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La filosofia di Emanuele Severino
L'isolamento
di Dario Smizer
Continuità. Tra il pensiero greco e la scienza moderna non vi è alcuna rottura paradigmatica rivoluzionaria. Galileo e Newton non sono contro Platone ed Aristotele, ma la prosecuzione di Platone ed Aristotele, e come si vedrà, anche di Parmenide. «Il tramonto della filosofia nella scienza è un'avventura della filosofia: non avviene lasciando alle proprie spalle la dimensione che la filosofia sin dal suo inizio ha portato alla luce: avviene all'interno di questa dimensione, all'interno cioè del senso greco dell'essente e del divenire.
Si tratta di comprendere che il tramonto della visione unitaria ed organica, che è proprio dell'epistéme, nella visione isolante e specialistica della scienza moderna è la conseguenza inevitabile del senso dell'essente e del divenire che è l'epistéme stessa a portare alla luce.» (1)
Se le cose escono dal niente, significa che ogni cosa non ha passato. Se ogni cosa finisce nel niente, significa che ogni cosa non ha futuro. Ciò vuol dire che ogni cosa non è unita ad altra da un legame necessario. Ogni parte del mondo sta in un legame del tutto accidentale con tutte le altre, con la totalità. Ogni cosa comincia ad esistere senza aver stretto alcun patto inviolabile con il già esistente. Ogni cosa è semplicemente giustapposta, isolata e separata dalle altre e dal contesto. «Se un laccio afferrasse ciò che ancora è niente e lo unisse in modo necessario a ciò che già esiste, l'ancor niente, così afferrato, sarebbe un essente - il niente sarebbe non niente. Se l'ancor niente avesse stretto un patto inviolabile col già esistente, ne verrebbe che l'ancor niente, in quanto vincolato dal patto, sarebbe daccapo un non niente. E daccapo il niente sarebbe un non niente, se l'ancor niente fosse guidato, nel suo camminino verso l'esistenza, da uno scopo qualsiasi.» (2)

Dunque, la cosa che esce dal niente è pensata dalla cultura occidentale come isolata e separata dalla realtà globale. Se così non fosse, il niente sarebbe un non niente, e questa è la contraddizione. Pertanto, affinché il niente sia niente, e tale rimanga, occorre che tramonti l'epistéme, occorre che la scienza si pensi congetturale e fallibile. Ciò porta la cultura occidentale stessa a negare l'esistenza di una qualsiasi unità indissolubile del molteplice. Viviamo in una realtà senza principio unificante.
La filosofia che si inchina alle affermazioni della scienza non può dunque che esibire una grave antinomia. Da un lato essa rimane fedele al senso greco dell'essente, e dall'altro nega la categoria dell'essente, perché tale categoria diventerebbe il principio unificatore delle differenze. Questa seconda tendenza porta però all'assurdo. Infatti, anche quando si vorrebbe che esistessero solo differenze, senza unità e senza identità del particolare, si verrebbe pur sempre a riconoscere l'esistenza di tale unità. Infatti, poichè vi siano differenze, occorre che ogni cosa abbia identità, ma anche esistenza. Ogni cosa sarebbe dunque identica ad un altra in un senso almeno: nell'essere differente. «L'isolamento delle differenza (cose, determinazioni), operato dalla cultura contemporanea, non può quindi essere assoluto, perché altrimenti essa non potrebbe nemmeno parlare delle differenze, delle determinazioni, delle cose - non potrebbe vedere quel loro tratto comune che è il loro essere, appunto, ognuna, una differenza.» (3)

La logica dell'isolamento, spinta ai suoi estremi, comporta l'inevitabile tramonto dell'epistéme che, solo per un'abbaglio del pensiero, viene interpretata come la fine della metafisica. «Se il senso greco del divenire richiede che le parti divenienti del mondo siano assolutamente isolate, l'isolamento di ciò intorno a cui si decide non è quindi, per chi ha fede in quel senso, qualcosa di arbitrariamente stabilito dal decidere, ma è la configurazione oggettiva del mondo, con la quale, dunque, l'isolamento presupposto dal decidere si trova in totale sincronia.
Inoltre, proprio perché ciò che esce dal niente non può avere alcuno scopo, l'agire è completamente libero di assegnargli qualsiasi scopo, lo può manipolare senza limiti, come avviene ad esempio nei progetti dell'ingegneria genetica e in generale nel progetto tecnologico di dominio di qualsiasi aspetto del mondo.» (4)

