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La rivoluzione industriale

capitolo 2: Campagna e città. La concentrazione della proprietà terriera procede parallelamente all'accumulazione di capitale commerciale. Qualche nozione sulle diverse fasi della lavorazione dei tessuti.
di Guido Marenco

Studiando la storia da un punto di vista esclusivamente economico, si rischia di dimenticare la dimensione umana dei problemi, ed in particolare che nel Settecento si viveva peggio di oggi in tutti i sensi. La mortalità, sia quella infantile che quella generale, era molto alta; la durata media di una vita era breve e contro le epidemie quali quella del tifo e del vaiolo, che mietevano vittime in tutti gli strati sociali, i rimedi erano scarsi ed inefficaci, soprattuto prima della scoperta del potenziale immunologico della vaccinazione sperimentato e provato da Jenner.
La malnutrizione era diffusa. In città si viveva forse meglio che nelle zone rurali, ma le città stesse, specie quelle più grandi, come Londra e Parigi, erano abitate da un gran numero di poveri, costretti a vivere in condizioni di assoluta precarietà. Le attività economiche che richiedevano un lavoro ad ore, o a giornata, erano indubbiamente molte, e la città di piccole e medie dimensioni, a detta di Adam Smith, offriva sicuramente più opportunità dei centri rurali, perchè la divisione del lavoro e l'aumento delle specializzazioni, comportava spesso l'offerta di lavori più umili, ad esempio quello di facchino, che nelle zone rurali era piuttosto improbabile. Secondo Smith, uno dei coefficienti alla divisione ed alla specializzazione del lavoro era la densità della popolazione.
In campagna occorreva percorrere miglia e miglia per trovare un fabbro ferraio, od un medico, od uno speziale; in città bastavano pochi passi a piedi. Tuttavia, Smith, parlando di poveri, introduce una distinzione: ci sono labouring poor e idle poor.
I primi sono dediti al lavoro, e se non l'hanno lo cercano, ma non si adattano a qualsiasi impiego, vogliono un'occupazione onesta e dignitosa, che dia da vivere a sé ed alla famiglia.
I secondi sono oziosi, vivono d'espedienti e si adattano a qualsiasi lavoro, ma solo per qualche tempo di ristrettezze e difficoltà.
Preferiscono la mendicità, o il furto, od anche la rapina a qualsiasi lavoro.
Un'occupazione ben pagata, come documenta Ashton, era quella di rapire robusti giovanotti per arruolarli a forza nella marina o da inviare nelle colonie, in un regime di semischiavitù, come la servitù a contratto nelle colonie americane. La ciurma dei navigli mercantili, dei pescherecci, delle baleniere di cinematografica memoria, era spesso costituita da questi infelici strappati al loro villaggio dalle bande criminali.
Questa distinzione d'ordine etico è essenziale al pensiero economico e filosofico di Adam Smith ma, dovrebbe essere essenziale anche in qualsiasi considerazione sui poveri e sui lavoratori in generale, mentre spesso, come abbiamo visto, accade, al contrario, che nel pensiero di destra il povero è il miserabile per definizione, mentre in quello progressista il povero è buono ed oppresso per altrettanto sciocca definizione. Sicchè accade che, quando si parla di giustizia sociale e conflitti economici,viene spesso alzato un polverone che impedisce di veder chiaro di che si tratta. La lucidità di Adam Smith ci accompagnerà, dunque, per un buon tratto d'ora in poi. Molte delle questioni storiche più controverse, alla luce di quanto egli ha scritto, assumono contorni molto più precisi.


La città non è autosufficiente
Il ragionamento che ognuno dovrebbe fare, quando si pone di fronte al rapporto città-campagna, è che la città è un ambiente umano non autosufficiente. I cittadini debbono importare dalla campagna, qualsiasi campagna, anche quella posta oltremare, i cereali, la verdura, la frutta, i formaggi e le carni. Il pesce deve essere pescato da pescatori e servito fresco o messo sotto sale. Anche i prodotti necessari all'industria, ad esempio il malto per le birrerie e le distillerie, arriva dalla campagna. Legna e carbone necessari al riscaldamento delle case devono essere raccolti nei boschi od estratti dalle m iniere, così come il rame, lo stagno e qualsiasi altro elemento indispensabile alla produzione di beni particolari.
Più grande è la città, più grande è la sua dipendenza dai fornitori agricoli e dalle risorse della terra. Pertanto, l'idea che l'agricoltura inglese non fosse altro che un mondo chiuso nel quale i contadini producevano appena il necessario per sé stessi appare lacunosa.
C'era, per forza di cose, un'agricoltura capace di produrre anche un surplus da vendere sui mercati. Una città come Londra, l'unica ad avere realmente grandi dimensioni, necessitava di una produzione agricola congruente al numero degli abitanti, che erano in crescita.
Ma se l'immagine prevalente circa lo stato dell'agricoltura inglese nel Settecento pre-industriale è quello dell'arretratezza, è evidente che ci troviamo di fronte ad una situazione non del tutto chiarita. O, per capirci, il cibo arrivava dalla campagna inglese, oppure veniva importato dall'Irlanda o dalla Francia , o persino dalla Spagna e dal Portogallo. E qui, è certo che un certo genere di lusso, il vino, arrivava effettivamente dalla Francia o dal Portogallo.
I dati sull'importazione di grano ed altri cereali sono controversi. Spesso, paradossalmente, si parla persino di esportazione, cioè di grano inglese che viene stivato nelle navi e parte per l'Europa. Nei primi decenni del Settecento, secondo Castronovo, che riprende una tesi di R. E. Ernle, l'Inghilterra divenne il granaio d'Europa. Ciò non è esagerato se solo si considera che una delle condizioni che rendeva possibile un tale fatto era la scarsità della popolazione cittadina inglese.
La riduzione delle esportazioni di grano nel periodo successivo non fu dunque dovuta ad una crisi particolare dell'agricoltura, ma semplicemente all'incremento della popolazione in città come Londra, porti come Liverpool e Bristol.
Possiamo dunque pensare che lo stato dell'agricoltura inglese non fosse così disastroso come in genere viene presentato.
Tuttavia, non si tratta di una leggenda quando si parla di arretratezza. I sistemi di coltivazione erano arretrati in confronto a quelli nuovi teorizzati. E, soprattutto, parevano inadeguati a far fronte ad un incremento demografico che si avvertiva più su basi visive che su basi statistiche.
E qui, scatta un'altra considerazione. L'agricoltura era tassata, se non torchiata. Le spese militari per tutte le guerre condotte sul continente, sui mari, nelle colonie, erano mantenute dal contadino inglese in una misura certamente superiore a quella di qualsiasi altra categoria sociale. Ciò poteva provocare almeno due comportamenti: quello di una pressione per ridurre il peso fiscale, e quello di trovare il modo di aumentare le entrate.

