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Disastro Russia
4: l'ora di Putin
di Guido Marenco
Proprio nel pieno della crisi, le elezioni erano alle porte. Washington fece pressioni per non rinviarle. Era troppo importante salvare almeno le apparenze della democrazia.
Eltsin doveva trovare un successore in grado di garantirgli l'impunità, capace quindi di proteggerlo da eventuali procedimenti giudiziari dopo le elezioni presidenziali. Fu Boris Berezovskij, l'oligarca, a scegliere Vladimir Putin, direttore del Servizo di sicurezza nazionale ed ex-ufficiale del KGB.
Di Putin si può (e credo si debba) dire peste e corna per la sua politica nei confronti della questione cecena, ma è indubbio che sotto la sua direzione si è verificato un certo sforzo per il ritorno alla legalità istituzionale, che è poi la condizione indispensabile perché la Russia diventi un paese tranquillo e sicuro.
Tutto questo non significa che Berezovskij si sia sbagliato sul suo conto. Per arrivare al braccio di ferro attuale tra magistratura e dirigenti della Yukos sul problema delle tasse sono occorsi cinque anni, durante i quali la Russia si è parzialmente ripresa con ritmi di crescita spesso vicini al 6% annuo, ma non è ancora riuscita a superare i livelli produttivi del 1990. E' la svalutazione che ha aiutato la ripresa, dimostrando che non aveva alcun senso tenere forzosamente il rublo su valori elevati. Ciò ha favorito anche la ripresa delle esportazioni, ma ha soprattutto spinto la concorrenza interna a riprendersi quote di mercato altrimenti preda delle multinazionali americane e giapponesi.
Nel frattempo, gli oligarchi hanno continuato a prosperare quasi indisturbati, anche se il loro spazio di manovra si è progressivamante ridotto. Alcuni sono finiti in galera, perché avevano davvero esagerato. Altri, come Berezovskij, non possono andare liberamente a spasso per il mondo perché sulle loro teste incombe qualche procedimento penale.
Tutto sommato, Putin ha rispettato i patti con il suo mentore, nei quali era previsto un ritorno graduale alla legalità con margini di impunità per Eltsin e sé stesso. Putin non ha compiuto gesti clamorosi od ordinato l'apertura di inchieste. Semplicemente, passo dopo passo, ha eroso le posizioni di potere dell'oligarchia, strappandole, per esempio, il controllo delle emittenti televisive. E' stato molto abile a costruirsi un entourage di personaggi fedeli, detti silovki, provenienti dai settori forti dell'apparato (difesa, interni, servizi di sicurezza).
Poi ha consentito a che, lentamente, la magistratura entrasse in possesso dell'autonomia.
Per tutto un periodo si è preoccupato di assestare la propria posizione, dicendo ai russi quello che si aspettavano da troppo tempo.
Quando Shamil Basayev, leader dell'ala estremista della guerriglia cecena, invase il Dagestan, rispose come voleva la maggioranza dei russi. Lanciò un ultimatum e disse che entro il 25 agosto del 1999 il territorio sarebbe stato ripulito dai terroristi. E così fu... Di mezzo ci sono però 300.000 profughi (su un totale di un milione di abitanti dell'ex repubblica sovietica), almeno 13.500 combattenti indipendentisti massacrati e più di 6.000 giovanissimi soldati russi morti per la ricchezza di pochi e la miseria di molti. Tra i civili ceceni le vittime non si contano.
E' una guerra sporca, più sporca ancora di tante altre perché molto più complicata di quanto appaia.
Berezovskij ha raccontato a Soros che furono gli oligarchi a finanziare Basayev. E Soros lo ha riportato nel suo libro.
Se ci crediamo, ne viene che la guerriglia cecena è stata foraggiata da circoli finanziari-criminali interni alla Russia per destabilizzare il paese, creare artificiosamente un clima di emergenza e ritardare lo sviluppo democratico.
Osservando la mappa delle organizzazioni della guerriglia, è difficile distinguere veri patrioti da bande di briganti dedite al saccheggio di russi e ceceni.
Le esplosioni che devastarono Mosca ancor più della crisi finanziaria, furono allora indirettamente provocate da alcuni settori dell'oligarchia, patrocinatrice dell'illegalità all'ombra di uno stato solo apparentemente più forte, in realtà sempre sull'orlo di una crisi di impotenza. La condizione dei giudici che indagano sulle connessioni tra settori dello stato e oligarchia non è molto diversa da quella dei giudici siciliani che indagano sulla mafia. Solo che in Russia la violenza e l'intimidazione sono ancora più capillari e gli stessi apparati dello stato sono più inquinati da elementi corrotti.