Anche se il sapere scientifico contemporaneo è restio a riconoscere la propria discendenza dal modo greco di pensare il divenire, la previsione scientifica è legittimata a sostituirsi alla previsione epistemica della metafisica. Infatti essa ha dimostrato di poter dominare il mondo. Ed è diventata il solo rimedio contro l'angoscioso incombere del divenire. A differenza dell'epistéme, non vanifica il divenire con la propria pretesa di assolutezza. Ora veste i panni del fallibilismo e della specializzazione. Specializzazione non vuol dire che si vuole e si deve evitare di indagare i rapporti che uniscono i campi. Tutt'altro. Sono in molti a sottolineare l'importanza dell'ideale dell'unificazione del sapere. Ma questa unificazione è intesa come processo che muove dalla moltiplicazione e dalla frammentazione settoriale. Unificare significa cercare di unire ciò che è stato scoperto separatamente. Allo stesso modo si è consapevoli che i cosiddetti problemi planetari sono un complesso unitario. Ma, secondo Severino, ciò non è dovuto alla consapevolezza che ogni questione è il risultato di un intreccio, ma solo alla capacità di ogni questione di imporsi, di farsi ascoltare separatamente. «Un fenomeno, questo, che cresce in modo direttamente proporzionale alla sempre maggiore adeguazione della vita umana ai criteri della razionalità scientifica. La vita stessa, adeguandosi alla scienza, sta diventando specializzazione. D'altra parte, la specializzazione scientifica rende radicale la specializzazione che compete alla vita in quanto tale - cioè in quanto è attività guidata da un sistema di decisioni.
La decisione più semplice - ad esempio la decisione di prendere in mano un oggetto - presuppone, in chi decide, la convinzione che l'oggetto della decisione sia isolato dal resto del mondo, cioè non sia unito al mondo da un legame indissolubile. Se il taglialegna e il pescatore fossero convinti che il "nesso immediato" che unisce l'albero e il pesce al globo terracqueo fosse indissolubile, essi non deciderebbero mai di di alzare la scure per abbattere l'albero o di gettare la rete per catturare il pesce.» (5)

E' certo che questo modo di pensare l'isolamento di ogni cosa appartiene al senso greco del divenire e dell'essente. E' perché sono isolate dall'essere e dal niente che le cose possono "trattenersi" provvisoriamente nell'essere. Severino riconosce che l'isolamento delle determinazioni dell'essere risale a Parmenide. Per il padre della filosofia le determinanzioni e le differenze sono niente, ovvero non essere. «Spesso si dice che Parmenide afferma la nientità delle determinazioni perché ignora la distinzione platonica tra il non essere, in quanto "contrario" dell'essere, e il non essere, in quanto "diverso" dall'essere. La determinazione è appunto un diverso dall'essere.
Tuttavia non si tratta di una semplice ignoranza: il pensiero di Parmenide non distingue i due sensi del non essere, perché isola le determinazioni dell'essere. Parmenide vede, che la determinazione non è l'essere (l'albero, la casa, la stella non sono l'essere). Ma isolate e separate dall'essere - concepito cioè l'essere come ciò che per essere e per essere significante non ha alcun bisogno delle determinazioni, viste nel loro differire dall'essere, devono essere concepite come l'assolutamente niente (sono cioè il non essere che è il "contrario" dell'essere): il loro assoluto isolamento dall'essere sbarra la strada che porterebbe a rilevare che, se esse non sono l'essere (puro, indifferenziato), esse non sono nemmeno un niente assoluto.
Si può dire che il pensiero che per primo si pone di fronte al bagliore dell'essere ne resta accecato e non vede più le differenze del mondo: ne vede l'irrilevanza assoluta rispetto alla pura luce dell'essere, cioè le vede isolate da essa e dunque identiche al niente.» (6)

