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Platone: La concezione dell'uomo, l'amore, la vita e la politica

di Renzo Grassano


1. Platone muove da un'intenzione politica: migliorare i governi
2. La concezione dell'uomo di Platone è alla base delle sue concezioni politiche
3. L'amore come principio della conoscenza e della virtù
4. La teoria della giustizia
5. L'abolizione della famiglia, la censura ed il potere ai filosofi
6. Le possibili degenerazioni della società politica ideale
7. La critica di tutte le forme di governo esistenti
8. Il realismo delle Leggi

1. Platone muove da un'intenzione politica: migliorare i governi
Sappiamo dalla lettura della VII lettera che Platone fu costantemente animato da un intento politico, o se vogliamo, dall'intenzione di disciplinare la politica attraverso la filosofia, portando da un lato i politici a ragionare ed a formarsi filosoficamente, e dall'altro i filosofi ad occuparsi di politica.
Egli era convinto, ovviamente, della possibilità di migliorare la politica in senso etico, trasformandola da luogo di scontro di interessi contrapposti in una sorta di arte volta a rendere migliori, virtuosi, e quindi felici, i cittadini.
Il tema della giustizia è dominante, ed esso si lega strettamente alla concezione dell'uomo maturata negli anni in cui fu discepolo di Socrate.
Platone non fu mai un rivoluzionario e non prese mai in considerazione l'idea che i sovvertimenti dovessero partire dal basso, dal popolo. Di questo aveva, nel complesso, una bassa opinione. La strada intrapresa, come si può riscontrare esaminando la sua vita, era duplice: da un lato credeva nella formazione di un nuovo ceto politico attraverso l'educazione. Da un altro, credette fosse possibile convertire qualche importante personaggio politico del tempo ad una concezione filosofica della vita, intraprendendo così le riforme dall'alto.
In questo non si discostò dalla disastrosa lezione del pitagorismo antico, che aveva perso tutte le battaglie suscitando l'odio dei democratici e dei popolari.

Si spiega questa posizione, che oggi definiremmo di destra, con la particolare concezione dell'uomo. Ma è indubitabile, che essa porti anche ad una visione che, teoria comunista a parte, ingloba molti elementi che oggi definiremmo di sinistra, non ultimo, lo si deve sempre ricordare, che egli riconobbe, persino in uno schiavo, la possibilità di ricostruire con la propria testa ed i propri mezzi, il teorema di Pitagora.
E' come affermare che tutti gli uomini sono uguali, perchè nessuno è escluso dalla caratteristica di poter ricordare la sua vita precedente.

La formazione dell'uomo nuovo è riservata a chi sa di geometria (cioè a chi inclina al ragionamento razionale) e non a chi è figlio di nobili e di ricchi. Nell'Accademia non entrano solo ateniesi, ma greci e uomini di tutte le razze, purchè predisposti allo studio. L'istruzione è gratuita e non a pagamento, come presso i sofisti.
Il fine della politica è la giustizia.
L'uomo impara innanzitutto ad autogovernarsi, a conoscere sé stesso. Solo a quel punto potrà governare le città.
Per questo, possiamo dire che non si afferra la filosofia politica di Platone se non si conosce la sua concezione dell'uomo.

