi, così non è possibile che
le forme sociali più basse divengano più
elevate, senza attraversare piccole modificazioni
successive. » (da Introduzione alla Sociologia - p. 388 - trad. italiana del 1904)
In quest'ambito si comprende in cosa Spencer
fu del tutto rivoluzionario ed iconoclasta.
Nello scritto Man versus State, pubblicato nel 1892, egli spiegò che "il
gran pregiudizio dell'epoca presente"
era costituito dalla persuasione che il Parlamento
fosse depositario del diritto divino esattamente
come un tempo lo era la monarchia.
Secondo Spencer un vero liberalismo doveva
arrivare a negare l'autorità illimitata del
parlamento e dei governi. Non si doveva più
credere all'infallibilità dei parlamentari e dei ministri, perchè
era proprio questo atteggiamento fideistico
a generare scontento e sentimenti rivoluzionari.
A questa idea ingenua dello stato in grado
di far tutto e porre rimedio a tutto, quasi
fosse un dio onnipotente, ed in netto contrasto
con la pochezza delle sue realizzazioni,
si doveva pertanto imputare lo stesso crescere
dello scontento e la diffusa convinzione
della necessità di una rivoluzione sociale.
Gli obbiettivi della critica di Spencer erano
soprattutto il populismo e la demagogia dei
politici suoi contemporanei, ma è evidente
che egli, esortando ad una dissacrazione
delle istituzioni e della presenta investitura
divina del potere, si proponeva di insegnare
ai sudditi di sua Maestà ad un maggiore senso
di responsabilità civica e morale.
Il fatto che egli assegnasse al tranquillo
corso degli eventi lo sviluppo stesso, pertanto,
non comportava alcun automatico ruolo passivo
degli individui. Tutt'altro: l'individuo
era destinato a crescere, lo stato destinato
a diminuire.
Fu in base a queste radicate convinzioni
che Spencer si fece promotore, proprio nelle
pagine di Man vs State, di una denuncia dettagliata dei tradimenti che i liberali inglesi avevano attuato nei
confronti del liberalismo.
L'istruttivo elenco che ne fa Karl Polanyi
in La Grande Trasformazione rende bene l'idea dell'estremismo di Spencer,
contrario ad ogni legislazione restrittiva. «Nel 1860 - scrive Polanyi - si autorizzò
l'istituzione di "analisti dei cibi
e delle bevande da stipendiare per mezzo
dei tributi locali"; seguì una legge
che prevedeva "l'ispezione delle installazioni
a gas", un'estensione della legge sulle
miniere "che considerava reato l'impiego
di ragazzi sotto i dodici anni che non frequentassero
le scuole e che non fossero in grado di leggere
e di scrivere". Nel 1861 fu attribuita
agli ispettori della Poor Law [l'autorità]
di obbligare alla vaccinazione", comitati
locali furono autorizzati "a fissare
le tariffe dei mezzi di trasporto",
e alcuni organismi localmente costituiti
"avevano dato loro autorità di tassare
la località per opere di irrigazione e per
rifornire di acqua il bestiame." Nel
1862 fu varata una legge per la quale diventava
illegale "una miniera di carbone con
un solo pozzo di ventilazione"; una
legge che attribuiva al Consiglio per l'educazione
medica il diritto esclusivo "di fornire
una farmacopea il cui prezzo doveva essere
stabilito dalla Tesoreria". Spencer
colpito dall'orrore, riempì diverse pagine
con un elenco di queste misure e di altre
simili. Nel 1863 venne "l'estensione
della vaccinazione obbligatoria alla Scozia
ed all'Irlanda". Vi fu anche una legge
con la quale venivano nominati degli ispettori
della "salubrità o insalubrità degli
alimenti", un Chimney-Sweeper's Act
per impedire la sofferenza e la morte di
bambini messi a spazzare condutture troppo
strette, una legge sulle malattie contagiose
ed una sulle biblioteche pubbliche che attribuiva
poteri locali "per i quali una maggioranza
può tassare una minoranza per i suoi libri".
Per Spencer queste erano altrettante prove
inconfutabili di una cospirazione antiliberale
e tuttavia ciascuna di queste leggi si occupava
di problemi che sorgevano dalle moderne condizioni
industriali e mirava a salvaguardare degli
interessi pubblici contro pericoli inerenti
a tali condizioni, o in ogni caso al metodo
di mercato di occuparsi di questi. Per una
mente senza pregiudizi, essi provano la natura
puramente pratica e pragmatica della contromossa
"collettivista". La maggior parte
di coloro che sostenevano queste misure erano
convinti sostenitori del laissez-faire, e
certamente non intendevano che il loro consenso
alla formazione di un corpo di vigili del
fuoco a Londra implicasse una protesta contro
i principi del liberalismo.» (Polanyi
- La grande trasformazione)
Si capisce da queste note quanto Spencer
mancasse di realismo e senso della misura
e privilegiasse in modo davvero dogmatico
il principio teorico alla necessità pragmatica.
