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La filosofia di Emanuele Severino
La democrazia contro la filosofia

Dario Smizer
La democrazia contemporanea anglo-americana è funzionale all'Apparato, ovvero al dominio della tecnica, in un modo che non ha precedenti. Essa è espressione della "volontà popolare", la quale vuole le stesse cose che vuole l'Apparato. E questo accade anche e nonostante sia vero che la frazione più consistente dell'Apparato impone una riduzione del tasso di democrazia in nome della sicurezza e dell'efficienza. La stessa democrazia non può realizzare i propri scopi indipendentemente dall'Apparato e si trova costretta a subordinarli. La "volontà popolare" si trova incanalata e condizionata dalla volontà dell'Apparato. Tutto ciò che l'Apparato consente, in realtà, è solo l'espressione di quella parte della "volontà popolare" che è funzionale al potenziamento dell'Apparato. In realtà esiste anche un'"angoscia popolare" che l'Apparato non può esorcizzare ma solo aiutare a sopportare mediante i suoi prodigi medico-scientifici e la religione.
«La democrazia americana ha sostenuto fin dalla sua nascita il principio della tolleranza religiosa. Fino a che non danneggia gli altri cittadini, nello Stato democratico ognuno è libero di avere le convinzioni religiose che preferisce. Da parte sua, lo Stato democratico, proprio perché tollera ogni fede religiosa, non ne ha alcuna. La cultura illuministica in cui nasce la democrazia in America conduce al principio che la vita pubblica debba essere regolata non dalla religione, ma dalla "ragione umana", ossia da ciò che costituisce l'essenza e la natura di tutti gli uomini.» (1)
Questa sarebbe una tesi filosofica. Tuttavia, proprio per questo, consapevole dei rischi che comporta una democrazia così concepita, la filosofia si è più volte espressa ammonendo a riflettere sulla natura stessa della democrazia e le sue gravissime imperfezioni, non ultimo il fatto che l'esercizio del potere richiede una maturità che le masse non hanno. Per questo, la democrazia ha a sua volta guardato con sospetto crescente la filosofia. Il pragmatismo americano, nella sua essenza, ha imposto di combattere la filosofia in nome della democrazia. John Rawls e Richard Rorty sono, per Severino, i più conseguenti eredi di un pensiero che sostiene le ragioni della democrazia contro la ragione filosofica. «Rawls ha l'ambizione di essere il teorico della non filosofia - ossia dell'assoluta povertà filosofica - della democrazia. Un altro filosofo americano, R. Rorty, sostenitore e interprete di questa propensione di Rawls, ha scritto un saggio intitolato appunto La priorità della democrazia sulla filosofia (in Filosofia '86, Laterza, 1987). Lo scopo oggettivo di questa prospettiva è di fare della democrazia stessa l'Apparato al quale restano subordinate tutte le forme ideologiche.» (2)
Sia per Rawls che per Rorty la democrazia non può aver nulla da spartire con la filosofia che intende affermare l'esistenza di una natura umana universale, persino di "un ordine antecedente a noi", che ponga questioni sullo scopo e sul significato dell'esistenza umana. Rawls crede che la democrazia possa godere ottima salute anche nel buio più completo. Il sostenitore della democrazia può fondare il proprio pensiero su poche idee intuitive: fede nella tolleranza e rifiuto della schiavitù. Rorty sostiene che questo è l'unico atteggiamento sano, "storicistico e antiuniversalistico". Accade così che nello stato democratico, «tolleranza e libertà non sono dunque "principi" o "fondamenti" universali, il cui chiarimento abbia bisogno dell'autorità della filosofia, mma sono convinzioni che, attraverso un processo storico determinato, si sono consolidate nelle democrazie occidentali. "La politica sociale" scrive Rorty "non ha bisogno di altra autorità che quella costituita da un felice accordo tra individui che si scoprono eredi delle stesse tradizioni storiche e posti di fronte agli stessi problemi". Una teoria della democrazia, come quella proposta da Rawls, non vuole essere quindi altro che "una descrizione storico-sociologica" di ciò che gli americani sono attualmente- gli americani e tutti coloro che sentendosi eredi dell'illuminismo, ritengono che la giustizia sia la prima virtù sociale.» (3)

Una democrazia senza fondamenti, o con fondamenti così precari come la storia concreta degli individui anglo-americani, produce, secondo Severino, una visione alquanto ristretta della stessa tradizione illuministica. Non esiste più la ragione, ma la sola "ragione democratica", cioè la ragione americana. Così non c'è alcun bisogno di cercare fondamenti, ma solo di far funzionare al meglio la macchina democratica dell'Apparato.
