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Disastro Russia
2: Dalla liquidazione del comunismo alla crisi del '98: la grande truffa degli oligarchi
di Guido Marenco
All'inizio, non luce ma tenebre
Innanzi tutto, va osservato che in Russia, quando l'Unione Sovietica cessò di esistere, non esistevano grandi capitali privati, ma solo piccole fortune frutto di corruzione, oltre che modesti risparmi. I quali, a loro volta, non dipendevano tanto da un'inclinazione all'austerità quanto dal fatto che l'offerta di beni di consumo era davvero carente.
Non esistevano nemmeno capitalisti con una mentalità imprenditoriale disposti a rischiare onestamente, ma solo lupi ed avvoltoi pronti a gettarsi sulla preda: l'eredità industriale ed il patrimonio tecnico-scientifico del passato regime. Che non era tutto da buttare, anche se sorpassato, e che insieme alla ricchezza di risorse naturali, non ultimo il petrolio, costituiva una base di partenza senza uguali nella storia del capitalismo, con eccezione, forse, degli Stati Uniti nell'Ottocento.
Ma in più, rispetto agl stessi Stati Uniti nell'Ottocento, la Russia disponeva di un capitale umano importantissimo: scienziati, fisici, biologi, medici, ingegneri e tecnici con un elevatissimo livello di preparazione e disposti a rimanere in patria anziché emigrare, anche in cambio di stipendi da sussistenza. Il sacrificio di queste risorse, il disprezzo ed il cinismo con cui furono trattati milioni di individui è, forse il vero crimine da imputare ai capi della nuova Russia. Via via essi riuscirono anche ad emarginare dal dibattito politico e dalla scena mediatica gli intellettuali dissidenti finalmente usciti dal sottosuolo ai tempi di Gorbacev.
Esistevano, inoltre, potenziali imprenditori senza capitali, gente con idee e buona volontà, ma senza il becco di un quattrino. Le banche, la cui funzione era stata fino ad allora ristretta alla raccolta del risparmio ed alla fornitura di "fondi" alle imprese statali, non erano attrezzate ad affrontare la novità. Non potevano decidere di erogare prestiti e nemmeno, quindi, erano tenute a controllare che i prestiti fossero restituiti nei tempi e nelle forme dovute. Dunque, queste persone fecero molta fatica ad emergere in campi del tutto nuovi quali le etichette discografiche, l'assemblaggio dei computer, piccole case editrici, catene di vendita postali o internet, agenzie di viaggio o immobiliari, società di servizi. Riuscirono meglio i piccolissimi imprenditori in possesso di un mestiere, quali gli idraulici, gli imbianchini, i muratori e così via. Ma essi dovettero fronteggiare la durissima concorrenza del doppio lavoro e dell'arte di arrangiarsi per far quadrare i conti.
I mercatini dell'usato di seconda, terza, quarta mano fiorivano dappertutto. Dai samovar agli orologi dell'esercito, dai colbacchi agli stivali, le piazze erano un susseguirsi di bancarelle che davano il segno di una volontà di mercanteggiare: in un certo senso tutto faceva brodo per raccimolare somme di denaro. Ma certo non era quella la strada per lanciare una nuova economia.
In tale contesto non bisogna esagerare le fortune private degli appartenenti alla cosiddetta nomenklatura,ovvero i quadri del partito ed i funzionari di alto livello dello stato. Il possesso di una dacia e di un'auto di lusso costituiva gruzzoli di media entità, roba che al confronto i finanzieri occidentali non potevano che farsi grasse risate, mangiando caviale, palpeggiando eintreneuses e bevendo champagne nei migliori ritrovi di Mosca e Leningrado. Quanto alle mafie del narcotraffico, esse erano e sono tutto tranne che risorse nazionali. I loro soldi andavano e venivano, sostavano dove conveniva, si mettevano addosso la valuta adatta alla stagione, ma non si poteva far conto sulla loro affidabilità se non in circostanze del tutto eccezionali quali la totale assenza di regole, oppure il proibizionismo più becero, che è il vero alimento delle loro bocche insaziabili.
A fronte di un eccesso di norme proibizionistiche, mancavano le regole adatte ad un'economia di mercato e le istituzioni giuridiche e finanziarie, ovvero le leggi antitrust ed in difesa dei consumatori, le assicurazioni e le banche private.
In pratica, nonostante la buona volontà dei pochi politici in buona fede, mancavano i requisiti essenziali per la transizione ad un'economia di mercato nel modo meno indolore e faticoso possibile. Lo stato avrebbe dovuto guidare la trasformazione, come del resto era già accaduto in passato in altri paesi, ma i dirigenti non furono all'altezza. Alcuni non sapevano nemmeno da dove cominciare; altri dimostrarono di saperlo fin troppo perché guardavano esclusivamente ai loro interessi.
I teorici del capitalismo perfetto cresciuti all'ombra di Friedman e Phelps sanno bene, ad esempio, che non basta privatizzare: occorre allo stesso tempo garantire un sistema di concorrenza, altrimenti privatizzare significa mettere nelle mani di un monopolio ( o di un cartello privato) quello che prima era nelle mani dello stato. In Russia si pensò solo a privatizzare, cioè solo a trasferire potere dallo stato ai dirigenti delle industrie di stato. E questo impedì al sistema di trasformarsi radicalmente.
