Per trovare l'equivalente di psicosi e psichiatria in una cultura ed una mentalità diversa dalla nostra bisognerebbe risalire nella notte dei tempi. Ma spesso potrebbe essere sufficiente dare un'occhiata in giro e studiare i cosiddetti primitivi che ancora esistono. Avremmo da imparare più di quanto si creda.
Tra gli indiani del Nord America, in particolare tra uroni ed irochesi, antropologi di fine ottocento, ed anche gesuiti di qualche tempo prima, trovarono che esisteva un'analisi tanto semplice quanto sconcertante del malessere psichico. Forse si trattava più di nevrosi, di depressione, che di psicosi. Ma in tutte le culture indigene del Nord America il malato di mente era molto rispettato.

«Uno dei missionari gesuiti, padre Raguenau, diede un resoconto eccellente delle credenze e delle pratiche degli uroni in questi casi. Gli uroni facevano una distinzione fra tre cause di malattia: cause naturali, stregoneria, desideri insoddisfatti. Dei desideri insoddisfatti, taluni erano noti all'individuo; altri chiamati ondinnonk, non erano noti ma potevano essergli rivelati nel sogno.
Tali sogni tuttavia potevano venire poi dimenticati; inoltre c'erano dei desideri che non si rivelavano nemmeno in sogno. Alcuni divinatori, chiamati saokata, erano però capaci di determinare quali fossero questi desideri inconsci, guardando ad esempio in un recipiente colmo d'acqua. Se il paziente era mortalmente malato, allora i divinatori dichiaravano che l'oggetto dei suoi desideri era impossibile da ottenere. Quando invece c'erano possibilità di guarigione, i divinatori solevano enumerare gli oggetti che si supponeva fossero desiderati dal paziente, e si organizzava una "festa dei sogni."
Si faceva una raccolta tra la tribù, e gli oggetti raccolti venivano dati al paziente nel corso di un banchetto che comprendeva danze e altre manifestazioni pubbliche di allegria. Non si parlava assolutamente di restituire tali oggetti al donatore. In questo modo, non solo il paziente guariva del male con tutti i desideri esauditi, ma talvolta diventava anche ricco
.» (da La scoperta dell' inconscio di Henry F. Ellenberg - Bollati Boringhieri, Torino 1972)

Nella loro semplicità alcuni specialisti extracomunitari di psichiatria, banalmente definiti stregoni, avevano dunque le idee piuttosto chiare, chiare al punto che definire Freud come lo scopritore dell'inconscio parrebbe persino offensivo nei loro confronti:-)))

Non è possibile in questa sede sviluppare un discorso compiuto sulla psichiatria. Si cercherà di dar qualche ragguaglio in più in files specialistici.
Per ora limitiamo l'approccio a poche nozioni essenziali.
In primo luogo: la comparsa del male ha logicamente la precedenza su qualsivoglia sapere pretenda di aver ragione di esso.
Dirlo sembrerà banale, ma occorre considerare che nel tempo sono apparse teorie secondo le quali fu la psichiatria ad inventarsi la follia e non, viceversa, la pazzia e la demenza a richiedere un'analisi ed un intervento terapeutico.
Michel Foucault, studioso francese di questo secolo, esplorò in modo esemplare la storia della follia, ricostruendo analiticamente i percorsi di esclusione e di internamento. Ma la sua analisi, peraltro interessantissima, pare viziata dalla tesi preconcetta che la ispirò, ovvero che ogni ragione produce la sua follia. La follia moderna, la pazzia europea come la concepirono e la concepiscono ancora, si spera, gli psichiatri europei, nacque nel seicento e fu provocata, e per certi aspetti inventata, dal razionalismo nascente, dalla cultura scientifica stessa. In altre parole: Galileo, Descartes e poi Newton, che imposero al mondo la loro razionalità, portarono il mondo stesso a concepire la follia come un pericolo per la normalità, e come folli tutti i residui e i residuati delle superstizioni medioevali e rinascimentali.
Ciò è in parte esatto nel senso che professioni di misticismo e spiritualismo popolare finirono nel mucchio insieme a tanti casi di demenza vera e propria. Ma è in parte, anzi: per lo più, anche falso, perchè la demenza e l'irrazionalità non sono un'invenzione degli psichiatri, ma un dato di fatto che gli stessi provarono e provano ad interpretare.
Ora, è fuor di dubbio che, ad esempio, gli attuali "adoratori di satana" siano fuori di testa. Una volta definito il diavolo come padre di tutti gli imbrogli, di tutte le iniquità, di tutte le false testimonianze rivolte contro qualcuno, di tutti gli assassini, di tutti i furti, di tutti gli stupri, che esista o non esista non fa differenza. Per adorare il diavolo occorre essere un po' deficienti e molto residuali.
In altre parole: occorre davvero situarsi "mentalmente" agli antipodi della razionalità, sia essa fondata sull'ateismo che su un credo religioso cristiano o islamico, o ebraico.
Adorare il diavolo, significa, in parole povere, adorare chi ci inganna abitualmente, si perdoni l'espressione colorita, chi "ce lo mette nel culo, chi ci usa a suo uso e consumo per il suo piacere e, nonostante, il nostro dolore"
Ciò dovrebbe far riflettere su che significa davvero "una razionalità" che genera il suo opposto. Se per razionalità si intende una ristretta visione scientista per la quale solo lo scienziato (o più spesso: lo specialista) ha diritto di parola, siamo senz'altro d'accordo. Lanciamo un evviva a chi fa discorsi umanistici ed umanitari, ai tuttologi ed ai letterati. Ma se per razionalità intendiamo la coscienza, allora è chiaro che il suo opposto è l'incoscienza e quindi c'è poco da discutere. L'incoscienza è un deficit intellettuale grave, anche se non è follia e dunque psicosi in senso compiuto.

