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a cura di Renzo Grassano
1.Brevi cenni sulla filosofia di Russell
Conosciuto da un vasto pubblico per le sue
posizioni politiche liberal, non violente,
pacifiste ed anticonvenzionali, Bertrand
Russell è anche noto per la sua "Storia
della filosofia occidentale e le sue connessioni
con le circostanze storiche sociali,"
opera che risale al 1945.
Ancor oggi si tratta di un libro che merita
attenzione perchè contiene considerazioni
controcorrente su pensatori quali Hegel e
Nietzsche e valutazioni del pensiero filosofico
secondo un punto di vista del tutto diverso
da una semplicistica dossografia.
1.1 Gli esordi, l'idealismo di Bradley, l'influenza
di G.E. Moore, il pragmatismo americano
Partito da posizioni schiettamente idealistiche,
in particolare quelle di Bradley, egli venne via via chiarendosi e chiarendo
che il mondo esiste realmente, è composto
di fatti e di linguaggi che cercano di descrivere
questi fatti.
Ciò implicò un netto superamento della visione
del mondo originaria dell'idealismo, ovvero
della concezione del mondo come illusione
rispetto al quale solo l'assoluto è vero.
Il momento critico fu signicato dall'influenza
che ebbe il compagno di studi Georges E. Moore, più tardi noto filosofo, e dall'incontro
col pensiero di William James.
Nella prefazione alla prima edizione de "The
Principles of Mathematics" lo stesso
Bertrand Russell scrisse: <<La mia
posizione sulle questioni fondamentali della
filosofia deriva in tutti i suoi aspetti
essenziali da G.E.Moore. Devo a lui l'avere
accettato la natura non-esistenziale delle
proposizioni (salvo di quelle che asseriscono
l'esistenza) e la loro indipendenza da qualunque
pensiero conoscente; e così pure devo a lui
il pluralismo che interpreta il mondo, tanto
quello degli esistenti quanto quello delle
entità, come composto di un numero infinito
di entità reciprocamente indipendenti, legate
tra loro da relazioni di carattere originario
e non riducibili ad aggettivi dei loro termini
o del tutto che essi compongono. Prima di
apprendere da lui queste teorie, mi sentivo
del tutto incapace di costruire una qualsiasi
filosofia dell'aritmetica, mentre accentandole
mi trovai immediatamente liberato da un gran
numero di difficoltà che ritengo siano altrimenti
insuperabili.>> ( prefazione alla prima
edizione de "I Principi della Matematica"-
Longanesi, Milano 1951, originale in inglese
del 1903, ma come scrisse il traduttore,
Ludovico Geymonat, composti in gran parte
nell'anno 1900)
Quanto alla influenza di W.James, presentata
da Fulvio Manieri (Newton Compton 1991, sec.ed)
nel suo sintetico schizzo di filosofia russelliana
introduttiva all'edizione economica di "Introduzione
alla Filosofia Matematica", bisogna
dire che Russell era ovviamente interessato
a tutti i pensieri "eccentrici"
rispetto alla tradizione filosofica e quello
di James certamente lo era.
Questi postulava <<vere sono quelle
idee che possiamo assimilare, convalidare,
corroborare e verificare. Le idee cui non
è possibile fare tutto questo sono false.>>.
("Pragmatism")
E ancora: <<Un pragmatista volta le
spalle risolutamente, e una volta per tutte,
ad una quantità di abitudini inveterate care
ai filosofi di professione. Si lascia alle
spalle l'astrazione e l'inadeguatezza, le
soluzioni verbali, le cattive ragioni a priori,
i principi inamovibili, i sistemi chiusi,
i pretesi assoluti e le origini. Si volge
verso la concretezza e l'adeguatezza, i fatti,
le azioni e verso la possibilità di agire.
Il che significa la supremazia della mentalità
empirista e la resa incondizionata di quella
razionalista. Significa lo spazio aperto
e le possibilità della natura, contro il
dogmatismo, l'artificiosità, il preteso finalismo
della verità.>> (Pragmatism)
L'impatto col pragmatismo, in particolare
significò per Russell l'accettazione empiristica
che i sensi ci forniscono sia dei dati che
la verità di questi dati; ma anche che una
conoscenza diretta potrà avere per oggetto
solo i dati dei sensi, e non gli oggetti
in sè. Ciò rinvia ad un "dualismo"
gnoseologico più empiriocriticista che schiettamente
kantiano.
Ma a mio avviso il vero "avversario"
pragmatista di Russell fu Charles S. Peirce.