Finito il comunismo, ma i comunisti si erano già estinti in precedenza
I meno attratti dalle riforme ed i più indifesi erano i lavoratori. Sconcerta la loro sostanziale apatia. I sindacati e la base del partito erano morti da tempo. Tra gli operai non c'era dibattito ma solo mugugni. Oltre settanta anni di potere comunista avevano demolito proprio i comunisti, inesistenti del tutto. La coscienza di classe era ormai solo una leggenda metropolitana che graffitari post-punk affidavano ai muri nel leggibile linguaggio di fumetti dai tratti caricaturali e dai colori vistosi. Abituati dalla dura disciplina bolscevica solo ad obbedire e combattere, i lavoratori comunisti si erano pian piano addormentati senza procreare altro che ambiziosi quadri impegnati nella scalata al potere piramidale.
Da loro ci si sarebbe almeno potuto aspettare una resistenza di tipo conservatrice, istintiva, capace se non altro di contrastare la corruzione e gli eccessi del capitalismo selvaggio; e invece non venne nemmeno quella. Le televisioni hanno, a volte, trasmesso immagini piene di pathos da parte di "nostalgici" che portavano a spasso, silenziosi e dolenti, ritratti di Stalin e slavate bandiere cariche delle medaglie degli eroi dell'Armata Rossa vittoriosa. Se quella era azione politica efficace, io sono Stalin redivivo.
Un buon modo di coinvolgere i lavoratori sarebbe stato quello di legare aumenti di salario alla produttività. Ma i manager di stato, più preoccupati di arraffare che dell'andamento produttivo, non furono in grado di procedere in tal senso tanto quanto i lavoratori non furono pronti ad intraprendere una strada nuova di reale compartecipazione all'azienda.
Intanto, la rappresentanza e l'eredità del comunismo sovietico era stata assunta da Gennadij Zjuganov, un personaggio sostanzialmente grigio, piatto e noioso, con idee che costituivano una rottura rispetto a Gorbacev in senso conservatore e populista. Con i sopravvissuti del comunismo occidentale, come Bertinotti, non aveva proprio nulla in comune, se non l'appellativo.
L'economia pianificata si apre al mercato internazionale: arrivano merci, ma non capitali
L'economia era ancora in gran parte pianificata, pianificata nella penuria, ovviamente. Senza fare ricerche ed unicamente basandomi sulla memoria, non mi viene in mente un solo prodotto sovietico appetibile da un consumatore occidentale che non fossero la vodka od il caviale. D'accordo: una pelliccia, un colbacco, un orologio od una macchina fotografica si potevano anche cercare, poi nient'altro che i dischi della Melodja, impreziositi da qualche esecutore di altissimo livello come Rostropovich od Oistrach. Visto che sono un appassionato, mi va di ricordare che esisteva anche un buon jazz sovietico e che collezionarlo non solo non faceva male all'orecchio, ma dava un valore unico ed irripetibile alle raccolte.
I sovietici esportavano materie prime, acciaio, alluminio, kalashnikov, razzi katiuscia, MIG di prima generazione, Ilyushin, oltre che un po' di obsoleta tecnologia nucleare ad uso civile. Nulla che potesse veramente interessare un tranquillo consumatore di Busto Arsizio, e nemmeno i ministeri della difesa dei paesi occidentali. Molto che invece interessava i dittatori dei paesi del terzo e del quarto mondo. Cui, peraltro, l'Unione Sovietica non poteva offrire molto di più. Finiti i tempi della diga di Assuan, in Egitto, i sovietici non furono mai in grado di dare aiuti concreti alle economie dei paesi più deboli. Non furono d'aiuto alla Cina, abbandonarono il Vietnam a sé stesso. Furono durissimi coi riformatori cecoslovacchi, ma lasciarono un dittatore come Ceausescu opprimere fino alla nausea il popolo romeno. Soltanto Cuba, e solo fino ad un certo punto, potrebbe riconoscere di dover qualcosa ai sovietici. Insieme, cubani e sovietici avevano sostenuto militarmente le guerriglie rivoluzionarie in Mozambico ed in Angola sollevando uno scandalo per tanti aspetti pretenzioso nei circoli occidentali. Ma la cosa era terminata con la conquista del potere. Né Angola, nè Mozambico erano riusciti a diventare modelli da imitare.
Non va dimenticato, infine, che i russi avevano anche un'eccellente tecnologia spaziale che poteva tornare utile agli occidentali ed all'Europa. Si verificarono alcune forme di collaborazione, ma la crisi dell'avventura spaziale, obiettivamente determinata dai limiti del rendimento economico che poteva determinare, svalorizzò il patrimonio di esperienze e tuttora conosce un momento di stallo.
Ma l'oggetto più ambito, e vera fonte di ansia per gli occidentali, era costituito dall'arsenale nucleare militare: rampe di lancio, missili, sommergibili, riserve di uranio arricchito.
Gli occidentali temevano che tutto ciò potesse finire nelle mani di qualche paese potenzialmente eversivo, sia dentro che fuori i territori dell'ex-Unione Sovietica.