Abbiamo già visto che il contrasto tra campagna e città in Inghilterra era molto meno marcato che altrove. L'unico stacco netto era costituito da Londra, con i suoi settecentomila od ottocentomila abitanti ed il resto del paese. Ogni dieci inglesi, uno era londinese e forse non aveva mai visto una miniera di carbone od una landa della Cornovaglia, ma solo docks, vie eleganti e quartieri malfamati. Considerato l'insieme dei centri che potevano superare i 5.000 abitanti, solo 1 inglese su 5 viveva in città.

Non solo contadini

L'artigianato rurale era diffuso. I contadini non furono mai agricoltori nel senso ristretto che si da genericamente a questa parola. Nei lunghi mesi invernali oltre che trasformare i prodotti agricoli, produrre i propri attrezzi di lavoro, divenne consuetudine lavorare la lana una volta tosata e quindi venderla come semilavorato.
Oggi si calcola che già nel 1400 oltre metà della produzione tessile di lana aveva origine nelle contee. A metà del Settecento la gran parte della produzione si basava sul lavoro a domicilio svolto nelle zone rurali, e fatto importante, di tutte le città che un tempo erano state fiorenti con la lavorazione della lana, solo Norwich aveva ancora una certa importanza. Era avvenuto che la campagna si era mangiata le città e che i contadini e gli allevatori, in grado di lavorare a costi inferiori, avevano sconfitto gli artigiani cittadini.
In realtà, erano stati gli imprenditori-mercanti a trarre i maggiori utili da questa prima rivoluzione produttiva. Potendo beneficiare di un costo inferiore nell'acquisto di semilavorati e prodotti finiti, essi incrementarono i loro utili, il loro potere, il controllo della produzione alla fonte.
Ciò, ovviamente non avvenne in modo lineare ed indolore. David S. Landes evidenzia che la conflittualità tra datori di lavoro e manodopera nel lavoro a domicilio era molto alta. Uno dei motivi consisteva nel fatto che il contadino aveva in custodia i materiali dell'imprenditore e li lavorava quando meglio gli conveniva, senza grandi possibilità di sorveglianza. « La sola risorsa del mercante - scrive Landes - è il limitato controllo sui gua dagni dei dipendenti: se li paga poco, costoro sono costretti a lavorare per timore della fame; e se riduce loro il salario quando vengono meno a certi canoni di qualità, essi sono costretti a mantenere un livello minimo di prestazioni. E' ovvio che l'esercizio di questi freni è legato all'esistenza di un qualche vincolo monopsonistico fra imprenditore e lavoratore; altrimenti il primo non può far altro che accettare il prezzo di mercato del secondo.» (Landes - cit.)
Forse le parole giuste per descrivere questo rapporto potrebbero essere indispensabilità e reciproca convenienza.
Quando Landes afferma che i lavoratori impararono presto ad arrotondare i guadagni, accantonando per uso proprio o per rivenderla, una parte della lana grezza fornitagli dal mercante, dice una verità vecchia come il mondo, e non è vero che la disonestà si può combattere solo alzando le remunerazioni. Ma un imprenditore scafato sa anche questo e lo include nei costi iniziali, prevede una più bassa remunerazione in funzione del pareggio dei conti, ed ovviamente tratta in maniera diversa lavorante onesto e lavorante disonesto, riservando a questo sia la sanzione, sia una cospicua riduzione dei carichi di lavoro. In pratica, il manico del coltello rimane robustamente nelle mani dell'imprenditore, senza contare, come rileva ancora Landes, "che il controllo imprenditoriale sui lavoranti era più forte quando il mercato era in crisi: allora sugli operai casalinghi incombeva la minaccia della disoccupazione. Uno dei vantaggi maggiori, per gli imprenditori, del sistema dell'industria a domicilio era appunto la facilità con cui si potevano licenziare i lavoranti; le spese generali erano minime."

Ma messa così la questione lascia in ombra alcuni aspetti decisivi. In primo luogo: il lavorante a domicilio è primariamente un agricoltore che vive dei prodotti della terra, una terra che non arricchisce, ma che tuttavia è già riuscita a rendere l'Inghilterra un paese che esporta orzo, segale, persino grano, ed altri prodotti. Non solo: l'introduzione della coltivazione del mais e della patata, importati dall'America, contribuirono ad una differenziazione della produzione indispensabile ad incrementare la redditività dei suoli. Come osservò Adam Smith, il mais aveva un rendimento superiore a quello del frumento, ed è probabile che l'esportazione di grano sia stata resa possibile da un incremento del consumo interno sostitutivo di mais.
Ciò precisato, è evidente che l'agricoltura non era così trascurata come generalmente si crede. Era poco redditizia, specie perchè tassata, tuttavia produceva quanto bastava al paese intero in tempi normali, cavalli compresi. Non tutti hanno idea di quanto costa un singolo equino in termini di foraggio consumato: provare per credere.
La pratica del lavoro a domicilio, però, rese il contadino meno attento ai problemi della terra, contribuendo così ad una definitiva crisi del modello agricolo prevalente, ed allo stesso tempo consentì il grande balzo nello sviluppo della produzione laniera. Così nacque la fortuna di imprenditori che controllavano fino a duemila nuclei familiari impegnati nella produzione.

