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Relativismo etico? Ma va là!
di Guido Marenco

Finalmente qualcuno è riuscito a leggere per intero le mie recensioni-pizza a Nozick e a Jervis, trovandole stimolanti, ma anche molto discutibili. L'argomento della complicazione inutile usato contro Nozick non è parso convincente in quanto non siamo noi a complicarci la vita con ragionamenti al limite dell'assurdo, ma è la vita stessa a porci continuamente di fronte ad assurdità. Ne viene un invito a leggere Camus e pensarci su. Rifiutare le complicazioni, giudicandole 'inutili', può portare ad una pigrizia mentale deleteria. L'atteggiamento giusto sta nell'affrontarle, e non nel modo di Alessandro Magno, che tagliò il nodo di Gordio con la spada invece che con l'analisi del linguaggio.
Quanto alla critica del relativismo, siamo alle solite: solo il relativismo ci consente un atteggiamento antidogmatico. Altrimenti finiamo nuovamente tra le braccia del principio di autorità. Secondo il quale, una tesi filosofica non ha una validità in sé, non si regge su alcuna realtàdel mondo e può sostenersi solo ricorrendo ad una autorità del pensiero, sia essa Kant o Aristotele, Hegel o Marx, Popper o perfino la scienza. Ciò non renderebbe la filosofia molto diversa da una teologia fondata sull'autorità delle scritture.
Neppure ci sono 'evidenze' a cui appellarsi da quando è finita la geometria euclidea. Una geometria vale l'altra. Rifiutare il relativismo significa, in altre parole, consegnarsi solo a propri presunti 'pensieri forti', che in realtà sono fragili come la scienza su palafitte di Popper e i postulati di Euclide. Fallibilismo e antirelativismo sono incompatibili e incommensurabili. Bisogna scegliere.
L'autore di questa bella serie di pensieri si chiama William Devoto e ci fa sapere che si è laureato in filosofia con una tesi su Wittgenstein. Non ho capito bene perché, ma non mi autorizza a pubblicare la sua mail, ma solo a citarla nei suoi punti essenziali. Se è perché gli argomenti che affronta sono solo abbozzati, non mi resta che invitarlo a svilupparli. Magari tenendo conto delle obiezioni che mi sono venute piuttosto spontanee.

In primo luogo, vorrei osservare che non mi considero un antirelativista dogmatico. Ho sempre sostenuto che siamo stati tutti relativisti in qualche circostanza e non ha mai preteso di essere depositario della coscienza assoluta in senso hegeliano. Se essere relativisti significasse saggiare ogni questione, ogni sostanza, ogni relazione, sotto tutti gli aspetti possibili, sarei anch'io un relativista. Ma non è così, il relativismo non è una forma di saggismo esasperato capace di definire tutte le posizioni dello spirito, ma la supina accettazione che è tutto vero (tranne che l'antirelativismo) e pertanto tutto è falso (tranne che il relativismo). E' una rinuncia a pensare la soluzione migliore. E' la tesi che non ci sono punti di vista privilegiati o superiori, ma che tutto fa brodo. E' la tesi che una verità vale quanto una menzogna e che a volte le menzogne servono alla causa della verità tanto quella della verità alimenta il forno della menzogna. Relativismo è ammettere che è indifferente seguire un demagogo anziché un saggio pessimista. E che forse, nel seguire un demagogo, noi risvegliamo l'eroe che sonnecchia in noi, il superoltreuomo che sprezza i caloriferi e le coperte di lana, i comodi giacigli e le compagnia di persone amichevoli e divertenti, e preferisce il freddo, gli uragani, la compagnia di fetenti e le carestie al tepore, al bel tempo e all'abbondanza.

Sono, d'accordo con Jervis, contro il relativismo etico, cioè un permissivismo illimitato e una comprensione-tolleranza infinita, in nome di quelle che considero le regole fondamentali della convivenza sociale e civile. Sono contro Pera, che è una specie di dott. Pangloss del tutto va ben della società occidentale, che il filosofo azzurro considera il migliore dei mondi possibili, quando è solo il migliore dei mondi finora realizzati, ma sul suo futuro non scommetterei un cent, perché non è compatibile con gli equilibri ecologici e scricchiola ogni qualvolta si pensi davvero a che significa dignità dell'individuo umano e diritto ad una vita decente. Do ragione a chiunque critichi il panglossismo di Pera, persino un relativista, ma il vero nemico di Pera sono io, cioè quelli che la pensano come me. Un relativista può solo fargli solletico.

