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Giulio Preti: la filosofia della praxis e il filosofo «democratico»
di Daniele Lo Giudice
Nel primo capitolo di Praxis ed empirismo, Preti spiega come sia possibile una filosofia della praxis che guardi contemporaneamente ad alcune grandi correnti della filosofia moderna senza cadere in contraddizioni insostenibili. Un certo marxismo e un certo empirismo logico possono convivere alla luce del pragmatismo, e viceversa. Anziché nutrirsi di materialismo dialettico e di dottrine ufficiali di partito, i marxisti potrebbero trovare il vero Marx in scritti quali l'Ideologia tedesca e La sacra famiglia. «Ora, questa filosofia del giovane Marx, per quanto semplicemente abbozzata, era indubbiamente una di filosofia marxiana (e non soltanto per il mero fatto che il suo autore si chiamava Karl Marx) e una forma, assai spinta, di filosofia della praxis, simile per molti riguardi (anche se per moltissimi altri dissimile e profondamente dissimile) al pragmatismo di J. Dewey.
Anche il pragmatismo (e non soltanto per il fatto di chiamarsi così) - prosegue Preti -, soprattutto quello della tradizione che da Dewey e Mead risale al Peirce, è indubbiamente una filosofia della praxis. Per lo meno se con questa parola si intende una filosofia come un orientamento attivo, fattivo e volontaristico verso il mondo, che pretenda non di interpretare il mondo, bensì di modificarlo. Anzi: poichè, se si tenesse distinta un'attività rivolta all'interpretazione del mondo da un'attività rivolta alla modificazione del medesimo, fatalmente si dovrebbero scindere un momento speculativo ed un momento tecnico del sapere, e allora, direi pure fatalmente, (per lo meno, in forza di una quasi trimillenaria tradizione), la filosofia verrebbe assegnata al primo momento; per questo, una filosofia della praxis deve essere una concezione tale che l'interpretare vi sia già concepito come un modificare, e il modificare esso stesso come l'unico valido e garantito interpretare. Insomma, una filosofia in cui "il vero è il verificato", come dice proprio Dewey: e in cui la parola "verificato" non indica una passiva e comunque statica adaequatio, ma un atteggiamento attivo verso il reale, o meglio il risultato di operazioni compiute nel reale e sul reale.» (1)
Preti rinviene, dunque un primo punto di profonda concordanza tra un certo marxismo ed il pragmatismo, ma subito non nasconde le difficoltà. I realisti, quindi anche i materialisti dialettici, possono obiettare (e lo hanno fatto chiaramente con Lenin) che per parlare di attività nel mondo, occorre che esista il mondo, che sia cioè presupposto. Se non c'è nulla su cui agire, il mondo, che senso avrebbe parlare di attività interpretante e modificante?
Preti valuta questa obiezione come ipostatizzante. «Ma è l'ipostasi che è affatto gratuita.» L'attività umana non si pone al di fuori del mondo, al di sopra di esso, in modo extranaturale. Al contrario, tale attività è già nella natura, è essa stessa natura. La natura ipostatizzata dai materialisti dialettici, una natura con cui si entra in rapporto, non esiste, perché la natura non è «qualcosa di dato una volta per sempre», essa si presenta sempre come il prodotto dell'attività umana dei secoli passati. Essa è il passato dell'attività. Marx affermava, nell'Ideologia tedesca, che non esiste che una scienza, la scienza della storia. Per questo, osserva Preti, una filosofia della praxis che non voglia smentirsi, trasformandosi in metafisica ipostatizzante, deve collocarsi in in un orizzonte storicistico.
Tuttavia, anche nella posizione realistica resta vera una cosa: la necessità di partire da un certo realismo del senso comune. Questo, nella misura in cui esso non ipostatizza il mondo, o la natura, ma offre una descrizione concreta di essi.
Solo questo ci consente di comprendere il senso della seconda parte dell'obiezione che i materialisti dialettici oppongono al pragmatismo, e all'empirismo logico. I realisti affermano che la conoscenza è conoscenza del mondo presupposto. Il successo della conoscenza prova che tale presupposto era stato posto esattamente.
Preti obietta che un'attività potrebbe riuscire anche in condizioni di non conoscenza esatta. «I medici del passato, che pure muovevano da conoscenze anatomiche, fisiologiche, patologiche, ecc., che a noi paiono decisamente erronee o addirittura superstiziose, riuscivano pure a guarire molte malattie e molti pazienti. Solo il successo, e soprattutto l'insuccesso, di operazioni successive, l'estendersi dell'attività, mostra, proprio mediante le nuove operazioni, se quel tale "presupposto" era "esatto" o no, se vada conservato o modificato, e come. A questo punto possiamo inserire una seconda considerazione: che quel tale "presupposto" è esatto non in sé o assolutamente, ma nei riguardi di quella tale azione che devo compiere. E' la stessa praxis che viene a stabilire le dimensioni, per così dire, in cui devo conoscere l'oggetto, ossia il "presuposto", dell'azione stessa, e che in fin dei conti ne fa un oggetto o un presupposto. Se la capacità di conduzione di un filo metallico fosse indipendente dalla natura chimica del metallo stesso, la conoscenza chimica del filo non sarebbe tra i "presupposti" di un impianto elettrico, e la conoscenza del filo, rispetto a quell'impiego, sarebbe "esatta" pur nella più completa ignoranza delle sue proprietà chimiche.» (2)