I filosofi alla Rawls dicono che fondazioni e giustificazioni sono sempre precarie e inaffidabili, che la pretesa filosofica è vana. Non c'è alcun bisogno di una verità pura per sostenere quello che vogliamo e preferiamo. Ciò in cui crediamo è ciò che ci torna utile credere, come stabilito da William James. E se sostituiamo alla parola democrazia quella di cristianesimo (anglo-americano), i conti tornano ugualmente. «Noi siamo cristiani, vogliamo una società cristiana, non ne vogliamo un'altra e non abbiamo bisogno di filosofi che fondino o giustifichino la nostra fede, tanto meno se costoro si mettono in testa di "dimostrare l'esistenza di Dio"; non abbiamo bisogno che la nostra fede in Dio dipenda dalle loro avventure concettuali e dalla loro "verità": la verità è ciò che ci salva (ossia è così "utile" da darci la salvezza eterna) e che ha le sue radici nella Rivelazione di Cristo. Compare alle spalle di questo atteggiamento, anche la grande ombra di Kant, il quale affermava di aver dovuto distruggere la metafisica (cioè le illusorie pretese della filosofia) per salvare la fede.»
«Ma al posto di "democrazia" - prosegue Severino - si può anche mettere .... la parola "nazionalsocialismo" e si può sostituire "nord-americani" con "popolo tedesco". Dopotutto Heidegger scriveva: "Noi vogliamo che il nostro popolo compia per intero la sua missione storica. Noi vogliamo noi stessi. Così ha deciso la giovane e giovanissma forza del popolo." Heidegger è uno dei maestri della condanna dei "fondamenti" e delle "giustiuficazioni" della filosofia tradizionale.» (4)

Possiamo allora chiedere conto ai pragmatisti delle loro credenze? Se abbiamo a che fare con individui che non sentono di trovare altri fondamenti e si accontentano di quel poco che abbiamo visto, il dialogo è certamente problematico. Essi negano che si possano avere conoscenze che corrispondano alla natura delle cose. Eppure, non hanno difficoltà a riconoscere che "noi esistiamo", così come esiste la nostra fede e la nostra prassi. Il pragmatista, anzi, afferma di non avere bisogno d'altro che di prassi. Così come crede, con Nietzsche, che la filosofia sia "un travestimento della paura della morte" e quindi creda anche nella morte. Se ben si guarda, in fondo, non è così poco il fondamento del pragmatista! Ma la sua ostinazione a negare che ciò che insieme riconosciamo, esistenza e morte, non abbia a che vedere con la "corrispondenza alla natura delle cose" porta a diverse difficoltà che Severino non manca di evidenziare.
Anche il pragmatismo, infine, è una fede (in questo caso fede nella democrazia, nell'Apparato e nel divenire) e come tutte le fedi porta a considerare "folli" (e ciechi) quelli che non condividono la stessa persuasione. Se l'uomo sovietico giunse a considerare "pazzi" i dissidenti ed a chiuderli in manicomio, non diversamente, non tanto diversamente, procede l'uomo democratico nei confronti dei dissidenti verso la democrazia e l'Apparato. Il pragmatista è disposto a verificare se il resto degli abitanti del mondo globale è compatibile con la democrazia e l'Apparato, ma in cuor suo coltiva la convinzione della necessità di distruggere i totalitarismi e i totalitari, in altre parole, desidera annientare le differenze che possono ostacolare lo sviluppo della potenza dell'Apparato e quindi il conseguente sviluppo dei paradisi artificiali che l'Apparato e la democrazia rendono possibili.
