Lo scetticismo
di Daniele Lo Giudice
Per una singolare distorsione ottico-temporale
nelle storie della filosofia antica si è
soliti collocare il capitolo sullo scetticismo
dopo stoici ed epicurei, quando invece esso
iniziò la sua avventura certamente molto
prima. Il primo scettico fu Pirrone, nato intorno al 365 a.C. a Elide, dove
con molta probabilità fu allievo di Fedone, il socratico protagonista dell'omonimo
dialogo composto da Platone.
Di Pirrone si sa che partecipò alla spedizione
di Alessandro Magno e che tornò in patria
solo alla morte di Alessandro nel 323 a.C.
Non lasciò scritti, ma esercitò una certa
influenza su Timone di Fliunte (che alcuni chiamano Timone di Atene) che
mise sulla carta le sue dottrine.
Bastano le date per capire dunque che lo
scetticismo cominciò almeno una quindicina
d'anni prima di Epicuro e degli stoici.
Residuo dell'insegnamento socratico è certamente
la skepsi, cioè la ricerca intorno alla realtà muovendo
dal sapere di non sapere. Mentre, Socrate, tuttavia, poco alla volta,
almeno secondo la testimonianza di Platone,
arrivò a delle affermazioni impegnative,
Pirrone cominciò a credere che sia i sensi
che la ragione ci ingannano soltanto. "Di
nessuna cosa - sembra abbia detto - si può
dire che stia così piuttosta che non così."
Pertanto, l'unico atteggiamento possibile,
secondo Pirrone, starebbe nell'astenersi
dal coltivare ogni forma di opinione, dottrina
dell'adoxìa, nella rinuncia a parlare, dottrina dell'aphasìa, e nella sospensione di ogni giudizio, dottrina
dell'epochè.
Secondo Pirrone non vi sono cose belle e
cose brutte per natura. Nega che vi sia il falso od il vero, sempre
per natura. Il giudizio deriva dalla convenzione
e dal costume. Persino giustizia ed ingiustizia
sono inafferrabili, perchè noi giudichiamo
in base a convenzione quello che sarebbe
un retto comportamento. Per certi aspetti
sembra di riascoltare dei sofisti redivivi.
Si raccontava che Pirrone andasse in giro
senza guardare dove metteva i piedi e senza
scansare le persone o gli ostacoli, e persino
i precipizi. Dimostrava così di non fidarsi
dei sensi, nemmeno della vista.
Può darsi che questo ritratto dovuto a Diogene
Laerzio sia una specie di caricatura, ma
in questo caso ha il merito di evidenziare
tutte le contraddizioni cui andrebbe incontro
lo scetticismo più radicale: perchè eviti
quello stipite se pensi che i sensi ingannino?
E perchè eviti di farti male, se pensi che
il dolore ed il male siano una convenzione?
Timone di Fliunte ribadì e precisò la dottrina
del maestro asserendo che per essere felici
ed avere padronanza e certezze sul mondo
bisognerebbe conoscere la natura delle cose,
sapere quale atteggiamento assumere di fronte
ad esse ed infine conoscere le conseguenze
dell'atteggiamento assunto.
Il tutto è impossibile. Non abbiamo alcuna
capacità di discernimento e le cose sono
in realtà del tutto indifferenti quanto a
qualità.
L'impressione che questa negazione di tutte
le vie ed i mezzi che conducono alla conoscenza di qualcosa porti ad un punto morto è certamente legittima.
Tuttavia, lo scetticismo fece scuola "trasversale"
influendo su molte filosofie della tarda
antichità, come vedremo in altri capitoli.
E in epoca moderna fu toccato in parte dallo
scetticismo Descartes (il dubbio radicale),
mentre non si può non vedere come la filosofia
di Berkeley fosse in realtà uno scetticismo
nei confronti della ragione e dei sensi.
Se il più famoso scettico moderno fu certamente
Hume, tracce di atteggiamento scettico si
ritroveranno in Kant, in particolare nel
capitolo L'antinomia della ragion pura contenuto nella Critica.
Uno scetticismo molto più esplicito rivivrà
in pensatori kantiani come G.E. Schulze,
autore dell'Aenesidemus.
Anche Hegel ebbe alta considerazione del
pensiero scettico perchè lo intepretò come
un momento in cui lo spirito vacilla di fronte
alla insostenibilità del "finito".
Il "finito" infatti, finchè si
considera come non problematico, impedisce
di scorgere quell'infinito nel quale è contenuto
e dal quale è sorretto.
Per questo, secondo Hegel, lo scetticismo
è il primo grado del retto filosofare, e
rappresenta per la filosofia un punto di
passaggio obbligato, pur considerando che
dovrà essere superato.
Sarà con Nietzsche che troveremo pienamente
dispiegato lo spirito scettico, che non si
limita più a mettere in dubbio, ma decisamente
nega la possibilità di trovare la verità.
E' laddove lo scetticismo si muta in nichilismo. Esso si contrappone alla metafisica che
fino ad allora aveva determinato l'interpretazione
della realtà.
"Dio - la nostra bugia durata più a
lungo - è morto." E la filosofia, secondo
Nietzsche, dovrà tenersi lontana da presupposti
come "l'ipotesi di Dio" che non
hanno e non possono avere alcun fondamento.
Una bella sfida per chi, come me, non è mai
stato scettico nemmeno per un istante.
DLG - 29 novembre 2003