Poco importa che gli autori materiali degli attentati fossero ceceni appartenenti all'integralismo islamico, persino collegati alla rete di Al-Qaeda (che è la tesi più volte sostenuta da Putin). Dietro al fenomeno terroristico balenano interessi economici e ideologici stranamente ma non casualmente convergenti. Da un lato i circoli finanziari mafiosi continuano a manovrare per ritardare la trasformazione democratica della Russia e delle repubbliche dell'ex-Unione Sovietica. Dall'altro i fondamentalisti detestano la democrazia e combattono in ogni modo l'emancipazione con argomenti che vanno dal Corano ai classici del nazionalsocialismo. Al Qutb, il teologo-filosofo egiziano che nel corso del Novecento ha elaborato i tratti fondamentali dell'integralismo, ha fatto di tutto per dare un fondamento coranico autonomo all'ideologia islamista, ma dalle sue stesse parole trapela l'origine nazista dell'ideologia. Un antisemitismo così bestiale non ha altre spiegazioni.
Di fronte a ciò, non è difficile comprendere come la lotta al terrorismo stragista non possa in alcun modo essere slegata da quella per ridimensionare il potere della casta di farabutti che detiene il 50% della ricchezza nazionale.
Certo: a questo punto è più che legittimo chiedersi chi sia veramente Putin e cosa abbia in testa.
Il suo comportamento durante la crisi iraqena, per quanto possa risultare conveniente alla causa della pace e di un diverso ordine internazionale, non va assolutizzato.
La Russia ha un conto aperto con gli Stati Uniti e Putin non è uomo da lasciar correre le umiliazioni subite, dalle accuse di dumping per l'alluminio alla questione dell'uranio arricchito che doveva essere rilevato da imprese americane ed invece no, fino all'insensato protezionismo della produzione siderurgica.
L'opposizione alla strategia, del resto fallimentare, di Bush e Rumsfield non dipendeva solo da una più razionale visione delle cose; si alimentava anche di un comprensibile risentimento verso "questi" americani che sul libero commercio predicano bene e poi razzolano malissimo.
Non c'è russo che veda di buon occhio l'eccessiva potenza americana e la disivoltura con cui cambiano le carte in tavola. Tutti, o quasi, sono convinti di una particolare versione della storia, secondo la quale gli Stati Uniti sono fondamentalmente responsabili di tutte le restrizioni subite. Non era l'Unione Sovietica ad avere una politica aggressiva; essa si è armata solo per difendersi, e sono state le spese per gli armamenti a condizionare negativamente il corso economico.
Anche tra i dissidenti queste convinzioni sono diffuse, sia pure con sfumature più sottili. A ciò si aggiunge l'idea che anche le disgrazie del post-comunismo siano in parte da imputare ancora agli americani.
Ecco perché la politica di Putin incontra consensi così vasti. Zjuganov ed altri possono protestare, parlare di elezioni truccate, di brogli, ma la realtà è che la maggioranza dei russi vede in questo piccolo padre uno di loro che si è fatto strada, che ha polso ed una strategia vincente.
Tutto questo ha consentito a Putin di concordare con Chirac e Schroeder.
A Mosca come a Parigi ed a Berlino ci si chiese cos'era più giusto fare rispetto all'Irak e la risposta fu univoca. L'attacco avrebbe complicato ulteriormente i problemi anziché risolverli. Ed ora, come previsto, i problemi sono davvero terribilmente più complicati. I paesi arabi moderati sono sottoposti a pressioni inimmaginabili. La Russia è esposta come non mai ad attacchi devastanti, che non possono non lasciare il segno. Ed anche l'Occidente europeo non può più dormire sonni tranquilli.
I problemi che Putin deve affrontare sono enormi e complessi. Si è proposto di raddoppiare il tasso di crescita e può trarre qualche giovamento dalla risalita del prezzo del greggio ma, la strada di un maggiore benessere equamente distribuito tra tutti i russi è ancora lunga.
L'atteggiamento fermo sul problerma dell'evasione fiscale delle compagnie dimostra che l'intento principale è ora quello della legalità.
Si tratta del primo, indispensabile passo per strappare il controllo dell'economia dalle mani dei farabutti che la controllano. E questo è il nocciolo individuato anche in uno studio del Centro di ricerche londinese Russian Axis. «A dare via libera alla campagna politica dovrebbe essere un rapporto speciale della Corte dei Conti della Russia, attualmente all'esame di Putin, nella quale è stato analizzato l'impatto economico negativo delle privatizzazioni di massa degli anni '90, e in particolar modo le conseguenze delle operazioni finanziarie chiamate "crediti per azioni", nell'ambito delle quali gli attuali miliradari ottennero da Eltsin, per un terzo del valore reale, il controllo dell'industria del petrolio, delle fabbriche metallurgiche e di alcuni altri settori startegici.» (Vladimir Saphonikov - I cento Paperoni del Far West Russia - Il Sole 24 Ore di domenica 11 luglio 2004)
Ma, a fronte di questi sviluppi, sconcerta non poco che i commentatori economici dell'Occidente, che sono poi anche politici, reagiscano deplorando una sorta di involuzione della politica russa. Un esempio: Piero Sinatti nell'articolo La Russia inquieta ( Il Sole 24 Ore dell'11 luglio 2004) scriveva: «Da tutto questo emerge un'assenza di certezze, un'indeterminatezza di guida che comincia ad incrinare l'immagine di Putin quale leader riformatore autorevole, decisionista. Non giova ai suoi obiettivi di crescita e modernizzazione.»
