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Europa, Cristianesimo, Islam e relativismo
Marcello Pera & Joseph Ratzinger - Senza radici - Mondadori 2004
di Renzo Grassano

Il relativismo viene nominato nei dizionari di filosofia come una dottrina dovuta in epoca moderna a W.Hamilton (1), il quale non aveva fatto altro che sottolineare che tutti gli oggetti esistenti possono essere conosciuti solo attraverso le facoltà umane e quindi entro determinate condizioni. A ben guardare, anche il criticismo di Kant, nella distinzione tra fenomeno e cosa in sé, era una forma di relativismo perché riduceva il conoscibile al solo mondo dei fenomeni fisici.
Più tardi, Simmel aggiunse che "il relativismo si può formulare così, in in riferimento ai principi della conoscenza: i principi costitutivi fondamentali, esprimenti una volte per tutte l'essenza delle cose, diventano principi regolativi, i quali sono soltanto punti di vista per il progredire della conoscenza." (2)
Nell'ambito del pragmatismo americano, il relativismo veniva difeso e sviluppato da Schiller come negazione di ogni verità assoluta di tipo dogmatico.
Nel corso del Novecento un atteggiamento più o meno relativista (nel senso hamiltoniano del termine) ha sovvertito e rovesciato tutti i residui della filosofia dogmatica."Ciò - scrive Abbagnano - si vede assai bene nella manifestazione estrema (la sola autentica) del relativismo, cioè nella dottrina esposta da Oswald Spengler nel suo libro Il tramonto dell'Occidente: nel quale si afferma la relatività non solo della conoscenza ma di tutti i valori fondamentali della vita umana alle epoche della storia, considerate come entità organiche ognuna delle quali cresce, si sviluppa e muore senza rapporto con l'altra. Da questo punto di vista - prosegue Abbagnano - la relatività investe non solo la verità religiosa e filosofica, ma anche quella morale e scientifica." (3)
Infatti, scriveva Spengler, "Ogni cultura ha il suo proprio criterio la cui validità comincia e finisce con esso. Non vi è alcuna morale umana universale." (4)
A mio avviso, il termine "relativista" si addice a chi la pensa come Spengler, ovvero a chi attribuisce alle società umane un tipo di esistenza "biologista", vedendole come "organismo" che funziona come insieme coeso e compatto, anzichè come libero aggregato di individui diversi, uniti da patti di coesistenza e cooperazione.

Oggi il relativismo è diventato il bersaglio privilegiato di un gruppo di pensatori che lo hanno identificato quale responsabile del disastro spirituale, morale e storico dell'Europa. Ma essi attribuiscono al termine relativismo un significato profondamente diverso.
Da un lato c'è ad esempio Raztinger. Pochi giorni prima di trovarsi eletto Sommo Pontefice, Benedetto XVI, cioè Joseph Ratzinger, aveva pronunciato parole roventi nell'omelia Pro eligendo romano pontifice (5): " La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde - gettata da un estremo all'altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all'individualismo radicale; dall'ateismo al vago misticismo religioso; dall'agnosticismo al sincretismo, e così via [...] Avere una fede chiara, secondo il credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo,cioè il lasciarsi portare 'qua e là da ogni vento di dottrina', appare come l'unico atteggiamento all'altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla di definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le proprie voglie".
E' evidente da tali parole che Benedetto XVI ha operato una forte estensione del significato del termine, abbracciando tutto ciò che in qualche misura abbia toccato e "contaminato" pensatori cristiani, nonché la purezza della dottrina.
Sotto tale profilo, non bisogna dimenticarlo, Benedetto XVI è uno specialista. E' stato dal 1981 il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, che altro non è che una sorta di Sant'Uffizio, cioè la vecchia inquisizione, ed ha esaminato con cura certosina tutti gli scritti di quei teologi cattolici che sembravano propendere ad un qualche rinnovamento, ovviamente cedendo al relativismo. I nomi di questi teologi sono forse ignoti al grande pubblico, ma meriterebbero una certa attenzione: da Charles Curran a Christian Duquoc, da Jean-Marie R. Tillard a Reinhard Meissner, fino a Marciano Vidal, tutte persone a cui si dovrebbe fare tanto di cappello.

