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Le nuove religioni nell'età ellenistica
di Daniele Lo Giudice


Un nuovo mondo era sorto con Alessandro Magno. Tutta la geografia politica e culturale dell'antichità era stata modificata dalla conquista macedone. E se le città della Grecia avevano perso la loro libertà, erano tuttavia riuscite ad imporre ad oltre la metà del bacino del Mediterraneo la loro lingua, e parte importantissima della loro cultura e delle loro tradizioni. Contemporaneamente, avveniva che anche le più lontane culture orientali prendessero a permeare il mondo greco, incrociandosi tra loro in combinazioni mai viste. Era globalizzazione, per usare un termine moderno, e per usarne uno antico, era oikoumene.

Si è soliti definire questo periodo età ellenistica, per differenziarlo da quello della Grecia classica, praticamente terminato con la battaglia di Cheronea, nella quale Filippo di Macedonia, padre di Alessandro, aveva posto fine alla tradizionale indipendenza delle poleis.
In questo quadro mosso, variegato e quindi solo apparentemente uniforme, l'improvvisa morte di Alessandro portò dapprima ad un quarantennio di guerre intestine e poi una spartizione dell'effimero impero macedone in diversi regni, ognuno dei quali spettò in sorte a figli e parenti dei generali di Alessandro. Nacquero così monarchie assolutistiche che nella forma politica avevano ben poco di greco e moltissimo di tipicamente orientale. Gran parte delle nuove classi dirigenti era costituita da macedoni e da greci. Ai soldati di Alessandro erano andate in premio terre da coltivare in varie aree. Gente di lingua greca controllava le flotte mercantili e i commerci.
Le più grandi ed importanti monarchie ellenistiche furono quella dei Tolomei in Egitto, quella dei Seleucidi in Siria, Babilonia e i territori orientali, e quella degli Antigonidi in Macedonia e Grecia. Il piccolo Epiro di Pirro faceva stato a sé stante; una grande importanza ebbe anche il regno di Pergamo; l'Asia Minore risultò divisa in regni più piccoli quali la Bitinia, il Ponto, la Cappadocia, mentre in Sicilia esercitava una forte egemonia la città di Siracusa governata dal dittatore Agatocle. Ma sembra sia assodato che una grande civiltà fiorì anche nella lontanissima Bactriana, un territorio molto vasto comprendente gli attuali Uzbekistan, Tagikistan ed Afghanistan da non considerarsi più soltanto come remote regioni ospitanti Unni, Turcomanni e Mongoli.

Nel periodo ellenistico cambiarono anche le religioni e qui cercheremo di delineare a grandi linee quel che avvenne, prestando particolare attenzione al sostrato filosofico e psicologico del sommovimento, perchè è questo il nostro mestiere. Di particolare interesse fu, per esempio, l'introduzione del culto del dio Serapide in Egitto, un Egitto, si badi, ben diverso da quello delle antiche dinastie. La capitale era diventata Alessandria, praticamente fondata da Alessandro Magno nel luogo che fino ad allora aveva ospitato un semplice villaggio chiamato Racotide. In tale villaggio si onorava questo dio, ma in altre parti dell'Egitto era noto con altri nomi, forse una fusione di culti ancora più antichi per Osiride e per Api (venerato a Menfi)
Alessandro aveva fatta propria la divinità Serapide quasi come un amuleto ed essa lo aveva accompagnato fino alla valle dell'Indo. Tolomeo I Sotere, generale di Alessandro prima e nuovo sovrano dell'Egitto poi, fece costruire un grande tempio dedicato a Serapide e praticamente diede inizio ad una nuova religione ufficiale di stato, imponendone il culto a greci e macedoni residenti in Egitto. Approfondiremo la storia di Serapide e del suo tempio più avanti perchè ne vale veramente la pena!
Ora cerchiamo di procedere con un certo ordine.