Accade così che cercando un'assoluta coerenza nell'isolamento delle determinazioni dell'essere, Parmenide si trova impedito nel pensare che esse siano isolate oltre che dall'essere, anche dal niente. Le cose sono consegnate al niente perché trascinate nel niente che è le loro determinazioni. C'è quindi un legame tra Parmenide e la civiltà della tecnica. «L'isolamento in cui son poste le determinazioni delmondo dall'individualismo moderno e dalla specializzazione scientifico-tecnologica è conseguenza inevitabile del senso greco del divenire., cioè della convinzione che le determinazioni provengono dal niente. (Infatti non può esistere alcun legame indissolubile tra ciò che viene dal niente e il contesto già esistente in cui esso viene a trovarsi.)
Ma l'isolamento rispetto al già esistente, in cui si trova la determinazione che viene dal niente, è conseguenza inevitabile dell'isolamento della determinazione rispetto all'essere e al niente. E l'isolamento dell'essere risale al pensiero di Parmenide - e in questo pensiero è così radicale da escludere l'isolamento dal niente, consegnando definitivamente al niente la determinazione. L'isolamento dall'essere, che nel pensiero di Parmenide conduce all'affermazione che le cose, le determinazioni sono niente, rimane alla base dell'intera storia dell'Occidente e si manifesta nel modo più radicale nel dominio scientifico-tecnologico della terra e nell cività della tecnica.» (7)

Il conoscere scientifico, rinunciando all'epistéme, riesce a realizzare l'impresa tecnico-scientifica, che diventa la forma suprema del dominio del divenire. Poco importa della precarietà di questo dominio, poco importa che esso sia fondamentalmente illusorio. La scienza domina il mondo non perché sia la forma più alta del sapere, ma solo perché è più potente di tutti gli altri saperi. «La scienza stessa riconosce ormai che la natura potrebbe improvvisamente ribellarsi alle leggi a cui la scienza la vede sottoposta. E questo significa che non esiste alcuna implicazione necessaria e incontrovertibile tra la configurazione attuale della concettualità scientifica e la potenza che il suo uso consente di esercitare sulla realtà. Non esiste cioè alcuna garanzia assoluta che tale potenza sia dovuta al modo in cui la scienza costruisce i propri concetti e alla configurazione da essi assunti.» (8) La scienza funziona, che altro chiederle?
Funzionando, la scienza origina il gigantesco Apparato scientifico-tecnologico che è il mondo artificiale nel quale viviamo. Esso è il rimedio contro l'angoscia per il divenire. Il tipo di razionalità che guida il sistema sociale è lo stesso che agisce nella scienza. E' la razionalità spezzatino della specializzazione e che in ogni campo produce leggi ipotetiche. Ciò significa che siamo di fronte ad un'integrazione: la scienza e il sistema di condizioni che la rendono possibile producono l'Apparato. Ovviamente non mancano voci critiche nei confronti dell'Apparato, spesso si sottolinea il suo carattere eversivo nei confronti della libertà umana. Ma a queste obiezioni si risponde che l'umanità deve sviluppare una sua saggezza, rimanendo padrone dell'Apparato e non sua schiava. L'Apparato è visto in funzione del suo scopo primario: l'eliminazione del dolore e dell'infelicità. Ed è questo che lo "giustifica". Le "ideologie" sono sorte per il medesimo scopo, quindi sono solidali con la logica dell'Apparato. Non solo i totalitarismi, ma anche il liberalismo e il democraticismo. «Le ideologie ritengono di poter usare l'Apparato come mezzo per la realizzazione dei loro scopi. Non riescono a comprendere che all'opposto, qualora sussistano certe condizioni... [...] esse sono destinate ad adeguarsi a a subordinare i loro scopi alla realizzazione dello scopo che l'Apparato possiede di per sé stesso: l'aumento indefinito della sua potenza.» (9)

