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La filosofia di Schopenhauer

Se è vero, come recita la voce esistenzialismo del nostro dizionario, che con tale termine si vuole significare un complesso di filosofie che hanno in comune l'analisi dell'esistenza e della condizione umana a partire dal singolo individuo, anche Schopenahuer fu un "anticipatore" dell'esistenzialismo, al pari di Kierkegaard, visto che la sua filosofia da un lato interpretava il mondo e la vita come un non-senso, ma dall'altra proponeva al singolo un tipo di esistenza in grado di riscattare il non-senso, attraverso l'arte, la vita morale e compassionevole, l'ascesi.

Cosa conviene al singolo individuo?
Al singolo conviene innanzi tutto capacitarsi del senso della sua esistenza. Che è una cosa facile e difficile allo stesso tempo. Facile, perché seguendo l'istintivo buon senso che tutti abbiamo, riusciamo prima o poi a orientarci nel caos del mondo, a trovare un "posto", a darci degli obiettivi e cercare di conseguirli.
Difficile, perché proprio trovando un "posto", inseguendo degli obiettivi e magari raggiungendoli, ci rendiamo poi conto che non era quello il "posto" desiderato, non erano quelli gli obiettivi, e che, insomma, l'esistenza procura più amarezze che gioie, più dolore che piacere. A patto che non si sia dei pervertiti, per cui, anche il dolore (specie quello degli altri) o ci lascia indifferenti, o ci procura persino piacere.
Posto che nella maggioranza dei casi non sia così, ecco che la vita nella sua verità, diviene un qualcosa da valutare con molta attenzione ed equilibrio. In fondo, non ha senso né l'ottimismo ( il martellante pensare "positivo" di questi ultimi anni che, tra l'altro, non ci ha fatto ridere una volta) e nemmeno il pessimismo della legge di Murphy, che però, quantomeno, ci ha strappato un sorriso perché, a cose fatte, la sfiga è pur sempre qualcosa che si può raccontare con umorismo.

Dato lo scenario del problema, si capisce facilmente che la filosofia di Schopenhauer ebbe un segno decisamente negativo e pessimistico, oltre che scettico.
Si trattava di un 'esistenzialismo' negativo, che tuttavia non rigettava la vita al punto da spingere al suicidio, del resto severamente criticato da Schopenhauer come illusoria via di fuga ed atto che lega ancor più alla catena della necessità universale.
Pur asserendo che la vita è una schifezza, dunque, egli criticò il suicidio, ed è questo il primo punto da capire. Schopenhauer non fu un maledetto da quattro soldi, non incitò a compiere "minchiate" autodistruttive, non fu un fallito rancoroso, od un cattivo maestro di nichilismo. Fu un filosofo occidentale profondamente influenzato da dottrine orientali concernenti la liberazione dalle catene della vita intesa, come nel buddismo, semplicemente come dolore e morte, quindi in modo piuttosto unilaterale e, persino grossolano. Tuttavia, proprio come nel buddhismo, anche la filosofia di Schopenhauer pervenne infine ad indicare una via che è pur sempre una vita, ed è una vita di castità e purezza morale non dissimile da quella dei cristiani più radicali e conseguenti.. Resterebbe solo da chiedersi se Schopenhauer rimase fedele all'ideale predicato nei suoi libri...