Non so che direbbero gli sciamani uroni e gli uomini di medicina cheyenne di fronte a questa mia affermazione. Certo è che l'inconscio, o il subconscio, termine coniato da Pierre Janet, filosofo e psicologo francese contemporaneo di Freud, è tanto più vasto quanto è proporzionalmente ristretta l'area della coscienza e dell'ignoranza. Janet vide chiaramente, più acutamente di molti altri, che ogni terapia che non porti ad un'estensione dell'area e della presa della coscienza, e quindi sviluppi le facoltà intellettuali, di ragionamento, è destinata a fallire.
C'è spazio per un altro "io", ad esempio nei casi di sdoppiamento della personalità, solo se l'io reale con la sua coscienza è ridotto ad un lumicino.
Quella della progressiva autonomia del paziente dal terapeuta, da conquistare e da donare giorno dopo giorno era la via maestra di Janet.
Ma Janet è stato dimenticato, oscurato dalla psicoanalisi e da altre mode intellettuali. Cosicchè non sempre è chiaro che l'estensione della coscienza è l'unica vera cura al male psichico. Solo una coscienza totalmente annichilita dall'incoscienza non è curabile.

Malattie mentali
Non si fatica a diagnosticare uno stato di crisi grave per la psichiatria attuale leggendo lo scorrevole testo di Vittorino Andreoli Un secolo di follia - Rizzoli 1991 - Rcs BUR 1999. Costretta all'impotenza per decisioni politiche irresponsabili che hanno portato al caos ed all'inassistenza territoriale, la psichiatria oggi rischia davvero di naufragare tra le molto discutibili posizioni degli antipsichiatri da un lato e la confusione degli studi psichiatrici attuali dall'altro.
Non si sta dicendo che bisogna tornare per forza ai manicomi. Si sta dicendo che le malattie mentali devono essere diagnosticate e curate specificamente, per quello che sono, e che nei casi più gravi occorre tornare alla clinica ed al ricovero in strutture confortevoli, sicure, e funzionanti come Dio comanda.
Oggi il concetto stesso di malattia mentale e quindi di psicosi pare in discussione. La gente di buon senso comune sa benissimo che esiste quella cosa che si chiama follia, ma poi rischia di farsi confondere dai tamtam dell'informazione: matti sono i punks, i drogati, i teppisti dello stadio, i maniaci sessuali, i pedofili e così via. Niente di più falso e confusionario. Matti sono coloro che soffrono di psicosi e basta. E la pazzia è qualcosa di accidentale, non l'essenza di un soggetto umano, ma una sua condizione particolare.