La religione e la religiosità greca classica erano state qualcosa di complesso e non si può dire che gli studiosi ne siano venuti del tutto a capo. Un groviglio inestricabile di miti e di culti non consente di scorgere molto al di là della superficie e dei nomi dei vari dei.
Un criterio di interpretazione è stato individuato nella formula del do ut des. Qualcosa di molto antico, anzi di arcaico. Sacrificando al dio, o alla dea, considerati depositari di energia e potere, l'adorante poteva ottenere l'attenzione divina e quindi godere di certi benefici, o quantomeno, evitare di venire danneggiato.
Una pratica che non mancava in nessuna delle religioni antiche ed a volte sconfinava nella magia, la quale non era altro che una forma di preghiera esagerata e prepotente. Non più il dio elargiva la sua grazia, ma era l'uomo che riusciva in qualche modo a vincere le resistenze del dio ed ad usare i suoi poteri.
Ma non tutte le civiltà espressero eguale interesse per le pratiche magiche.
Fu soprattutto a Babilonia, per quanto se ne sa, che si operò una significativa deviazione con l'astrologia e le pratiche magiche. Esse, a poco a poco, penetrarono nel rimanente mondo antico, trovando un terreno fertile soprattutto in Egitto.
Tutte le civiltà uscirono da una fase di primordiale timore del divino per passare alla convinzione che gli dei potessero proteggere e guidare gli uomini e che si trattasse soprattutto di guadagnare il loro favore con invocazioni e sacrifici. E questa fu una convinzione universale per millenni.

Il grande lavoro di dissacrazione razionale del mito e della superstizione compiuto dai filosofi greci portò, poco alla volta, a diffondere un'idea del divino più matura.
Così, già prima che Alessandro Magno venisse a sconvolgere il mondo antico, nella civiltà greca, e soprattutto nelle città più grandi quali Atene, o Siracusa, o Taranto, venne ad insinuarsi l'idea che l'universo non era un caos di di forze cieche in lotta ma un cielo di divinità responsabili ed in fondo benigne, disponibili ad aiutare l'uomo per assicurargli salute, benessere e prosperità. Il leggendario medico Asclepio (Esculapio) venne divinizzato, sorse un santuario ad Epidauro, e proprio in epoca ellenistica fiorì un culto di Asclepio all'isola di Cos.
Ma sia nella Grecia arcaica che un quella classica c'era qualcosa di superiore perfino agli dei: il fato. Questa era la forza determinante di ogni destino e contro di essa ogni sforzo era vano. Anche la filosofia finì con l'arrendersi al fato, soprattutto con lo stoicismo, anche se proprio gli stoici, sulla scia di Socrate e Platone, riuscirono ad evidenziare un potente farmaco: imperturbabilità e ricerca del vero bene.

Nel libretto di Cicerone De natura deorum, un epicureo, uno stoico ed un accademico esponevano i rispettivi punti di vista sul divino ai tempi di Augusto e della nascita di Cristo, e l'operetta dimostra quanto strada fosse stata percorsa nella consapevolezza delle cose.
Tuttavia, l'idea di una progressiva liberazione del genere umano dalla superstizione religiosa e magica rischia di essere fuorviante. Il bene della speculazione filosofica era riservato a pochi privilegiati. Persino tra le classi dominanti vi erano personaggi illustri permeati di una religiosità timorosa ed insicura.
Lo stesso Alessandro Magno, sebbene educato ( ma non si saprà mai fino a che punto) da Aristotele, fu molto religioso in un senso che potremmo definire arcaico e certamente assai poco filosofico.
Poco gli importava dell'ordine dell'universo, se esistesse una divina armonia delle cose, un fine ultimo e persino una concezione del divino quale custode delle leggi morali.
Gli interessavano gli dei solo per venire a sapere se lo avrebbero favorito od ostacolato nella realizzazione dei suoi disegni.
In Macedonia si onorava Zeus, come in gran parte della Grecia. Ed egli celebrò una gran festa in suo onore prima di partire alla conquista del mondo.
Ovunque capitasse cercava di rendersi propizie le deità locali, facendo quel "commercio" col divino già denunciato da Platone nell'Eutifrone.
Onorò il Melkart di Tiro, pur credendo di poterlo assimilare ad Eracle, il semidio greco; in Egitto fu incoronato faraone e non ebbe scrupolo a presentarsi come "figlio del dio Ra" ed incarnazione di Horus; giunto a Babilonia, si rese adoratore di Bel e di Marduk. Attraversando la Persia, si interessò vivamente delle concezioni mazdeistiche e zoroastriane. Si dice che nessun greco si sia mai permesso di offendere la religiosità degli altri popoli, pur considerandoli barbari. E certamente anche Alessandro aveva appreso la lezione. Portando rispetto ai loro dei, si accattivò quantomeno il favore degli uomini che in quegli dei credevano.