Le nostre possibilità di conoscere: il mondo come rappresentazione
Schopenhauer mosse, nella sua opera principale, Il mondo come volontà e rappresentazione, da una riflessione sui limiti della conoscenza umana orientata a recepire l'insegnamento di Kant, che considerava come il più grande filosofo occidentale di tutti i tempi, anche se poi si limitò ad accettare solo la prima edizione della Critica della ragion pura, interpretandola in modo arbitrario. Dichiarò subito l'impossibilità di andare oltre la conoscenza dei fenomeni e cogliere la cosa in sé. Quindi accettò quella difficile suddivisione tra mondo dei fenomeni fisici e quel qualcos'altro che è l'essenza delle cose, e che non tutti riescono a cogliere nemmeno come quel qualcos'altro.
La conoscenza umana è sempre solo conoscenza di fenomeni, che Schopenahuer, travisando Kant, definiva apparenze, e che in realtà portava a concepire il mondo stesso come una gigantesca illusione. Tutto il mondo, allora, non è altro che una mia rappresentazione. Detto in altri termini: la conoscenza del mondo è il risultato di come io, soggetto, recepisco e mi illudo di interpretare la realtà.
Seguendo Kant, anche nella terminologia, Schopenhauer volle provare a determinare le condizioni trascendentali della conoscenza delle apparenze, ma a differenza di Kant, non si limitò alle categorie del pensiero ed alle relazioni di spazio e di tempo. Introdusse infatti considerazioni di carattere fisiologico, occupandosi in particolare della sensibilità.
Sensibilità ed intelletto non sono due funzioni conoscitive distinte e distanti, l'una intuitiva e l'altra discorsiva.
Rifacendosi alla scuola francese di fisiologia, egli sottolineò che la sensibilità è una funzione dei nervi afferenti. L'intelletto è spiegabile mediante le funzioni dell'intera massa cerebrale. La conoscenza che produce, recependo le sensazioni afferenti, è di carattere intuitivo ed immediato, analogo al conoscere sensibile, al punto che Schopenhauer attribuì facoltà intellettive anche agli animali.
Tuttavia, sensibiltà ed intelletto, pur caratterizzandosi in senso fisiologico, secondo Schopenhauer, lavorano in base ai principi a priori dello spazio e del tempo, nonchè della causalità. L'intelletto, in particolare, riesce a collegare effetto e causa, risalendo ad essa in base ad intuizioni.
Vi è una facoltà conoscitiva che rende l'uomo superiore agli animali: la ragione. Con la ragione l'uomo dispone di una funzione in grado di formare "rappresentazioni di rappresentazioni", cioè concetti, e di impiegarli elasticamente in modo discorsivo, connettendoli o disgiungendoli.
In sostanza, Schopenhauer rifiutò di considerare la ragione come "facoltà delle idee", o persino come "facoltà dell'Assoluto", come abbozzato da Kant.
Preferì tornare indietro, soprattutto agli empiristi inglesi, in particolare a Locke, assegnando piuttosto alla ragione il compito di formare concetti e calcolare, funzionalità che secondo Kant, ed anche secondo Hegel, erano proprie dell'intelletto.
La ragione ha dunque una conoscenza della realtà riflessa e mediata. Essa si esprime nel principio di ragione sufficiente che rappresenta il fondamento logico di tutta la conoscenza scientifica.
Tale principio si può applicare rispetto a quattro situazioni:
1) come principium rationis sufficientis fiendi, cioè del divenire esso è alla base delle scienze naturali.
Sui modi diversi di questa forma di causalità si fonda la differenza tra la materia inorganica, la pianta e l'animale: il corpo inorganico è determinato nei suoi mutamenti da cause, la pianta da stimoli, l'animale da motivi.
2) come principium rationis sufficientis cognoscendi, cioè del conoscere, trova collocazione nell'ambito della conoscenza razionale delle forme logiche.
3) come principium rationis suffcientis essendi, si applica allo spazio ed al tempo, sta a fondamento della matematica ed a tutti gli enti geometrici.
4) come principium rationis sufficientis agendi,cioè delle cause dell'agire, sta a fondamento della psicologia e della morale.
Secondo l'Abbagnano, "Queste quattro forme del principio di causalità costituiscono quattro forme di necessità che dominano tutto il mondo della rappresentazione: la necessità logica secondo il principio della ratio cognoscendi; la necessità fisica secondo la legge della causalità; la necessità matematica secondo il principio della ratio essendi; e la necessità morale secondo la quale ogni uomo, come ogni animale, deve compiere l'azione suggerita dal motivo, quando questo motivo si è presentato.
Quest'ultima forma di necessità esclude evidentemente la libertà umana, che difatti non sussiste, secondo Schopenhauer." (1)

Limiti della ragione e potenza del "corpo", il corpo come volontà
Un elemento interessante della concezione gnoseologica di Schopenhauer riguarda le considerazioni sul linguaggio e la ragione. Mediante il linguaggio, e la sua componente più analitica, cioè la parola, nascono i concetti e quindi la ragione astratta può venire ricondotta alle condizioni sensibili dello spazio e del tempo. E' su questa base che la ragione stessa può produrre civiltà e sapere scientifico, le arti e i costumi morali. Tuttavia, proprio la ragione è la fonte di tutti gli errori, le illusioni, le menzogne e i dogmi che assillano l'umanità. Seguendo unicamente le vie della ragione, secondo Schopenhauer, com'era stato anche per Kant, e una volta accettate le regole della Ragion pura, non si può andare oltre il mondo dei fenomeni e delle apparenze.
Tuttavia, mentre per Kant questo è un punto di approdo finale, per Schopenhauer diviene una "sfida" a cercare di uscire da questo mondo delle "apparenze" ed anche delle illusioni, per arrivare ad un sapere più certo ed appagante..
Al di là del relativo recupero che egli compie di Platone, si tratta di comprendere come Schopenhauer, al contrario del grande filosofo dell'antichità, non proponga una via dello spirito contrapposta a quella dei fenomeni materiali, ma consigli di studiare e fare esperienza del proprio corpo. Infatti al pari di ogni esperienza sensibile, anche il nostro corpo può essere ridotto ad oggetto e fenomeno. Tuttavia, mentre ogni altro oggetto si esaurisce, per così dire, totalmente nella rappresentazione, noi sentiamo che il nostro corpo è una forza, un prolungamento della nostra volontà. Noi siamo volontà.
E' in questa dimensione della volontà, che, secondo Schopenhauer si può trovare un accesso alla dimensione metafisica.