Facciamo un salto nel tempo ed andiamo al settecento, l'epoca che forse piacque meno a Foucault.
Scrive nel già citato La scoperta dell'inconscio Ellenberg: « L'enorme influsso dell'Illuminismo sulla medicina viene di solito lasciato in disparte. L'Illuminismo inaugurò la pediatria, l'ortopedia, l'igiene pubblica e, tra le altre cose, anche la profilassi con le sue campagne per la vaccinazione antivaloiosa. L'Illuminismo influì sulla psichiatria in molti modi, incominciando dalla sua laicizzazione. Molti sintomi che prima venivano considerati frutto di stregoneria o di possessione incominciarono a venire considerati forme di malattia mentale. Si cercò di spiegare la malattia mentale in modo scientifico. Il rapido progresso della meccanica e della fisica suggerì di adottare un modello meccanicistico in fisiologia e di riportare la vita psichica all'attività del sistema nervoso. Per l'importanza che si dava alla facoltà della ragione, la malattia mentale veniva considerata essenzialmente come un disturbo della ragione. Si credeva che le sue cause fossero o qualche lesione organica, in particolare del cervello, o il mancato controllo delle passioni. Per questo i rappresentanti dell'Illuminismo insegnavano i principi di quella che oggi chiameremmo igiene mentale, basati sull'addestramento della volontà e sulla subordinazione delle passioni alla ragione. Kant stesso, in uno dei suoi libri, scrisse un capitolo intitolato "La facoltà della mente di padroneggiare i propri sentimenti morbosi per mezzo della semplice decisione", in cui forniva regole per vincere l'insonnia, l'ipocondria, e vari disturbi vari disturbi organici per mezzo di una dieta e di una respirazione adatte, lavorando in modo sistematico, interrotto da pause di completamento rilassamento, formandosi delle abitudini e rispettandole, e soprattutto eseguendo spesso degli atti inconsci di volontà.» (cit.)

Alla psichiatria illuminista si deve una classificazione delle alienazioni mentali. Philippe Pinel ne riconobbe cinque: la malinconia, la mania senza delirio, la mania con delirio, la demenza e l'idiotismo. (P.Pinel - La mania: trattato medico-filosofico sull'alienazione mentale). Dal canto suo lo psichiatra italiano V. Chiarugi distinse tre forme di pazzia: la melanconia, la mania e l'amenza.
Quest'ultima parola significa senza mente e include "tutte quelle pazzie, le quali oltre il difettoso raziocinio, hanno l'accompagnamento di una certa insensibilità e disattenzione alle impressioni degli oggetti, per la quale gli individui che ne sono affetti, poco o nulla curano ciò che loro occorre, e non si mostrano mossi da quelle passioni, che in eguali circostanze commoverebbero quegli uomini, i quali godono della reputazione di savi." (V. Chiarugi - Della pazzia in genere e in ispecie. Trattato medici-analitico con una centuria di osservazioni - Luigi Carlieri, Firenze 1973-74, vol.II)

Pinel fu un riformatore e fu tra i primi ad affermare che occorreva trattare i malati mentali nel modo più umano possibile.
Ellenberg ha notato la profonda affinità tra la nuova psichiatria dinamica e i personaggi descritti dai romanzieri e dai drammaturghi. Pinel viene accostato a Balzac: molti casi clinici trattati da Pinel sembrano fuoriusciti dalle opere di Balzac.
Ciò significa che gli scrittori di questo periodo erano in profonda sintonia con la vita reale.
Pinel descrisse un caso di mania senza delirio: « Un uomo, un tempo dedito ad un'arte meccanica ed ora rinchiuso a Bicêtre, presenta, ad intervalli irregolari, accessi di furore con i seguenti sintomi: dapprima sensazione di calore intenso agli intestini, con una sete ardente e una forte costipazione; questo calore si propaga gradualmente al petto, al collo, ed alla faccia che assume un colorito più acceso, giunto alle tempie, diviene ancora più accentuato e produce delle pulsazioni intense e rapide delle arterie, come se stessero per scoppiare; infine l'affezione nervosa raggiunge il cervello, e allora l'alienato è dominato da un impulso sanguinario irresistibile; se riesce ad impadronirisi di uno strumento tagliente è spinto a sacrificare, nell'accesso di furore, la prima persona che vede. Sotto altri aspetti è pienamente padrone di sè, anche durante gli accessi; risponde in modo diretto alle domande che gli vengono rivolte, non mostra alcuna incoerenza di idee, alcun segno di delirio. »

La mania con delirio venne invece descritta così: « A volte ci si imbatte in un delirio gaio e gioviale, che si manifesta con arguzie vivaci ed incoerenti, con discorsi petulanti e irragionevoli; altre volte si ha a che fare con l'enfasi di un orgoglio smisurato, che si appaga di pomposi apparati di dignità e di magnificenza. Incontravo spesso, camminando per l'ospizio di Bicêtre, un generale d'armata che aveva appena perduto, diceva, cinquantamila uomini in battaglia; accanto a lui c'era un monarca che non parlava che dei suoi sudditi e delle sue province; poco più in là il profeta Maometto in persona, che proferiva minacce in nome dell'altissimo; più lontano c'era il sovrano del mondo, che avrebbe potuto annientare la terra con un soffio.»

