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John Rawls - La teoria della giustizia - 2
di Daniele Lo Giudice
Avevo chiuso il precedente capitolo avanzando un dubbio. Riprenderò tutti i dubbi e le discussioni possibili attorno ad essi più avanti, tenendo presente anche le molte obiezioni avanzate a Rawls sia da destra che da sinistra.
Finora abbiamo visto come Rawls abbia cercato di delineare le ideali condizioni di partenza per dar vita ad una società giusta. Esse sono caratterizzate dalla scelta di due principi etici. Ma come può avvenire il passaggio dalla fase costituente alla fase politico-legislativa vera e propria?
E' necessario a questo punto uscire almeno parzialmente dalla condizione del velo d'ignoranza.
«Suppongo che le parti, dopo che hanno adottato i principi di giustizia nella posizione originaria, passino ad un'assemblea costituente. A questo punto, esse devono decidere sulla giustizia delle forme politiche e scegliere una costituzione; sono per così dire, delegati a quest'assemblea. Nel rispetto dei vincoli e dei principi di giustizia già scelti le parti devono proporre un sistema per i poteri costituzionali di governo e per i diritti fondamentali dei cittadini. E' in questa fase che esse valutano la giustizia delle procedure per occuparsi delle diverse opinioni politiche. Poiché è già avvenuto un accordo sulla concezione della giustizia appropriata, il velo d'ignoranza è parzialmente sollevato. » (1)
I costituenti conoscono infatti i principi generali della teoria sociale e gli scenari generali della società. Continuano però ad ignorare le collocazioni future di sé e dei singoli individui. Possono quindi continuare a ragionare ed operare astraendo dalla propria condizione particolare.
Il principio di libertà sarà affrontato primariamente nella fase costituente. Il principio di differenza (cioè la distribuzione delle risorse, ed il conseguente principio di riparazione con le rettifiche indispensabili a conseguire le pari opportunità) spetterà più propriamente ad una fase legislativa.
Rawls prevede anche un ulteriore passaggio, susseguente a quello legislativo, ovvero un momento applicativo "da parte di giudici e amministratori, delle norme ai casi particolari, e del loro rispetto in generale, da parte dei cittadini."
Solo in questa terza fase cadrà completamente il velo d'ignoranza. Anche costituenti e legislatori sapranno cosa li aspetta in concreto e dovranno misurarsi con i problemi specifici della loro condizione.

Il principio di libertà, che per Rawls rappresenta comunque lo zoccolo duro della sua intera teoria, perché senza libertà non vi può essere giustizia nemmeno laddove vi sia un'eguaglianza formale, ha la precedenza assoluta e viene prima della stessa giustizia.
Come già aveva visto Stuart Mill, la libertà può essere limitata solo in nome della stessa libertà. Ma Rawls non si limita ad enunciare pomposamente il principio col suo corollario. Scende nel particolare indicando due casi particolari.
«Le libertà fondamentali possono essere più o meno estese pur essendo uguali, oppure ineguali. Se la libertà è meno estesa, il cittadino rappresentativo deve accertarsi che ciò è a conti fatti un guadagno per la sua libertà; e se la la libertà è ineguale, la libertà di coloro che ne hanno di meno deve essere assicurata in modo migliore. In entrambi i casi la giustificazione procede in riferimento all'intero sistema delle uguali libertà. » (1)
Ma nella fase legislativa vera e propria, Rawls (ignorando evidentemente che esistono paesi come l'Italia... aggh) sottolinea con energia che quando si comincia a parlare di giustizia economica e sociale, questa deve avere la priorità rispetto all'efficienza. « Il che significa che la fase legislativa deve tenere presente sempre il principio di differenza (e la regola del maximin) in maniera che qualsiasi misura economica e sociale abbia come punto di riferimento e come obiettivo il miglioramento delle condizioni dei meno avvantaggiati. » (2)
Da qui consegue che: «Tutti i beni sociali principali - libertà e opportunità, reddito e ricchezza, e le basi per il rispetto di sé - devono essere distribuiti in modo eguale, a meno che una distribuzione ineguale di uno o più di questi beni non vada a vantaggio dei meno avvantaggiati. » (1)
Siamo ad una riformulazione più ricca ed insieme più concisa della concezione generale di Rawls, il quale, a questo punto, dopo aver teorizzato che è giusto tassare i più ricchi per redistribuire tra i meno avvantaggiati se il mercato non ha già provveduto in questo senso, ad esempio con una più equa spartizione degli utili, dedica molto spazio a due riflessioni sulla giustizia che potrebbero avere la loro importanza. La prima concerne il rapporto tra generazioni, la seconda il rapporto tra individui ed istituzioni.