2. La concezione dell'uomo di Platone è alla base delle sue concezioni politiche
L'uomo è una realtà composta di anima e corpo, sia secondo Socrate che secondo i pitagorici.
Nell'Alcibiade I, Platone afferma che l'uomo è la sua anima.
In questa fase, egli contrappose il corpo all'anima, affermando che il primo è una parte deteriore, perfino una tomba per l'anima. Nel Fedone, fa dire a Socrate che il corpo è un carcere e che la morte non è una tragedia, ma una sorta di liberazione dalla prigionia.
Questo dualismo estremistico trova, già nello stesso Fedone, un'attenuazione: Platone dice anche che l'anima è una guida per il corpo. Ma in tutta la cospicua produzione di scritti si trovano considerazioni che sembrano attribuire comunque una grande importanza alla vita. Non si capirebbe, d'altronde, il perchè di questo spassionato interesse per la politica e per la felicità degli individui se limitassimo lo sguardo a questa specie di nichilismo riguardo alla vita corporea.
Il Fedone va interpretato come un esercizio per liberarsi della paura della morte, non come un invito a morire.
Sia Socrate che Platone non furono asceti e non si ritirarono nel deserto per fuggire le tentazioni. Nel Convito Socrate è descritto come un uomo capace di bere smodatamente vino per tutta la notte e rimanere sobrio (almeno fino ad un certo punto). E sarei molto cauto nel considerare il bere come una fuga dalla realtà odiosa del corpo e del quotidiano. La notte del simposio non è altro che un proseguimento del giorno della filosofia più sobria.

L'anima è immortale, composta di sostanza semplice, non scomponibile e non disgregabile; essendo principio di vita, non può accogliere in sé il suo contrario che è la morte, anzi, l'annichilimento nel nulla.
Per questo, essa va nutrita di virtù e non corrotta con comportamenti empi, viziosi ed ingiusti.
La giustizia è vista come il retto inserimento nella società. E' una condizione indispensabile alla vita sociale ed insieme un bene irrinunciabile, perchè solo l'uomo giusto può essere felice.

Secondo Platone, il cammino verso la giustizia e la virtù conosce delle tappe intermedie. La più significativa è l'amore. Il tema è affrontato da Platone in due dialoghi molto importanti quali il Convito ed il Fedro.
Esso non è visto solo sotto l'aspetto del sentimento e del rapporto tra uomo e donna. Anzi, possiamo dire che proprio su questo punto Platone o tace, oppure presenterà teorie piuttosto discutibili, come nella Repubblica, dove vedrà la famiglia tradizionale come un ostacolo alla formazione di cittadini retti, e persino una limitazione del diritto delle donne ad essere uguali all'uomo.
Nel Convito Platone presenta l'eros attraverso il suo oggetto primario cioè la bellezza. Nel Fedro è presentato sotto un profilo più soggettivo. Uno dei partecipanti al Convito, Pausania, distingue l'eros volgare che ha per oggetto i corpi, quello che oggi chiameremmo erotismo fine a sé stesso, e l'eros celeste che ha per oggetto le anime.
Il commediografo Aristofane racconta un mito nel quale esistevano in origine esseri androgini composti da due persone unite in un solo corpo. Essi furono divisi in due dagli dei, per punizione, ed ora tutti cercano la propria metà ed il proprio complemento, senza avere grande fortuna.
In questa storia pare corretto veder emergere il tema dell'insufficienza. Amore è privazione di una parte fondamentale.
Da qui muove Socrate per il suo ragionamento: il mito narra che Amore è figlio di Penìa e Poros, Povertà ed Acquisto. Non è un dio, ma un demone, non ha la bellezza, ma la cerca. Non ha nemmeno la sapienza, riservata agli dei, quindi è solo filosofo, cioè innamorato della sapienza e della bellezza di cui è privo.
L'uomo mortale tende a generare nella bellezza ed a perpetuarsi, lasciando dei figli che gli somigliano. In fondo, è la bellezza lo scopo dell'amore.

Tuttavia, il percorso verso la bellezza si snoda attraverso diversi gradi di consapevolezza. Al primo grado l'uomo giovane ed inesperto è attratto solo dalle forme corporee. Solo in un secondo tempo vedrà l'identico, cioè la bellezza comune in tutti i corpi. Ma, ancora più in alto, gli esseri umani riescono infine a vedere la bellezza dell'anima, qualcosa che non sempre coincide con la bellezza del corpo. Ancora più in alto si trova la bellezza delle istituzioni e delle leggi, oltre quella delle scienze. In ultimo la bellezza eterna, perfetta, sempre uguale a sé stessa, l'idea pura della bellezza.