I generali ed i soldati di Alessandro che gli sopravvissero e si spartirono il potere ed il bottino di guerra, dimostrarono di non pensarla molto diversamente dallo stesso Alessandro. Ne seguirono l'esempio ed imposero entro certi limiti anche il culto del sovrano quale dio che Alessandro aveva incominciato ad introdurre provocando insieme il sorriso e la preoccupazione dei filosofi greci del suo tempo.
Se adorare dei fasulli era già riprovevole, che dire della pretesa di uomini che volevano farsi dei?

Eppure, rispetto ai bassi livelli di religiosità diffusi tra le grandi masse dell'antichità, in fondo era persino più semplice e realistico venerare un potente in carne ed ossa che un dio invisibile. Agli occhi della maggioranza era più realistico pensare di ottenere benessere da un sovrano che da un oracolo. Quando i profeti ebrei si scagliavano contro la cosiddetta prostituzione degli israeliti, in fondo coglievano una tendenza universale presente in tutti i popoli: la stessa che in tempi più recenti porterà molto popolino italico a non far differenza tra padroni stranieri. "Franza o Spagna, pur che se magna!"
A che serve stupirsi o indignarsi? La convenienza egoistica dettata dalla lotta quotidiana per la sopravvivenza è uno dei fondamentali motori della storia e viene ben prima della coscienza di classe o quella di popolo e di nazione. Annulla ogni senso di gratitudine e di fedeltà. Rende gli individui peggio che ignobili. Ma non facciamo del moralismo, per carità! Si tratta solo di sapere come effettivamente vanno le cose. Da sempre.

Accanto al culto del sovrano, l'ex generale macedone di turno, fiorirono tuttavia culti e teologie tra le più curiose e stravaganti. Un po' come oggi, in piena new age e globalizzazione, non si è alla moda se non ci si professa buddhisti, sciamanici, taoisti o quant'altro, in epoca ellenistica non si era alla moda se non ci si apriva a deità straniere ed aliene.
In ogni caso, accadde in epoca ellenistica che molte della vecchie divinità del pantheon greco, la maggioranza delle quali era ad immagine dell'uomo (e dei suoi difetti), andassero in pensione, oppure assumessero nomi nuovi o persino un nuovo significato. Lo Zeus cantato nell'inno omonimo dal filosofo stoico Cleante era un tipo di divinità che si avvicinava al modello delle grandi religioni monoteistiche (ed all'epoca ce n'era una sola).
Afrodite, dea della bellezza e dell'amore, assumeva sempre più simboliche valenze di fertilità sulla scia di influenze derivate dal culto di Cibele, di Astarte o di Iside. La stessa cosa accadeva per Artemide e persino per Hera consorte litigiosa e gelosa dell'olimpico Zeus.
Secondo lo storico Michael Grant: «La religione pagana era tuttaltro che morta al momento di venire sopraffatta dal cristianesimo, al contrario più viva che mai. Solamente aveva deviato e continuava a deviare durante tutto l'ellenismo, dai culti olimpici dell'età classica. Gli dei continuavano ad essere oggetto di culti cerimoniali solenni, ma i fedeli riponevano la propria fede non più in loro, ma in una varietà di salvatori divini. Questi salvatori erano depositari di fede appassionata a causa di due distinte e miracolose virtù nelle quali i vari culti alimentavano le diverse speranze: quella del conferimento della forza e della santità necessarie alla sopportazione della vita terrena, e quella del dono dell'immortalità e della beatutudine dopo la morte. [...]
Le garanzie di vita eterna offerte dai culti misterici impressionarono enormemente la coscienza ellenistica. Si aprì un'epoca, destinata a durare oltre due millenni, in cui le ansie della società s'incentrarono principalmente sulla vità dell'al di là.» (1)
Fu in questo periodo che anche gli Ebrei cominciarono a credere nella sopravvivenza dell'anima e che una setta particolare, quella dei farisei, iniziò a propugnare il credo della resurrezione della carne. Nemmeno loro, depositari da sempre di un senso religioso affatto diverso e sicuramente superiore al rimanente mondo antico, furono impermeabili alla new age del tempo ellenistico.
Ma l'idea di un messia salvatore era nata in ambiente giudaico ben prima che essa apparisse in ambito ellenistico. Si può correttamente pensare che vennero quindi a realizzarsi diverse e reciproche contaminazioni. Perchè, per far quadrare il cerchio, dobbiamo anche vedere come l'idea di un messia maestro spirituale e non capo politico-militare in grado di restaurare la potenza di David e Salomone, fu probabilmente derivata dall'esterno.