Questi, dopo aver criticato a fondo la teoria
induttivistica di Stuart Mill, aveva altresì
dimostrato il "fondamento fallibile"
della logica, ovvero il semplice valore probabilistico
di ogni teoria basata sull'induzione.
Una teoria solo logica per Peirce poteva
non trovare conferma nei fatti e per questo
egli continuò a credere nella netta distinzione
tra logica e matematica. Egli affermò che
mentre la matematica è la scienza che deriva conclusioni necessarie, la logica è la scienza
del modo in cui derivare conclusioni necessarie.
Scrisse: <<Il logico non si cura particolarmente
circa questa o quella ipotesi o circa le
sue conseguenze eccetto in quanto queste
cose possono gettar luce sulla natura del
ragionamento. Il matematico è intensamente
interessato ai metodi efficienti di ragionare
mirando alla loro possibile estensione a
nuovi problemi ma, in quanto matematico non
si preoccupa di analizzare quelle parti dl
suo metodo la cui correttezza è data come
ovvia. (Coll, Pap, 4.239)
Celebre in questo senso l'affermazione: <<Non
esiste una strada maestra che conduce alla
logica>>
Rispetto a ciò quale "ruolo" per
la ragione, o meglio, per la logica?
1.2 La logica e la matematica come logica
Russell cominciò così a preoccuparsi del
fatto che un'eccessiva fiducia nei dati dei
sensi non mettesse "fuori fase"
il valore unico delle generalizzazioni induttive,
da un lato, ma dall'altro che anche la ragione
logica non mettesse freno sistematicamente
alla possibilità dell'esperienza.
Su questa riflessione Russell provò a sviluppare
un modello di conoscenza fondato sulla logica,
considerandolo come un ideale scientifico.
Ne veniva che il metodo logico doveva applicarsi
alla filosofia, avendo per fine una funzione
chiarificatrice.
Ciò rendeva necessaria quella stessa opera
di pulizia invocata da James: sfrondare la
filosofia da concetti comunemente accettati,
ma privi di senso.
In un primo tempo si occupò soprattutto di
riportare quindi la matematica alla logica
stessa e ritornò più volte su questi argomenti.
In conclusione alla sua "Introduzione
alla Filosofia della Matematica" egli
scrisse: <<La matematica e la logica dal punto
di vista storico, sono state due discipline
completamente distinte. Comunque tutte e
due si sono sviluppate nell'età moderna:
la logica diventando sempre più matematica
e la matematica sempre più logica. La conseguenza
è che ora è completamente impossibile tracciare
tra le due discipline una linea di demarcazione;
sostanzialmente le due sono in realtà una
disciplina sola. La differenza che intercorre
tra esse è simile alla differenza che intercorre
tra un uomo ed un ragazzo: la logica è la
gioventù della matematica come la matematica
è la maturità della logica. Questa visione
delle cose non è accettata da quei logici
che hanno speso il loro tempo nello studio
esclusivo dei testi classici, e che sono
quindi incapaci di seguire anche solo una
piccola parte di ragionamento logico simbolico;
non è d'altro canto accettata neppure da
quei matematici che hanno appreso una tecnica
senza preoccuparsi di porsi il problema del
suo significato e della sua intima giustificazione.
Entrambe queste categorie di persone divengono
oggi sempre più rare. Come la maggior parte
del lavoro matematico moderno è sulla linea
di confine con la logica, così la maggior
parte della logica è simbolica e formale
così che la strettissima relazione tra logica
e matematica è divenuta ovvia per ogni studente
un po' istruito.
La dimostrazione della identità di logica
e matematica è naturalmente una questione
di dettaglio tecnico; partendo da premesse
che, per ammissione universale appartengono
alla logica, e giungendo per deduzioni a
risultati che certamente appartengono alla
matematica, si trova che non esiste un punto,
in tutto il processo, in cui si può marcare
una linea netta, con la logica alla sinistra
e la matematica alla destra.
Sfidiamo chi non ammette la identità tra
logica e matematica a indicare in quale punto,
nelle definizioni e nelle successive deduzioni
dei "Princ. Mathem." (così nella
traduzione), ritiene che finisca la logica
e cominci la matematica. Si otterrà allora
la dimostrazione che qualsiasi risposta è
del tutto arbitraria.>> ( Introduzione
alla "Filosofia della Matematica",
capitolo conclusivo "Matematica e Logica")
Per avvalorare questo ragionamento Russell
negò più avanti che la matematica sia una
"scienza della quantità" asserendo
che il termine quantità è vago. Egli preferì
usare la parola "numero" e scrisse:
<<Ora, l'affermazione che la matematica
è la scienza dei numeri è falsa da due punti
di vista differenti. Da un lato esistono
intere parti della matematica che non hanno
nulla a che fare con i numeri, parlo di tutta
la geometria che non usa il concetto di misura
e di coordinate; per esempio la geometria
proiettiva e descrittiva, fino al punto in
cui vengono introdotte le coordinate, non
ha a che fare con numeri, nè con la quantità
nel senso di maggiore o minore.