Dall'altro lato c'è Marcello Pera, il quale attribuisce al termine "relativismo" un significato che ha forti analogie con quello pensato da Ratzinger, cioè un cedimento. Ma lo connota come un cedimento della ragione all'irrazionalità e lo motiva con argomenti non privi di pregnanza, ma, a mio avviso con un fine decisamente politico (la difesa biologistica dell'Occidente) che entra palesemente in contraddizione con il concetto di società intesa come libero aggregato di individui insieme uguali e diversi, dunque spazio di cooperazione e reciproca comprensione, che tende ad eliminare prepotenza e sopraffazione al suo interno..

Ecco,dunque, che mi capita tra le mani questo libro, frutto primario di due conferenze tenute dai luminari dell'antirelativismo e da una sintesi delle loro discussioni successive, riassunte in due lettere: una di Pera a Ratzinger ed una di Ratzinger allo stesso Pera.
Devo dire che il libro non sorprende per quanto osi dire Ratzinger in quella singolare marcia a ritroso che vorrebbe concludersi in una Chiesa preconciliare, ma per quanto riesce a dire Marcello Pera che, con un atteggiamento a dir poco disinvolto, sale in cattedra e pretende di insegnare ai cattolici ad essere cattolici!
Sorprende quindi per i silenzi di Ratzinger, il quale "lascia correre" alcune affermazioni di Pera senza levare una risposta adeguata ad osservazioni inaccettabili persino dal suo punto di vista ultra-tradizionalista.
Ma andiamo con ordine, cercando di rendere a Cesare ciò che è di Cesare, quindi a Pera ciò che è di Pera.

Pera
Pera attacca il relativismo definendolo "pensiero postmoderno", "pensiero debole", "pensiero senza fondamenti", "decostruttivismo" eccetera. "il marketing è vario, ma il target è sempre lo stesso: si tratta di far proseliti all'idea che non esistono fondamenti ai nostri valori e che non si possono addurre prove o argomenti solidi per stabilire che qualcosa è migliore o vale più di qualcos'altro."
Tra i tanti responsabili del relativismo vi sarebbe Wittgenstein, il quale, con le Ricerche filosofiche, avrebbe diffuso l'insana idea della non separabilità dei contenuti di un enunciato dai criteri con cui vengono valutati. "Il vero, il bello, il buono in una comunità sono tali secondo i criteri con cui li si definisce in quella comunità. I criteri sono sempre infra, mai inter-culturali. Né esistono meta-criteri che possano fissare il vero in sé, il bello per tutti, il buono universale. Tutti i criteri sono contestuali."
Per Pera le cose stanno diversamente. Dialogando, si può arrivare a definire cosa è migliore: " E migliore nell'unico, concreto, significato che è concesso ai mortali di conoscere: migliore perché resiste alle critiche, alle obiezioni, alle smentite. Migliore perché epistemicamente, se il contesto del dialogo è quello conoscitivo, migliore assiologicamente, se il contesto è quello dei valori, migliore politicamente, se il contesto è politico è così via."
Un argomento in tal senso è che il flusso migratorio è dall'Oriente e dal Sud verso Occidente e Nord, non viceversa; come a dire che la gente fugge da un mondo peggiore e viene in questo paradiso terrestre che è Milano perché ci sono la Scala, Mediaset e la metropolitana.

Un secondo pilastro del relativismo è per Pera il decostruttivismo. Dici Nietzsche, e arriva Derrida. "Ad esempio Derrida ha decostruito l'ospitalità, per mostrare che è una forma di imposizione; ha decostruito la democrazia per concludere che è un esercizio di forza; ha decostruito lo Stato, per mostrare che in quanto tale è una canaglia. Alla fine si è cimentato nell'esercizio oggi più rischioso: decostruire anche il terrorismo."
"... la decostruzione opera ad un prezzo che trasforma la filosofia in un esercizio spensierato e gratuito e il filosofo in un addetto alla pulizia dei concetti che non ha neppure l'obbligo di firmare il registro (delle responsabilità delle proprie decisioni morali)". Fin qui potrebbe quasi starci, se poi Pera non cadesse in un brutto pensiero, contestando a Derrida l'idea di rivolgersi all'ONU per riportare pace nel mondo dimenticando, però, di aver decostruito diritto, giustizia e democrazia. Pera dimentica, a sua volta,che sono stati gli Stati Uniti di Bush per primi ad aver decostruito nei fatti, ciò che il povero Derrida avrebbe provato a smontare a parole, cioè le regole astratte del diritto internazionale. Oggi c'è chi opera al di là di ogni regola e di ogni controllo, sentendosi autorizzato a farlo solo dalla propria convinzione di avere ragione. E questo non è accettabile perché rappresenta la negazione dei valori stessi della democrazia occidentale.