Per questo pigiarono sull'accelleratore del processo di disarmo e per dar vita ad organismi di controllo. Ma erano clamorosamente in ritardo, avendo perso molto tempo e molti dollari ad inseguire quell'autentica sciocchezza dello scudo stellare voluto da Reagan, il quale aveva evidentemente sopravvalutato i potenziali pericoli del cosiddetto "impero del male". Anche qui ci sarebbe da ridere...
Aprendosi selvaggiamente al mercato occidentale, nel 1992, senza alcuna misura protettiva, la Russia venne invasa da prodotti americani, tedeschi, italiani che i russi non avevano mai visto nemmeno in televisione. L'impatto fu micidiale ed ingenerò appetiti ancora più grandi. La Mercedes divenne l'auto degli emergenti e si potrebbero contare sulle dita di una mano i gli ex-funzionari del partito comunista ed i colonnelli dell'esercito che non la comprarono. Intanto la bilancia dei pagamenti andava in pezzi, perchè alle imprese occidentali che vendevano in Russia non venne imposto di investire, aprire stabilimenti con tecnologia avanzata ed offrire lavoro a giovani tra i più istruiti del mondo. Si generò una spirale iperinflattiva e cominciarono guai ancora più seri di quelli conosciuti in passato.
Le imprese nella nuova Russia
Nel 1992 le imprese producevano ancora secondo programma, e qualche volta al di sotto, per motivi che andavano dalla mancanza cronica dei rifornimenti alla svogliatezza dei lavoratori privi di incentivi, alla corruzione dei direttori (un fenomeno di gran lunga precedente alla trasformazione capitalistica). Non minori erano i problemi della distribuzione. Trasporti inefficienti e lunghe code ai supermercati erano la regola. La pianificazione dei consumi stava agonizzando.
Il sistema dei prezzi era artificioso. Non essendovi un mercato, essi venivano fissati dalle autorità di piano ed erano spesso o esageratamente alti, od anche esageratamente bassi.
Mancava completamente una rete istituzionale di servizi alle imprese, un sistema del credito, una rete di assicurazioni.
In tale situazione sarebbe stato completamente folle aprire di colpo al mercato internazionale ed alla "libera circolazione delle merci".
Ma i dirigenti russi, in ciò spinti dall'IMF (il Fondo monetario internazionale) ed anche dalla pressione dei maggiori governi occidentali, compirono questa follia.
Come scrive Stiglitz: «i governanti russi ... cercarono una scorciatoia per il capitalismo, creando un'economia di mercato priva delle sue istituzione fondanti e dando vita a istituzioni prive della necessaria infrastruttura. Prima di istituire una borsa valori, è necessario che vigano regole reali. Le nuove aziende devono potersi procurare il capitale necessario, e per questo è necessario che le banche siano delle vere banche.» (1)
E tra i requisiti, visto che anche l'apertura di nuovi impianti richiede l'acquisizione di terreni, erano anche necessari un mercato fondiario ed un sistema catastale, che invece mancavano.
Bilancio statale
Un'altra questione era poi costituita dal bilancio dello stato: esso doveva far fronte a spese enormi, che in precedenza erano coperte dalla tassazione, ma anche dagli utili delle imprese di stato e dalla vendita all'estero di materie prime. La privatizzazione avrebbe dovuto nell'immediato fornire denaro in gran quantità per far fronte alle spese immediate e consentire una ristrutturazione complessiva della spesa pubblica.
La possibilità di ridurre al minimo le spese per la difesa, che in precedenza costituivano una voce di bilancio spaventosamente alta, poteva permettere di riutilizzare quelle risorse per incentivi alle imprese neonate e per ristrutturare quelle nazionalizzate..
Nonostante queste premesse, lo stato si trovò immediatamente in gravissime difficoltà, perché vennero meno tutti i vantaggi che poteva permettere un'economia di piano e si aggiunsero tutti gli svantaggi che comportava il mercato. E questo non fu certamente imputabile ad un destino cinico e baro. Tutto sta a capire se dipese dal fatto che Eltsin ed i suoi uomini preferirono seguire la ricetta "ideologica" imposta dal FMI, anziché muoversi lungo una linea di riforme graduali. Oppure dal fatto che essi furono ostacolati da molti oppositori e non riuscirono a seguire la linea del FMI fino in fondo.
Ciò che possiamo constatare, per ora, è che la terapia d'urto consigliata dal FMI ebbe effetti devastanti.
La terapia d'urto: effetti devastanti
Eltsin volle avviare subito le riforme economiche, anziché indire nuove elezioni del Soviet supremo della Russia, eletto nel 1990 e composto in gran parte da individui che rappresentavano interessi corporativi ed avevano poca simpatia per il mercato. Ciò fu sicuramente un errore. Per attuare il suo programma, il presidente russo scelse di ricorrere ai decreti presidenziali anzichè cercare i consensi tra i deputati del Soviet e dotarsi di una sicura maggioranza parlamentare, a sua volta rappresentativa di una maggioranza popolare.
Eltsin, ed il suo ministro economico Egor Gajdar, non fecero molto per spiegare le loro scelte, nemmeno ai cittadini. Erano convinti che i russi fossero stanchi di chiacchiere, e su questo avevano ragione, ma confondere le chiacchiere e gli ostruzionismi parlamentari con l'esercizio della democrazia ed il diritto all'opposizione fu un errore imperdonabile ed un segno di debolezza.