D'altro lato, con la definizione di numero
cardinale, con la teoria dell'induzione e
delle relazioni antenate, con la teoria generale
delle serie, e con la definizione delle operazioni
aritmetiche, è divenuto possibile generalizzare
molte cose che solitamente si dimostravano
in relazione ai numeri.>>(idem)
Nei "Principia Mathematica" Russell
e Whitehead, muovendo dagli studi di matematici
e logici come G.Boole, Jevons, Venn, che
erano inglesi, e continentali come Schroeder,
Poretsky, Couturat, che avevano creato una
disciplina formalizzata, l'algebra della logica, svilupparono una logica articolata in due
rami fondamentali: il calcolo proposizionale
e il calcolo delle funzioni proposizionali.
Per Russel e Whitehead era decisivo formalizzare
completamente la matematica e ridurla alla
logica, intendendo per logica la scienza
degli oggetti esistenti indipendentemente
dalla mente umana, ed anche indipendenti l'uno dall'altro.
In questo quadro la logica matematica veniva
ad assumere due scopi:
1) costituire la disciplina matematica fondamentale,
di cui tutte le altre matematiche, secondo
la tesi logistica sostenuta da Frege e ripresa
da Russell e Whitehead, dovrebbero costituire
derivazioni più o meno complesse, ma sempre
riducibili ad essa.
2) costruire metodi di controllo rigoroso
delle discipline matematiche vere e proprie.
Seguiamo frammentariamente il testo "Introduzione
alla Filosofia della Matematica" per
comprendere meglio, attraverso le stesse
parole dell'autore, cosa significhi riportare
la matematica alla logica.
Scrive Russell: <<Ridotta tutta la
matematica pura tradizionale alla teoria
dei numeri naturali, il passo successivo
nella analisi logica era ridurre questa stessa
teoria all'insieme minimo di premesse e di
termini non definiti dai quali la si potesse
derivare. Questa opera fu compiuta da Peano.
Egli mostrò che l'intera teoria dei numeri
naturali può essere dedotta da tre idee primitive
e da cinque proposizioni fondamentali in
aggiunta a quelle della logica pura. Queste
tre idee e queste cinque proposizioni sembravano
diventare, e lo diventarono realmente, gli
"ostaggi" della matematica intera
pura tradizionale. Se si fosse riusciti a
definirle e a dimostrarle in termini di altre,
la stessa cosa sarebbe avvenuta per tutta
la matematica pura. Il loro "peso"
logico, se si può usare questa espressione,
è uguale a quello dell'intero complesso di
scienze che sono state dedotte dalla teoria
dei numeri naturali; la verità dell'intero
complesso è sicura se è certa la verità delle
cinque proposizioni primitive, a condizione
naturalmente, che non vi sia niente di erroneo
nell'apparato puramente logico usato. L'opera
di analisi della matematica è enormemente
facilitato da questo lavoro di Peano. Le
tre idee primitive della aritmetica di Peano
sono:
0 - numero - successore
Per "successore" egli intende il
numero successivo nell'ordine naturale. Cioè
il successore di 0 è 1, il successore di
1 è 2, e così via. Con "numero"
egli intende, in questo contesto, la classe
dei numeri naturali. Non si assume che conosciamo
tutti i membri di questa classe, ma solo
che si sappia quel che intendiamo quando
diciamo che questo o quello è un numero,
proprio come sappiamo il significato della
frase "Giovanni è un uomo", pur
non conoscendo tutti gli uomini individualmente.
L'ultimo di questi è il principio della induzione
matematica. In seguito avremo molto da dire
sulla induzione matematica; per il momento
ne trattiamo solo perchè compare nella analisi
dell'aritmetica fatta da Peano.>> (dall'Introduzione
alla Filosofia della Matematica) |
1.3 I paradossi e la teoria dei tipi
Il contributo più rilevante di Russell è
anche il più noto; consistette nella scoperta
del paradosso secondo il quale "la classe
delle classi che non comprendono se stesse,
se non comprende se stessa, è una delle classi
che non comprendono sè stesse. Ma come tale
è compresa in se stessa".