Siamo, quindi, in regime dominato in realtà dalla tecnocrazia. «Anche per la democrazia accade cioè quello che accade per ogni ideologia: di doversi trasformare proprio nell'atto in cui le è concesso di realizzarsi senza limiti. Si trasforma anche il principio della volontà della maggioranza, perché esso ha senso in una situazione di scarsità di potenza dove non è consentita la realizzazione contemporanea degli scopi della maggioranza e della minoranza - realizzazione che invece diventa possibile quando la potenza dell'Apparato non è più sufficiente rispetto al volume totale degli scopi.» (5) Ciò che frena ancora il dispiegarsi della potenza della tecnica dell'Apparato è che esso non è ancora diventato un Calcolatore completamente autonomo. E' ancora il risultato di un'unione di macchine e individui dotati di particolari competenze, guidati da una comune fede nella scienza e nella tecnica, ma ancora divisi e frazionati, quando non in urto sull'interpretazione dei dati. Il controllo dell'Apparato è ancora una faccenda molto umana ed è realizzata da oligarchie di tipo economico-politico-intellettuale in competizione.

Gli obiettivi dell'Apparato sono il dominio del mondo. «Ma ancor prima, per dominare il mondo occorre la dominabilità del mondo, la sua flessibilità, che il mondo si lasci solcare come l'acqua dalla prua delle navi. Occorre anzi, prima di tutto, che si creda nell'esistenza della dominabilità e flessibilità del mondo, occorre la fede nell'esistenza del dominabile.
Il mondo è dominabile - prosegue Severino - perché è un divenire. E il pensiero greco ha inteso il divenire come l'ondeggiare delle cose tra l'essere e il nulla, il loro non essere definitivamente legate né all'essere né al nulla. Il loro non essere definitivamente legate né all'essere né al nulla, il loro sporgere dall'essere, provenendo dal nulla e il loro dissolversi nel nulla. Soltanto perché cose, forme aspetti, situazioni del mondo sono nel divenire, sciolte da ogni legame definitivo, ci si può proporre di impadronirsi di essi, controllarli, modoficarli, produrli, distruggerli - cioè dominarli. Il dominio di ciò che è sciolto dall'essere e dal niente è infinitamente superiore al dominio di ciò che ancora non appare così sciolto: il dominio richiede l'isolamento del dominato, e l'isolamento è estremo quando il dominato è sciolto dall'essere e dal niente.» (6)

Una delle pretese dell'Apparato consiste nel voler mettere a tacere una possibile filosofia dissidente, capace di intaccare i fondamenti del pensiero liberal-socialista-laico-parlamentare volto a giustificare l'assetto capitalista, o socialcapitalista del mondo occidentale. Per comprendere ciò, si tratta di intendere il ruolo svolto dalla filosofia stessa nell'intera storia dell'Occidente. In essa si lascia scorgere la cosiddetta "responsabilità del filosofo". «Essa consisteva, ad esempio, nel fare in modo che la filosofia non dicesse cose contrarie alla rivelazione cristiana e all'ordine sociale in cui quest'ultima era contenuta come elemento fondamentale. La responsabilità del filosofo consisteva nel rispettare il venerando principio dell'inviolabile "armonia tra fede e ragione"» (7) Questo è un principio venerabile anche attualmente. E' solo mutato il contenuto del principio alla quale la filosofia deve sottomettersi. Appunto il principio laico-scientifico-tecnico-parlamentare. La fede cristiana non ha rinunciato alla pretesa di dominare e orientare la filosofia, ma essa oggi è minoritaria. Il problema, poi, è che la filosofia è diventata arrendevole. Il richiamo alla "responsabilità del filosofo" sottintende frequentemente, se non sempre, che la filosofia debba rispondere ad un superiore tribunale morale che vuole costituirsi indipendentemente dalla filosofia stessa e che, in sostanza, non è altro dalle regole della democrazia anglo-americana. Ecco perché la democrazia sta vincendo la battaglia contro la filosofia. «Filosofo responsabile non è chi pensa alle "questioni ultime", ma chi si dà da fare per irrobustire le strutture concettuali della democrazia in cui vive. » (8)