A raffronto con altre zone di rilevante produzione tessile come l'Italia e le Fiandre, emerge che all'inizio del Settecento sul continente si ebbe una certa crisi dovuta in primo luogo alle guerre, mentre in Inghilterra il consumo di lana grezza cresceva di circa l'8% a decennio, raggiungendo una punta del 13% nel periodo tra il 1740 ed il 1770.
« Nessun paese -scrive Landes - era fornito con tanta dovizia di lana grezza, particolarmente della lana a fibra lunga necessaria per i tessuti pettinati, più leggeri e resistenti; e la manifattura rurale, largamente esente dagli intralci di restrizioni corporative o di regolamenti statali, era in condizione di sfruttare al massimo questa risorsa adattando il suo prodotto alla domanda ed al variare di questa. In particolare, essa era libera di creare tessuti più a buon mercato, forse meno robusti dei panni e delle stoffe tradizionali, ma di uso comune e spesso più confortevoli.» (Landes -cit.)

Città inglesi più snelle e meno pesi burocratici

Questa vittoria della campagna industriosa sulla città di piccole dimensioni non deve però essere vista in termini assoluti.
Le piccole città inglesi non erano solo centri amministrativi come in Germania, dove dunque prevaleva un tipo di popolazione legata a professioni burocratiche, mantenuta dal lavoro di contadini e artigiani. In Inghilterra il peso dell'amministrazione pubblica era molto minore. Le città erano prevalentemente luoghi di commercio e produzione artigianale diversificata. Le fiere avevano un ruolo rilevante per supplire soprattutto alla difficoltà di trasporto e comunicazione. Il bestiame veniva ad esempio convogliato da un'esposizione all'altra e quivi veniva venduto. Lo stesso capitava con la lana e le stoffe, la minuteria da ferramenta, la chincaglieria, il pentolame ed i l vasellame, i principali prodotti agricoli e caseari. L'estensione delle fiere costituiva occasione per allargare il raggio d'azione dei mercati e offrire i prodotti ad una clientela altrimenti irraggiungibile.

La yeomanry

La crescita dell'allevamento, certamente più redditizio della semplice agricoltura, portò ad una restrizione della superficie coltivata e quindi alla necessità di far fronte al fabbisogno alimentare con un tipo di coltivazione più intensiva. Questo avvenne in particolare con l'introduzione del sistema delle recinzioni e con una diversa ed innovativa rotazione annuale delle colture.
Tutto ciò non avvenne in modo indolore. La piccola proprietà agricola definita come yeomanry scomparve lentamente a vantaggio della grande proprietà terriera e gli yeomen, questa classe di piccoli proprietari e fittavoli che costituiva l'ossatura del putting-out system della lana, finì quasi con l'estinguersi, sopravvivendo solo in alcune zone.
Alcuni storici datano la conclusione di questo processo di concentrazione della proprietà terriera addirittura al 1750.
Probabilmente esso fu più lungo e scampoli di yeomanry sopravvissero fino agli inizi dell'Ottocento. Ma, certo, nel 1750 la situazione non era quella di prima.
Ora, anche in questo caso siamo ad una sorta di dilemma: fu l'estensione dei terreni convertiti a pascolo a determinare una svolta nei sistemi di coltivazione e quindi ad una concentrazione della proprietà, oppure, al contrario, fu la concentrazione della proprietà a determinare un aumento dei pascoli?
Risposta che non pare facile.
Certo è che a trainare l'estensione dei pascoli fu lo sviluppo stesso dell'artigianato tessile che aveva un bisogno crescente di materia prima, cioè di lana.
Dobbiamo guardarci dal credere che l'allevamento ovino fosse incentivato da un incremento del consumo di carne, non perchè gli inglesi non fossero carnivori, ma perchè disponevano di quella di tacchino, di oca, di manzo e di maiale da tempo immemorabile. Sulle zone costiere e nell'immediato entroterra, come pure in vicinanza dei fiumi, era inoltre diffuso il consumo del pesce. Il problema semmai era costituito dalla mancanza di foraggio nel periodo invernale, che era inutile coltivare dato il clima, e quindi dalla necessità del maggese.
Sappiamo che John Hales già nel 1549 lamentava: « In fede mia queste recinzioni saranno la nostra rovina! A causa loro paghiamo per i nostri campi affitti più pesanti che mai, e non troviamo più terre da coltivare. Tutta la terra è messa a pascolo e destinata all'allevamento delle pecore o del bestiame, tanto che in sette anni ho veduto, per un raggio di sei miglia tutto intorno, una dozzina di aratri messi in un canto. Dove più di quaranta persone trovavano da vivere, adesso tutto è nelle mani di un solo uomo col suo pastore. Sì, queste pecore sono la causa della nostra disgrazia. Hanno cacciato dal paese l'agricoltura, che finora c i forniva ogni sorta di prodotti, mentre al presente non vi sono altro che pecore, pecore, ed ancora pecore.» (Mantoux - cit.)
Altri scrivevano: "Le recinzioni ingrassano le greggi ed affamano la povera gente." Ma in questo caso si dimenticava che le greggi davano lana e lavoro e da questo veniva un salario, per quanto basso.
Durante il protettorato di Oliver Cromwell furono ordinate due inchieste sulle recinzioni e furono anche pubblicati numerosi pamphlets, senza che tuttavia emergesse in qualche modo la verità completa su tutta la storia, ovvero che gli yeomen si erano scavati la fossa con le proprie mani, scegliendo di lavorare la lana a domicilio e quindi favorendo in modo spropositato l'allevamento.