La volontà come agire cieco e irrazionale
Schopenhauer identifica così la Volontà con la cosa in sé. Tutto il mondo è volontà.. Essa non è intesa come un desiderio razionale, ma come una forza cieca ed inconscia, priva di finalità, libera ed arbitraria, insaziabile volontà di vivere.
A differenza dei fenomeni, che sono nel tempo e nello spazio, caratterizzati dalla molteplicità, la Volontà è unica, sempre uguale a sé stessa.
Tuttavia, al fondo della Volontà, potrebbero esservi forze eterne, in particolare forze fisiche, che Schopenahuer definisce Idee seguendo Platone: forze come la gravitazione, la coesione, la fluidità, il magnetismo, l'elettricità, gli istinti vitali.
Tuttavia, le idee non sono la causa dei fenomeni, ne costituiscono solo il senso metafisico.
Contrariamente a quanto ipotizzato da Kant, tutto ciò che è animato e determinato dalla Volontà, non presenta alcuna finalità, non è l'espressione di una intelligenza, ma solo l'esplicarsi di un volere cieco e irrazionale.

Il pessimismo sul senso individuale dell'esistenza
Se è vero che tutto non ha senso, le strade sono due: o l'uomo cerca di dare un senso al mondo e cerca un senso profondo sia in sé stesso che nella società, oppure si arrende ad un pessimismo radicale.
Schopenhauer scelse questa strada, senza darsi la pena di esplorare la prima.
La sua analisi è comunque inesorabile: la vita può anche momentaneamente appagare, può soddisfare un fine od un bisogno, ma non appena questo accade, siamo presi dalla noia. La noia ci avvisa che la vita, quando viene meno la tensione e la spinta della Volontà pare esaurità dalla sazietà, diventa vacua ed insignificante.
Dunque la vita è solo un'oscillazione tra dolore e noia, mentre sullo sfondo incombe la morte, che altro non è che la disfatta finale.
Citando l'Ecclesiaste, non esita a dire che tanto più aumenta la consapevolezza di questo, tanto più aumenta il dolore.

Il pessimismo sociale e storico
Sarà pur vero, che la storia delle civiltà ci consegna un mondo più vivibile, ma bastano un po' di disordine e anarchia perché la natura umana si scateni e quindi si liberino gli istinti primordiali promossi dalla Volontà. Ecco la prepotenza, la violenza, il perseguimento senza scrupoli del proprio interesse, che finiscono col prevalere.
Anche la ragione si deve arrendere: esposta al vento della naturalezza delle pulsioni vitali, essa non si pone più l'obiettivo di instaurare il regno dei fini e della saggezza, ma si piega a fornire i mezzi per soddisfare gli istinti.
Nemmeno l'amore può qualcosa. L'individuo può illudersi di attingere piacere e felicità, ma in realtà egli si rende schiavo della passione, che non è altro che uno strumento della Volontà per perpetuarsi.
Viviamo dunque nel peggiore dei mondi possibili, dominati dalle potenze cieche della storia e della vanità degli uomini, nel regno delle illusioni e degli egoismi insensati.
Sicché, agli ottimismi illuministici e idealistici, Schopenhauer oppone un pessimismo cinico e beffardo.