L'importante lavoro di Severino che ci è servito finora da riferimento essenziale è datato 1989. E' sorto in un momento storico di polarizzazione ideologica tra Est ed Ovest, tra comunismo e capitalismo, che oggi si è completamente dissolto. Ciò non toglie un grammo di validità al ragionamento severiniano, giacché egli aveva lucidamente visto il carattere comune a comunismo e capitalismo, cioè il loro essere solidali all'Apparato e condizionati dalla sua logica. Non è dunque un caso che l'Apparato sia sopravvissuto al crollo del muro di Berlino e che ora costituisca un enorme sistema che abbraccia il mondo globale. Pur viziato da una inesorabile logica di frazionamento, di nuovi domini che nascono ogni giorno e si aggiungono ai vecchi, l'Apparato ha una straordinaria capacità di perpetuarsi. Del resto, esso ha saputo sopravvivere alla divisione ed alla contrapposizione della guerra fredda. Ciò si spiega anche con il fatto che le istanze ideologiche sono state piegate a quelle dell'Apparato. Per l'Apparato non era in alcun modo razionale una guerra nucleare tra Occidente e comunismo. Per l'Apparato era illusorio che il comunismo potesse prevalere, data la sua intrinseca debolezza, la sua incapacità di illudere e persuadere circa il fatto di essere nati nel migliore dei mondi possibili.
Diversamente, il mondo globale può oggi dare più garanzie, e può offrire più ipotesi. Ovviamente, la scena è decisamente complicata dall'esistenza di un Sud del mondo, costante oggetto di rapina da parte dell'Apparato.
Ma il conflitto sull'asse Nord-Sud non è un conflitto ideologico e non oppone diverse visioni del mondo. Esso è unicamente un conflitto per il controllo dell'Apparato e per il diritto a consumare una parte sempre più ampia della sua produzione. In altre parole: anche il Sud del mondo è entrato potentemente in scena come pretendente al controllo dell'Apparato.

Severino ha parole sferzanti nei confronti dell'Apparato. Forse eccessive. Esso si propone incessantemente di incrementare la propria potenza. Nemmeno le più lapalissiane contraddizioni riescono a fermare la sua corsa. Anche di fronte al possibile collasso di un sistema energivoro esso non smarrisce la sua fede nella possibilità del dominio. Lo scopo del dominio è la realizzazione di un Paradiso artificiale nel quale eliminare definitivamente la conflittualità religiosa e ideologica e soddisfare i bisogni dell'intera umanità, sia "individuali" che "spirituali".
«Quando si tenta di gettare uno sguardo sul paradiso dell'Apparato, si deve innanzitutto evitare di attribuirgli i limiti che ancora oggi condizionano la configurazione della scienza e della tecnica.
Superata la conflittualità ideologica e l'impotenza che essa introduce nell'Apparato, non esistono motivi per escludere che l'Apparato possa non solo liberare l'uomo dai bisogni materiali ed allontanare sempre più l'incubo della morte, ma abbia anche la capacità di predisporre le condizioni che consentono all'uomo di raffinare la propria sensibilità per la tolleranza, la gentilezza, la bellezza, l'amore, la felicità e per ciò che da sempre sta al là di ogni orizzonte raggiunto e intravisto.
La "trascendenza" e la consapevolezza che ogni limite è provvisorio appartengono cioè all'essenza dell'Apparato,perché, in quanto volontà di accrescere indefinitamente la propria potenza, cioè la propria capacità di realizzare scopi, esso è volontà di portarsi sempre al di là dello stato di volta in volta raggiunto. La "trascendenza" dell'Apparato e la trascendenza "spirituale" o "ontologica" alla quale si rivolge il pensiero filosofico contemporaneo hanno la stessa anima.
La disumanità, l'aridità, l'ottusità della tecnica e la routine che essa produce sono un pericolo del presente, non del futuro paradiso scientifico, riguardano cioè una fase storica in cui certi gruppi umani possono sopravvivere e mantenere i loro privilegi a scapito di altri gruppi.
Lo stesso si dica della felicità che il Grande Inquisitore di Dostoevskij elargisce a una massa priva di libertà: l'Apparato può consentire anche la felicità difficile che scaturisce dalla libertà, perché la libertà appartiene all'essenza della volontà di potenza, di cui l'Apparato è l'incarnazione suprema. Il paradiso scientifico non è "unidimensionale" (l'unidimensionalità che, per Heidegger e Marcuse, è la caratteristica della civiltà della tecnica), ma può allargare continuamente il senso della felicità.» (10)

(1) E. Severino - La filosofia futura - RCS Rizzoli 1989
(2) idem
(3) idem
(4) idem
(5) idem
(6) idem
(7) idem
(8) idem
(9) idem
(10) idem