Ciò per dire che esiste, nel senso che si
può formulare, un insieme di oggetti, l'insieme delle classi che non comprendono
se stesse tra gli oggetti che lo compongono,
il quale, proprio per questo, risulta compreso
in se stesso.
Se al contrario comprende se stessa, è ugualmente
una delle classi che non comprendono se stesse,
e dunque non comprende se stessa.
Questo paradosso mise in crisi Frege perchè
comprometteva il suo programma di formalizzare
tutta la matematica. Molti matematici e logici
si cimentarono con questo problema.
Fu comunque lo stesso Russell ad aggirare
(o se vogliamo, a risolvere) il problema
nei "Principia Mathematica" scritti
in collaborazione con Whitehead mediante
la teoria dei tipi.
Un abbozzo di questa teoria lo si trova anche
nell'appendice ai "Principles"
e nella prefazione alla seconda edizione
degli stessi dove Russell specifica: <<L'essenza
tecnica della teoria dei tipi è semplicemente
questa: data una funzione proposizionale
"x" di cui siano veri tutti i valori,
esistono espressioni che non è legittimo
mettere al posto di x. Per esempio: tutti
i valori della funzione proposizionale "se
x è un uomo x è un mortale" sono veri,
e possiamo inferirne che "se Socrate
è un uomo, Socrate è mortale"; non possiamo
però inferire che "se la legge di contraddizione
è un uomo, la legge di contraddizione è un
mortale".
La teoria dei tipi afferma che questo ultimo
gruppo di parole è un non senso, e fornisce
regole per i valori ammissibili di x nella
funzione proposizionale "fx". >>
In altre parole Russell giunse così a comprendere
ed enunciare regole per le quali vi sono
diversi tipi di predicati, e indicare quali
hanno inerenza, quali indicano proprietà,
quali mostrano proprietà delle proprietà
e così via.
Rispetto al paradosso delle classi la soluzione
al paradosso stesso consiste pertanto nella
non applicabilità del predicato "comprende
anche se stessa" ad una classe che non
è la classe dello stesso tipo considerato,
ma una classe superiore.
1.4 La denotazione ed il linguaggio
Già da questo esempio incentrato sulla funzione
proposizionale abbiamo così introdotto il
secondo tema rilevante nella filosofia russelliana,
ovvero quello della teoria delle descrizioni,presentata nell'articolo "On denoting"
(Sulla denotazione) del 1905.
A partire dalle imprecisioni e dalle ambiguità
del linguaggio ordinario ( e letterario)
per i quali sono d'uso corrente espressioni
del tipo "l'autore di Waverley",
"la montagna d'oro", o "il
circolo quadrato", cioè espressioni
descrittive che stanno in luogo di un soggetto,
usate in senso esistenziale (Tipo "l'Eldorado
si trova a New York", dove si da per
implicito che l'Eldorado esiste) e che non
possono essere funzioni proposizionali del
tipo descritto pocanzi, Russell propose una
formalizzazione delle descrizioni stesse
nel seguente modo "logico": "nessuna
entità è allo stesso tempo una montagna ed
è d'oro" (cosa alquanto discutibile
se pensiamo al deposito di Paperon de Paperoni.-).
Inoltre (in modo molto più logico) "nessuna
entità è allo stesso tempo circolo e quadrato".
Nei "Principles" egli aveva cominciato
ad approssimare questo problema scrivendo:
<<La nozione del denotare, come la
maggior parte delle nozioni di logica, è
stata finora resa oscura da una indebita
mescolanza di psicologia. Vi è un senso di
tale parola, secondo cui noi denotiamo, quando
additiamo o descriviamo qualcosa, o usiamo
le parole come simboli di concetti: questo
tuttavia non è il senso che io intendo discutere.
Ma il fatto che la descrizione sia possibile
(che, facendo uso dei concetti, noi riusciamo
a designare una cosa che non è un concetto)
è dovuto ad una relazione logica tra alcuni
concetti ed alcuni termini, in virtù della
quale concetti del tipo anzidetto inerentemente
e logicamente denotano tali termini. Questo è il senso del denotare
che qui è in discussione. Questa nozione
sta alla base, mi pare, di tutta la teoria
della sostanza, del soggetto predicato-logico,
e dell'opposizione tra cose e idee, tra pensiero
discorsivo e percezione immediata. Questi
vari sviluppi, nel complesso, mi sembrano
sbagliati mentre il fatto fondamentale stesso,
dal quale essi procedono, venne sempre discusso
con difficoltà nella sua purezza logica.