Il culto di Dioniso ed i misteri
Una di queste divinità salvatrici fu indubbiamente Dioniso: il culto di questo dio era di origine tracia. Cominciò ad avere una certa fortuna in Grecia molto prima dell'inizio dell'età ellenistica, ma è certo che in molte città fosse considerato semiillegale. Probabilmente non era gradita la truculenza di alcuni riti in cui ci si ubriacava e che certamente culminavano in orgie e baccanali.
Non è possibile stabilire in cosa i riti dionisiaci differissero dai misteri eleusini e da altre religioni misteriche. L'idea prevalente tra gli storici oggi è quella di una seconda e misteriosa dimensione della religiosità greca, assai diversa da quella olimpica ed ufficiale, sotterranea e riservata agli iniziati.
Di Eleusi sappiamo che ogni anno vi si svolgevano cerimonie in onore della dea Demetra. Al centro di esse vi era la rappresentazione di un matrimonio sacro tra la vergine del grano Persefone ed il dio degli inferi Plutone, conosciuto come Ade. Originariamente erano legati al ciclo naturale delle stagioni. Ma col tempo assunsero un significato nuovo. Agli iniziati veniva cioè assicurato il il favore di Ade e Persefone. Diventava il modo migliore per assicurarsi una vita migliore dell'al di là. Ma ciò non aveva nulla a che fare, con i comportamenti in vita.
Durante la processione eleusina in onore di Demetra, gli officianti invocavano anche il nome di un dio Iacchos, da molti identificato proprio con il Dioniso tracio.
Si ha traccia certa dei comportamenti inquietanti dei seguaci di Dioniso nella celebre tragedia Baccanti composta da Euripide.

Dioniso, secondo Grant, divenne la divinità distintiva dell'espansione macedone in oriente.
I misteri di Dioniso divennero così un culto tra i più importanti dell'area ellenistica. Simboleggiava la vita rinascente a primavera, la linfa degli alberi, il seme animale ed umano. Adorandolo, ci si poteva aspettare di risorgere a propria volta e di trovare una successiva pace dionisiaca, cioè un sommo piacere nella vita eterna, consistente non già nella visione di Dio e del Bene, come nei filosofi greci, e poi tra farisei e cristiani, ma in eterno stato di ebbrezza procurata dal vino supremo.

Demetrio I Poliorcete si compiacque di venerare Dioniso come dio della gioia e della liberazione, ma furono i Tolomei in Egitto che più si spesero per affermarne il culto, vantandosi innanzi tutto di essere suoi discendenti, cioè figli di un dio.
Questo accadde già con Tolomeo I Sotere, ma fu soprattutto con Tolomeo II Filadelfo che il culto dionisiaco visse una sorta di apoteosi.
E ancor dopo, Tolomeo IV Filopatore divenne il più zelante e convinto patrocinatore del culto dionisiaco, anche per motivi finanziari e fiscali. Tramite il rigoroso controllo statale delle attività dei sacerdoti dionisiaci, l'erario incamerava cifre considerevoli senza nemmeno dare l'impressione di far pagare tributi ai sudditi.
Così Dioniso divenne patrono della bella vita e dell'eterna ebbrezza anche nell'al di qua. Musica, teatro, arti visive, feste e banchetti furono considerate attività dionisiache per eccellenza. Dioniso divenne il protettore degli artisti, qualcosa di simile ad un nostro santo patrono, anche se con grandissime differenze.
Quando il culto di Dioniso giunse anche in Italia, il senato romano, preoccupato per gli eccessi ed i fanatismi che procurava con vere e proprie possessioni, assunse misure proibitive e repressive nell'anno 186 a.C.