Espropri e recinzioni (enclosures)

Cos'era dunque accaduto? I grandi proprietari avevano rescisso i contratti di affitto delle terre e cacciato letteralmente gli affittuari e che, laddove non erano proprietari, avevano provveduto ad acquistare i piccoli appezzamenti con i metodi che spesso abbiamo visto riproposti dai film western: prima l'offerta economica, poi, eventualmente, la minaccia ed i metodi forti, la vittoria della prepotenza.
A questo bisogna però aggiungere altre considerazioni. Mantoux segnala che molti studiosi nel Seicento avevano preso a cuore le sorti dell'agricoltura e riflettuto a lungo sui metodi di coltivazione. Weston, Hartlib e Donaldson furono in qualche modo i precursori della moderna agronomia. Ma i loro suggerimenti furono applicati solo in casi sporadici. « Quando Daniel Defoe - dice Mantoux - scrisse la sua descrizione dell'Inghilterra, molte province erano in parte incolte. La zona occidentale della contea del Surrey era " non solamente povera, ma completamente improduttiva, abbandonata alla sua sterilità, orribile a vedersi. Un grande spazio che non è che un deserto sabbioso...dove cresce l'erica, prodotto abituale dei suoli infecondi." Nello Yorkshire - prosegue Mantoux - appena fuori da Leeds, si incontrava "una continua successione di lande nere, sinistre, desolate, attraverso le quali i viaggiatori erano guidati, come i cavalli nella pista, da pali piantati nel terreno per segnalare fosse ed avvallamenti." Le fens delle contee di Cambridge, di Huntigdon e di Lincoln, nonostante i lavori di prosciugamento eseguiti nel secolo precedente, formavano ancora grandi distese paludose. Soprattutto il nord dell'Inghilterra restava incolto e selvaggio: dal confine settentrionale del Derbyshire fino a quello del Northumberland - per una distanza cioè, in linea d'aria di centocinquanta miglia - non si incontrava altro che terre incolte.
La coltivazione del suolo, dove veniva praticata, conservava spesso forme primitive. La rotazione triennale era praticamente l'unica in uso: un anno ogni tre, i campi restavano improduttivi. Gli strumenti di lavoro denunciavano una non minore arretratezza: in certe province, il vomere dell'aratro era di legno, protetto appena da una lama di metallo. Per arare, si ricorreva ancora ad inutili attacchi di dieci o dodici bovi. Il foraggio scarseggiava e, verso l'autunno parte del bestiame veniva macellato per timore di non riuscire a nutrirlo nei mesi invernali. Le tecniche di allevamento erano pressochè sconosciute e gli animali domestici, piccoli e magri, si distinguevano appena da quelli che vivevano allo stato selvaggio. » (Mantoux - cit.)

A questa immagine di decadenza offerta da Defoe, si deve aggiungere che anche nel resto d'Europa, nella vicina Francia e nella vicinissima Irlanda le cose non andavano meglio. Ma, in Inghilterra era entrato in crisi un modello, quello degli open fields, piccoli appezzamenti di terra coltivati in comune e con molta trascuratezza dagli abitanti dei villaggi, ed era ovviamente entrato in crisi anche il metodo antiquato di coltivazione basato sui cicli biennali o triennali. In altre parole era entrata in crisi l'economia di sussistenza, ovvero quel tipo di vita e di produzione che si preoccupa solo di tirare a campà, senza alcun riguardo per il profitto e l'accumulazione di denaro. Non si può dire allora che la città ed il modello mercantile artigianale non ebbero influenza sulla campagna. L'idea che la terra potesse rendere molto più di quello che rendeva normalmente cominciò a diffondersi, ma non tra i contadini.
Si è creduto a lungo che la svolta in agricoltura potesse essere datata 1731, anno in cui venne pubblicato il libro di Jethro Tull.

Jethro Tull

Il signore in questione non aveva solo conoscenze teoriche ma, aveva dedicato all'osservazione delle tecniche agricole usate in Francia, Olanda e Germania oltre un trentennio, sperimentando alcuni metodi innovativi nella sua tenuta di Mount Prosperous nel Berkshire. Jethro Tull fu uno dei primi a concepire il concetto di agricoltura intensiva. Scrive Mantoux: «Raccomandava un'erpicatura e un'aratura profonde, le rotazioni continue che fanno produrre alla terra, senza esaurirla, una serie di raccolti diversi, soppri mendo o riducendo lo sperpero del maggese. Spiegava l'importanza delle scorte di foraggio per l'inverno ed il partito che si poteva trarre dalle piante con radici nutritive, come il cavolo-rapa e la barbabietola. La sua grande originalità è riconoscibile nel tentativo di sostituire alla tradizione immobile un metodo fondato sull'osservazione ed il ragionamento. Se non lo spirito scientifico propriamente detto, Tull rappresentava almeno qualche cosa di molto simile: l'empirismo illuminato che spesso conduce alle scoperte. Le teorie di Jethro Tull divennero famose. Tutta una generazione di grandi proprietari le avrebbe prima imparate e poi applicate.» (Mantoux - cit.)
Ma su questo punto T.S. Ashton contesta Mantoux in maniera significativa. « Tull aveva una sua personale teoria in fatto di coltivazione: ritenendo che le piante potessero assorbire il loro nutrimento soltanto sottoforma di minuscole particelle, che chiamava atomi, egli raccomandava una costante polverizzazion e del suolo mediante una lavorazione in profondità; e per facilitare tale lavorazione inventò, o perfezionò, nel 1714, uno speciale tipo di zappa, tirato da un cavallo. Sotto molti aspetti il suo insegnamento era retrivo: Egli era contrario all'uso del concime; il suo sistema di seminare in fori distanziati, se faceva risparmiare sementi, comportava spreco di terra; e la sua ostilità alla rotazione (sostenuta com'era dall'affermazione di aver coltivato un campo a frumento per tredici anni consecutivi) ritardò il rinnovamento agricolo in molte regioni dell'Inghilterra.» (Ashton - cit.)
Certamente Ashton esagera in negativo quando afferma che il libro di Tull ritardò il rinnovamento, ma al di là del contenuto del libro stesso (non varrebbe la pena di verificare quale fu la vera posizione di Tull sulle rotazioni?) è certo che anche quando un libro contiene argomenti erronei ma, va a toccare i punti giusti, è comunque di stimolo e non di ritardo.