Si dice che un concetto denota quando, se esso compare in una proposizione, la
proposizione non verta sul concetto, ma su un termine connesso in un
certo modo peculiare nel concetto. Se dico:"
Incontrai un uomo", la proposizione
non parla di un uomo: questo non è un concetto
che va a passeggio per le strade, ma vive
nel chimerico limbo dei "libri di logica".
Quello che incontrai era una cosa, non un
concetto, ma un uomo effettivo con un sarto
ed un conto in banca, o un'osteria ed una
moglie ubriaca. Ancora, la proposizione "qualsiasi
numero finito è pari o dispari" è evidentemente
vera; eppure il concetto "qualsiasi numero finito" non
è nè pari nè dispari. Sono solo i numeri
singoli che sono pari o dispari: non vi è,
oltre questi, un'altra entità detta qualsiasi numero, che sia pari o dispari, e se vi
fosse, è chiaro che non potrebbe essere pari,
nè potrebbe essere dispari. Quasi tutte le
proposizioni che contengono la locuzione
"qualsiasi numero" sono false se
riferite al concetto "qualsiasi numero".
Allorchè vogliamo parlare proprio di tale
concetto, dobbiamo scrivere l'anzidetta locuzione
in corsivo o tra virgolette>>
Nel tempo venne via via precisando le sue
posizioni e proprio in "On denoting"
esplicitò che in ogni proposizione che possiamo
apprendere tutti i costituenti sono realmente
entità di cui abbiamo conoscenza.
Scrisse:<<...dobbiamo attribuire un
significato alle parole che usiamo se vogliamo
parlare con qualche significato e non per
pura chiacchiera; e il significato che attribuiamo
alle parole deve essere qualcosa di cui abbiamo
già conoscenza>>
(Problems Of Philosophy)
In sostanza il linguaggio deve riferirisi
a ciò che è conosciuto. Ancora: <<...quando
c'è qualcosa di cui non abbiamo conoscenza
immediata ma solo una definizione per mezzo
di frasi denotanti, le proposizioni nelle
quali questa cosa è introdotta per mezzo
di una frase denotante non contengono realmente
la cosa come costituente ma contengono invece
espressi dalle diverse parole della frase denotante. ("On denoting")
1.5 L'atomismo logico
Per queste ragioni, ed anche grazie alla
conoscenza stimolante di Ludwig Wittgenstein,
nel secondo decennio di questo secolo Russell
spostò la sua attenzione soprattutto sul
terreno dell'analisi logica del linguaggio
e della sua corrispondenza ai fatti.
I linguaggi sono composti di proposizioni,
che sono o vere o false a seconda che risultino
verificate di fronte al fatto.
Questa posizione filosofica è dunque in primo
luogo avvicinabile a quello che potremmo
chiamare "realismo" ma, i suoi
caratteri rilevanti sono meglio definibili
come atomismo logico.
Secondo l'atomismo logico una conoscenza
è vera quando la sua espressione grammaticale
corrisponde alle "proposizioni atomiche"di
cui si costituisce e quindi ai "fatti
atomici" che esse descrivono in modo
scientifico e formalmente esatto.
In definitiva, la logica, secondo Russell,
tratta delle condizioni di un simbolismo
preciso, ossia di un simbolismo nel quale un qualsiasi
enunciato possa sempre significare qualcosa
di definito, e ciò
al contrario del linguaggio ordinario, che
è sempre più o meno vago, come del resto
quello filosofico e metafisico.Un linguaggio
logicamente perfetto ha regole di sintassi
che prevengono il formarsi di non-sensi,
ed è tale che ciascun singolo simbolo abbia
sempre un unico significato definito. Rispetto
a ciò, tuttavia, va tenuto presente che Russell,
scrivendo l'introduzione alla seconda edizione
dei "Principles of Mathematics"
operò alcune correzioni e precisazioni. Ciò
in ordine al problema cruciale delle "costanti
logiche". Qui egli ammise di avere abbandonato
la convinzione che un vocabolo debba avere
sempre un significato ed affermò recisamente
che <<nessuna proposizione di logica
può menzionare qualunque oggetto particolare.