Infine, Pera ritrova il relativismo anche nella religione e cita il teologo Paul Knitter, colpevole di aver parlato di "Gesù Cristo come uno fra i tanti" e quindi riconoscendo la liceità di altre vie di "salvezza ed illuminazione".
Rispetto a ciò, Pera è lapidario: "In realtà io credo, parlare di un cristiano relativista è un ossimoro, che anziché al dialogo porta all'apostasia."
Forse, i veri cristiani, sono un po' più modesti e curiosi. Senza rinnegare Cristo, sono un filo più aperti, gesuiticamente, alla mentalità altrui.
Il termine dialogo assume qui, in Pera, un valore strumentale di efficacia unica. Tramite l'élenchos, sarebbe in grado di mostrare e scoprire le contraddizioni in ogni ragionamento. Ma come è possibile dialogare tra chi è disposto ad ammettere solo qualche elemento incontestabile, ed a volte nemmeno questo? Francamente, mi sono posto il problema pensando ad Adel Smith. Come potrei far quattro chiacchiere in salute ed allegria con un tizio che la pensa così? Cosa potrebbe ammettere, o persino concedermi, se per lui non sono altro che un infedele? Cioè uno da educare ed illuminare, oppure da buttare nella spazzatura? OK, ma il discorso non è senso unico. Non è che tra i cristiani ci sia anche chi si atteggia alla Adel Smith, e quindi consideri spazzatura tutto ciò che non viene da santa madre rivelazione e relativa interpretazione chiesastica? Un laico dovrebbe saperlo, ma sarebbe fare grave torto ai religiosi pensare che ad essi sarebbe negato il saperlo.

Pera, tuttavia, non sfugge alla difficoltà. Il contesto religioso, e non solo quello islamico, concede ed ammette ben poco. "Almeno nel contesto religioso cristiano, il dialogo non può essere scoperta della verità, perché in tale funzione è sostituito dalla Rivelazione. Detto diversamente, qui la verità non è un processo, ma uno stato, non è un divenire ma un essere". A che serve dialogare, allora? Dopo aver escluso il tema forte della verità, Pera ammette un dialogo sui valori e parla di temi meno forti, ma non meno impegnativi quali la comunità, la fratellanza, la tolleranza, la pace, promozione della persona e così via.. Sono i valori secolari o secolarizzati. Ma la predicazione cristiana non predica la secolarizzazione, ma la trascendenza, la sua unica vera trascendenza.
Ciò non impedisce forse di parlare di "elementi di verità e di grazia" anche nelle altre religioni? E' un tema che meriterebbe ben altri approfondimenti, ma la verità è che a Pera questo interessa assai poco. Preferisce denunciare un cristianesimo tollerante, rispetto ad un islam intollerante e accenna al rischio di un passaggio dalla tollerenza all'arrendevolezza.
"C'è da augurarsi che non sia così. Il cristianesimo è tanto consustanziale all'Occidente che un suo cedimento avrebbe conseguenze devastanti."
Un ulteriore approfondimento viene dalla lettera scritta da Pera a Joseph Ratzinger per completare il libro con un tentativo di dialogo che però non va molto distante. A chi esalta il melting pot americano quale forma di società multietnica e tollerante in fatto di religione e cultura, Pera si premura di precisare che gli immigrati non hanno conservato granché dei loro costumi e delle loro radici. Gli americani non hanno abdicato a nulla della propria identità anglosassone e puritana.
"Per integrare qualcuno - scrive Pera - bisogna aver chiaro e fermo ciò entro cui lo si vuole integrare. Non lo si può integrare dicendogli che la nostra casa è tanto ospitale, tanto larga, tanto priva di insegne proprie (a cominciare dal crocifisso), che può accogliere lui come chiunque altro e lasciarlo libero di fare qualunque cosa." Non era forse meglio ricorrere ad un'immagine più prosaica come quella del rispetto delle leggi? Non era meglio ricorrere ad un ragionamento nel quale l'integrazione, fatta salvo l'obbligo fondamentale del rispetto della legalità, non comporta alcuna particolare rinuncia alla propria identità, soprattutto quando questa avvalora la tesi che l'uomo ha un fondo comune, qualunque sia la razza e la cultura cui appartiene?