The moneyed men e l'aristocrazia

Il problema, però, sembra un altro : si badi che qui Mantoux parla di grandi proprietari e non di yeomen. L'aristocrazia inglese, a differenza di quella continentale sembrava animata da uno spirito più aperto ed imprenditoriale. Mantoux parla di un desiderio di aumentare le proprie ricchezze che però non spiega tutto. Scrive che gli aristocratici osservano con livore l'ascesa della borghesia finanziaria e che "con una singolare mescolanza di orgoglio e cupidigia, odiava gli uomini danarosi, the moneyed men."
Si tratta di cogliere che l'aristocrazia inglese riuscì a svolgere un ruolo attivo di trasformazione, a differenza di quella continentale, che ormai sempre più si presentava come una palla al piede per lo sviluppo ed una massa di parassiti mantenuta dal lavoro di piccolo borghesi, braccianti agricoli e proletari.
Ma spesso non è la massa (non si può forse parlare di massa, se si discorre di aristocratici? Non fanno massa anche loro quando si trovano a congresso?) a fare la storia, ma il buon esempio di qualche figura d'avanguardia.
Una di queste fu lord Townshend, che ricoprì anche importanti cariche pubbliche come lord della reggenza alla morte della regina Anna, segretario di stato e luogotenente d'Irlanda. In seguito ad un furioso litigio con Sir Robert Walpole, nel 1730 si ritirò a vita privata nei suoi terreni di Rainham, nel Norfolk. Erano sabbia e paludi, paludi e sabbia. Deciso a valorizzare i suoi possedimenti, lord Townshend, che aveva anche denaro a disposizione in quantità, si dedicò alla bonifica, drenò il suolo, ed iniziò a praticare la rotazione delle colture. Ma la vicinanza con Norwich, grande mercato della lana, lo indusse a dedicare anche molti terreni a pascolo.
« All'inizio, questo pari d'Inghilterra fattosi coltivatore venne deriso e si vide affibiare il soprannome di Townshend-Rapa (Turnip Townshend). Ma egli non si lasciò demoralizzare e, in pochi anni, trasformò una regione povera ed improduttiva in una delle più fiorenti de l regno. Il suo esempio venne seguito dai proprietari vicini. In trenta anni, dal 1730 al 1760, il valore delle terre risultò decuplicato in tutta la contea di Norfolk. » (Mantoux - cit)

George Rudè, uno storico canadese profondo conoscitore del Settecento, afferma: « Il piano a lungo termine degli innovatori consisteva nel sostituire il vecchio campo aperto con il "recinto" o la recinzione della terra e nella creazione di aziende agricole omogenee a conduzione individuale; ma la necessità più immediata e più urgente era di trovare i mezzi per eliminare lo spreco con una rotazione continua delle colture. Tale necessità si era dapprima palesata nelle regioni a forte densità, specialmente vicino ai centri urbani; la prima mossa per abolire il maggese era stata compiuta non prima del XVI secolo nelle aree adiacenti ad alcune città tedesche, in alcune parti della Normandia e della Provenza e soprattutto nelle due più grandi regioni di più antica civilizzazione urbana, l'Italia settentrionale e le Fiandre. L'impiego del trifoglio, che in questi nuovi sviluppi occupava (come la rapa) un posto così importante, era stato introdotto per la prima volta in Italia nel XVI secolo, e di là si era diffuso in Olanda e dall'Olanda all'Inghilterra, dove veniva regolarmente esportato già verso il 1620; quarantanni più tardi un inglese, Andrew Yarranton, scriveva che sei acri di trifoglio ne valevano trenta di prato aperto.» (Rudè - cit.)
Dopo la concentrazione della proprietà per la conversione a pascolo, iniziò così una fase di riconcentrazione delle proprietà delle terre agricole.
Anche in questo caso la vicenda si può interpretare in modi diversi. Da una parte i buoni aristocratici lungimiranti, previdenti, istruiti nelle nuove teorie sulla coltivazione; dall'altra i pessimi yeomen, i contadini ignoranti e conservatori, chiusi alle novità, pigri e fannulloni nei campi perchè schiantati dalla fatica del lavoro a domicilio, oltre che ubriaconi, e quindi sfruttatori del lavoro delle mogli e dei figli, più che del proprio.
Ma l'altra storia, quella che non viene quasi mai raccontata, parla di esprospri legali, di tortuose manovre ed imbrogli realizzati grazie al concorso delle autorità, del Parlamento, dei parroci anglicani e dei giudici di pace.
C'è del vero in entrambe le versioni, perchè i deboli non sono meno canaglie dei forti, e i poveri non sono mai più buoni dei ricchi per definizione, ma il dato finale non depone a favore degli aristocratici. Le nefandezze raccontate da Mantoux sono inequivocabili.
Con il sistema dell'open fields, seminare il trifoglio, come consigliavano i nuovi manuali, era impensabile. L'imperativo era orzo e segale. Il contadino dei tempi andati, che viveva al limite della sussistenza, non riusciva a concepire l'agricoltura come un modo per guadagnare. Ma il nuovo imprenditore agricolo del 1700 concepiva il lavoro come un'impresa, calcolava costi e profitti, deprecava che tanto ben di Dio in termini potenziali non riuscisse a tradursi in ben di uomo in termini reali.
Diventava sempre più chiaro che l'open fields era un ostacolo allo sviluppo ed al guadagno.
« Tra le recinzioni dei secoli XVI e XVII e quelle del XVIII secolo - scrive Mantoux - c'era una differenza essenziale. Le prime erano state osteggiate dal governo reale, le altre furono, al contrario, aiutate ed incoraggiate dal Parlamento. Sotto i Tudor e gli Stuart la recinzione, tranne quando assumeva la forma di brutale atto di sequestro, era preceduta da un accordo tra tutti i proprietari della parrocchia. Ma i potenti avevano più di un mezzo per schiacciare ogni opposizione: " chi si oppone, sottostà alla minaccia di un processo lungo, incerto e costoso; in altri casi è perseguitato dai grandi proprietari, che fanno scavare dei fossati intorno ai propri possedimenti, obbligandolo così a lunghe deviazioni per raggiungere le sue terre, op pure non esitano a liberare conigli ed ad allevare oche sui terreni vicini con grave danno per i raccolti." » La citazione di Mantoux riguarda un lavoro di Gonner sulle enclosures.