Nel Fedro, il problema diventa quello di come l'uomo può percorrere tutta intera questa strada. Al centro del Fedro sta la narrazione di un mito: l'anima è simile ad una coppia di cavalli alati, guidati da un cocchiere. Uno di essi è buono, l'altro è pessimo. Per questo l'opera dell'auriga è difficile. Anche se l'auriga cerca di indirizzare il carro verso l'alto, l'iperuranio sede dell'essere e della totalità delle idee, il cavallo pessimo la tira verso il basso.
Diciamo allora che ancora in un dualismo Platone concepisce l'uomo in perenne conflitto-attrazione con il vizio ed il male.
Se segue il cavallo recalcitrante e balzano perde le ali, perde il bene ed il contatto con le sfere supreme.
Ma, non appena l'uomo scorge una bellezza radiosa, subito la ama. Ed in questo caso non è più solo desiderio per il corporeo, ma desiderio di quella bellezza suprema che è in rapporto con il divino.
Dunque è l'eros, in questa forma sublimata, la vera e più autentica passione dell'uomo. In un certo senso bisogna seguirla per liberarsi di tutte le altre passioni.

4. La teoria della giustizia
Ho scoperto recentemente che la teoria platonica dello stato ideale ha molto in comune con la dottrina indù delle quattro caste fondamentali. Quindi non solo rispecchia un modello spartano, con la non trascurabile differenza che ai governanti è richiesta una formazione filosofica, ma, probabilmente incorpora più di un modello della tradizione pitagorica, la quale fu certamente influenzata dagli echi dell'antica filosofia e religione indiana. Io sono da sempre un sostenitore dell'originalità del pensiero filosofico greco. Ma, in questo caso, mi pare evidente che siamo di fronte non già all'invenzione di un modello ma, alla riflessione ed alla rielaborazione di qualcosa che s'era già visto in passato.
Ciò che potrebbe non risultare convincente, e su cui occorrerebbe indagare, è però un dato evidente. Sia la società spartana che quella così distante dei popoli indiani, si sono sempre proposte non già come esempi di società felici, ma come esempi di società statiche, prive di una qualsiasi dinamica capace di portare a progressi tecnici, a miglioramenti sociali e culturali. Rappresentano l'essenza della conservazione e di un eterno ristagno, in cambio di una tranquillità e di una presunta sicurezza interna che non sempre si sono realizzate, comunque sempre a spese di uno stato di guerra permanente con le classi più infime e con le città sottomesse.
C'è da chiedersi se ne sia valsa la pena. E c'era da chiederselo anche allora.
In realtà, leggendo fondo sia la Repubblica che altri testi politici di Platone, si intende che vi sono molte differenze tra il modello spartano e quello proposto da Platone. Sono frutto di una riflessione e di una revisione.
Platone fece una scelta di fondo: uno stato forte, governato da filosofi, cioè uomini giusti per definizione e per contenuto (ma, basta la definizione?) per garantire ordine, sicurezza, tranquillità e, soprattutto, giustizia.

Per Platone il problema della giustizia precede tutti gli altri. E' il fondamento della vita sociale di qualsiasi comunità. Persino una banda di briganti deve essere governata con giustizia: un paradosso che tuttavia evidenzia il meccanismo del funzionamento: la spartizione del bottino deve essere equa. Ognuno deve ricevere il necessario ed anche il giusto. Solo questa prassi evita disordini derivanti da invidie e rancori, oppure da bisogni insoddisfatti.
Se questo vale per i ladri, a maggior ragione deve anche valere per le città.
Ecco, se si volesse proprio cercare il modello proposto da Platone, e realizzato nel mondo contemporaneo si potrebbe guardare alla Cina attuale. Il partito unico dei filosofi, cioè degli ideologi del marxismo-leninismo, cresciuti nelle scuole, dopo anni ed anni di apprendistato, guida una società nella quale la casta dei militari e dei burocrati garantisce ordine e sicurezza, anche attraverso la polizia segreta, lo spionaggio, la repressione del dissenso.
Al di sotto di essi, un po' disprezzati per la loro pochezza, stanno tutti gli altri: affaristi, managers, artigiani, mercanti, operai, intellettuali non ideologizzati, contadini e così via. Essi si possono anche arricchire, il comunismo non è più un dogma, possono emigrare, possono imprendere. Solo non devono pretendere di occuparsi di politica. Non sono all'altezza.
Ovviamente, il modello cinese è una realizzazione imperfetta. In particolare, sento già fischiare le orecchie sull'identificazione tra filosofi in generale e la casta dei dirigenti del partito. Ma proprio guardando al corso dei millenni, esso sembra davvero incarnare il sogno inseguito da Platone e mai realizzato veramente.