In realtà, si ebbe l'impressione che volevano tenere stretta la cerchia del potere e chiusa ermeticamente la "stanza dei bottoni.".
Le loro reticenze fecero nascere sospetti sul governo e tutti i loro avversari coalizzati ebbero buon gioco a denunciare Eltsin prima come antidemocratico, e poi come corrotto.
L'immediata liberalizzazione dei prezzi voluta da Gajdar con il consenso del Fondo Monetario Internazionale portò ad un'iper-inflazione del 245%. Ma ciò era dovuto anche al picco toccato dalle importazioni. E fu così che alla breve euforia seguì una ovvia ondata di depressione. Bruciati anni di risparmi sull'altare del dio consumo, ci si accorse in breve che salari e stipendi non erano sufficienti a tirare la fine del mese.
Si era all'impoverimento di massa.
A ciò i kolkosiani potevano rispondere con la produzione privata di ortaggi e patate, ma i cittadini soffrirono di più. Rapidissima si diffuse ovunque la pratica del doppio lavoro, ma questo finiva per danneggiare l'economia di tanti piccoli artigiani quali gli idraulici, gli imbianchini, i tassisti, i quali furono i più pronti a gettarsi sul mercato offrendo servizi utili e indispensabili. Agli angoli delle strade i pensionati vendevano sigarette e "pasticche" per la felicità. I giovani si diedero alla delinquenza, le vie divennero insicure. Ad ogni crocicchio si vedevano chioschi dove veniva venduto e svenduto di tutto, dalla coca-cola alle riviste pornografiche. I poliziotti si facevano pagare per non fare multe ed anche per non eseguire arresti. In pochi mesi si ebbe davvero la sensazione che il paese fosse allo sbando, tanto più che ormai il baratto era frequente, e tanta parte delle transazioni si faceva in dollari od in marchi, anziché in rubli, ormai solo cartastraccia.
La prima grande privatizzazione fu quella della pubblica sicurezza. Nacquero corpi privati e veri e propri eserciti di guardie del corpo per gli alti funzionari e le varie cosche mafiose che ormai operavano a cielo aperto. Solo i potenti avevano gli strumenti adatti a proteggere i loro beni; non la legge, ma la forza.
Era come se le esperienze di millenni di storia si riassumessero in pochi mesi.
«Gajdar - racconta Service - si presentò in televisione per offrire rassicurazioni a tutti, ma il suo stile accademico e il suo gergo astratto non furono accolti con favore. I telespettatori non avevano neanche dimenticato che in precedenza era stato vicedirettore del giornale marxista-leninista Kommunist.» (3)
Ma, per la verità, questo era il meno.
Il vero problema era l'inflazione, l'erosione del risparmio, e la mancanza di capitali da investire nell'innovazione tecnologica delle imprese.
Un buon modo di mettere una pezza alla situazione sarebbe stato quello di chiedere al capitale straniero, alle imprese americane ed europee che stavano facendo profitti mai visti in Russia con le vendite di auto ed elettrodomestici, video registratori ed hi fi, di investire in loco per offrire nuovi posti di lavoro e salari sicuri.
I risultati furono magri. La Russia era insicura ed inaffidabile; il governo fece troppo poco per renderla diversa.
Inoltre, si registrò una ulteriore carenza di merci di prima necessità. Il tutto avvolgibile nel sospetto che l'inflazione fosse voluta ed in parte determinata dall'accaparramento. Il governo trovò immediatamente grandi difficoltà nel pagare stipendi e pensioni. I lavoratori dei kombinat si trovarono in credito di mesi e mesi di salari arretrati, mentre le pensioni non venivano più pagate.
Molti russi erano, letteralmente, alla fame.
Intanto, la liberalizzazione dei prezzi portò alla prima grande truffa della rivoluzione del capitale: quella del self-dealing petrolifero. Ciò fu possibile perché non tutti i prezzi vennero liberalizzati. Gajdar aveva deciso che quelli delle materie prime dovevano rimanare bassi, forse per combattere così l'inflazione, forse perché gli aveva fatto male studiare troppa macroeconomia sul classico manuale di Rudiger Dornbusch, Stan Fischer e Richard Schmalensee. Ma questa cura si rivelò peggiore della malattia. Consentì il self-dealing, qualcosa di talmente scandaloso che ancor oggi grida giustizia, se non vendetta.
Self-dealing: ecco gli oligarchi
Che significa self-dealing?
Che i managers di stato più svegli si sentirono autorizzati a costituire società private con sede in Svizzera ed a Cipro, per acquistare petrolio a basso prezzo dalle imprese statali di estrazione, ovvero da sé stessi, pagarlo con molto comodo, e rivenderlo all'estero a prezzi di mercato con pagamenti pronta cassa. Per giunta senza pagare le tasse, o pagandole con molto ritardo, come giustappunto la Yukos.
Si costituirono in breve immense fortune, gelosamente custodite nei santuari dell'evasione fiscale occidentale, e nacque una ristrettissima casta di oligarchi, in grado persino di fornire prestiti allo stato tramite banche private costituite con i soldi rapinati.