Nulla mi è più estraneo che un tentativo
di giustificazione di questo rigido dogmatismo
ideologico. Tuttavia, se qualche considerazione
si può spendere a favore di Spencer, essa
viene dall'esperienza stessa degli stati
moderni e dalla insulsa tendenza a rendere
obbligatori, attraverso la proliferazione
incontrollata di leggi, comportamenti che
spesso non vengono compresi, e rispetto ai
quali non si comprende nemmeno perchè debbano
essere obbligatori. Nulla vieta ad esempio di consigliare la
vaccinazione antiinfluenzale, ma sarebbe
davvero umiliante renderla obbligatoria,
senza considerare che proprio l'obbligatorietà
concorrerebbe ad indebolire ulteriormente
la difese immunitarie naturali di cui siamo,
fortunatamente, ancora in possesso. A fronte
di migliaia di individui che non si ammalano
perchè vaccinati, vi sono probabilmente più
individui che non si ammalano perchè non
vaccinati, ma dotati di forte costituzione
e di un buon sistema immunitario.
La goffa e paradossale protesta di Spencer
contro la dittatura collettivista, paradossalmente patrocinata in Inghilterra
più dai conservatori e dai liberali, che
dai socialisti stessi, non aveva dunque altro
motivo che il seguente: era una limitazione
della libertà, cioè un ostacolo alla crescita
della consapevolezza.
La pedagogia
Il lavoro intitolato Educazione intellettuale, morale e fisica, pubblicato nel 1861 fu soprattutto un grosso
successo editoriale e non solo per quei tempi.
L'impianto dell'opera era ovviamente organizzato
attorno al concetto di evoluzione.
Cosa e come bisogna insegnare, si chiese
Spencer? Dipende dallo scopo dell'educazione.
Lo scopo è preparare alla vita, pertanto
un criterio che viene prima di tutti gli
altri è quello dell'utilità. Spencer riprese
dunque la celebre formuletta d'Isocrate,
il vituperato nemico di Platone ed Aristotele,
ma vi assegnò un significato molto diverso.
L'utile era per Spencer ciò che serve alle
diverse attività, ovvero un criterio del
tutto opposto alla formazione di un sapere
umanistico e rettorico che potrebbe farci
solo passivi consumatori di cultura, o poeti,
o retori, se provvisti di talento.
Non a caso il criterio che ordina la gerarchia
dei saperi è individuato nelle attività che
servono allo sviluppo ed alla conservazione
della salute individuale.
Sono utilissime le nozioni di igiene, fisiologia,
educazione fisica. La conoscenza non edonistica
e, diremmo oggi, non culturistica, del proprio
corpo porta alla conoscenza delle proprie
possibilità fisiche e mentali. Subito dopo
vengono le scienze, cioè la serie dei saperi
funzionali che introducono alla tecnologia,
cioè al saper fare anche in pratica.
Ma secondo Spencer vi è un fattore spesso
trascurato dalla pedagogia tradizionale,
che viene ad assumere un ruolo estremamente
importante: saper fare il genitore. Padre
e madre devono assimilare tutto ciò che la
scienza ha detto in proposito, in particolare
per quanto attiene a fisiologia, puericoltura,
pedagogia e psicologia.
Padre e madre possono imparare a regolare
le loro funzioni educative secondo due leggi
che soprassiedono allo sviluppo armonico
di mente e corpo: 1) "la sola disciplina
salutare, in casa o fuori, è l'esperienza
delle conseguenze buone o cattive che dai
nostri atti naturalmente discendono"
(ovvero non cura nè freni eccessivi, ma lasciare
agire naturalmente le cose); 2) "le
parole contenute nei libri non possono far
nascere le idee se non che in proporzione
all'esperienza acquisita intorno alle cose"
(ovvero, non forzare lo sviluppo intellettuale
con l'istruzione formale e mnemonica, ma
puntare sull'osservazione e sulla lezione
dei fatti).
Spencer insistette sulla necessità di insegnare
le cognizioni necessarie per entrare a far
parte dell'organismo sociale e considerò
essenziale la dottrina utilitarista dell'azione
indirizzata alla felicità del maggior numero.
In tale contesto assumono una funzione fondamentale
le scienze alle quali si era dedicato lo
stesso Spencer, ovvero la biologia, la psicologia,
le analisi sociali. Ma il punto centrale
su cui attirò l'attenzione è che il percorso
educativo deve portare all'integrazione sociale,
ma in modo critico ed utile insieme. Ciò
è possibile se, e solo se, i ragazzi vengono
indotti a ricapitolare tutto il cammino evolutivo,
ed in ultima istanza, a diventare evoluzionisti
essi stessi.