Di fronte a queste testimonianze c'è ben poco da discutere: follia.
Che sia la ragione ad averla generata? Non diciamo bestialità, por favor. Gli individui descritti qui sopra hanno davvero perduto il senno. Lo sappiamo confrontandoli con chi ce l'ha, compresi quelli che non paiono molto razionali.
Il problema non sta dunque nello stabilire se l'hanno perduto, ma perchè l'hanno perduto. Ludovico Ariosto era un arguto e beffardo esperto in materia. Descrisse la mania multipla di Orlando il furioso sia come mania senza delirio che come mania con delirio combinate in una miscela esplosiva.
La cura stava nell'inviare il prode Astolfo sulla Luna a recupere il senno perduto. Ma anche il vecchio Omero non andò tanto per il sottile con l'ira di Achille "che infiniti lutti addusse agli Achei".
Senonchè il delirio di Orlando e la furia di Achille sono spiegabili: offesi in ciò che avevano di più caro, umiliati nelle loro passioni, espropriati della loro donna e del loro bottino.
Ha ragione il bravo Pinel: l'enfasi di un orgoglio smisurato "frustrato" dagli eventi può portare alle manie. Esso le accompagna, ed a seconda dei temperamenti, si manifesta o come mania con delirio o come mania senza delirio.
Senza delirio si ha l'accesso di furore, l'istinto distruttivo. E con il delirio?

Questi furono i progressi della psichiatria illuminista. Nè molto, nè poco, se consideriamo che già l'Ariosto aveva fatto una diagnosi impeccabile della follia.
In Germania gli psichiatri tesero a dividersi, nel corso dell'ottocento, in due correnti: quella dei Somatiker, detti anche Physiker e quella degli Psychiker. I primi erano organicisti e preferivano spiegare il male psichico con cause fisiche. I secondi preferivano la spiegazione psicologica e dunque le "ferite psichiche".
Ellenberg avverte che ci sono dei grossi problemi per ricostruire il pensiero e le esperienze degli psichiatri di questa generazione:« Gli scritti di queste persone sono diventati introvabili, e quelli che sono disponibili, molte volte, in una terminologia ormai fuori dell'uso.
Ma quando li si studia ci si accorge con sorpresa che essi anticiparono in misura considerevole taluni concetti che oggi ci sembrano nuovi. » (cit.)
Tuttavia riesce a rendere le idee di alcuni di essi, da Johan Christian Reil (1750-1813) a Johan Christian August Heinroth (1773- 1843), da Karl Wilhelm Ideler (1795-1860) a Heinrich Wilhelm Neumann (1814-1884).
Questo gruppo è in qualche modo definibile come influenzato dal Romanticismo, anche se, tutto sommato vi permangono forti elementi illuministici ed una certa tendenza al Positivismo.

Scrive Ellenberg: « Reil fu uno studioso dell'anatomia cerebrale ed uno dei più importanti clinici della sua epoca. Kirchhoff dice che egli fu "l'uomo che consciamente scoprì e fondò la psicoterapia razionale". Il grande interesse e in particolare il carattere moderno della sua opera sono stati indicati da Ernest Harms. Con il titolo Rhapsodien über die Anwendung der psychischen Cur-Methoden auf Geisteszerrüttungen (Rapsodie sull'applicazione del metodo della cura psichica ai disordini mentali), Reil sviluppò un programma completo per il trattamento della malattia mentale, servendosi dei metodi allora esistenti, sia di metodi nuovi dei quali proponeva l'introduzione.»

Reil pensò di superare il manicomio, la Tollhaus, e progettò un ospedale per metodi psichici di cura nel quale fosse possibile dividere i pazienti in due sezioni: gli incurabili e i curabili. Per i primi egli pensò indispensabile proteggere la società dalle loro possibili violenze incontrollabili; ma insistette anche sulla necessità di rendere piacevole la loro vita in vari modi.
Per i secondi la sezione doveva essere organizzata in vista della terapia.
Scriveva ancora Harms: « Reil fa una distinzione fra tre tipi di cure: cure chimiche, (comprendenti la dietetica e il trattamento farmacologico); cure meccaniche o fisiche, le quali - sottolinea Reil - sono una branca della terapeutica, con pieno diritto altrettanto importante quanto la chirurgia o la farmacologia. Per quei casi in cui c'è una causa fisica ai disturbi mentali, devono essere predisposte cure mediche opportune. La cura psichica deve basarsi su un sistema preciso di "psicologia empirica pratica". Il metodo di cura doveva venire adattato alle necessità specifiche di ciascun paziente, anche se tutti i metodi di cura nascevano da una dottrina comune. Reil divideva i metodi psichici di cura in tre categorie: 1) stimolazioni somatiche indirizzate a modificare la cenestesi; queste stimolazioni secondo i casi, dovevano essere piacevoli o spiacevoli, allo scopo di correggere quello che oggi è chiamato il "tono vitale"; 2) stimolazioni sensoriali, ottenute mediante una vasta gamma di quei procedimenti che oggi sono chiamati "rieducazione alla percezione"; ciascuno dei sensi era sottoposto a una rieducazione per mezzo di metodi specifici di addestramento; tra questi metodi c'era quello del "teatro terapeutico", in cui i dipendenti dell'istituto recitavano parti diverse e in cui venivano assegnate ai pazienti parti che si riferivano alle loro condizioni specifiche; 3) il metodo dei "segni e simboli", che era una specie di di scuola basata sulla lettura e sulla scrittura; inoltre varie terapie occupazionali che comprendevano lavoro fisico, esercizi ginnici, e terapia dell'arte. »
Ellenberg fa notare che Reil aveva un concetto molto moderno della malattia mentale. Non credeva che tutti i disturbi e i disordini fossero dovuti a cause psicogene. Egli attribuì grande rilievo al substarto organico, ma ritenne che vi fossero disturbi causati da una disintegrazione del Gemeingefühl, il senso comune, cioè quel sentimento di fondamentale di "centricità" della vita psichica che fa da struttura portante del nostro "Io" conscio.
Si capisce molto meglio il concetto se si sostituisce alla parola "centricità" con "responsabilità di sè stessi" in spirito, carne ed ossa.