In breve gli oligarchi divennero i veri padroni del paese. I loro nomi sono stati pubblicati dall'edizione russa di Forbes Magazine solo nel mese di aprile 2004.
Pochi mesi dopo il direttore della rivista Paul Khlebnikov fu assassinato con quattro pallottole mentre usciva dal suo ufficio . Probabilmente, c'è un legame tra le due cose perché a chi è diventato ricco con operazioni illegali non piace il giornalismo all'americana che non si ferma davanti ad alcun santuario e rivela retroscena e gossip. E, visto che ci siamo, facciamo i nomi: Mikhail Khodorovskij pare abbia da parte un gruzzolo 15,2 miliardi dollari. E' stato direttore generale di Yukos. Attualmente si trova in galera per evasione fiscale, frodi finanziarie ed associazione a delinquere. Da giovane fu dirigente del Komsomol, l'organizzazione dei giovani comunisti sovietici.
Roman Abrahmovic è molto noto perché presidente della squadra del Chelsea. Ha fatto i soldi (si dice 12,5 miliardi di dollari) mettendosi in affari con l'intrigante Boris Berezovskij. Quest'ultimo è stato descritto come un poveraccio da Forbes Magazine, perchè in possesso di un capitale liquido di soli 620 milioni di dollari. Evidentemente ha speso troppo per comprare yacht ed aerei, ville con piscina e pagare domestici in livrea. Ma ci fu un periodo in cui fu l'uomo più ricco e potente di Russia. Senza la sua raccomandazione Vladimir Putin non sarebbe mai diventato il delfino di Eltsin e poi il suo successore.
Viktor Vekselberg è di origine ucraina e possiede un patrimonio di 6 miliardi di dollari. Mikhail Prokhorov e Vladimir Potanin sono soci in affari e detengono la maggioranza delle azioni di Norlisk Nickel, il maggior produttore di nickel e platinoidi del mondo. Potanin ha anche interessi nella compagnia petrolifera Sodanco. Messi insieme, valgono 11 miliardi di dollari.
Fu nelle mani di questi Paperoni che finì il controllo delle imprese di stato privatizzate.
Privatizzazione e suoi effetti
Apparentemente la procedura delle privatizzazioni seguì le regole. Il braccio operativo di Gajdar, in questa fase, fu Anatolij Chubais, presidente del comitato di stato per la gestione delle proprietà statali. Formalmente e pubblicamente, predicava l'avvento di un "capitalismo popolare" fatto di tanti piccoli azionisti, persino operai, ognuno detentore delle azioni delle imprese. Progettò persino di emettere dei "buoni" per l'acquisto di azioni per un importo di 10.000 rubli l'uno; tanto non era che carta. Ma questi buoni furono rastrellati da poche persone.
In particolare, Chubais pensava ad una legislazione che consentisse ai manager delle aziende di stato, ma formalmente a tutti i dipendenti, di arrivare a detenere il 25% del pacchetto azionario.
Vennero emesse delle azioni e le banche le misero in vendita. Di fatto solo una ristrettissima cerchia di persone era in grado di comprare quantità significative dei fiori all'occhiello dell'ex-industria sovietica. E molti di quei pochi che erano in grado di comprare azioni non le comprarono per sfiducia e prudenza. Non si avevano informazioni certe su chi avrebbe diretto le imprese ed in quali condizioni avrebbero operato. Il rischio di trovarsi come vasi d'argilla stretti tra botti d'acciaio era troppo forte.
Anche il più sempliciotto degli investori occidentali, mettiamo un rude texano allevatore di vacche e socio di una catena di fast food, avrebbe fatto marcia indietro di fronte alle troppe incertezze.
In breve la maggioranza del patrimonio venne svenduto agli oligarchi e la Russia si trovò anche priva delle proprietà statali più significative senza avere in cambio che prestiti forniti da quelli che l'avevano rapinata in precedenza. Ormai le tasse non le pagava più nessuno.
I piani di Gajdar e Chubais furono in parte ritardati da uno schieramento di lobbysti costituito da una pattuglia piuttosto eterogenea: il vice presidente Ruckoj, Chasbulatov, presidente del Soviet, ed i capi delle imprese di stato, probabilmente più preoccupati di perdere il potere che della correttezza formale e sostanziale del piano di privatizzazioni. La mappa degli oppositori comprendeva il potente presidente di Gazprom, l'impresa di stato per il gas, Victor Cernomyrdin, Arkadij Volskij, presidente dell'Unione delle imprese di stato e il capo dell'Unione degli agricoltori, l'ex golpista Stardubceev, rimesso in libertà dopo un certo periodo di galera nella famigerata "Casa di riposo del marinaio".
Riuscirono a porre delle limitazioni al piano di Chubais e Gajdar, e probabilmente salvarono alcune centinaia di migliaia di posti di lavoro, almeno temporaneamente.
Ma era più apparenza che sostanza.
I dirigenti delle imprese, sull'esempio di Cernomyrdyn, preferirono mantenere i livelli di occupazione, anziché licenziare, per evitare la protesta sociale. Ma non avevano i soldi per pagare gli stipendi. E non li avevano perché anche lo stato non pagava le imprese per i loro servizi, e ciò dipendeva dal fatto che non aveva più profitti sulle imprese di stato e sulla vendita di materie prime all'estero. Sarebbe tutto irresistibilmente comico, se non fosse tragico.