Preferisco questa piccola Atene che è l'Italia e questa grande Atene che è l'Europa. Per un semplice motivo: la libertà è la sola garanzia di crescita civile e culturale. Chi viene tenuto in perenne stato di minorità, non crescerà mai, e se crescerà, verrà messo a tacere perchè ritenuto pericoloso.
Nel teorema platonico della società perfetta c'è un difetto fondamentale: alcuni individui richiedono più tempo per maturare e fruttificare. Scartarli a sedici anni, oppure a venti, oppure anche oltre, è commettere un atto di estrema arroganza "scientifica". Un soldato che scappa, dirà Churchill, è sempre buono per un'altra volta.

In ogni caso, ritengo ugualmente giusto conoscere e rispettare sia la teoria platonica che le sue sofferte realizzazioni.
A partire, appunto dall'idea di una comunità ideale.

Lo stato disegnato da Platone nella Repubblica è costituito da tre classi: governanti, custodi e semplici cittadini, ognuno impegnato in qualche attività utile alla comunità.
La saggezza e la conoscenza filosofica sono le note distintive della classe dei governanti.
Il coraggio è dei guerrieri-custodi.
La temperanza dovrebbe essere comune a tutte le classi, ma agli inferiori si richiede soprattutto il rispetto delle leggi e l'armonia con i governanti.
L'idea di giustizia ingloba tutti i caratteri elencati: essa viene a prendere corpo quando tutti i cittadini senza distinzione compiono il proprio dovere. Ognuno ha diritto di scegliere la propria strada, visto che il sistema educativo glie lo consente; solo i meritevoli e non i più raccomandati saliranno ai vertici del sistema.
Se ognuno svolge il proprio compito - dice Platone - si realizzeranno individui uniti in sé stessi e non molteplici, ed anche lo stato sarà unitario e non diviso in partiti e conventicole. La giustizia per Platone inizia quindi dal dovere. C'è ingiustizia, comincia l'ingiustizia, quando qualcuno non fa il proprio dovere, oppure non si rivela all'altezza del compito.

Le condizioni indispensabili alla giustizia sono in primo luogo l'eliminazione della ricchezza e della povertà, in quanto esse sono il primo ostacolo al dovere.
Si tratta, tuttavia, di una teoria comunista limitata alle prime due caste. I cittadini di classe C potranno avere proprietà, arricchirsi un pochetto. E'a quelli di classe A e B che viene richiesto il massimo dei sacrifici. Devono dare il buon esempio, essere d'esempio, non godere del privilegio della proprietà.

Il difetto fondamentale di questa teoria, ai tempi di Platone, è che manca di un preciso riferimento ai non cittadini, cioè alla classe D, agli schiavi. Nella teoria indù delle caste c'è posto anche per essi. Considerati un quarto di uomo e di consapevolezza, essi vivono per il piacere e nient'altro. Sono come tanti extra comunitari dei nostri giorni: vengono qui perchè attratti dal paese dei balocchi. Non hanno arte, cioè non possono nemmeno esercitare un mestiere indipendente, non hanno il dharma, cioè il senso della legge che contraddistingue i guerrieri, non hanno infine il senso ultimo delle cose che contraddistingue i brahamani, cioè sacerdoti, magi e filosofi.
La loro fortuna, se così possiamo chiamare questa condizione disgraziata, sta nell'essere quindi al servizio di altri.
Non è superfluo ricordare che anche Aristotele così la pensava sul problema della schiavitù.
Per questo possiamo dire che la filosofia politica di Platone, criticabile anche sotto molti altri aspetti, manca comunque di universalità completa. Si rivolge solo a uomini liberi e non contiene una critica esplicita alla schiavitù, sia come oppressione sia come istituzione assistenziale. E si badi che anche nella Grecia antica si erano già levate voci contro questo odioso istituto, che faceva, tuttavia, troppo comodo alla maggioranza dei cittadini di classe A, B e C, e forse anche ad alcune categorie di privilegiati (i domestici e gli imboscati) della D.