Iside e Serapide
I sovrani macedoni dell'Egitto non ebbero ritegno nel propugnare nuovi culti religiosi e nel favorire il rinnovamento dei vecchi. Avevano certamente un tornaconto economico e politico, come s'è visto, ma erano convinti sia della necessità di un pluralismo in grado di accontentare tutti, sia del fatto che un popolo altamente religioso fosse comunque più felice.
Per questo Iside da un lato e Serapide dall'altro divennero in qualche modo i contraltari di Dioniso.
Specie tra chi credeva che il viaggio nell'al di là non sarebbe stato una passeggiata, il culto di Iside poteva dare qualche rassicurazione un po' meno superficiale. Da sempre simbolo della Gran Madre e dunque simile, se non identica, a deità quali le antichissime Micene ed Europa (tra gli Achei la prima, tra i Cretesi la seconda), Ishtar o Astarte tra i semiti delle varie nazionalità, Iside rappresentava la natura, la luna, la fertilità, il ventre materno, la verginità, la protezione della gravidanza, e secondo molti seguaci della psicologia del profondo, anche la società protettiva, sicura, assistenziale, la città cinta di alte mura, la casa inaccessibile ai ladri ed ai maleintenzionati.
In altre parole, il culto di Iside era propiziatorio nei confronti del matrimonio, della vita domestica e pacifica, del riposo e del sonno, dell'infanzia protetta. Estensivamente diventava la protettrice delle brave donne di casa, delle matrone timorate e di tutti i mammoni di questo mondo... ce n'erano anche allora!
Specie in epoca ellenistica, dunque, il culto di Iside, che in origine aveva una qualche torbida valenza sessuale, divenne più verginale e più simile, quindi all'attuale culto cattolico per Maria madre di Dio. Rappresentava dunque l'aspetto più rispettabile delle religioni, anche se, beninteso, continuava a presentare aspetti enigmatici ed inquietanti.
Il culto di Iside si potenziò considerevolmente sotto la dinastia macedone in Egitto durata fino a Cleopatra Filadelfo, cioè l'ambiziosa amante di Cesare e Marco Antonio.
Per la dea militavano sia sacerdoti di sesso maschile, tutti rigorosamente col cranio rasato (ritenuto ermeneuticamente un segno di autocastrazione), sia almeno due ordini di sacerdotesse, la vergini e quelle che, al contrario, praticavano la prostituzione sacra per aumentare le entrate del tempio ed anche dello stato. Probabile che alcune, se non tutte, fossero in origine schiave.
A conferma del fatto che alcuni aspetti della liturgia cattolica molto debbano all'antichità pagana, sappiamo che il culto di Iside aveva anche un lato contemplativo. Più volte all'anno, vestita di lino e coperta da un manto fregiato, la statua della dea veniva portata in processione, mentre i fedeli assiepati ai margini delle strade assistevano in religioso silenzio.
L'aspetto virginale ed insieme grazioso della dea era anche molto compassionevole. Attraeva irresistibilmente le donne e senza dubbio anche gli uomini ed i bambini. Incarnava quella magia che tanto affascinava gli spiriti del tempo, forse non una divinità, ma tutte le divinità in una essendo la Madre. Era la "dea dai diecimila nomi".
«E poichè s'era in un'età di sincretismo popolare - scrive Grant - (ovvero di parificazione o fusione delle dvinità, di graduale svanire delle differenze tra dio e dio... entro una sorta di monoteismo comprensivo) Iside assorbì in sè ogni altra divinità, non solo in Egitto, ma in ogni paese del mediterraneo. "Nella tua persona", proclamava un inno del primo secolo, "tu sei tutte le dee proclamate dalle genti".» (1)

Uomini e donne potevano avere Iside in visione onirica dormendo nel tempio, ovviamente pagando per il disturbo. In sogno si ricevevano dalla dea preziosi consigli Rivelava ai malati medicine e droghe salutifere, alle donne prediceva futuri matrimoni e gli esiti delle gravidanze. A tutti rivelava i misteri dell'universo e la via per arrivare alla vita eterna.
In sostanza divenne la Sapienza personificata, dispensatrice delle conoscenze supreme. Venendo incontro a tutti, compresi, i poveri, elargiva compassione e pietà, cioè aspetti che certo non si trovavano nei culti dionisiaci.
In un certo senso, Iside fu per i pagani dell'epoca ellenistica, ciò che sarà poi il Verbo, cioè il Logos divino, per i cristiani ammaestrati da Giovanni.
Infatti, fin dall'inizio della nuova era di Iside, la dea aveva promesso di "salvare l'universo" donando altresì l'immortalità individuale.