Cosa mancava per far tornare i conti almeno in parte? La tassazione sui profitti privati, i quali però si trovavano all'estero al riparo dal fiscalità russa sui conti correnti off-shore, oppure direttamente investiti negli hedge funds americani ed europei, i quali, a loro volta, erano restii ad investire in Russia.
In tali condizioni l'unico miracolo in grado di salvare l'economia russa dallo sfacelo sarebbe stato un veloce ripristino della legalità politica ed economica.
Si ebbe invece un braccio di ferro tra Eltsin ed i suoi oppositori, in particolare il neo ministro dell'energia Viktor Cernomyrdin e Viktor Gerashenko, presidente della Banca centrale. Mentre Gajdar predicava lacrime e sangue per far fronte all'inflazione, quest'ultimo decise di stampare banconote per sostenere le imprese statali. Era il segnale che nemmeno Eltsin era in grado di controllare ancora qualcosa e, quantomeno, costretto a fare buon viso a cattivo gioco.
Ma i giornali e le televisioni diedero la responsabilità dell'inflazione a Gajdar, e questi, che a giugno era stato nominato primo ministro da un Eltsin sempre più incoerente, a dicembre fu costretto a sloggiare per far posto al potente Cernomyrdin.
Il 5 gennaio 1993, Cernomyrdin ripristinò controlli governativi sui prezzi ed un tetto alle percentuali di guadagno. Si era ad un passo dal ritorno all'era comunista con la solo significativa differenza che mentre prima il profitto era in mano allo stato, ora era in mano agli oligarchi ed alla mafia.
Intanto, racconta Service - «La vita era precaria in molti sensi. Allorchè l'abbraccio tra organizzazioni criminali e governo si fece più stretto, il ricorso alla violenza divenne di uso comune. Furono assassinati numerosi uomini politici e giornalisti autori di inchieste. Imprenditori organizzavano gli "assassinii su commissione" dei loro rivali in affari, e anziani inquilini in zone centrali della città venivano picchiati se rifiutavano di lasciare le loro case quando delle imprese immobiliari desideravano acquistare il loro stabile. La criminalità era diventata parte integrante dello sviluppo dell'economia di mercato russo.» (3)
Tentativo di impeachment e resistenza armata
Era troppo. Nel marzo del 1993 il Soviet supremo avviò la procedura per un'impeachment di Eltsin. Questi rispose con prontezza, come sempre nelle situazioni a lui particolarmente sfavorevoli, indicendo un referendum sulla sua politica per il 25 aprile 1993.
Il 59% dei votanti la approvò, ed il 53% si espresse anche a favore della politica economica.
Ma poiché la composizione del Soviet supremo non era ancora mutata, si ebbe una situazione di stallo.
Eltsin provò allora a dare un colpo agli avversari del mercato, nominando ancora una volta Gajdar vice-primo ministro il 18 settembre.
Ruckoj e Chasbulatov si barricarono insieme ad un centinaio di deputati nella classica roccaforte della resistenza moscovita, la Casa bianca russa. Erano provvisti di armi e di cibo, pronti a chissà che.
E ancora una volta fu il generale Gracev a salvare Eltsin, ordinando alle divisioni di prendere la roccaforte ribelle con le buone o con le cattive. I ribelli furono arrestati ed internati nella sempre ospitale "Casa di riposo del marinaio".
Adesso, non ci sarebbe stata altra strada che tentare di ripristinare la legalità politica ed economica.
Le elezioni del '93: Eltsin le perse. Vinsero comunisti e nazionalisti.
In effetti, Eltsin ci provò, d'accordo con una parte di oligarchi desiderosi di darsi una patente di rispettabilità, ma, ancora una volta, puntando sul cavallo sbagliato, cioè il partito di Egor Gajdar, denominato Scelta democratica della Russia.
Nel 1993 si tennero finalmente le elezioni per il rinnovo del parlamento, abbinate ad un referendum per una trasformazione costituzionale che avrebbe portato all'abolizione del Soviet supremo ed all'istituzione di due camere: la Duma ed il Consiglio di Stato.
Il partito di Gajdar fu sconfitto, mentre vinsero il partito comunista russo di Zjuganov e la formazione di destra (si fa per dire) capeggiata da quel formidabile istrione-cialtrone che risponde al nome di Zirinovskij.
Guardando in controluce i programmi e le dichiarazioni dei due, si capisce che tra il comunista Zjuganov ed il semifascista-semileghista Zirinovskij le somiglianze erano superiori alle differenze. Entrambi guardavano più indietro che avanti. Entrambi giocavano sulla nostalgia anziché sul realismo. Entrambi erano antioccidentali, super-protezionisti, antisemiti e decisi a far fuori Eltsin. Furono elezioni che premiarono la demagogia ancor più che se avesse vinto Gajdar e la promessa della ricchezza dietro l'angolo.