5. L'abolizione della famiglia, la censura ed il potere ai filosofi
Nella Repubblica, Platone afferma esplicitamente che per realizzare il bene della città, da cui dipende il bene del singolo occorrono due riforme essenziali: l'abolizione della famiglia e l'affidamento del potere ai filosofi.
Gli uomini e le donne devono godere di uguali diritti e doveri, ricevere la stessa educazione, fare esercizi ginnici in comune con il corpo nudo, studiare musica e scienze matematiche. Non devono accumularsi proprietà private, non devono esistere coppie fisse di uomo e donna. Tutti devono vivere insieme, nella promiscuità, ed i figli devono essere educati in comune, in modo che nessuno sappia chi sono i suoi genitori e ciascuno consideri tutti come propri genitori.
Persino le nozze, da considerarsi come fasi occasionali e limitate di convivenza atte alla procreazione, dovranno essere decise dai governanti secondo il criterio della miglior coppia adatta ad ottenere il miglio prodotto.
Chi sostiene che siamo al primo progetto di pulizia etnica, esagera. Certo siamo al primo preoccupante progetto di selezione della razza, quasi che i figli siano dei vitelli. Siamo ad una vera e propria pianificazione delle nascite, nell'ambito, spero sia chiaro, di una inaudita riduzione dei diritti individuali che non aveva uguali nelle società antiche, nemmeno le più assolutistiche. A Sparta si eliminavano i deboli appena nati, gettandoli da una rupe. Ma i matrimoni, al massimo, venivano imposti dai padri, non dai governanti.

Il secondo elemento caratterizzante la nuova società è il governo dei filosofi. Con questo termine, ovviamente non si vogliono identificare tutti i filosofi, sofisti compresi, ma individui saggi e virtuosi, modellati sull'esempio di Socrate e, preferibilmente, cresciuti tra le braccia protettive dell'Accademia.
Essi andranno scelti tra i migliori guerrieri, i più dotati intellettualmente, e poi avviati ad un lunghissimo corso di dieci anni allo studio della matematica, geometria, astronomia, scienza dell'armonia. Ad essi seguiranno cinque anni di studio della dialettica e quindici anni di tirocinio al fianco dei governanti in servizio.

Vi è infine un terzo punto considerato molto importante da Platone, e molto inquietante da parte di filosofi politici e morali di orientamento laico e democratico. Il progetto educativo proposto per i futuri cittadini, guerrieri e governanti dovrà includere discipline quali la ginnastica, la musica, ed anche la poesia, ma dovrà proibire la visione di tragedie e di commedie, nonchè quelle poesie di contenuto falso ed ingannevole. Il poeta Esiodo dovrà essere censurato ed anche buona parte di Omero dovrà essere escluso dal programma educativo.
Non si dovrà permettere che un giovane creda che le sventure umane sono opera di un dio, e che la divinità assuma più forme per ingannare i mortali. Certe forme di poesia eccitano gli animi e sviano dalla retta via portando alla passione dannosa ed eccessiva.
Su tutto questo, certamente si è discusso all'infinito. Però, molti nel rimproverare Platone dimenticano sempre il particolare più importante. Quando gli si chiede il perchè non risponde: perchè no! Risponde ed argomenta.