Heinroth fu spesso messo in ridicolo perchè affermò che la principale causa del disturbo mentale era il "peccato".
Ricorda Ellenberg che basterebbe cambiare la parola, usando "senso di colpa" in luogo di "peccato", per avere subito chiara la modernità di Heinroth.
Chi scrive non è d'accordo per un motivo altrettanto chiaro: il senso di colpa rispetto ad un significato religioso di tipo neotestamentario, per motivi che non si possono descrivere esaurientemente in questa sede (per dirla chiaramente: non è certo colpa di Cristo se certi cristiani sono così limitati!), è un sentimento confuso, che non spiega affatto i termini del problema. Si può avere un senso di colpa reale solo se una qualsiasi azione ha provocato una parte lesa. In una parola: si offende qualcuno, si ammazza qualcuno, si imbroglia qualcuno, si ruba a qualcuno. Se, si perdoni l'espressione, se un maschietto si fa una sega, o una femminuccia si tocca il clitoride, al massimo, e lo si dice con profondo senso del divino, si offende la stereotipata immagine isterica di una Madonna da sacrestia. Che è tuttaltro dalla bellissima immagine di Madre di Dio offertaci dal Vangelo di Luca, una donna che sogna un figlio in grado di umiliare i potenti ed abbassare la cresta alla sicumera.
Questo non significa inneggiare alla masturbazione ed al vizio sessuale. Se c'è una cosa che riduce davvero l'uomo in cenere è la pratica masturbatoria. Se c'è una cosa che porta davvero a perdersi, in un senso anche topografico, è una sessualità esasperata, per giunta separata dalla corrente affettiva. Ma un conto è presentare queste considerazioni come autocritica convinta e cosciente, cioè come autocoscienza, un altro è presentarle beceramente come "peccato".
In Heinmoth queste distinzioni non sono sufficientemente presenti. Fu, è vero, un clinico di non comuni capacità, ed anche un buon teorico della mente. Il suo Lehrbuch, Manuale, descrive in modo eccellente lo sviluppo della coscienza, dal Selbstbewusstsein (coscienza dell'io) al Gewissen (coscienza morale). Ma, parlando del Gewissen come "uno straniero all'interno del nostro io", finisce con l'escludere che la coscienza morale sia invece qualcosa di essenziale e di potenziale, di interno all'individuo quantomeno in potenza.
In pratica: la coscienza umana è, per Heinmoth, un prodotto della sola cultura e non una sintesi di cultura e qualità innate, di una predisposizione originaria a trovare tra le varie offerte culturali, quella che meglio risponde al senso comune dell'evoluzione umana.
Secondo Heinroth la coscienza morale non nasce dal mondo esterno e nemmeno dall'io, ma da un Über-Uns (un sopra noi).
E' facile intendere che questa teorizzazione anticipa largamente la metapsicologia di Freud: questo "Sopra Noi" somiglia maledettamente al Super-Io postulato dalla seconda topica. Tuttavia in Heinmoth l'accento è mistico e non realistico. Il Sopra-Noi è un insieme di convinzioni profonde che non si capisce bene da dove vengano e cosa le giustifichi. Il loro ruolo non è dinamico, nel senso che inducono a ragionare, ma solo oppressivo, cioè un semplice sistema di divieti.
Infatti Heinroth scrisse che la malattia mentale, come perdita della libertà, sarebbe dovuta all' Ich-Sucht (amore dell'io) e alle passioni. Ma non distingue tra passione per le sciocchezze e la passione, che so, per la verità. E poi, se uno amasse veramente il proprio io, si concederebbe davvero tutte quelle cose che portano a perdersi? Oppure: ambirebbe ad avere successo, dove tutti pensano sia indispensabile avere successo?
Scrive Ellenberg: «Il secondo volume del manuale di Heinroth contiene la descrizione sistematica dei suoi metodi terapeutici: il primo passo è costituito il grado di assistenza terapeutica richiesto da uno stato patologico e quindi dal fissare un piano terapeutico specifico, il quale dovrà prendere in considerazione non solo i sintomi del disturbo, ma anche il sesso, l'età, la professione, la personalità e le condizioni economiche e sociali del paziente. » Queste, in effetti, sono considerazioni abbastanza moderne.