Il 16 gennaio del 1994, Gajdar si dimise, ed al suo posto Eltsin (che poteva continuare a dirigere in virtù degli immensi poteri di cui godeva il presidente della Russia) mise Fedorov, che non era molto diverso da Gajdar se non per il fatto che intellettualmente pesava la metà. L'unico convinto sostenitore del mercato e delle privatizzazioni rimase Chubais, mentre Eltsin si avvicinava alle posizioni moderate di Cernomyrdin, uscito rafforzato dal confronto elettorale.
Questi scelse nuovi ministri come Alexandr Zaverijucha, vicino alle posizioni del partito comunista, ed il tecnocrate della metallurgia Oleg Suskovets.
Non potendo più contare su Gajdar, Eltsin scommise su Cerrnomyrdin.
Ed è su questa fase che sparano i critici allineati sulla politica del FMI. Secondo costoro, Eltsin non ebbe abbastanza forza e coraggio per seguire fino in fondo le indicazioni del Washington Consensus.
Il che pare francamente discutibile.
Dopo aver clamorosamente sottovalutato la necessità delle riforme politiche ed istituzionali, puntando tutto su privatizzazione e liberalizzazione, le difese del FMI paiono pretestuose. Attaccare Eltsin proprio sul terreno su cui diede il meglio di sé, appare stupido ed inutile. La Russia aveva più bisogno di investimenti che non di prestiti, e questi mancarono. E mancarono perché nessuno voleva rischiare in un paese privo di legalità, non certo perché il costo del lavoro era troppo alto.
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Nel 1994, Eltsin era "bollito", isolato, indebolito dagli eccessi alcoolici e gastronomici, privo di consiglieri affidabili. Trascinato dai generali alla repressione della rivolta cecena nel sangue, si ritrovò sulla coscienza 25.000 morti.
A giugno ebbe un infarto e nuove elezioni politiche erano alle porte.
Di ritorno dalla convalescenza, cominciò a promettere una maggiore autonomia all'attività di governo. Era come presentisse che il suo tempo stava per scadere.
Cernomyrdin cercò di mettere insieme un partito, Nas Dom Rossija (Nostra Casa Russia) , in grado di competere con le forze più ostili alle riforme, presentandosi come un moderato schiacciato tra due estremismi, quello liberista di Gajdar e Chubais e quello dei comunisti di Gennadij Zjuganov e dei nazionalisti di Zirinovskij.
Zjuganov poteva contare su un partito con mezzo milione di iscritti, anche se le televisioni, in mano agli oligarchi, lo boicottavano. Fece una campagna elettorale di tipo tradizionale, visitando le fabbriche e facendo comizi, tutti molto noiosi. Come già detto, aveva poco in comune sia con i comunisti occidentali, sia con gli stessi comunisti sovietici della generazione precedente. Non faceva più appelli all'ateismo, ma alle religioni storiche della Russia, persino al buddhismo. Era aperto agli ortodossi, ai mussulmani ed ai buddhisti. Non nominava però gli ebrei e nemmeno Marx. In realtà non voleva il comunismo, ma solo il ritorno ad un sistema di imprese di stato.
Zirinovskij ebbe più spazio perché le sue posizioni folkloristiche erano spettacolari e facevano audience. In gara c'erano anche Gajdar e Chubais ed il piccolo partito riformista di Javlinskij (Jabloco).
Le elezioni si svolsero nel dicembre del 1995.
Le urne diedero una schiacciante vittoria ai comunisti di Zjuganov, che conquistò 157 seggi, ai quali andavano sommati 23 seggi conquistati dai partiti alleati: il Partito Agrario e Donne di Russia.
Cernomyrdin prese solo 65 seggi, ma era un successo sia nei confronti di Zirinovskij - solo 52 seggi - sia nei confronti di Gajdar e Chubais, che presero percentuali molto basse. Javlinskij viaggiava attorno a quote risibili.
Un brutto segnale per Eltsin, comunque, visto che erano prossime anche le elezioni presidenziali del giugno '96.
Si profilava uno scontro diretto tra Eltsin e Zjuganov. Sarebbe stato un referendum tra il ritorno all'antico e la prosecuzione su una strada incerta, tutta in salita.
La popolarità di Eltsin era ai minimi storici. Tutto dipendeva dall'abilità di Cernomyrdin che, allo stesso tempo, mal sopportava Eltsin e non vedeva l'ora di liberarsene.
Zjuganov fu molto vicino a vincere. Non era del tutto inviso all'Occidente e Soros racconta che molti finanzieri occidentali non lo vedevano con sfavore. Ma a Washington la pensavano diversamente, anche se gli analisti della CIA avevano saputo cogliere le differenze tra il suo comunismo risciacquato in un'ideologia populista di destra ed il presunto vero comunismo dogmatico.
