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John Rawls - La teoria della giustizia- 1
di Daniele Lo Giudice
Potremmo dire che tutto il potenziale innovativo della teoria politica di John Rawls (1921-2002) si risolve in una proposta semplice-semplice: chiunque venga eletto in un'assemblea costituente o legislativa perderà la sua precedente collocazione sociale e dovrà ignorare quale sarà quella futura. Privato di tutto, riceverà uno stipendio adeguato e decoroso, ma non rientrerà nei suoi possessi precedenti. Terminato il mandato, non avrà garantita una pensione, potrebbe ritrovarsi a fare il tranviere a New York, o il cowboy a Dallas, oppure il ranger nel parco nazionale dello Yellowstone.
Dicendola così, mi hanno fatto notare, rischio di esagerare e stravolgere il pensiero di John Rawls perché questi non l'ha mai proposta in questo modo.
Ha solo ipotizzato una condizione originaria del tutto estranea alla storia reale. OK, però questo era, a mio parere è il modo giusto d'iniziare il discorso su John Rawls ed andare subito al nocciolo della questione, in modo che si capisca al volo di che si tratta: non le solite chiacchiere sui principi di una società libera, ma una proposta radicale di mettere più giustizia nella società.

Direte che la proposta, come la presento io, è un'americanata di quelle toste, direte che è inapplicabile. Dite quel che vi pare.
Con siffatta provocazione, cerco di rendere con chiarezza quella che sarebbe la condizione ideale sia per un legislatore che per un teorico della politica: l'ignoranza del sua posizione futura. Che è esattamente quello che proponeva Rawls.
Ignorando quel che sarà di lui, il costituente dovrà prevedere il peggio e non il meglio per sé. Dovrà immaginarsi condannato ai lavori più ingrati della società.
Il suo futuro non dipenderà da come si è comportato da legislatore. Dipenderà da un semplice sorteggio. E il sorteggio non guarda ai meriti, è cieco o bendato.
Solo sapendo di correre questo rischio, il legislatore si troverà nella condizione di dover operare con estrema oculatezza e senso della giustizia. Dovrà insomma prevedere cosa potrebbe capitargli se fosse troppo indulgente, non solo in un posizione subalterna e di povertà, ma anche in una posizione di comando o di ricchezza.
Rawls definì questa condizione di incertezza sul proprio futuro individuale velo di ignoranza.
In linea di massima, seguendo questa strada (impraticabile?), potremmo avere la garanzia che tutti i legislatori condannati al velo di ignoranza farebbero del loro meglio non già per agevolare qualche gruppo sociale contro qualche altro, ma per costruire regole giuste e possibili percorsi di aggiustamento.

Secondo un vecchio modo di ragionare, si troverebbe così in modo pratico quello che è sempre stato solo teorizzato, ovvero che i politici davvero onesti ed affidabili dovrebbero essere scelti non per la loro parzialità ma per la loro imparzialità, per la loro saggezza, per la loro dedizione e per la loro onestà. Non completamente spersonalizzati, impersonali, come proposto dagli utilitaristi fino ad una certa soglia, ma veramente imparziali.

Come è arrivato Rawls a siffatte considerazioni?
Ovviamente si è ispirato alle teorie contrattualistiche di Locke, Rousseau e Kant, con la significativa esclusione di Hobbes. Ha considerato che il problema di ogni teoria giusnaturalistica è facilmente circoscrivibile alla disuguaglianza economica e politica dei partecipanti al contratto che porta alla formazione dello stato..
Ci ha quindi chiesto di immaginare una situazione iniziale, non propriamente uno stato di natura. Ci ha avvisato: la mia è solo una finzione teorica. Le cose non sono affatto andate così e nemmeno potevano.
Tuttavia, dice Rawls, simuliamo uno scenario siffatto. Siamo tutti uguali, nessuno sa che ruolo ricoprirà. Equità e velo d'ignoranza sono le condizioni minime per discutere senza secondi fini.
I partecipanti al processo costituitivo si troveranno quindi nella possibilità di elaborare quello che i contrattualisti chiamavano contratto e che egli preferisce rinominare come scelta dei principi di giustizia.
Per quanto equità e giustizia siano concetti simili, non sono la stessa cosa. La giustizia è semmai il risultato di una di scelte compiute in condizioni di equità.