Illegalità più che legali

I metodi per scoraggiare sono molti e ben conosciuti. La gente non ama i processi, che fanno perdere tempo e sono seccature.
« Se non era possibile ottenere il consenso necessario alla conclusione di un reciproco accordo (deed of mutual agreement), l'autorità pubblica era autorizzata ad intervenire. Tutti gli atti di recinzione registrati nello Statute Book, senza eccezione alcuna, miravano a disciplinare i numerossisimi casi in cui non si era potuto ottenere l'unanime consenso di tutti i proprietari. Ma nessuna azione legale poteva essere intrapresa se non vi era chi la sollecitasse.» (Mantoux -cit.)
I grandi proprietari furono in breve piuttosto solleciti nel richiedere al Parlamento atti di recinzione per le loro terre. Tutto iniziava con una riunione dei possidenti, nella quale veniva designato un attorney incaricato di condurre l'azione legale.
In queste riunioni non si contavano le teste; i voti venivano assegnati in base agli acri posseduti. Pertanto, quando la petizione veniva presentata in Parlamento, il numero dei firmatari era spesso esiguo; era sufficiente che rappresentasse i quattro quinti delle terre da recintare. Mantoux sostiene che coloro che rappresentavano l'ultimo quinto erano spesso i più numerosi.
E se il consenso di qualche piccolo proprietario si rivelava indispensabile, lo si persuadeva in modi prima carezzevoli e poi piuttosto minacciosi. Era raro che si dovesse ricorrere a queste forme mafiose di pressione. "Il contadino - scrive Mantoux - non osava manifestare il proprio malcontento." Temeva di entrare in conflitto con i potenti.
Ma cosa accadeva dopo che l'atto di recinzione era stato votato? Il testo era lungo, pieno di clausole e di inghippi e non fissava esattamente tutte le operazioni che dovevano essere eseguite. Il lavoro più delicato, cioè quello dell'equa spartizione, conforme ai diritti anteriormente goduti da ognuno, rimaneva ancora da fare. Questi compiti erano allora svolti da commissari in numero di tre, cinque o sette. A detta di Arthur Young, che pure fu a lungo un sostenitore della recinzione, "erano una specie di monarchi dispotici nelle cui mani vengono consegnate tutte le terre della parrocchia, perchè le rifondano e le redistribuiscano a loro piacere."
Ci sarebbe da chiedersi se erano incorruttibili e superpartes, se venivano da lontano, magari da Londra, o erano invece notabili ed aristocratici delle contee vicine, od addirittura parte in causa. La riposta non può essere esatta al cento per cento, ma è facile intuirla. In questa fase di redistribuzione vennero commessi abusi. Nel 1770 Arthur Young chiese che i commissari fossero eletti da un'assemblea di tutti i proprietari e rispondessero di fronte alla legge delle loro decisioni. Ma dovettero passare oltre trentanni prima che, nel 1801, venisse votata una legge nella quale si vietava "ai signori feudali, agli intendenti, ai fittavoli o agli agenti che sono al loro servizio o che lo hanno lasciato da meno di tre anni, come anche ad ogni persona che possiede un diritto su terre sottomesse a recinzione" di esercitare la funzione di commissario. Una disposizione siffatta parla da sè e resta da chiedersi quante terre erano ancora da recintare nel 1801.
Ora, visto tutto il lato negativo della vicenda, si dovrebbe considerare quello positivo. Le terre recintate furono spesso affittate nuovamente, sia in grandi che in piccole quantità. I lavori connessi alla recinzione comportarono alti costi, quali lo scavo di fossati e canali per lo scolo, l'erezione di recinti e muretti. Tutto ciò poteva essere sopportato solo da chi aveva liquidità in cassaforte o depositata nelle banche, ma diede comunque lavoro a centinaia e, forse migliaia, di poveri senza terra da sempre.

Gli yeomen non scomparvero del tutto, anche se dovettero cominciare a produrre in modo nuovo, con l'imperativo di rendere la terra più produttiva.
Ben prima del 1750 si registrò, secondo stime tratte da Landes, un incremento della produttività agricola pro capite di circa il 25%. Ma il prodotto reale dei settori agricoli crebbe di circa il 43% nel corso del secolo, e del 24% nei primi decenni della vera e propria rivoluzione industriale, ovvero quelli che vanno dal 1760 al 1800.
Ciò consentì una riduzione considerevole delle importazioni di grano dall'Europa necessarie a sfamare una città come Londra, con una popolazione vicina al milione di abitanti.
Il vero boom agricolo, dovuto a quella che potremmo definire come una rivoluzione industriale (o organizzativa ) in agricoltura si ebbe, tuttavia, nel corso dell'Ottocento, a conferma del motto che diverso (tante volte) e chi semina da chi raccoglie.
Sugli effetti immediati le opinioni degli storici sono contrastanti. C'è chi insiste sul fatto che queste concentrazioni di proprietà, al di là di un giudizio su giusto ed ingiusto (che pare acquisito: furono ingiuste), produssero miseria, e chi sostiene il contrario. La verità è, come al solito qualcosa di applicabile solo caso per caso. Ci fu chi venne letteralmente demolito dalle concentrazioni e chi ne trasse vantaggio. Molti abitudinari contadini furono costretti ad andare in città, a prestarsi come manovali e garzoni nelle botteghe artigiane, nelle filande, nelle officine, oppure mettersi a servizio come braccianti o come domestici. Altri incominciarono allora, come pionieri, un nuovo tipo di conduzione dei fondi agricolo, spesso affittando le terre recintate, come afferma Adam Smith, ad un prezzo per nulla conveniente e quindi assicurando ai signori una rendita esagerata. Ma Adam Smith, vecchio marpione, afferma anche che molti signori, per ignoranza, affittavano a prezzi troppo bassi, consentendo ai conduttori dei fondi buoni guadagni. Anche questa è un'evenienza che non possiamo escludere, anche se piuttosto improbabile.
Mantoux è molto letterario al riguardo e parla dei "signori" come investitori che dovevano trarre ancora profitto dai capitali investiti nella recinzione. «Terminata l'operazione di consolidamento dei propri possessi, essi cercarono di ingrandirli e, poichè non restava più niente da prendere, si diedero ad acquistare. Alcuni tendevano ad accrescere l'estensione dei campi coltivati o dei pascoli; altri si preoccupavano di ingrandire i parchi e le riserve di caccia; altri ancora "acquistano le capanne prossime al castello per demolirle, perchè non amano la vicinanza dei poveri." (fonte H.L. Gray)
Accanto ai grandi proprietari vi erano quelli che aspiravano a diventarlo, mercanti, banchieri e, più tardi, industriali. Il momento era favorevole. La ridistribuzione della proprietà aveva fatto vacillare le file della classe più strettamente e fedelmente attaccata al suolo. Lo yeoman, onesto, laborioso, ma abitudinario, poco previdente, prigioniero di un orizzonte limitato, rimase sconcertato dai cambiamenti che si verificavano intorno a lui e avvertì la minaccia della concorrenza temibile delle imprese agricole condotte secondo metodi più moderni. Preso dalla sconforto o spinto dal desiderio di cercare fortuna altrove, si lasciò tentare dal vendere la terra.» (Mantoux - cit.)