Dal libro di Soros ho tratto questa citazione che mi pare utile alla comprensione dei fatti: «Nel gennaio 1996 ho partecipato al forum mondiale dell'economia a Davos, nel corso del quale il candidato comunista alla presidenza Gennadi Zjuganov, ha ricevuto una buona accoglienza dal mondo degli affari. Incontrai Boris Berezovskij e gli dissi che, se fosse stato eletto Zjuganov, lui si sarebbe ritrovato a penzolare da un lampione. Volevo che Berezovskij sostenesse Gregory Javlinskij, che tra tutti i candidati consideravo l'unico genuino riformatore, ma sono stato un ingenuo. Non avevo capito fino a che punto Berezovskij era coinvolto in loschi affari con la famiglia Eltsin. Stando a quanto dichiarò pubblicamente, il mio monito riguardo alla sua sicurezza personale gli aveva chiarito le idee. Si incontrò con gli altri uomini d'affari russi che presenziavano la conferenza di Davos e insieme formarono un cartello per favorire la rielezione di Eltsin. » (3)
Le televisioni russe in mano agli oligarchi scatenarono tutto l'armamentario mediatico ed il 10 giugno si videro i risultati. Eltsin e Zjuganov eliminarono tutti i contendenti. Il ballottaggio del 3 luglio sarebbe stato una partita a due molte serrata. Con un colpo di coda davvero magistrale, Eltsin si alleò con il generale Alexandr Lebed, un reazionario in grado di ottenere più consensi di Zirinovskij. Per capire la statura dell'uomo bisogna considerare che era un ammiratore del dittatore cileno Pinochet. La somma dei voti portò Eltsin alla vittoria: conquistò il 54% dei voti contro il solo 41% di Zjuganov.
Lebed fu premiato con il posto di segretario del Consiglio di sicurezza. Il flirt tra i due durò tuttavia solo fino a settembre, quando Lebed fu messo alla porta.
Sergei Kirienko primo ministro
Dal '96 fino al '98 la Russia fece qualche passo avanti e anche qualche passo indietro. Per Soros, l'asta per la cessione di Svjazinvest - la holding della telefonia di stato russa - fu la prima procedura pulita di privatizzazione ed egli decise di parteciparvi offrendo 2 miliardi di dollari. Vinse la gara, ma subito dopo si scatenò una guerra, una vera e propria resa dei conti tra gli oligarchi. Quello che avrebbe dovuto essere un segnale positivo ai mercati internazionali sulla situazione in Russia, divenne un ulteriore testimonianza di negatività. Il più contrariato era Berezovskij, ferocemente deciso a farla pagare a Chubais per i suoi presunti tradimenti. Avevano sostenuto Eltsin, pensava Berezovskij, ed ecco che si ritrovavano non più potere ma, un ritorno di glasnost (cioè trasparenza). Inammissibile. Non tutti gli oligarchi, ovviamente, la pensavano come lui. Alcuni avrebbero voluto un ritorno alla legalità perché vedevano con chiarezza che solo questo li avrebbe legittimati agli occhi della finanza mondiale. Ridiamoci su...ok? Se vi viene di chiedervi che cosa legittimi, a sua volta, la finanza mondiale, pensate a tanti soldi guadagnati in modo apparentemente onesto. Lo stesso Soros, che se la tira da progressista anti Bush, e grande sostenitore della società aperta, ammette candidamente che la speculazione fa male e può mettere sul lastrico migliaia di lavoratori, rendendoli disoccupati. Ma la ritiene moralmente accettabile, separando con un taglio netto l'etica degli affari privati da quella politica. Come si potesse fare una cosa del genere.
Soldi uguale potere: così stan le cose. Ma il potere non può permettersi di apparire sotto la forma dell'illegalità: prima o poi è sempre necessaria una legittimazione, a costo di scomodare la metafisica, il diritto divino ed una sacra unzione. Soros si sente legittimato dalla logica dei mercati e dalla democrazia, costruisce fondazioni per la società aperta e le sostiene con un fiume di dollari. Riprovevole da un lato ed encomiabile dall'altro, Dio solo sa chi sia veramente.
Berezovskij accusò Chubais di aver incassato un anticipo di 90.000 dollari per un libro mai scritto e mai pubblicato. In realtà era una tranche della mercede per i servizi resi agli oligarchi nelle ultime sofferte campagne elettorali. Fu costretto a difendersi e ciò gli succhiò molte energie. Lo scontro non si concluse e non è concluso ancor oggi. Ma la posizione di Cernomyrdin non era solida, ed il 24 marzo del '98 Eltsin lo sollevò dall'incarico di primo ministro. Dopo un mese convulso, il 25 aprile l'incarico venne affidato a Sergei Kirienko, un giovane tecnocrate vicino a Gajdar e Chubais, nei confronti del quale Soros ebbe parole di sperticato elogio: «Per un breve istante la Russia ha avuto un governo riformista, il migliore che avesse conosciuto dal crollo dell'Unione Sovietica...» (1)
Peccato che ormai fosse tardi in ogni caso.
Gli esperti del FMI, intanto, continuavano ad essere ottimisti sul futuro della Russia: speravano che il fondo fosse stato toccato e che il decollo fosse prossimo. Sulla base di che non si sa, visto che cominciavano a balenare i primi segnali della terribile crisi dell'Est asiatico, con il conseguente crollo dei prezzi petroliferi. Proprio ciò di cui la Russia non aveva alcun bisogno.
(continua)
Libri e siti utilizzati:
1) Joseph Stiglitz - La globalizzazzione ed i suoi oppositori di Joseph Stiglitz - Einaudi 2002
2) George Soros - La società aperta - Ponte alle grazie 2001
3) Robert Service - Storia della Russia nel XX secolo - Editori Riuniti 1999
4) http://www.bisnis.doc.gov/bisnis/bisnis.cfm,