Un altro presupposto ritenuto indispensabile nella finzione teorica è quella dell'autonomia dei contraenti, laddove autonomia significa razionali, liberi ed uguali.
Se così non fosse tutto il procedimento sarebbe viziato dall'eteronomia delle concezioni etiche dei partecipanti.
Rawls prova a spiegare questa sua ispirazione kantiana. «Credo che Kant abbia sostenuto che una persona agisce autonomamente quando i principi della sua azione scelti da lui come l'espressione più adeguata possibile della sua natura di essere razionale libero ed uguale. I principi in base ai quali agisce non vanno adottati a causa della sua posizione sociale o delle sue doti naturali, o in funzione del particolare tipo di società in cui vive, o di ciò che gli capita di volere. Agire in base a questi principi significherebbe agire in modo eteronomo. Il velo d'ignoranza priva la persona nella posizione originaria delle conoscenze che la metterebbero in grado di scegliere principi eteronomi. Le parti giungono insieme alla loro scelta, in quanto persone razionali, libere e eguali, conoscendo soltanto quelle circostanze che fanno sorgere il bisogno di principi di giustizia.» (1)

Gli individui posti nelle condizioni della finzione teorica immaginata da Rawls saranno quindi una sorta di "io noumenico", ovvero incondizionatamente liberi e razionali.
I principi di giustizia elaborati saranno imperativi categorici. «Infatti, con imperativo categorico Kant intende un principio di condotta che si applica a una persona in virtù della sua natura di essere razionale, libero ed uguale.» (1)

E' evidente in tale impostazione che Rawls rigetta l'impostazione utilitaristica classica, maturata tra Adam Smith e Bentham, ed in qualche modo proseguita da John Stuart Mill. I principi di giustizia riguardano la struttura fondamentale della società e sono frutto di un accordo tra persone morali, non tra individui che seguono imperativi ipotetici (se vuoi, devi) tra i quali l'interesse comune e prevalente "non è l'entrare a far parte di una data società o l'adottare una data forma di governo, ma l'accettare certi principi morali.
Accettare questi principi è fondamentale.
Infatti solo sulla base delle premesse comunemente accettate, si potrà trovare l'ispirazione per fissare i principi costituenti il contratto sociale, o per dirla con Rawls, i principi di giustizia.
Mica semplice, anzi, terribilmente complicato.
Rawls suggerisce due direzioni di ricerca che porteranno a due principi di giustizia fondamentali. «Il primo richiede l'uguaglianza nell'assegnazione dei diritti e dei doveri fondamentali, il secondo sostiene che le ineguaglianze economiche e sociali, come quelle di ricchezza e potere, sono giuste soltanto se producono benefici compensativi per ciascuno, ed in particolare per i membri meno avvantaggiati della società. Questi principi escludono la possibilità di giustificare le istituzioni in base al fatto che i sacrifici di alcuni sono compensati da un maggior bene aggregato. Che alcuni abbiano meno affinchè altri prosperino può essere utile, ma non è giusto.» (1)

Una seconda riformulazione dei due principi porta ad un ulteriore chiarimento: « Primo: ogni persona ha un eguale diritto alla più estesa libertà fondamentale compatibilmente con una simile libertà per gli altri. Secondo: le ineguaglianze sociali ed economiche devono essere combinate in modo che da essere: a) ragionevolmente previste a vantaggio di ciascuno; b) collegate a cariche e posizioni aperte a tutti.» (1)
In altre parole: Rawls non dice espressamente che un'uguaglianza economica di tipo comunista sarebbe preferibile. Ammette, anzi, le differenze. Si limita a dire che esse dovrebbero andare però a vantaggio di tutti e non solo di qualcuno.
La differenza tra una società giusta ed una ingiusta è tracciata soprattutto sulla linea di demarcazione delle uguali opportunità. Posto che esistano comunque differenze di partenza, "l'ingiustizia ... coincide semplicemente con le ineguaglianza che non vanno a beneficio di tutti."
Sono considerazioni molto generali, forse troppo. Ma nel corpo del testo Rawls svolge un esame minuzioso e piuttosto chiaro di diversi casi di clamorosa ingiustizia.
Uno dei principi che, secondo Rawls, l'assemblea dei costituenti originari affermerebbe sempre è quello della riparazione.
E' l'obbligo della società di riparare gli svantaggi che caratterizzano i meno favoriti. Non è ingiusto o giusto che vi siano gruppi di svantaggiati, esso è naturale semmai. Nessuna divergenza quindi con pensatori come von Hajek su questo punto, anche se von Hajek potrebbe contestare che quello che ci ha portato all'oggi sia stato davvero uno sviluppo naturale.
«Ciò che è giusto o ingiusto -scrive Rawls - è il modo in cui le istituzioni trattano questi fatti. Le società aristocratiche o castali son ingiuste perché fanno di questi fatti contingenti la base ascrittiva su cui assegnare l'appartenenza a una classe sociale più o meno chiusa e privilegiata.» (1)
Il principio di riparazione, se diventa un'idea guida, può riparare i torti dovuti al caso e favorire l'uguaglianza.
Applicandolo al sistema educativo, avremmo che quantomeno nei primi anni di scuola, sarebbe giusto seguire soprattutto i meno dotati, che spesso sono appartenenti ai gruppi sociali più poveri.

