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Charles Renouvier (1815-1903)
di Renzo Grassano
Renouvier fu allievo di Comte ed amico dello spiritualista Jules Lequier, del quale curò l'edizione degli scritti quando questi morì annegato.
Tra il 1854 ed il 1864 pubblicò i quattro volumi che compongono i Saggi di critica generale: nel 1854 Analisi generale della conoscenza, nel 1859 Psicologia razionale, nel 1864 Principi della natura, nel 1864 Introduzione alla filosofia analitica della storia.
Rispetto al positivismo insegnato da Comte, Renouvier prese ben presto una posizione originale. Di esso accettò la limitazione della conoscenza alla legge dei fenomeni, del resto conforme a quanto aveva già scritto Kant, e di qui ricavò l'idea che lo scopo della filosofia sia quello di stabilire in primo luogo le leggi ed i limiti della conoscenza.
Respingendo, quindi, ogni seduzione metafisica, Renouvier si volse decisamente alla riflessione sulla filosofia kantiana, proclamando esplicitamente di voler continuare l'opera critica di Kant.
Ma, anche rispetto a Kant, venne ben presto a precisare di non credere alla cosa in sé. La realtà è fenomeno, e tutti i fenomeni che compongono la realtà sussistono solo in quanto connessi e dipendenti da altri fenomeni in una catena che costituisce un tutto.
In quest'ambito la conoscenza è rappresentazione e l'indirizzo critico in filosofia consiste nel ridurre la realtà alla rappresentazione.
Pertanto, si tratta di comprendere come ogni rappresentazione sia relativa (tesi già sostenuta da Comte) e che sia contraddittorio, secondo Renouvier, parlare di una cosa in sé in termini di assoluto ed inattingibile.
Fedele, almeno in questa fase, sia alla dottrina comtiana che a quella kantiana, Renouvier dipinge la coscienza come comprensione dei fenomeni che si manifestano nella sfera dell'organico.
La funzione del sapere e della scienza è trovare le relazioni del fenomeno con il fenomeno, della legge naturale con la legge naturale.
In tale prospettiva, Renouvier introduce il concetto di categoria della relazione, rispetto alla quale ricava altre categorie della conoscenza: il numero, l'estensione, la durata, la qualità, il divenire, la forza, la finalità ed, infine la personalità.
Finalità e personalità sono categorie inedite ed originali.
La finalità è spiegata da Renouvier come una legge del fine, non meno importante di quella di causalità. Ogni giudizio umano non può fare a meno di vedere la finalità, da intendersi come conseguenza, di fenomeno a fenomeno.
Kant, aveva in qualche modo già parlato della personalità, non come categoria, ma come "io pensante".
Per Renouvier, al contrario, la personalità è la forma dei nostri giudizi. Scriveva: "Forse che il fatto che la coscienza è identica col filosofo, deve impedire a quest'ultimo di farle una parte dell'opera che essa rivendica tutta? L'oggetto della critica è precisamente quello di studiare l'io come altro dall'io e come una fra le altre cose rappresentate."
La fede che Renouvier nutre nei confronti della possibilità di rappresentare, attraverso il suo sistema di categorie, la totalità del reale come sintesi completa delle relazioni sussistenti, lo porta a negare le celebri antinomie kantiane, rigettando le antitesi ed accettando le tesi.
La conclusione cui perviene Renouvier, pertanto, è che il mondo reale consiste in un tutto finito, essendo l'infinito contraddittorio in sé. Bisogna riconoscere, allora, che il mondo è limitato nello spazio e nel tempo, che la sua divisibilità abbia un termine e che esso dipenda da una o più cause che non sono, a loro volta, effetti ma cause prime.
Questa "fisica" di Renouvier, capace di richiamare insieme l'antica visione di Aristotele e di Democrito (la non divisibilità dell'atomo) porta decisamente, a mio avviso, a far risorgere la metafisica proprio laddove viene negata.
Non a caso, il ragionamento sulle cause prime ripropone il problema di Dio e del rapporto tra il mondo dei fenomeni e Dio stesso.
Renouvier esclude in maniera perentoria l'ipotesi della creazione perchè si darebbe il paradosso di "una forza che produca la forza, di un amore che ami l'amore, un pensiero che pensi il pensiero". Trova più appropriata la tesi dell'emanazione, denunciandone, tuttavia, il carattere problematico. Se si considera l'Uno originario in senso assoluto, come esclusione di ogni pluralità, non si potrebbe spiegare la pluralità stessa; se si considera come una vera coscienza, la pluralità si deve trovare già posta in esso. Ne viene che la pluralità coinciderebbe con la pluralità originaria delle coscienze.
L'affermazione, non poco sconcertante, che ne segue corrisponde ad una riaffermazione veramente inattuale di politeismo: "Noi sostituiamo l'unità multipla, il tutto, all'Uno puro, idolo dei metafisici, per questa sola ragione che il mondo, attualmente ed originariamente, è una sintesi determinata, non una tesi astratta."