Valutare in modo obiettivo gli effetti delle concentrazioni di proprietà comporta un certo distacco dalle proprie preferenze politiche. Appare evidente che se non si fossero attuate le enclosures, non vi sarebbe stato alcun progresso nelle tecniche di coltivazione, o lo stesso sarebbe stato molto più lento. Diverso, ovviamente, il giudizio morale su tutta l'operazione. Anche se non sembra corretto bollarla in toto come un esproprio, certo si trattò di un'operazione con molti aspetti torbidi, garantiti da una legalità che aveva ben poco di giusto.
Gli agronomi e gli economisti in generale hanno salutato questo passaggio con entusiasmo perchè esclusivamente interessati all'incremento della produttività della terra e dell'agricoltura. Gli storici spesso si sono divisi tra spregiudicati sostenitori della modernizzazzione e tenerissimi e romantici difensori delle virtù dei vecchi tempi andati e della dignità dell'uomo.
Tra i sostenitori della politica delle recinzioni vale la pena di riportare il parere sintetico ed efficace di J. Howlett, che contesta fosse cosa sensata lasciare incolta una parte della terra e coltivare il resto in pessima maniera: «Secondo il mio modesto parere, questo è il più stravagante dei paradossi. Qui nelle vicinanze c'è una bella landa di alcune migliaia di acri. Incolta com'è attualmente non dà da vivere neppure ad una famiglia e nessuno ne trae il minimo profitto, salvo qualche affittuario delle vicinaze che ogni tanto vi manda a pascolare del bestiame. Se invece questo terreno fosse diviso e coltiva to come si deve, ne sortirebbero sei o sette buone aziende agricole, ciascuna delle quali frutterebbe dalle sessanta alle cento sterline all'anno. Queste aziende, oltre ai fittavoli e alle loro famiglie - darebbero lavoro a circa trenta giornalieri, che insieme alle mogli e ai ragazzi, ai diversi operai e artigiani necessari a soddisfare i loro bisogni, porterebbero in pochi anni la popolazione almeno a duecento persone.»
Non siamo in grado di verificare se il caso denunciato da Howlett fosse davvero così diffuso, e se si trattasse, appunto, di un caso del tutto isolato da un contesto ben diverso.
Le statistiche del tempo, non sempre realizzate in modo veramente obiettivo, tendevano a dimostrare che il sistema delle grandi proprietà era quello che assicurava alla popolazione maggiori possibilità di lavoro e salari più alti.
Certo, come documenta Mantoux, non mancarono gli atti clamorosi di pentimento. Un commissario per le recinzioni affermava: «Rimpiango profondame nte il male che ho contribuito a fare a duemila povere persone in ragione di venti famiglie per villaggio. Un buon numero di loro, che per consuetudine poteva condurre il bestiame sulla terra comune, non può provare il proprio diritto e molti, si può dire tutti quelli che hanno un pezzetto di terra, non possiedono più di un acro. Dato che un acro non basta a nutrire una vacca, la vacca e la terra finiscono normalmente per essere vendute ai ricchi fittavoli.»
Il Board of Agricolture, rivista del tempo non certo sospetta di simpatie per il socialismo, scriveva in un'articolo che «nella maggior parte dei casi, i poveri sono stati spogliati del poco che possedevano.»
David S. Landes contesta questa versione dei fatti, citando una fonte: l'articolo di J.D Chambers intitolato Enclosures and the labour supply in the Industrial Revolution, apparso sulla Economic History Revieuw, V, 1953. A proposito della spogliazione dei poveri contadini, Landes parla di un'articolo di fede.
Asserisce che l'impiego di manodopera in agricoltura crebbe e non diminuì a seguito delle recinzioni e dichiara infondata la tesi, avanzata da Marx e ripresa da molti storici socialisti e non socialisti, secondo la quale i contadini fuggiti dalla campagna ripararono in città e divennero operai del nuovo sistema di fabbrica.
Francamente non si capisce il motivo di tanto impegno per sconfessare interpretazioni basate su testimonianze del tempo e non su favole dei fratelli Grimm.
Anche fosse vero che crebbe l'impiego di manodopera in agricoltura a seguito delle recinzioni, questo non accadde subito, e, soprattutto non fermò l'ondata che riversava contadini senza terra ed in possesso di pochi denari ricavati dalla vendita dei poderi verso le città.
Questo processo, in realtà, provocò due effetti da considerare con molta attenzione. Improvvisamente il putting-out system si trovò con molti meno lavoranti a domicilio. Questi non avevano più il tempo e lo spazio, il cottage inglese tradizionale, per lavorare la lana in casa. Il settore dovette rinnovarsi, e riaprire opifici in città. Ma, per tutto un lungo periodo di transizione e di trasformazione il putting-out system ed il sistema-opificio conobbero un modo di convivenza.