6. Le possibili degenerazioni della società politica ideale
Sia la società perfetta che l'uomo giusto, secondo Platone possono corrompersi. L'esame che conduce Platone è tutt'altro che utopistico. In questo campo si mostra ultrarealistico.
Una possibile degenerazione della società perfetta viene individuata nella timocrazia. Essa si presenta quando i governanti antepongono l'ambizione e la ricerca di onori all'amore per la virtù e la sapienza, in pratica quando il guerriero prevale sul filosofo, il che potrebbe accadere anche allo stesso uomo.
Una ulteriore forma di corruzione potrebbe essere rappresentata dalla trasformazione in peggio dell'aristocrazia in oligarchia, in quello che oggi chiameremmo un comitato d'affari volto ad accaparrarsi denaro e ricchezze.
Il terzo livello di degrado è quello democratico. Se il popolo si ribella, o viene comunque a conquistare poteri più ampi, si rompe la concordia, si sviluppa l'anarchia, prevalgono spiriti piccioli e faziosi e le istituzioni vanno in declino.
La peggiore di tutte le degenerazioni è la tirannide che si realizza quando un demagogo raggiunge da solo il potere e lo esercita solo per realizzare il proprio interesse, circondandosi di sgherri e complici.
Per Platone, il tiranno è il peggiore degli uomini, l'opposto esatto del filosofo. E sotto un certo aspetto, trattandosi di uomo privo del bene e della giustizia, è anche il più infelice.

7. La critica di tutte le forme di governo esistenti

Platone definì la sua proposta politica muovendo da una critica incisiva a tutte le forme di governo realmente e storicamente esistenti od esistite.
Tuttavia, è solo nel dialogo il Politico che egli esplicita questa critica. Questo dialogo è una diretta continuazione del Sofista e prosegue lo sviluppo della dialettica, applicandola direttamente come scienza della politica. Si tratta di un dialogo molto importante, che trova ancora come protagonista il Forestiero Eleate, cioè lo stesso Platone e che meriterebbe una trattazione a parte. Qui ne riprendo solo alcuni aspetti.
Platone analizza sei tipi diversi di struttura o costituzione: tre di essi sono fondati sul rispetto delle leggi, e quindi considerati positivamente, e tre derivanti sulla violazione delle leggi, e quindi considerati negativamente.
Monarchia (governo di un solo uomo), aristocrazia (governo dei migliori) e democrazia (o governo del popolo) sono le forme preferibili. Tirannide (una monarchia priva di legge e fondata sul capriccio e l'estro di uno) oligarchia (un governo di pochi, ma non di migliori in senso etico) e democrazia (nel senso di governo di una maggioranza nella violazione delle leggi) sono quelle poco auspicabili.
Secondo Platone, la forma migliore è il regno e la peggiore di tutte è la tirannide. Siamo a due facce della stessa medaglia: quella di uno che rappresenta o dovrebbe rappresentare l'unità della città, e spesso rappresenta solo sé stesso.
Per Platone, il comando politico è una scienza ed è anche l'unico criterio per il quale il vero politico si distingue da un qualsiasi ciarlatano che parli di politica nelle assemblee.
Ad un certo punto del dialogo affiora un tema di grande interesse. E' possibile che un governo comandi al meglio senza una legislazione?
La risposta del Forestiero Eleate è molto interessante: l'arte di legificare è arte regia. Tuttavia tutte le leggi hanno un difetto: prevedono casi generali ed hanno un carattere fisso: di fronte a casi particolari mancano di elasticità. Si fanno le leggi solo perchè il re non può stare sempre accanto a ciascun cittadino a fargli da guida. In ogni caso, le leggi si possono cambiare, quando viene il momento.
Secondo Platone, lo scienziato della politica deve dunque essere superiore alle leggi stesse, per poterle cambiare.
Il governo non è perfetto se rispetta la legge, ma se agisce secondo la scienza, eventualmente cambiando la legge.
E' interessante notare che questa posizione, se riportata retroattivamente al processo, alla condanna ed alla morte di Socrate, mostra un certo livello di revisione critica. Laddove si affermava la grandezza di Socrate per il sacro rispetto mostrato per le leggi della città, Platone ora viene a proclamare qualcosa che stride con la vecchia impostazione. Il Forestiero Eleate dice: sarebbe assurdo se, col pretesto che un pilota od un medico hanno tanti mezzi per nuocerci, che noi li giudicassimo non perchè hanno navigato o curato bene, ma perchè hanno navigato o curato secondo le leggi. In questi vincoli ogni scienza politica cadrebbe nel ridicolo.
Possiamo credere che Platone abbia maturato questa riflessione di fronte alla proliferazione maligna di un eccesso legislativo, un male attuale sia in Italia che in Europa.
Tuttavia, nel periodo successivo, Platone maturerà ancora una svolta nel suo pensiero, lasciando un testamento politico di grandi proporzioni.
Rispetto al Politico, il problema delle leggi torna in primo piano nel dialogo intitolato le Leggi.