L'enunciato "Se Socrate è un uomo e
tutti gli uomini sono mortali, allora Socrate
è mortale" non è una proposizione di
logica; la proposizione di logica, di cui
essa è un caso particolare è la seguente:"
se x ha la proprietà f, e qualunque cosa abbia la proprietà f ha la proprietà y, allora x ha la proprietà y, qualunque siano x, f , y".>> Solo in questo modo la formalizzazione
è compiuta. Ma, come vedremo in studi successivi,
essa stessa pose dei problemi non indifferenti,
il primo dei quali fu posto da Kurt Goedel
con scoperta del teorema secondo il quale
all'interno di un sistema rigido S fondato
su assiomi si vengono a determinare proposizioni
che sono indecidibili all'interno dello stesso
sistema.
Non solo: lo stesso Wittgenstein compì una
svolta considerevole rispetto alla costituzione
del linguaggio logico ideale o perfetto confezionato dal Tractatus e rivide ampiamente
le sue posizioni.
Tutto questo, insieme alle critiche ricevute
da altri indirizzi analitici presenti a Oxford
ed in Inghilterra, contribuì ad un certo
isolamento dello stesso Russell.
1.6 L'etica e le convinzioni filosofiche
generali
Soprattutto nella seconda parte della sua
vita Russell si impegnò a fondo per criticare
tutte le posizioni filosofiche che hanno
a che fare in modo dogmatico con le questioni
del bene e del male ed in generale con il
posto, il destino, la natura dell'uomo. In
genere negò che l'etica si possa fondare
sulla conoscenza del bene e del male ed affermò
con grande coraggio che il bene è ciò che
desideriamo, mentre il male è ciò che impedisce
la realizzazione del desiderio.
Nostante gli stessi desideri derivino innanzi
tutto da inclinazioni naturali, Russell ammise
tuttavia che l'educazione e l'ambiente culturale
e sociale influscono in maniera determinante
sulla loro formazione. A questo fine egli
diede grande importanza al tema dell'educazione,
specie per insegnare a rispettare i desideri
altrui ed arrivare quindi ad una sorta di
autoregolamentazione dell'individuo.
Nell'opera "L'educazione e l'ordinamento
sociale" (Education and Social Order,
London 1932) egli presentò una serie di riflessioni
che mantengono una loro validità ancor oggi.
Qui Russell considerò innanzi tutto che una
cosa è educare l'individuo ed un'altra è
educare il cittadino. (dove è sotteso il
"buon" cittadino sociale, cooperativo,
rispettoso delle leggi).
In vista di un'utopica unione mondiale degli
stati egli si pronunciò apertamente a favore
di una fase intensiva di educazione del cittadino
per un futuro senza "cittadini",
cioè di individui veramente liberi.
Ma in generale egli propugnò comunque un'educazione
aperta, fondata sull'argomentazione e non
sul conculcare.
Scrisse:<< Non vorrei che mi si prendesse
per un fautore di ribellione. La ribellione
in se stessa non è migliore della acquiescienza
in se stessa, poichè essa è ugualmente determinata
da una relazione con ciò che è al di fuori
di noi, piuttosto che da un giudizio di valore
puramente personale. Se la ribellione debba
essere lodata o biasimata, dipende d ciò
contro cui la persona si ribella, ma dovrebbe
esserci la possibilità di ribelione in alcuni
casi, e non semplicemente cieca acquiescienza
prodotta da una rigida educazione conformista.
E ciò che è forse più importante, è che ribellione
o acquiescienza, ci sia la capacità di mettersi
per una via completamente nuova, come fece
Pitagora quando inventò lo studio della geometria.
Il problema se formare il cittadino o l'individuo
è importante nell'educazione, nella politica,
nell'etica e nella metafisica. Nell'educazione
ha un aspetto pratico piuttosto semplice,
che può in certo modo essere considerato
a parte dalla questione teorica.>>
Nella critica all'educazione religiosa Russell
da il meglio di se evidenziando come la fede
istillata nelle menti dei fanciulli possa
produrre gravi danni.
<< Primo: qualunque fanciullo d'intelligenza
eccezionale che riflettendo scopra che gli
argomenti in favore dell'immortalità non
sono probanti, sarà scoraggiato dai suoi
maestri e forse anche punito; ed altri fanciulli
che mostrano qualche inclinazione a pensare
nello stesso modo saranno dissuasi da lconversare
su tali oggetti e possibilmente messi in
guardia dal leggere libri che potrebbero
aumentare la loro cultura ed il loro potere
di ragionamento.
Secondo: poichè la maggioranza delle persone
la cui intelligenza è molto al di sopra della
media, sono oggidì apertamente o segretamente
agnostici, i maestri in una scuola che insiste
sulla religione debbono essere stupidi o
ipocriti, a mano che non appartengano alla
ristretta classe di uomini che, per qualche
stortura mentale, hanno capacità intellettuale
senza giudizio intellettuale(...)