Nelle considerazioni sull'emanazione sembre mancare il tratto decisivo che ha sempre caratterizzato queste teorie, ovvero che in ogni emanazione, pur accettando che nell'emanato rimane qualcosa dell'emanante, il risultato è inferiore all'originale.
Rispetto ad esso, è un'imperfezione, qualcosa che deve essere solo riassorbito ed annullato. Il Dio che emana, non ama la propria emanazione, il proprio odore diffuso, il proprio calore disperso, il proprio seme gettato; è solo una specie di oggetto di nostalgia per la emanatura imperfetta, che altro non dovrebbe desiderare che il riassorbimento nella dimensione perfetta. Vi era, e vi è quindi, alla base della teoria dell'emanazione, una irriducibile componente determinista: il che, rispetto ad ogni discorso sulla libertà dell'uomo risulta fortemente limitante.
Renouvier ritiene che altro non si possa dire sulla sintesi fisica del mondo in cui siamo, ma è palese che il suo è un ragionamento del tutto metafisico, condotto con mezzi ed argomenti che vanno ben oltre i limiti fisici.
In un'opera successiva, la Nuova monadologia, del 1899, egli tornerà su queste tematiche per precisare, in contrasto con ogni determinismo emanatorio, che il passaggio da un mondo successivo ad un mondo ulteriore è determinato dall'uso che l'uomo fa della libertà. Il destino del mondo è nelle mani dell'uomo.
Questa concezione si dispiega a partire dal saggio Introduzione alla filosofia analitica della storia che, come s'è già detto, comparve nel 1864.
Renouvier afferma che, esaminando la storia, si possono individuare due speci di leggi: le leggi empiriche e le leggi a priori.
Mentre le prime suppongono il libero arbitrio umano e la non predeterminazione degli avvenimenti dal punto di vista della nostra ignoranza, le seconde implicano un determinismo assoluto ed incoraggiano l'uomo a fare previsioni fondate. Secondo Renouvier, il riconoscimento di leggi storiche a priori conduce al fatalismo, posizione comune sia ad Hegel che a Saint-Simon.
Al pessimismo fatalista ed all'ottimismo altrettanto determinista degli storicismi a priori, Renouvier oppone la sua filosofia critica della storia, la quale si pone l'obiettivo di ricostruire analiticamente "le origini e le concatenazioni delle idee, delle credenze e dei fatti".
La prima importante conclusione dell'analisi della storia consiste nell'affermazione che il progresso non è una legge fatale, un destino. Rimanendo in questa ottica determinista a priori, che fu soprattutto di Comte e della sua legge dei tre stadi, si finirebbe, secondo Renouvier, con l'indebolire la coscienza morale e, persino l'impegno.
Ma, soprattutto, si finirebbe col giustificare - ritendolo necessario - tutto ciò che è accaduto.
Per Renouvier, al contrario, la storia dovrebbe essere considerata come il teatro delle libertà.
Nel libro intitolato Scienza della morale, del 1869, il nostro riprende il concetto illuminista l'uomo è dotato di ragione e si crede libero il fondamento della morale ed una concezione della storia basata sulla possibilità.
In Ucronia (l'utopia nella storia), opera del 1876, Renouvier abbozza una storia apocrifa dello sviluppo della civiltà europea, elencando tutto ciò che avrebbe potuto essere, e non è stato.
Con i se e con i ma, egli si dichiara convinto che l'Europa avrebbe potuto trovarsi già nella seconda metà dell'ottocento in un epoca di pace e giustizia sociale, senza più conflitti nazionali e guerre economiche.
Il vero intento di Renouvier, e del suo paradossale tentativo, che potrebbe far sorridere i realisti, ma anche incoraggiare gli utopisti, era comunque quello di mostrare come non esista in politica, e quindi in storia, che della politica è il romanzo, un punto di non ritorno. E' come a dire che se quando si riceve uno schiaffo, si porge l'altra guancia, il corso dell'inevitabile, cioè il conflitto, può essere mutato.
Tutto questo, in qualche misura, riporta effettivamente a Kant, ed alla dottrina dell'imperativo categorico. Solo laddove, sembra dire Renouvier, si realizza in primo luogo un'azione ispirata ad imperativi categorici del tipo pace e giustizia, si possono realizzare possibilità utopiche, cioè solo sognate ma, mai realizzate, quali la pace perpetua. Ma, già se si aggiunge a pace e giustizia, il categorico comandamento della sicurezza individuale, sociale e nazionale, ecco che la possibilità utopica viene in qualche modo incrinata nel profondo: si vis pacem para bellum. E questa è, purtroppo, una legge che continua a fare a storia, anche se non ne possiamo quasi più.
RG - 20 dicembre 2002