Giudizi di questo genere fanno il paio con le pesanti considerazioni dell'amministrazione Bush. Il consigliere per la sicurezza nazionale Condoleeza Rice ha criticato aspramente la linea del Cremlino in una conversazione telefonica con il capo dell'Amministrazione presidenziale russa Dimitri Medvedev. " Il modo in cui le autorità russe stanno gestendo il caso di Yukos - ha dichiarato il portavoce del del Dipartimento di Stato Adam Erely - suscita non poche domande riguardo al rispetto dei diritti degli investitori in Russia, riduce gli investimenti e aumenta la fuga di capitali. " (da il Sole 24 Ore del 17 agosto 2004)
Il che è persino vero, per carità! Ma questi esponenti dell'amministrazione Bush dimostrano di avere una cultura politica e giuridica gravemente al di sotto della sufficienza. Chiedere a Putin di fermare la magistratura significa rinnegare i pilastri su cui si regge la democrazia negli Stati Uniti e nel mondo. Fermare la giustizia per proteggere il presunto bene degli investitori occidentali significa annientare ogni possibilità futura di investimenti occidentali in un clima di regole e di fiducia.
La miopia, l'arroganza ed a questo punto, anche l'ignoranza, dell'attuale staff della Casa Bianca non sono altro che il sottoprodotto di una cultura da bovari texani.
A meno che non si convenga con quanto affermano gli studiosi della finanza e del capitalismo più agguerriti del momento, ovvero che Bush non vuole davvero lo sviluppo del capitalismo e della finanza, ma solo lo sviluppo di un particolare capitalismo e di una particolare finanza: quelli che escludono tutti gli altri, alla faccia dei suoi ingannevoli programmi elettorali. (6)
Fortunatamente, i principali indicatori economici danno un segnale un tantino diverso. Il prodotto lordo continua a crescere e ormai da un quinquennio è in costante aumento. Le ultime stime del governo russo danno una crescita al 6,6% e confermano la tendenza anche per il triennio 2005 - 2007. Ciò è ancora lontano dagli obiettivi di raddoppio indicati da Putin, ma è pur sempre un segnale positivo. Per avere un'idea del valore della cifra basta pensare che il tasso di crescita dell'Italia nel periodo dal 1953 al 1962 è stato del 5,8%.
Un altro indicatore positivo viene dal fatto che Moody's aveva deciso, l'8 ottobre del 2003, di alzare il rating, cioè l'affidabilità della Russia da Ba 2 a Baa 3. Molti operatori si aspettavano che anche Standing & Poor e Fitch si allineassero alle valutazioni di Moody's. Ma Roman Rauss, il manager director di S&P si è recentemente espresso in senso negativo, a partire da una valutazione del caso Yukos: «Anche i continui miglioramenti nel bilancio pubblico potrebbero non essere sufficienti per controbilanciare gli effetti negativi del rischio politico.»
La situazione rimane obiettivamente difficile.
Dovendo dire la verità fino in fondo, se io avessi un piccolo gruzzolo, non investirei ancora nemmeno un centesimo in territorio russo, nemmeno per aprire una gastronomia italiana sulla Prospektiva Nievskij. Per ragioni esattamente opposte a quelle dei consiglieri di Bush. Occorre prima che giustizia sia fatta e che vi siano regole e protezioni per gli investitori che attualmente non esistono ancora.
Chiudendo la partita con gli oligarchi, forse, anche la questione cecena potrebbe ridimensionarsi.
Libri e siti utilizzati:
1) Joseph Stiglitz - La globalizzazzione ed i suoi oppositori di Joseph Stiglitz - Einaudi 2002
2) George Soros - La società aperta - Ponte alle grazie 2001
3) Robert Service - Storia della Russia nel XX secolo - Editori Riuniti 1999
4) http://www.bisnis.doc.gov/bisnis/bisnis.cfm,
5) Moses Naim - Putin e la piovra nera - http://www.espressonline.it
6) Raghuram G. Rajan & Luigi Zingales - Salvare il capitalismo dai capitalisti - Einaudi 2004
(per la verità Rajan e Zingales parlano nel libro solo di una resistenza delle grandi famiglie padrone della finanza mondiale all'avanzare di una finanza "democratica", senza nominare Bush. Ma lo stesso Zingales, nel corso della trasmissione televisiva 8 1/2 condotta da Giuliano Ferrara e Barbara Palombelli sul La7 si è espresso chiaramente sia contro i neocons americani, sia per l'Ulivo in Italia, non risparmiando critiche alle politiche del centro-sinistra ed agli aiuti di stato elargiti alla FIAT con il ricatto della disoccupazione. Zingales e Rajan sostengono che occorre proteggere i lavoratori e non le imprese. Le imprese decotte è giusto che falliscano. Una tesi estremistica, ma da approfondire.
gm - 2 settembre 2004