Anche riconoscendo una certa percentuale
di dogmatismo in questa impostazione, non
può sfuggire il fatto che essa propugnava
esattamente l'opposto dell'insegnamento autoritario,
nozionista e dogmatico e mirava a rendere
i giovani autosufficienti e consapevoli dei
loro mezzi e delle loro possibilità.
L'educazione intellettuale era per Spencer
un invito all'osservazione, alla ricerca,
persino una sorta di autoeducazione attraverso
la lezione dei fatti. Lo studio doveva essere
divertimento e non penosa ripetizione, proprio
perchè giocato sullo sviluppo spontaneo e
non sulla coercizione. "Chi ha studiato
con piacere, continuerà ad istruirsi."
«Ed invero - scrisse - poichè è nell'ordine
della natura che, per tutte le creature,
il piacere che accompagna il soddisfacimento
delle funzioni necessarie alla vita serva
di eccitamento a compierle, noi, che nel
periodo dell'educazione spontanea abbiamo
avuto campo di avvertire che il piacere che
prova il bambino nel tenere in bocca un pezzo
di corallo, o nel distruggere i suoi giocattoli,
lo conduce ad azioni che gli danno conoscenza
della proprietà della materia, noi, dico,
scegliendo e ponendo innanzi agli oggetti
di studio nell'ordine che più interessa il
fanciullo, obbediamo alla volontà della natura,
armonizzando i nostri procedimenti con le
sue leggi. Noi siamo dunque sulla via della
dottrina da molto tempo enunciata dal Pestalozzi;
cioè che nell'ordine e nei metodi, l'educazione
deve uniformarsi al processo naturale dell'evoluzione
mentale. » (da L'educazione intellettuale, morale e fisica - Trevisini, 1889, pp. 59 )
La stessa educazione morale, nostante il
clima vittoriano, non viene postulata come
repressiva. Spencer è molto attratto dai
castighi naturali, cioè dalla lezione dei
fatti, dalle brutte e barbine figure che
si fanno se si è sleali, maldicenti, bugiardi
o ladruncoli, ma anche spericolati o superbi.
L'efficacia di questa impostazione si misura
sui fatti, su come il bambino impara a regolarsi
da sè, a capire da solo, ad acquistare un
carattere fermo ed a credere in sé stesso.
L'etica
L'etica di Spencer è conseguente alla sua
visione antropologica, sociologica e psicologica.
A suo avviso gli individui imparano le costumanze
e le regole del vivere civile adattandosi all'ambiente nel quale nascono e vivono.
L'epoca storica del suo tempo era contrassegnata
dal passaggio da un regime militare, burocratico e statalista, intrinsecamente
autoritario e dogmatico, ad un regime industriale, potenzialmente libertario e democratico,
che rendeva gli individui più responsabili
e consapevoli.
Questa ulteriore evoluzione veniva ad accentuare
la differenza qualitativa tra la vita di
un selvaggio e quella di un uomo civilizzato.
La vita di quest'ultimo era infatti estensivamente
ed intensivamente più lunga e più ricca,
dunque più felice. Anzi, la felicità stessa,
per Spencer, consisteva nell'intensità della
vita.
Per quanto edonisticamente vicino all'utilitarismo,
Spencer ne diede comunque un'interpretazione
diversa perchè l'evoluzione si era incaricata
di stabilire nell'individuo civilizzato un
a priori morale che gli impediva di agire solo per l'utile
ed il piacere immediato.
Rispetto a tutti gli utilitaristi, Stuart
Mill compreso, Spencer si mostrò dunque più
aperto al recupero di tematiche kantiane,
e non sarebbe del tutto sbagliato considerarlo
come un prosecutore, con altri mezzi ed in
un contesto diverso, della teoria kantiana
della moralità.
In Spencer il senso del dovere e l'obbligatorietà
morale non si fondavano sull'utile, ma semmai
venivano a contrapporsi, senza che fosse
sempre possibile una vera sintesi.
La contrapposizione egoismo - altruismo era
secca; il momento epocale privilegiava al
momento l'egoismo, ma in prospettiva ci si
poteva attendere che la stessa parola obbligazione perdesse d'importanza e persino di significato
nel senso che ciò che dobbiamo fare è anche
quello che vogliamo fare.
Note ottimistiche che contrastavano tuttavia
con l'inquietudine che accompagnò gli ultimi
anni della vita del filosofo di Derby.
Il mondo stava effettivamente cambiando,
ma anzichè orientarsi verso la libertà dei
singoli, sembrava nuovamente retrocedere
verso la militarizzazione e la burocratizzazione.
Già nei primissimi anni del novecento era
possibile intravvedere, non senza angoscia,
le catastrofiche conseguenze del nuovo imperialismo.
Bibliografia consigliata:
Biologia e teoria sociale di J.C. Green, sta in: Evoluzione: biologia e scienze umane - a cura di Giuliano Pancaldi - Mulino -
Bologna, 1976