Terzo: è impossibile istillare lo spirito
scientifico nei giovani fino a che alcune
proposizioni sono considerate sacrosante
e non aperte a discussione. E' nell'essenza
dell'atteggiamento scientifico il domandare
la prova per qualunque cosa si deve credere,
e seguire le testimoniannze senza riguardo
alla direzione a cui portano. Appena vi sia
un credo da sostenere, è necessario circondarlo
di emozioni ed interdizioni, dichiarare con
accenti vibranti di forte passione ch'esso
contiene "grandi" verità ed erigere
dei criteri di verità diversi da quelli della
scienza, più specialmente i sentimenti del
cuore e le certezze morali degli uomini "buoni".
Nei grandi giorni della religione, quando
gli uomini credevano, come Tommaso d'Aquino
che la pura ragione potesse dimostrare le
proposizioni fondamentali della teologia
cristiana, il sentimento non era necessario:
la Summa di San Tommaso è fredda e razionale come
David Hume.>>
Crediamo con ciò di aver brevemente introdotto
i centri di interesse della filosofia di
Russell.
Per eventuali approfondimenti rinviamo a
saggi specifici che verranno pubblicati in
questa sezione di Cactus-filosofia con cadenza
più o meno mensile.
Daremo conto dell'altro aspetto fondamentale
dell'impegno di Russell, cioè delle sue battaglie per la libertà, nel breve profilo biografico che cercheremo
di tratteggiare.
2. La vita
Bertrand Russell nacque il 18 maggio 1872. Era figlio del visconte di Amberley, ma
perse entrambi i genitori in pochissimo tempo.
Si trovò orfano a tre anni. Venne quindi
accolto dai nonni paterni, Lord John Russell
e Lady Russell, ambedue liberali e persino
antimperialisti (Lady Russell sosteneva la
causa dell'indipendenza irlandese, Lord John
Russell aveva favorito il risorgimento italiano
in chiave anti austriaca.)
Seguì studi privati, come conveniva ad un
giovane aristocratico in epoca vittoriana,
e solo successivamente approdò al Trinity
College di Cambridge, dove si completò a
contatto di insegnanti ed amici quali Alfred
North Whitehead, McTaggart, G.E.Moore.
Completati gli studi, a ventidue anni, passò
a lavorare presso l'ambasciata inglese a
Parigi. Qui l'anno dopo ebbe occasione di
sposarsi (mentre, come è noto, egli maturò
più avanti una concezione negativa del matrimonio,
propugnando un'etica del libero amore)
Poco dopo decise di spostarsi a Berlino,
anche per conoscere direttamente le teorie
socialiste nella loro terra d'origine e ne
ricavò un'opera: "La Socialdemocrazia
Tedesca" del 1896.
L'anno successivo vide la luce "An Essay on the Foundations of Geometry", nel quale si manifesta ancora l'influenza
dell'idealismo di Bradley.
Nel 1900 ultimò "Esposizione critica della Filosofia
di Leibniz" che testimonia il suo rinnovato interesse
per la fondazione logica che il filosofo tedesco aveva cercato di
proporre.
Nello stesso anno incontrò ad un congresso
internazionale di filosofia il matematico Giuseppe Peano, il quale aveva operato l'assiomatizzazione
dell'intera matematica sia mediante la riduzione
della geometria all'aritmetica, sia mediante
la riduzione della stessa aritmetica ai cinque
assiomi fondamentali, tutti esprimibili mediante
i concetti di elementari di "zero",
"numero" e "immediatamente
successivo".
Russell si convinse, come del resto Frege (del quale non conosceva ancora le opere),
della possibilità di ricondurre la formalizzazione
della matematica alla logica.
Scrivendo "The Principles of Mathematics",
pubblicato nel 1903, egli espose questo programma
ma, solo una decina di anni dopo esso trovò
compimento nei celebri "Principia mathematica" scritti in collaborazione con Alfred North Whitehead.
Nel 1905 compose l'articolo "On Denoting" nel quale formulò una teoria della descrizione
e propose una formalizzazione del linguaggio
comune per renderlo più rigoroso.
E' nel 1910 che uscì il primo volume dei
Principia. Ma c'è da rilevare l'instacabilità
di Russell, attivo anche politicamente: nel
1907 egli conobbe una bruciante sconfitta
come deputato liberale.