Anche Karl Wilhelm Ideler disse qualcosa di importante sull'etiologia della malattia mentale centrata sulle passioni. In un manuale di circa 1800 pagine la prima parte è dedicata alla vita affettiva. Secondo Ideler ogni passione è un disturbo. La psicoterapia dovrebbe quindi iniziare dall'analisi della passione che ha provocato lo squilibrio.
Scrive Ellenberg: « Una legge fondamentale che Ideler prese da Stahl e che chiamò "legge della vita", è che l'essere umano è continuamente soggetto ad un processo di autodistruzione e di autoricostruzione, e che quindi, per mantenere un giusto equilibrio, egli è continuamente costretto a prendere dal mondo esterno gli elementi necessari. Nella seconda parte del libro, Ideler espose la patogenesi delle malattie mentali. Egli ritrae nei dettagli l'origine delle diverse passioni, la loro lotta mutua, e l'effetto distruttivo della solitudine e del bisogno di attività insoddisfatto. Gran parte della psicogenesi delle malattie mentali è attribuita a sentimenti insoddisfatti di natura sessuale. La natura - dice Ideler - ha prescritto che il più forte sentimento di cui gli esseri umani sono capaci sia l'amore sessuale, e ciò allo scopo di conferire loro una una maggiore prospettiva di un più ricco e un più libero sviluppo potenziale. Da ciò ha origine la lotta dolorosa causata dall'insoddisfazione. Egli descrive la la condizione della vergine innamorata che è costretta a sostituire il suo bisogno di affetto con frivoli divertimenti mondani. ... Gli eccessi d'isteria - dice ancora Ideler - non sono altro che la lotta dell'anima con sé stessa. »

Come si vede da queste poche note, nè Charcot, nè Freud, dissero davvero qualcosa di nuovo. Seppero solo dirlo al momento giusto e trasmetterlo in modo adeguato.
Anche l'osservazione che la genesi delle ossessioni possa venire seguita fin dalla primissima infanzia (bis in die früheste Kindheit) fu merito indiscusso di Ideler.
Ideler credette fermamente in una psicoterapia della psicosi, affermando che "si può ottenere una guarigione delle ossessioni solo mediante l'attività psichica spontanea: il medico deve limitarsi a stimolarla ed a dirigerla."

Heinrich Wilhelm Neumann (morto nel 1884) fu uno degli ultimi rappresentanti di questo fecondo orientamento della psichiatria tedesca. Secondo questi non ci sono avvenimenti casuali nella vita psichica. Condivide con Ideler l'idea che la vita sia un continuo ed inesauribile processo di autodistruzione e di rigenerazione. Ad essa vi aggiunge che l'autodistruzione implica la dimenticanza, mentre la ricostruzione comporta il ricordo.
Nel corso dello sviluppo l'individuo acquisisce una capacità di autocontrollo che corrisponde al "gradi di libertà dell'individuo".
In diversi momenti l'individuo deve misurarsi con le proprie pulsioni (Triebe). I bisogni pulsionali si manifestano nella coscienza di quelle che Neumann definì le Aestheses, sensazioni che agiscono anche come avviso di un pericolo potenziale e nello stesso tempo insegnano come tale pericolo dev'essere affrontato. In certi casi l'avviso di pericolo viene dato, ma l'Aesthese è come in metamorfosi, in modo tale da nascondere il modo in cui il pericolo dovrebbe essere affrontato.
Questa è la causa principale dell'angoscia. Neumann mise in evidenza la relazione causale tra pulsione ed angoscia, affermando che l'angoscia nasce solo quando sono minacciate funzioni vitali e quando tale minaccia viene avvertita.