5. Il realismo delleLeggi
Anche perchè sconfortato dalle sue reali esperienze politiche, Platone vecchio, poco prima di morire, comincia a cercare di tradurre su un piano più realistico le sue utopie di mezza età, scrivendo le Leggi, in dodici libri, gli ultimi dei quali completati solo dal punto di vista del contenuto, ma non da quello della forma.
Protagonista del dialogo, è Platone stesso, che si presenta in scena non già come il Forestiero Eleate, bensì come l'Ateniese. Il cambiamento potrebbe avere un significato, giacchè l'autore del famoso parricidio, non serve davvero più. Ora è Platone che parla in veste di padre a tutti gli effetti. Ed i dubbi sollevati nel Politico, scompaiono.
Nelle Leggi, egli afferma di non volersi più occupare della città perfetta o ideale, ma della vera città, cioè della città seconda, ovvero quella più propriamente realizzabile, date le circostanze.
La città seconda dovrà essere governata da leggi. La migliore costituzione sarà quella che saprà riunire tutto ciò che c'è di più valido in ogni tipo di costituzione, dando così luogo ad un sistema misto, simile a quello presente a Sparta ed a Creta. In esse si trova sia un re, che un consiglio dei migliori, che un'assemblea popolare. E' un tipo di organizzazione che risponde sia all'esigenza dell'unità nella figura di un re, sia all'esigenza della saggezza espressa da un'aristocrazia dello spirito, sia a quella di prevedere una partecipazione popolare.
Questa dottrina sarà ripresa a Roma da Cicerone ed avrà, in questa forma rivista e corretta una certa fortuna per molto tempo.
Anche questo dialogo meriterebbe un approfondimento, essendo ancor oggi un vero repertorio di osservazioni politiche sia storiche che attuali.
E' interessante notare che qui Platone introduce due metodi distinti nel dettare le leggi: uno semplice ed uno doppio. Nel primo il legislatore si limita a fissare le sanzioni a carico di chi commette infrazioni.
Nel secondo, il legislatore accompagna la stesura del testo con una circostanziata spiegazione del perchè certi comportamenti sono proibiti e del perchè la pena ha tale entità.
Secondo Platone, nessuna legge dovrebbe mai mancare di tali spiegazioni, mostrando così la sua necessità ed incentivando il cittadino a rispettarla. Si tratta probabilmente del più importante passo in avanti mai realizzato verso la democrazia e la partecipazione consapevole dei cittadini al governo della cosa pubblica.
Non mancano, tuttavia, anche nelle Leggi momenti nettamente illiberali. Per i cittadini maschi in età compresa tra i 30 e 35 anni è previsto l'obbligo di matrimonio, in netto contrasto con l'utopia proclamata della Repubblica. I renitenti saranno colpiti da una multa, e dovranno comunque sposarsi. Con Platone non c'è verso: la stato è padre-padrone.

Bibliografia:
Platone - Opere - Laterza 1971

Renzo Grassano - 20 novembre 2002