Catarsi, liberazione?
Come affermato dalle dottrine orientali, dalle quali Schopenhauer fu profondamento influenzato attraverso la lettura delle Upanishad (2) e di classici del buddhismo, si può uscire dalla condizione umana attraverso una liberazione. Questa può realizzarsi a condizione che si prenda coscienza di vivere nell'illusione.
Occorre dunque uscire dall'ambito fenomenico e sottrarsi al dominio della Volontà.
Solo liberandoci dall'asservimento alla Volontà, diventiamo capaci di una contemplazione pura e disinteressata, la quale non è più l'atto di un soggetto individuale, ma porta colui che la attua ad entrare nei panni di un soggetto dotato di uno sguardo universale, capace di elevarsi sulla Volontà.
Tutto ciò va contro la normalità dell'esistere e la natura stessa dell'uomo. Per questo è un evento raro, di cui sono capaci solo i santi, gli illuminati, i geni artistici.
Proprio l'arte rappresenta la prima via verso la liberazione. L'artista, infatti, a differenza dell'individuo comune (e per certi aspetti anche del filosofo e dello scienziato) non è prigioniero di una visione ristretta, legata al principio di causalità ed alla logica dei bisogni da soddisfare, ma è capace di trascendere il tutto con il solo sguardo, superando le barriere dello spazio e del tempo e cogliendo parimenti l'Idea eterna. In tal modo, l'artista si spoglia della propria individualità, diventa coscienza impersonale e assoluta, "puro occhio" in grado di trascrivere questa visione d'eccellenza nell'opera d'arte.
Per Schopenhauer, ogni arte corrisponde ad una determinata Idea universale, ma egli ritenne di dover attribuire una qualità speciale alla musica, perché il musicista non deve passare attraverso le resistenze dei materiali ed il travaglio della mimesi e dell'espressione. Essendo un'essenza temporale che esclude del tutto lo spazio, essa è interiorità pura, al punto che non esprime oggettivazioni della Volontà, ma la sua stessa essenza. E' metafisica in suoni.

La moralità
Tuttavia, secondo Schopenhauer, l'arte non produce una vera liberazione, ma solo un disincanto di breve durata nei confronti del mondo inteso come Volontà. Dopo la creazione artistica, l'individuo ricade nel mondo della rappresentazione e del dolore.
Se l'uomo desidera un'autentica liberazione, può allora trovare un'opportunità fondamentale nella moralità. Di fatto, Schopenhauer concordò con Kant nel concepire l'agire morale come quel tipo di azioni che non hanno altro fine o interesse. Anche la felicità è esclusa, nel senso che chi agisce bene comunque non trova la felicità e nemmeno diventa degno di essere felice, come postulato da Kant. Tuttavia, Schopenhauer non concordò con Kant sul ruolo della ragione nella morale. Per Schopenhauer la ragione rimase un produttore di calcoli e convenienze, cioè un mero produttore di imperativi ipotetici volti al soddisfacimento del proprio egoismo. Contestò, inoltre, come s'è già visto, una qualsiasi libertà del volere.
Pertanto, ciò che muove all'azione generosa ed altruista, può trovare origine solo nel sentimento.
Tale sentimento è Mitleid, la compassione.
E' dalla compassione che derivano due virtù cardinali: la giustizia e la carità. La giustizia è, secondo Schopenhauer, una virtù del tutto negativa, che consiste solo nell'impedire l'egoismo e quindi nel non danneggiare il prossimo. La carità è al contrario una virtù positiva, perché induce a trattare gli altri come sé stessi.
La moralità diviene quindi per Schopenhauer, come del resto lo fu nel buddismo, una religiosità senza Dio, dettata solo dal sentimento di compassione per la sofferenza ed il dolore degli uomini.

L'ascesi
Anche la moralità vissuta come compassione non rappresenta tuttavia che un passo ulteriore verso la liberazione. Un successo definitivo contro la Volontà può infatti essere conseguito nella negazione totale della vita e della Volontà di vita. Occorre un salto, una rottura decisa con la Volontà. Esso trova realizzazione nella rinuncia totale, che Schopenhauer chiama noluntas.
La noluntas, sebbene non automaticamente, porta all'ascesi, ovvero all'astinenza ed all'abnegazione, pratiche che disinnescano i desideri e le passioni, le voglie di possesso.
Tra le forme di rinuncia, Schopenhauer attribuì valore decisivo alla castità, cioè all'astinenza sessuale in quanto è proprio la sessualità il più potente dei legami alla catena della vita e della Volontà.
Pur richiamandosi a fonti del misticismo occidentale cristiano, Schopenhauer rimase un mistico senza Dio, la cui fondamentale aspirazione non era l'unione con il "pieno" della divinità, ma con il "vuoto" del Nirvana, il nulla ed il vuoto della tradizione buddhista.
Cessato il dolore della vita, dopo la morte si raggiunge, anche per Schopenhauer, uno stato di luce e serenità perfetta, ed il sommo piacere sta nell'essere completamente slegati e dissolti dalle catene della Volontà.


note:
(1) Nicola Abbagnano - Storia della filosofia - vol. V - TEA 2002
(2) Upanishad - Raccolta di testi indiani presumibilmente composti tra il 700 ed il 300 d.C. Letteralmente il termine significa "sedere vicino" e fa riferimento al rapporto tra "maestro" ed allievo, caratterizzato però da un vivo dialogo ed un tipo di insegnamento trasmesso da "bocca" ad "orecchio", quindi essenzialmente orale. Gli scritti erano quindi occasione e stimolo per l'insegnamento.

moses - 2 febbraio 2005