Unitamente al principio di riparazione, Rawls sostiene che ne emergerebbe un'altro, forse ancora più importante: il principio di differenza.
Esso muove dal presupposto che "il benessere di ognuno dipende da uno schema di cooperazione sociale, in mancanza del quale nessuno potrebbe avere un'esistenza soddisfacente."
Cerchiamo di spiegare meglio cosa intende Rawls.
Tra i principi emersi dalla rivoluzione francese, la fraternità è stato il più trascurato dai moderni "ed ha avuto sempre un ruolo secondario nelloa teoria della democrazia".
«Ebbene, il principio di differenza - scrive Franco Restaino - può dare finalmente una interpretazione soddisfacente e un sostegno teorico e pratico proprio al principio della fraternità, facendone un elemento essenziale di una teoria democratica della società giusta. Esso trova una sua esemplificazione "naturale" nell'ambito di una famiglia ben regolata ed è estensibile a tutta la società con effetti di equlibrio e di proiezione nel futuro delle esigenze di eguaglianza che esprime... » (2)
E lo stesso Rawls scrive:«Il principio di differenza sembra corrispondere al significato naturale della fraternità; cioè all'idea di non desiderare maggiori vantaggi, a meno che ciò non vada a beneficio di quelli che stanno meno bene. La famiglia, in termini ideali, ma spesso anche in pratica, è uno dei luoghi in cui il principio di massimizzare la somma dei vantaggi è rifiutato. In generale, i membri di una famiglia non desiderano avere dei vantaggi, a meno che che ciò non promuova gli interessi dei membri restanti. Il voler agire secondo il principio di differenza ha esattamente le stesse conseguenze. Coloro che si trovano nelle condizioni migliori desiderano ottenere maggiori benefici soltanto all'interno di uno schema in cui ciò va a vantaggio dei meno fortunati.» (1)

C'è quindi un collegamento tra il principio di differenza (inteso da Rawls come unità dei diversi in una condizione di ideale fratellanza) e la regola del maximin (abbreviazione di maximum minimorum) estratta dalle teorie dei giochi e dalle dottrine economiche. Secondo tali teorie si tratta di massimizzare i guadagni minimi e minimizzare le perdite massime. Portata nell'ambito della teoria della giustizia, la regola del maximin consente di considerare il sistema sociale dal punto di vista dell'individuo svantaggiato. In quest'ottica "le ineguaglianze sono permesse quando massimizzano , o almeno contribuiscono generalmente a migliorare, le aspettative di lungo periodo del gruppo meno fortunato della società."
A tale regola si attengono gli individui collocati nella posizione originaria dalla finzione teorica elaborata da Rawls. Qualora essi scegliessero i due principi di giustizia di cui s'è detto, essi non farebbero che applicare "la soluzione di maximin al problema della giustizia sociale."
Per ora, però il dubbio che questo accadrebbe veramente non è affatto fugato. Siamo certi che anche posti in una condizione di velo d'ignoranza, i legislatori giungerebbero alle stesse conclusioni di Rawls?


(continua)

note:
(1) John Rawls - Una teoria della giustizia - Feltrinelli 1972
(2) Franco Restaino - sta in Storia della filosofia di Nicola Abbagnano - TEA vol. VIII
su John Rawls ( e i suoi critici) è disponibile una bella pagina di Lorenzo Pecchi a questo indirizzo http://www.rivistapoliticaeconomica.it/set_ot02/pecchi.pdf.

DLG - 6 febbraio 2004