Ratzinger
E' proprio su questo terreno che Joseph Ratzinger delude. L'esperienza storica ha dimostrato che il cristianesimo è vivo e vitale in tutte le culture ed in tutte le civiltà, ma soprattutto in ogni genere di uomo.. e di donna. Non ci sono popoli e razze predisposte naturalmente alla scuola dell'antiCristo. Ovunque si semini, anche nei paesi islamici più intolleranti e bigotti, anche dove domina il dogma, il cristianesimo è riuscito a germogliare grazie a uomini abili ed ispirati in grado di parlare all'individuo nella sua totalità, invece che al suo solo cervello od alla sua sola convenienza.
Di questo fondamentale ottimismo del cristianesimo, Ratzinger non sembra rendersi conto, perlomeno in questo libro.

Il quadro storico disegnato da Ratzinger è forse troppo sintetico per soddisfare uno spirito analitico.
La storia d'Europa è offerta in poche pagine e con rapidi tratti di pennello. Il suo rapporto con la spiritualità cristiana, vista come un progressivo esaurirsi della stessa sotto i colpi della modernità, è troppo lontana dalla dinamica reale per strappare applausi, anche non volendo mancare di rispetto alla massima autorità spirituale del nostro tempo. Ciò non toglie che si possano cogliere elementi per una riflessione.
Affermando che nel socialismo europeo vennero alla luce due correnti, quella totalitaria e quella democratica, e riconoscendo alla seconda una consonanza con la dottrina sociale della Chiesa in grado di attitutire e correggere gli eccessi del liberalismo radicale, Ratzinger potrebbe rilanciare le basi di un dialogo sull'organizzazione sociale di cui si sente fortemente il bisogno, un dialogo che sta esattamente all'opposto di una liquidazione del welfarismo secolarizzato propugnato da Pera edai neocons americani.
La preoccupazione per il futuro è palese. L'Occidente, dice Ratzinger, in fondo odia sé stesso. Una frase eccessiva, che non aiuta a comprendere che gli occidentali odiano dell'Occidente i suoi aspetti più deteriori; a volte in maniera del tutto inconscia odiano ciò che desiderano o ciò che vien fatto loro desiderare attraverso immagini martellanti. Ciò era stato detto da Woytila, con un linguaggio più chiaro e diretto. L'economia ha bisogno che si consumino più automobili e cellulari di nuova generazione; la morale cristiana richiede un maggior consumo di omogeneizzati, pannolini, e catechismi ad uso infantile.
Non è del tutto incompatibile con il sistema, quindi, ma orienta a valori diversi, che non stanno nella Coca Cola, ma nell'acqua pura del battesimo.
Diventa incompatibile con il sistema, quando il sistema nega questo diritto a scegliere la vita invece che l'high tech.

I figli - dice Ratzinger - sono considerati una minaccia per il presente e non una ricchezza morale ed esistenziale. "L'Europa, proprio nell'ora del suo massimo successo, sembra svuotata dall'interno, come paralizzata da una crisi circolatoria, una crisi che mette a rischio la sua vita affidandola a trapianti che ne cancellano l'identità. Al cedimento delle forze spirituali portanti si aggiunge un crescente declino etnico."
"Il confronto con l'Impero Romano al tramonto si impone: esso funzionava ancora come una grande cornice storica, ma in pratica viveva già di quei modelli che dovevano dissolverlo, aveva esaurito la sua energia vitale."
Rifiutando l'analisi Spengler, definita "biologista", ma non "relativista" e questo è strano, se non contraddittorio, perché se si ammette che Spengler potrebbe aver ragione, si ammette il suo relativismo, ed accettando parzialmente quella di Toynbee, "volontarista", Ratzinger sembra convenire sul ruolo delle minoranze creative spiritualiste nel rinnovamento sociale, anche se poi riconosce che "la questione tra Spengler e Toynbee rimane aperta, perché noi non possiamo vedere nel futuro. Si tratta di un "cedimento", perché è evidente, secondo la stessa dottrina cristiana, che non è il sistema sociale come organismo malato che interessa guarire, ma salvare l'individuo. Toynbee vide sicuramente più lontano e più evangelicamente di Ratzinger.