Scrive Ellenberg: « Tra i molti argomenti trattati da Neumann c'è quello delle manifestazioni cliniche dell'impulso sessuale che si riscontrano nei pazienti mentali. Si osservano i seguenti sintomi: preoccupazione per la pulizia del corpo, atto di sciogliersi i capelli, continui lavacri del proprio corpo, o ("cosa che considero patologicamente equivalente") mancanza assoluta di pulizia, imbrattamento del corpo, fastidio per i vestiti o loro lacerazione, andar di corpo senza inibizioni alla presenza del medico, insofferenza del personale ospedaliero di sesso femminile, cui viene dato l'appellativo di "sgualdrine", o accuse di natura sessuale rivolte a conoscenze femminili, discorsi continui su matrimoni che non sono il proprio, continuo sputare, religiosità morbosa, e interesse esagerato per i servizi divini e per il ministro del culto. Neumann affermò che il medico non deve trattare le le malattie ma i pazienti, e che deve trattare simultaneamente corpo e mente. Però - egli aggiunse - la cura specifica delle malattie mentali è costituita da mezzi psichici.»

E' interessante notare che tra il 1850 ed il 1860 si verificò quello che Ellenberg definì come "il passaggio dalla psichiatria degli ospedali" alla "psichiatria universitaria". Nella prima parte del secolo tutti i progressi erano avvenuti attraverso la pratica psichiatrica, a diretto contatto con i pazienti. Tutte le teorie originali erano nate sul campo.
Ma la psichiatria romantica di Reil ed Ideler venne dimenticata o trascurata dalla nuova ondata dei positivisti.
Uno dei nuovi protagonisti fu Wilhelm Griesiger (1817 -1869), che nel 1845 pubblicò un manuale di psichiatria.
Ritornato in Europa dopo una lunga permanenza in Egitto, durante la quale fu medico personale del kedivè, divenne nel 1860 il primo direttore dell'ospedale psichiatrico universitario di Zurigo, il Burghölzli.
Griesiger viene considerato come il protagonista del ritorno alle cause cerebrali ed organiche delle malattie mentali ed in realtà credeva moltissimo nel progresso dell'anatomopatologia crebrale. Tuttavia non abbandonò del tutto i concetti dinamici introdotti da Reil e gli altri ed affermò che la maggior parte dei processi psichici era inconscia.
Affermò che "quasi tutte le idee fisse - che sottendono ai disturbi psicotici - sono essenzialmente espressioni di una frustrazione o di un soddisfacimento dei propri interessi affettivi."
In più Griesiger sviluppò una psicologia dell'Io e osservò che le distorsioni dell'Io possono venire originate da gruppi non assimilati di rappresentazioni mentali, dunque da rappresentazioni che rimangono estranee all'individuo, originando una conflittualità.
Gli eredi di Griesiger furono soprattutto Westphal, Meynert e Wernicke, dunque gli stessi maestri di Freud.
Essi tralasciarono quasi completamente la pista dei traumi psichici per adottare la prospettiva organicistica.
In questo quadro un arrichimento significativo dei contributi alla ricerca psichiatrica venne da un medico inglese, James Johnson, che nel 1831 aveva individuato un particolare malessere psichico, definendolo come "sindrome da stanchezza ed usura". Johnson lo descrisse come come un disturbo caratteristico degli inglesi (in quanto inseriti in una situazione diversa dai francesi) dovuto alla tensione eccessiva, sia fisica che mentale, prodotta dalla rivoluzione industriale.
Scrive Ellenberg: « Johnson sottolineava l'importanza, nell'etiologia del disturbo da mentale, degli eccessi di lavoro, della mancanza di moto all'aperto, e del fumo industriale che avvolgeva in una cappa la città. Non vedeva altri rimedi che se non un relax annuale con viaggi all'estero.» (cit.)