Serapide, al confronto della potenza e della venerazione che godeva la dea, un po' impallidisce. Eppure non mancarono le trovate ingegnose e cialtrone per renderlo dio popolare e desiderabile.
Il tempio di Serapide offriva uno spettacolo grandioso. La statua in ferro del dio Ares era congiunta tramite magneti a fili invisibili ad una Afrodite che calamitava il dio. Era la celebrazione dell'adulterio e del tradimento, in quanto, si sa, Afrodite era sposata al dio deforme Efesto, il fabbro degli dei.
Un altro trucco notevole consisteva nell'uso di sifoni per la trasformazione miracolosa dell'acqua in vino.
Quando la massa dei fedeli entrava nel tempio, un ingegnoso sistema di mantici idraulici accuratamente nascosti mettevano in moto delle trombe suonate a fanfara. Contemporaneamente facevano divampare una grande fiamma posta sull'ara centrale. Non solo, la forza dell'aria calda prodotta dai fuochi delle offerte sacrificali veniva utilizzata per spalancare delle grandi porte interne. Aprendosi queste, l'immagine del dio avanzava, dando l'impressione di farsi incontro ai fedeli. Un altrettanto ingegnoso sistema di fuochi sembrava illuminare le statue dall'interno. L'effetto prodotto era incredibile giacchè sembrava che le statue avessero occhi vivi!
Attorno alle meraviglie del Serapeon crebbero molte leggende e credenze, alcune delle quali testimoniate da illustri personaggi. Si disse ad esempio che il governatore macedone di Atene, Demetrio Falereo, fosse stato guarito da un male alla vista che l'avrebbe portato alla cecità attraverso invocazioni a Serapide.
Al pari dei templi di Iside, anche il tempio di Serapide divenne una sorta di santuario nel quale si poteva trascorrere la notte per ottenere visioni dell'al di là e ricevere particolari servizi oracolari.

Cibele
Ben diversa dall'immagine salvifica e santa di Iside, era quella di Cibele, divinità di origine anatolica e quindi assimilabile alle più antiche Ma ed Enyo. Come Iside rappresentava la Gran Madre, ma nel suo aspetto più sessuale e torbido (ctonio, direbbero gli psicologi del profondo).
Cibele era venerata sopratutto nei regni dell'Asia Minore, tra i Galati, in Cappadocia e nel Ponto. Probabilmente aveva delle equivalenti in figure divine come Demetra e Rea presenti nel mondo greco arcaico e classico. Sia quel che sia, troviamo templi e santuari dedicati a Cibele anche in altre aree ellenistiche e persino nella Grecia continentale.
Sembra che il culto di Cibele si realizzasse in cerimonie molto simili ai misteri di cui s'è già parlato. Al centro della cerimonia vi era la sacra rappresentazione del dio Attis, giovane consorte della vegliarda, che prima moriva e poi veniva a risorgere, come Osiride in Egitto.
I riti iniziavano con sette giorni di digiuno. Poi aveva luogo una processione nella quale veniva portato a spalle un pino tagliato fresco, simboleggiante Attis.
Dopo un giorno di lamentazioni e lacrime per il dio defunto, seguiva un terribile ed inquietante "giorno del sangue" nel quale sacerdoti e giovani iniziandi al sacerdozio davano vita ad uno spettacolo invero disgustoso. I primi si straziavano le carni lacerandosi prima le vesti. I secondi, dopo danze sfrenate ritmate dai tamburi, si tagliavano, o si strappavano, reciprocamente i testicoli.
Al culmine di questo macello una voce d'oltretomba esclamava: "Gioite, o iniziati, perchè il dio è stato salvato, e noi pure! Dopo tanti travagli troveremo la salvezza!
Persino alcuni poeti non propriamente fanatici e invasati, come Ermensianatte di Colofone ed il romano Catullo, scriveranno degli inni a Cibele, mostrando la forza liberatoria dei riti connessi al suo culto.

Sotto certi aspetti, dunque, il periodo ellenistico segnò persino un imbarbarimento del vivere civile. Se questo fosse stato la sola nota dominante, avremmo molti motivi per considerarlo un'epoca buia., di regresso antropologico.
Come vedremo in prossimi interventi, al contrario, dall'anno 300 all'anno 1 a.C fiorirono le scienze, si svilupparono matematica, fisica, geografia ed astronomia. Emersero figure come quelle di Archimede di Siracusa, Euclide, Eratostene, Stratone di Lampsaco, Ctesibio, Dicearco di Messina, Aristarco di Samo, i medici Erofilo ed Erasistrato.
Ed anche in campo letterario sorsero nuovi moduli espressivi e si sviluppò un realismo del tutto nuovo, anche nelle arti figurative.

note:
1) Michael Grant - From Alexander To Cleopatra - Michael Grant Publications ltd 1982