La ripopolazione delle città

Il secondo effetto, non meno radicale del primo, consistette, dunque, nella ripopolazione dei centri delle contee. La città tornava a mangiarsi la campagna. Trovarono subito lavoro i nuovi disoccupati nei piccoli centri urbani?
Ovviamente non tutti, e non subito. Tuttavia, una non piccola parte della produzione tessile riprese la dimensione di manifattura sul luogo di lavoro, ed i mercanti-imprenditori non stettero certo a guardar per aria in cerca d'ispirazione: la domanda di panni di lana, di lino, di cotone misto rimaneva alta, gli allevamenti di ovini crescevano, gli stessi nuovi proprietari incrementarono i terreni dedicati a pascolo. Inoltre dalle colonie continuava ad arrivar e cotone, sia cotone finito dall'India, che tuttavia doveva essere cucito per fare camice e biancheria, sia, soprattutto cotone da filare e tessere dalle colonie.
I mercanti di tessuti dovettero quindi investire in locali da adibire a laboratori; questi rifiorirono ed accanto ad essi cominciarono a vedersi manifatture di media dimensione, localizzate nelle città o nei loro dintorni.
Occorre cogliere che questi movimenti non erano caratterizzati da una sincronizzazione provvidenziale e fecero dunque numerose vittime, sia riducendo sul lastrico numerosi ex-contadini, sia consentendo a molti labouring poor delle città di emigrare verso la campagna, e qui trovare qualche forma di occupazione sotto padrone.

Come si era tessuto per secoli

Nel prossimo capitolo vedremo in particolare come il settore del cotone funse da traino per il balzo tecnologico che rappresentò il primo passo significativo della rivoluzione industriale. Per questo è meglio aver chiare subito, a grandi linee, le diverse fasi della lavorazione di lana e cotone onde capire di che si tratta quando si parla di filatura e tessitura, nonchè tintura.
Landes le descrive così: « La manifattura di quasi tutti i tessili può essere suddivisa in quattro fasi principali: la preparazione, in cui il materiale grezzo viene scelto, pulito e pettinato in modo che le fibre siano le une parallele alle altre; la filatura, in cui le fibre sciolte sono tirate e ritorte per formare il filo; la tessitura, in cui un tipo di filo è disposto nel senso della lunghezza (l'ordito) e un altro filo (la trama) viene fatto passare sopra e sotto i fili longitudinali, in modo da formare un intreccio; e infine la tintura, che varia considerevolmente a seconda della natura del tessuto, ma può comprendere la follatura o l'imbozzimatura (per dare corpo al panno), la pulitura, la cimatura, la tintura, la stampatura, o il candeggio.» (Landes -cit.)
Nel periodo che stiamo considerando il lavoro era stato meccanizzato in misura del tutto irrisoria. Esistevano congegni per la battitura della lana detti follone o gualchiera, caratterizzati da pesanti martelli azionati dalla forza idraulica. Fin dal XVI secolo si utilizzava la garzatrice per sollevare il pelo del tessuto in funzione della cimatura ma, in generale si era ancora fermi al telaio olandese per la fabbricazione di nastri e merceria varia, ed a quello di William Lee, risalente al 1598, per la tessitura di maglieria.
Ma non sempre le innovazioni sono spettacolari e rivoluzionarie. Giustamente Landes annota che nel corso del tempo ruote da filare grandi e piccole avevano sostituito la conocchia, mentre nella tintura si era imparato ad usare il carbone invece del legno per il riscaldamento dei coloranti.

(continua)
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Bibliografia essenziale utilizzata:
Cristopher Hill - La formazione della potenza inglese Dal 1530 al 1780 - Einaudi - Torino 1977
Pierre Mantoux - La rivoluzione industriale - Editori Riuniti
David Landes - Prometeo liberato - Einaudi -Torino, 1973 (or. The unbound Prometeus, 1969)
T.S. Ashton - La rivoluzione industriale 1760-1830 - Laterza - Bari, 1953
Valerio Castronovo - La rivoluzione industriale - Sansoni - Firenze, 1988
Phyllis Deane - La prima rivoluzione industriale - Il Mulino - Bologna, 1977
Sydney Pollard - La conquista pacifica / L'industrializzazione in Europa dal 1760 al 1970 - Il Mulino - Bologna, 1984
Karl Polanyi - La grande trasformazione - Einaudi - Torino, 1974 (ed or. New York, 1944)
Eric R. Wolf - L'Europa e i popoli senza storia - Il Mulino -Bologna, 1990
George Rudé - L'Europa del Settecento / Storia e cultura - Laterza, 1974
Alexander Koirè - Dal mondo del pressapoco all'universo della precisione - Einaudi, Torino 1967
Adriano Prosperi e Paolo Viola - Storia moderna e contemporanea - vol. II - Dalla Rivoluzione inglese alla Rivoluzione francese - Einaudi - Torino, 2000
Rodolfo Morandi - Storia della grande industria in Italia - Einaudi, 1959
Valerio Castronovo - L'industria italiana dall'Ottocento ad oggi - Mondadori, 1980
Paolo Rossi/AA VV - Storia della scienza moderna e contemporanea - UTET 1988
Anonimo - Considerations upon East-India Trade, 1701- ristampato nel 1856 nell'antologia A select Collection of Early English Tracts on Commerce, pubblicata a cura di J.R. Mac Culloch)


Guido Marenco - 10 aprile 2004 - su questo file esiste il copyright - può essere riprodotto solo su permesso dell'autore