Dietro all'ideologia democratica, tuttavia, si nasconde il vero tribunale che pretende di giudicare la filosofia, molto più potente di ogni religione e ideologia precedente. Esso è, appunto, l'Apparato della razionalità tecnico scientifica. Esso non è più uno strumento nelle mani dell'uomo e dell'umanità, ma è diventato Scopo Supremo. Ci illudiamo, se continuiamo a credere che scienza e tecnica siano "neutrali" e che la nostra dominante moralità possa ancora guidare e condizionare lo sviluppo. «Poiché rispetto a questo scopo, non possono restare indifferenti le fedi "ideologiche" che si illudono di servirsi dell'Apparato per realizzare i loro scopi "ideologici", e poiché è inevitabile che nella situazione di scarsità di potenza le fedi "ideologiche", per essere più potenti di quelle antagoniste, sacrifichino in misura sempre maggiore i propri scopi al potenziamento dell'Apparato che dovrebbe servire a realizzarli, ne viene che il tribunale ideologico dinanzi a cui si vuole portare la filosofia tende a dissolversi innanzi al tribunale dell'Apparato, la forma suprema della volontà di potenza oggi esistente.» (9)
Di fronte a questa nuova realtà, si dissolve anche la pretesa della filosofia di continuare ad esercitare, indipendentemente dalle teologie e dalle ideologie, un ruolo di orientamento primario. L'utopia di Platone, prima ancora di perdere senso e significato, è diventata definitivamente impraticabile, e forse lo era già nel momento in cui sorse. Per questo, il "filosofo responsabile", oggi, si trova di fronte a problemi inauditi, che deve tuttavia affrontare se vuol essere filosofo vero e non puntello di ideologie e dello stesso Apparato.
L'idea centrale della filosofia di Emanuele Severino è di riprendere da capo la contrapposizione di essere e divenire in modo da non negare in modo dogmatico, alla Parmenide, la realtà del divenire e allo stesso tempo di comprendere che, al di là del divenire inoppugnabile, non può esservi ente che esce dal nulla e nel nulla ritorna. In questa concezione greca del divenire consiste l'estrema follia dell'Occidente e la pretesa epistemica dell'Apparato è l'approdo ultimo della follia occidentale. La questione decisiva è se esista un'alternativa. Alternativa che non sia fuga nel mistico, e quindi rinuncia wittgeinsteiniana a dire, ovvero quel limitarsi ad un mostrare che non mostra mai abbastanza; e neppure si risolva in una fuga ad Oriente, inseguendo un tipo di filosofia che non riusciremo mai a capire, ad esempio il buddhismo. Destino dell'Occidente è superare i limiti del modo occidentale di pensare. «Se la responsabilità suprema della filosofia nel suo corso storico è stata quella di essere la sentinella dello spazio del divenire, alla filosofia futura compete una responsabilità essenzialmente più alta, radicalmente, abissalmente diversa. Al di là di ciò che le è toccato essere lungo la storia dell'Occidente, la filosofia futura mette in questione l'evidenza suprema dell'Occidente: mostra che tale "evidenza" è invece la fede indiscussa, la follia all'interno della quale lo "spirito critico" crede di discutere tutto.» (10)
(1) E.Severino - La filosofia futura - RCS Rizzoli 1989
(2) idem
(3) idem
(4) idem
(5) idem
(6) idem
(7) idem
(8) idem
(9) idem
(10) idem
DS - 20 febbraio 2007