"Così - prosegue Ratzinger - ci troviamo davanti la domanda: come intendiamo che vadano le cose? Nei gravi sconvolgimenti del nostro tempo c'è un'identità dell'Europa che abbia un futuro e per la quale possiamo impegnarci con tutti noi stessi?"
Senza entrare nel merito della Costituzione europea, messa or ora in discussione dal pesante verdetto dei referendum francese ed olandese insieme a tutta la logica raccogliticcia dell'Europa facilona, Ratzinger punta decisamente sugli elementi morali fondanti. "Un primo elemento è l'«incondizionatezza» con cui la dignità umana e i diritti umani devono essere presentati come valori che precedono qualsiasi giurisdizione statale. I diritti fondamentali non vengono creati dal legislatore, nè conferiti ai cittadini, «ma piuttosto esistono per diritto proprio, sono da sempre da rispettare da parte del legislatore, sono a lui previamente dati come valori di ordine superiore.»
(Ratzinger cita qui un articolo di G. Hirsch)
Il valore della dignità umana, precedente ad ogni agire politico e a ogni decisione politica, rinvia al Creatore: soltanto Lui può stabilire valori che si fondano sull'essenza dell'uomo e che sono inviolabili."
"Ma nell'ambito concreto del cosiddetto progresso della medicina ci sono minacce molto reali per questi valori; se pensiamo alla clonazione, se pensiamo alla conservazione dei feti umani a scopo di ricerca e di donazione degli organi, o se pensiamo a tutto l'ambito della manipolazione genetica, la lenta consunzione della dignità umana che qui ci minaccia non può venir misconosciuta da nessuno."

"Un secondo elemento - prosegue Ratzinger - che qualifica l'identità europea è il matrimonio e la famiglia." "L'Europa non sarebbe più Europa, se questa cellula fondamentale del suo edificio sociale scomparisse o venisse cambiata nella sua essenza."
Ratzinger persiste nel negare un diritto matrimoniale alle coppie omosessuali ed argomenta: "Qui non si tratta di discriminazione, bensì della questione di cos'è la persona umana in quanto uomo ed in quanto donna e di quale unione può ricevere una forma giuridica. Se da una parte l'unione fra uomo e donna si distacca sempre più da forme giuridiche, se dall'altra l'unione omosessuale viene vista sempre più come dello stesso rango del matrimonio, siamo allora davanti a una dissoluzione dell'immagine dell'uomo, le cui conseguenze possono solo essere estremamente gravi."

Il terzo elemento è per Ratzinger quello strettamente religioso. Dopo aver lamentato in modo non del tutto ingiustificato che è uso corrente sanzionare chi si professa antisemita e chi offende il Corano, ma è tollerato chi offende la fede cristiana, spesso oltre ogni limite, con la scusa della libertà d'opinione, ricorda che la stessa "non può distruggere l'onore e la dignità dell'altro, non è libertà di mentire o di cancellare i diritti umani."
Della multiculturalità da, in questo convergendo con Pera, una lettura prevalentemente negativa. Essa "è talvolta soprattutto abbandono e rinnegamento di ciò che è proprio, fuga dalle cose proprie."
"Certo - termina Ratzinger - noi possiamo e dobbiamo imparare ciò che è sacro per gli altri, ma proprio davanti agli altri e per gli altri è nostro dovere nutrire in noi stessi il rispetto di ciò che è sacro e mostrare il volto del Dio rivelato, del Dio che ha compassione per i poveri e dei deboli, delle vedove e degli orfani, dello straniero; del Dio che è talmente umano che egli stesso è diventato uomo, un uomo sofferente, che soffrendo insieme a noi da al dolore dignità e speranza."

Come non dichiararsi delusi e amareggiati da questo pessimismo?
Il suppongo detestato Papa Giovanni XXIII disse una volta che l'esigenza di un rinnovamento non nasceva dal fatto che il Vangelo era cambiato, "ma che solo ora cominciamo a comprenderlo."
La citazione si trova in un bel libro di Alberto Melloni, Chiesa madre, Chiesa matrigna - Einaudi 2005.
Aiuta ad essere cristiani, ad interrogarsi come cattolici e credenti, molto meglio e più in profondità.

note
(1) Dal Dizionario di filosofia - di Nicola Abbagnano - UTET 1971
(2) Georg Simmel - Filosofia del denaro
(3) Dal Dizionario di filosofia - di Nicola Abbagnano - UTET 1971
(4) Oswald Spengler - Il tramonto dell'Occidente -
(5) ampi stralci sul quotidiano La Stampa del 19 aprile 2005
RG - 08 giugno 2005