Nel 1869 George M. Beard, un medico americano, definì questo tipo di malessere come nevrastenia.
Il sintomo fondamentale della nevrastenia era costituito dall'incapacità di eseguire lavori fisici o mentali. Insieme si manifestavano emicranie e nevralgie, ipersensibilità morbosa al tempo atmosferico, al rumore, alla luce, alla presenza di altre persone, insieme ad insonnia, disfalgia, disturbi delle secrezioni e tremiti muscolari.
Secondo Beard, tuttavia, la nevrastenia non comportava la riduzione della durata della vita. Infatti faceva l'esempio di un suo paziente, un uomo d'affari, che ne soffriva da oltre 55 anni.
E' interessante notare che in un primo tempo Beard aveva imputato la causa della nevrastenia ad una defosforizzazione del sistema nervoso e pertanto aveva prescritto "tonici", esercizi muscolari, fosforo, arsenico, stricnina ed "elettrizzazione generale" come terapie.
Ma più tardi, dopo aver profetizzato una epidemia di nevrastenia anche in Europa, se questa avesse adottato uno stile di vita americano, definito come "processo spossante", Beard fornì una più completa definizione della nevrastenia studiando le energie nervose dell'individuo.
La sua spiegazione delle cause dell'alcoolismo pare molto interessante anche alla luce del problema della droga. Secondo Beard si incomincia a bere quando c'è una differenza tra lo sforzo che si deve sviluppare e la quantità di energia nervosa che si sente di possedere. Si evade dalla realtà quando questo differenziale è troppo ampio e non si sopporta l'idea di non potercela fare.
Pare corretto estendere questa spiegazione anche al ricorso alla droga. Sostanze stimolanti come la cocaina, lo disse e lo scrisse lo stesso Freud, aiutano a superare difficoltà dovute a nevrastenia (o alla psicoastenia descritta da Janet). Sostanze inibenti come l'alcool o l'oppio, aiutano a rinviare sine die il confronto con le responsabilità da questo spiacevole confronto.
Purtroppo le idee di Beard incontrarono troppo successo e quindi finirono, come al solito, con l'essere distorte.
Ci fu chi, diagnosticando nevrastenie, le ridusse a fattori costituzionali anzichè sociali (modi di vita ed abitudini sbagliate), oppure le imputò a disturbi sessuali ed alla pratica della masturbazione. Persino ovvio che in taluni casi sia così. Ma la ragione fondamentale di una qualsiasi nevrastenia rimane quella individuata da Beard: poca energia e tanto, troppo, da fare.

Silas Weir Mitchell (1829 -1914) proseguì il lavoro di Beard proponendo nuove terapie. Alcune di esse furono citate negli scritti di Freud (ad esempio Hysterie, del 1988). Alcuni metodi si basavano sul riposo, sull'isolamento e su dieta. Il paziente veniva isolato in una casa di cura, stava a letto, mangiava in modo nutriente e veniva sottoposto a massaggi.
Scrive Ellenberg: « Il trattamento poteva durare per mesi, a volte per anni, e i benestanti, lo trovavano molto chic: gli si dava il soprannome di "metodo dei dottori Dieta e Quiete." A quanto pare, Weir Mitchell non fu mai sfiorato dal sopetto che buona parte del successo terapeutico del suo metodo fosse da attribuire all'intenso rapporto psicologico che si stabiliva tra paziente e massaggiatore.
Alla fine del XIX secolo si riteneva generalmente che due fossero le nevrosi più importanti: isteria e nevrastenia. La prima era soprattutto una nevrosi delle donne, la seconda era principalmente una nevrosi degli uomini.
Spesso isteria e nevrastenia venivano descritte fianco a fianco e se ne mettevano in risalto le differenze, ma c'è anche da dire che questa concezione aveva pure molti oppositori, che tentavano di delineare altre forme di nevrosi. » (cit.)

La seconda metà dell'Ottocento fu contrassegnata dal relativo oblio in cui cadde la psichiatria che Ellenberg definisce romantica, ovvero quella di Reil, Ideler e Neumann.
L'affermazione del Positivismo come scientismo e, quindi, come "materialismo" malinteso, che voleva a tutti i costi trovare una causa del malessere psichico nell'anatomia cerebrale, portò alla netta affermazione della scuola di Griesiger e dei Somatiker.
« A quell'epoca - scrive Ellenberg - Rokitansky e Virchow gettavano le basi dell'anatomopatologia cellulare, che sembrava l'unico saldo punto d'appoggio della medicina. In seguito a ciò, Meynert, Wernicke, e i loro discepoli cercarono di dare una base simile alla psichiatria...e alla fine del XIX° secolo molti psichiatri presero l'abitudine di formulare i disturbi psicopatologici con termini presi a prestito dall'anatomia cerebrale: questo fenomeno veniva chiamato Himmythologie (mitologia del cervello).
Il merito di aver superato tale tendenza va a Emil Kraepelin (1856 - 1926) e alla sua prospettiva multipla verso la psichiatria, prospettiva comprendente neurologia e anatomia cerebrale, psicologia sperimentale con l'applicazione di metodi di prova nuovi e sofisticati, e l'indagine completa sulla storia personale del paziente. Kraepelin sembra oggi diventato il capro espiatorio di molti psichiatri che affermano che la sua unica preoccupazione era quella di appiccicare etichette diagnostiche ai pazienti, dopo di questo, secondo tali affermazioni, egli non faceva più niente per loro. Tuttavia la realtà è diversa: egli dedicava molte attenzioni a fornire a ciascuno dei suoi pazienti i migliori trattamenti disponibili all'epoca, ed era una persona profondamente umana.» (cit.)