Più tardi, nel 1910, tornò a Cambridge come
"lettore" di Logica. Tenne poi
un corso ad Harvard sui Principia, ma allo
scoppio della prima guerra mondiale, fu allontanato
da Cambridge per le sue prese di posizione
pacifiste e favorevoli all'obiezione di coscienza
al servizio militare.
I dettagli di questo episodio sono raccontati
nel libro scritto da G.H.Hardy "Bertrand
Russell and Trinity" (1942) che non
credo sia mai stato tradotto in italiano.
Fu in questo periodo che conobbe Wittgenstein.
Il secondo ed il terzo volume dei "Principia
mathematica" furono pubblicati rispettivamente
nel 1912 e nl 1913.
Poco dopo, nel 1916, venne dato alle stampe
"I principi di riforma sociale"
Nel 1818 dovette scontare sei mesi di carcere per un articolo pacifista e in questo periodo
di clausura forzata compose "L'introduzione alla Filosofia Matematica" che rimane la sua opera più accessibile
anche al grande pubblico sui problemi logico-matematici.
Nel 1920, quale risultato di un viaggio in
Russia ed in Cina, Russell fece pubblicare
"Teoria e pratica del bolscevismo", testo piuttosto critico nei confronti del
marxismo-leninismo. Tra l'altro egli fu uno
dei primi occidentali invitato ufficialmente
in una Università cinese a tenere conferenze.
Con la seconda moglie fondò nel 1927 una
scuola per verificare le sue idee pedagogiche
e scrisse un testo di carattere pedagogico
"Sull'educazione specialmente dei bambini
piccoli", subito accusato di "permissivismo".
In questo periodo insegnò in varie università
americane, compreso il City College di New
York, dal quale però fu espulso perchè le sue idee vennero giudicate immorali.
E' da notare che in occasione del conferimento
dell'incarico proprio al City College ed
alle immediate polemiche scoppiate, lo stesso
Albert Einstein prese posizione sul New York Times del 19
marzo 1940 con queste parole: << Da
sempre i grandi spiriti hanno incontrato
la violenta ostilità delle menti mediocri.
La mente mediocre è incapace di comprendere
chi, rifiutando di inchinarsi ciecamente
ai pregiudizi convenzionali, decida di esprimere
le sue opinioni con coraggio e onestà.>>
Dal 1927 al 1938 Russell aveva composto una
serie di testi nei quali compaiono gran parte
di queste idee. Tra gli altri segnaliamo
"Saggi scettici" del 1928, "Matrimonio e Morale" del 1929, "La conquista della Felicità" del 1930, "L'ordine sociale" del
'32, "Libertà ed Organizzazione"
del '34, "L'elogio dell'Ozio" del 1935 ed infine "Il Potere"
del '38.
Nel 1944 fu finalmente richiamato come professore
a Cambridge.
Negli ultimi anni della sua vita si occupò
soprattutto di temi etici e politici, scrisse
la già richiamata "Storia della filosofia occidentale" e "Human Knowledge: its Scope and Limits", 1948.
Nel 1950 conseguì, incredibilmente, il premio
Nobel per la letteratura!!! L'onorificenza
gli venne attribuita per il suo libro sul
matrimonio.
Nel 1955 pubblicò insieme ad Albert Einstein il "Manifesto Russel-Einstein" contro la proliferazione delle armi nucleari.
Già in precedenza i due avevano condiviso
alcune battaglie, tra le quali quella contro
il maccartismopersecutorio nei confronti di tutti gli iscritti
al partito comunista americano, considerati
spie e traditori. Dopo la lettera-bomba di
Einstein, pubblicata il 16 maggio del 1953,
Bertrand Russell prese posizione sul New
York Times con queste parole: << Voi
condannereste i martiri cristiani che si
rifiutavano di sacrificare all'imperatore?
(...) Sono obbligato a supporre che voi condannereste
George Washington.>>
Negli ultimi anni della sua vita Russell,
che tra l'altro sprizzava vigore anche tarda
età (si salvò a nuoto a 76 anni in un incidente
aereo), accentuò le sue critiche al cristianesimo,
assunse rinnovate posizioni pacifiste, si
oppose fermamente all'antisemitismo in Unione
Sovietica (un fenomeno aberrante del quale
non si sono mai comprese le ragioni) e soprattutto
si distinse per la denuncia dei crimini americani
in Vietnam.
Morì nel 1970, a seguito di un attacco influenzale.
Renzo Grassano 1 settembre 2000 - appositamente
scritto per Cactus - filosofia
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