Sulla base di queste considerazioni, Preti accusa quindi i materialisti dialettici di essere astorici, di aver perso per strada il senso della filosofia della praxis, e di entrare in contraddizione con il materialismo storico. Per un materialista dialettico, la verità, una volta conquistata, è tale per sempre. Anche il materialista dialettico aspira ad una philosophia perennis. «E tale sembra proprio il punto di vista dei materialisti dialettici odierni: fino ad ora l'interesse di classe ha costituito un velo tra gli occhi umani e la realtà; solo il proletariato, distruggendo insieme alla classi anche l'interesse di classe e quindi ogni schermo mistificatore tra l'essere e il pensiero (il "velo di Maya"!), aprirà l'èra dell'unica obbiettiva verità. E così chiuderà e concluderà la storia. E questo è appunto l'aspetto ideologico di quella "chiusura" che costituisce il pericolo immanente del comunismo.» (3)

A Preti appare possibile "conciliare" un marxismo depurato dal materialismo dialettico, il pragmatismo strumentalistico di Dewey e l'empirismo logico dei neopositivisti. Anzi, la conciliazione tra pragmatismo ed empirismo è già avvenuta, ad esempio con Ch. W. Morris. Essa si caratterizza come divisione di compiti. L'empirismo logico elabora le tecniche che servono al pragmatista per affrontare i suoi problemi filosofici; dal canto suo, il pragmatismo offre all'empirista logico i "quadri filosofici" che gli mancavano quando era solo un "neopositivista". Preti non esita a ricorrere ad un termine biologico come simbiosi per descrivere la commistione sintetica tra scuole diverse. Tuttavia, avverte, la simbiosi non è sinonimo di "fondazione". Preti intende dire che l'empirismo logico da un lato è una posizione filosofica, visto che assume un atteggiamento critico e sovversivo nei confronti della metafisica. Ma, dall'altro, si può anche dire che, da un punto di vista logico e metodologico, esso non è filosofia, perciò non richiede una fondazione filosofica. Ciò perché, un atteggiamento pragmatico richiede una motivazione, non una fondazione. Non si tratta allora di fondare, cioè dimostrare e provare tesi, bensì solo motivare le nostre scelte. Ben oltre la simbiosi, c'è dunque consonanza tra la filosofia della praxis pensata da Preti e l'empirismo logico.
Una di queste motivazioni, per Preti, è che la filosofia, ormai, non è più un complesso diaframma tra l'individuo e il mondo, ma si può tranquillamente considerare riflessione su tutto ciò che costituisce la cultura: scienze, politica, arte. La filosofia può modificare il mondo solo attraverso un cambiamento della cultura. «Perciò assumere un determinato atteggiamento filosofico, scegliere una posizione filosofica, significa assumere un determinato atteggiamento nei riguardi della cultura nel suo complesso, scegliere una posizione nei riguardi di essa - voler produrre, almeno al limite, una determinata cultura.» (4)
I tratti distintivi di questa cultura sono l'impegno per la democrazia e la volontà pratica di costruire una cultura umana di tipo scientifico. Pragmatismo, marxismo ed empirismo possono così problematicamente convivere. L'impegno per la democrazia è motivato dalla scelta per i diritti umani. Ogni uomo ha diritto ad un'istruzione, a una valorizzazione delle sue facoltà. «Dal Settecento in poi la cultura europea è stata impegnata in un'unica direzione: l'affermazione della libertà umana, e di fronte ad una pretesa trascendenza, e di fronte a quelle "autorità" terrene che, più o meno in nome della trascendenza, pretendevano di imbrigliarla. Così si è avuto l'immanentismo nella filosofia generale, il personalismo nell'Etica, il modernismo nella Religione, la democrazia in Politica, il socialismo in campo economico-sociale: tutte forme dalle quali l'occhio dei reazionari, reso acuto dall'odio, ha scorto la stretta parentela, vedendo come rispondessero tutte, ciascuno secondo i contenuti propri della sua regione, alla medesima ispirazione formale - l'instaurazione di un regnum hominis, ove l'uomo fosse pienamente autonomo e sovrano e di fronte all'esterno e di fronte agli stessi altri uomini, pur nella possibilità della convivenza. La rivoluzione più cospicua, in cui come in un simbolo si sono viste rappresentate tutte le altre compiute nelle varie regioni della cultura, è stata la formazione, prima teorica (da Altusio a Hegel, e poi nel grandepensiero politico sia liberale sia socialista dell'Ottocento) e poi pratica, dello Stato moderno, come ordinamento giuridico e potenza legale che concreta e rappresenta la volontà etica dei cittadini ad un dato momento della storia, e che insieme garantisce attraverso le sue forme costituzionali (qualunque poi esse siano per essere, purché adempiano a tale funzione), il libero movimento di tale ethos e in esso il libero apporto di individui e di gruppi.» (5)

(1) G. Preti - Praxis ed empirismo - Einaudi 1957
(2) idem
(3) idem
(4) idem
(5) idem
DLG - 3 gennaio 2007