Partendo dal dato che i posteri non possano fare nulla per noi, mentre noi facciamo in ogni caso qualcosa per loro (più nel male che nel bene, ndr) Rawls è convinto che le generazioni precedenti in generi risparmino ed accumulino per quelle future. Anche Kant aveva annotato la stessa osservazione, e Rawls commenta:"[Kant...] trovava sconcertante che le generazioni precedenti dovessero portare il loro peso nel solo interesse di quelle successive, e che soltanto l'ultima dovesse godere della buona sorte di vivere nell'edificio ormai ultimato."
Ma la situazione non può essere mutata, e quindi non si pone alcuna questione di giustizia, secondo Rawls. Messa in questo modo, potrebbe avere ragione. Ma poiché l'arco delle questioni è un po' più ampio di quello considerato da Rawls (e da Kant), basti pensare alla situazione ecologica del pianeta, od all'intero edificio dello stato sociale che reggeva sul principio della piramide, ovvero su una base di giovani lavoratori che pagava il sostentamento e l'assistenza ad un vertice di anziani, per appurare che oggi le questioni appaiono molto più complicate e persino capovolte.
Abbiamo come giovani ricevuto tanto, ma anche moltissimi problemi irrisolti ed aggravati dal persistere di una mancanza di soluzioni. Un problema di giustizia semmai si pone nel fatto che dobbiamo chiedere conto alle generazioni passate di cosa ne hanno fatto dell'aria, dell'acqua, dei boschi, della natura in generale. Ed ancora dobbiamo chiedere conto del fatto che oggi non siamo la base di una piramide, ma la base di un prisma a forma trapezoidale nel quale la base si fa sempre più stretta ed il vertice sempre più ampio.
Sostenere che lo stato sociale è intoccabile pone dunque grossi problemi di ingiustizia sociale proprio alle giovani generazioni presenti, per non parlare di quelle future.
Lo vorrei dire in particolare ai miei amci della Sinistra Giovanile.
Lungi dal processare i padri, cosa che appare ridicola visto che dovremmo risalire ai padri dei padri e così via all'infinito per trovare i colpevoli di misfatti ormai caduti in prescrizione, il problema è che ancora una volta, come già negli anni '60, in termini diversi, ma non meno drammatici, si pone un problema di giustizia reale.
Allora il nodo del contendere era la società autoritaria. Si reclamava un maggiore permissivismo nei confronti del proibizionismo ipocrita, a volte complice della criminalità, imperante. Oggi, la questione, anche se a molti giovani non è ancora chiaro fino in fondo, è quello della responsabilità. Le generazioni del permissivismo ci devono spiegare che ne hanno fatto della loro libertà, se si ritengono responsabili o meno del casino in cui viviamo, del debito pubblico (italiano e americano, per non fare sconti a nessuno, tanto più che quello americano ha dimensioni ormai allucinanti) e di chi lo pagherà.
Proprio sul piano del rapporto individui ed istituzioni, Rawls dice parole molto sagge, ma anche un po' superate dai tempi. Diritti civili, obiezione di coscienza, diritto a non rispettare leggi ritenute ingiuste, diversità sessuale, è tutto ok, intendiamoci, ma, forse, è nell'imparare il diritto ad avere i diritti (da Rawls e da altri come lui) che oggi ci accorgiamo che la somma di tutti questi diritti porta solo a sopportare il peso di obblighi e doveri che non hanno uguali nella storia del mondo. Prima dell'avvento della democrazia si trattava solo di obbedire. Adesso che abbiamo la democrazia, molti non trovano di meglio che non andare a votare, non scegliere, non partecipare, non aderire, sperando che solo facendo i "cazzi" nostri alla grande, si riesca a tirare avanti. Quello che secondo Rawls sarebbe un bene sociale inestimabile, secondo la gente, ed i giovani in particolare, è roba di poco conto.
E' su questo piano che tutto il bene che possiamo pensare della dottrina Rawls sfocia comunque in interrogativi sulla nostra condizione reale di ventenni, trentenni, e forse quarantenni. Siamo, per certi aspetti, in una società più giusta di quella in cui viveva Rawls. Per altri aspetti, tuttavia, continuiamo ad essere immersi in una società ingiusta e sbagliata, oltre che sostanzialmente poco democratica, proprio perché viviamo in una democrazia sottostimata.

Nel prossimo articolo, oltre che a cercare di chiarire ulteriormente il pensiero di Rawls, vedrò di capire anch'io in cosa la lezione del nostro può mantenere una qualche attualità, specie su quel che potrebbero definirsi come i "fini" della società più giusta.

(continua)
note:
(1) John Rawls - Una teoria della giustizia - Feltrinelli 1972
(2) Franco Restaino - sta in Storia della filosofia di Nicola Abbagnano - TEA vol. VIII
su John Rawls ( e i suoi critici) è disponibile una bella pagina di Lorenzo Pecchi a questo indirizzo http://www.rivistapoliticaeconomica.it/set_ot02/pecchi.pdf.

DLG - 6 febbraio 2004 -