E' la società stessa, a stragrande maggioranza, che considera intollerabili alcune pratiche. Una di esse è la pedofilia. Non si tratta di essere cattolici o laici o peristi, per deprecare la pedofilia. Essa ripugna immediatamente la media delle persone normali, benché molte di esse ricordino perfettamente di aver coltivato nella loro preadolescenza il desiderio di avere rapporti intimi con qualche adulto. Non c'è bambino che non abbia desiderato, come Pinocchio, una fata coi capelli turchini. La questione della pedofilia non sta qui, cioè nei desideri infantili. Sta nei desideri degli adulti, e nella loro degenerazione totale. Essa si può spiegare con l'estrema difficoltà di avere normali e appaganti relazioni sessuali con persone adulte, ma certamente non si può giustificare perché non rispetta la persona, il diritto individuale ad esistere. La pedofilia che tutti aborriamo è il commercio del corpo infantile al quale è stato sottratto ogni dignità ed è trattato unicamente come cosa, non diversamente da una bambola gonfiabile. E' un abominio perché è essenzialmente sadico e violento. E può essere sadico e violento anche solo psicologicamente, anche quando non avviene attraverso una costrizione ma una seduzione. E' un abominio che ha i suoi antecedenti naturali e storici, mitici, e che è stato genialmente raccontato da Luchino Visconti in quel grandissimo film che fu La caduta degli dei. Ma non è questa la sede che ci consenta di indagare come e perché la mia sofferenza di bambino sia il suo piacere di adulto. Posso solo dire che la componente sadica, a mio avviso, recita un ruolo di primordine in ogni forma di pedofilia.
Quando ero ingenuo romantico votato a liberare l'umanità dai suoi fatali errori, ero anche convinto che si potessero giustificare le degenerazioni con spiegazioni sociali e storiche. E che quindi gli esseri umani non si potessero ricondizionare con pratiche comportamentiste da rivoluzione culturale cinese, ma si potessero convertire, portandoli a consapevolezza. Oggi ho qualche dubbio. Ho perso troppe volte la partita contro l'ottusa testardaggine della visioni limitate e delle mentalità ristrette per nutrire qualcosa di più di una semplice speranza. Ma speranze di questo genere e relativismo etico non sono affatto compatibili. Per nutrire una speranza bisogna che sia possibile un mondo con un'etica migliore di quella attuale, quindi un mondo più uniforme e noioso, non voglio negarlo, noioso e uniforme fino alla nausea, perché non ci sarebbe più nulla di sensazionale da raccontare, se non la scoperta scientifica o filosofica, posto che lo sguardo filosofico sia ancora in grado di scoprire qualcosa. Con buona pace per le lucciole di Pasolini e la struggente nostalgia per la loro scomparsa. Difendere la diversità biologica non può voler dire difendere la diversità etica, cioè ammettere che vi siano contesti sociali o comunitari in cui il diritto dell'individuo è calpestato.
Ovviamente, un tale mondo non esisterà mai. Ma le persone che hanno un giusto orientamento, lo vogliono, e questo è del tutto razionale ed anche decisamente antirelativista. Lo vogliono, e ben sapendo che è impossibile, lo predicano, lo auspicano, lo spiegano.

Su questo piano, le posizioni che Nozick difende urtano frontalmente contro ciò che la società, la deprecabile maggioranza con i suoi pregiudizi e il suo senso etico puzzolente e marcio, radicato nelle religioni più che in un senso morale autonomo, sostiene. Ho detto 'puzzolente e marcio' e me ne assumo la responsabilità. E' intriso di ipocrisia e perbenismo. Sono il primo a denunciarlo, a volerlo smascherare, a indicarlo come falsa coscienza. E tuttavia, sono anche il primo a difendere questa falsa coscienza come l'ultima trincea della moralità contro un mondo di barbarie quale quello dell'individualismo più spregiudicato, del diritto del più forte e del più furbo (leggi del più ricco o del più ladro) a fare quello che gli pare trattando gli esseri umani come oggetti e come funzioni robotiche. Magari inventandosi dei sofismi alla Nozick.
In cosa sta la falsa coscienza? Nel fatto che ciò che è denunciato e condannato come abominevole e ripugnante, in realtà è spesso invidiato e anelato. Per carità, non intendo la pedofilia, intendo il modo di vivere e pensare che consente persino la pedofilia, cioè l'ammirazione che si annida in molti nei confronti del mondo dei 'famosi', degli arrivati, di quelli che volatilizzano centomila euro in una notte brava, che si fanno di coca e poi non hanno limiti e cercano esperienze 'estreme'. E' qui che va cercata la 'breccia' che introduce al permissivismo illimitato, a quella totale scomparsa del senso morale che i relativisti etici rifiutano di vedere, e quindi di considerare come un pericolo reale.

Contesto, inoltre, che la tolleranza sia una virtù esclusiva dei relativisti etici. A volte, mi viene di pensare il contrario. Da come si accaniscono contro le posizioni che chiamano dogmatiche, sia quelle realmente dogmatiche, sia quelle che non lo sono, i relativisti etici sembrano specializzati nel fabbricarsi un bamboccio vodoo e pungerlo con gli spilloni. Ecco il Papa, e fatti tutti i distinguo, ecco anche Jervis, ecco quel deficiente di Marenco che ancora s'illude di insegnare a laici e atei che noi chiamiamo Dio ciò che è ragione e che chiamiamo diavolo ciò si oppone ad essa, e che poi si permette di insinuare che laddove Dio parla con gli argomenti dell'irrazionale è solo il diavolo travestito.
E' particolarmente fastidioso che questo tipo di pensiero si sia infiltrato nella sinistra laica e post-comunista. Ed è ancora più fastidioso constatare che ci si trovi del tutto a suo agio, non incontri particolari resistenze; anzi sia il benvenuto, costituendo una specie di estrema illuminazione. Caro Devoto, io non ci sto, discutiamone pure...ma io considero il relativismo etico una forma di castrazione, cioè una rinuncia a pensare. Dalle mie parti si dice: tagliarsi i coglioni per fare un dispetto alla moglie.
gm - 7 settembre 2006