Le nuove religioni nell'età ellenistica
di Daniele Lo Giudice
Un nuovo mondo era sorto con Alessandro Magno.
Tutta la geografia politica e culturale dell'antichità
era stata modificata dalla conquista macedone.
E se le città della Grecia avevano perso
la loro libertà, erano tuttavia riuscite
ad imporre ad oltre la metà del bacino del
Mediterraneo la loro lingua, e parte importantissima
della loro cultura e delle loro tradizioni.
Contemporaneamente, avveniva che anche le
più lontane culture orientali prendessero
a permeare il mondo greco, incrociandosi
tra loro in combinazioni mai viste. Era globalizzazione,
per usare un termine moderno, e per usarne
uno antico, era oikoumene.
Si è soliti definire questo periodo età ellenistica, per differenziarlo da quello della Grecia
classica, praticamente terminato con la battaglia
di Cheronea, nella quale Filippo di Macedonia,
padre di Alessandro, aveva posto fine alla
tradizionale indipendenza delle poleis.
In questo quadro mosso, variegato e quindi
solo apparentemente uniforme, l'improvvisa
morte di Alessandro portò dapprima ad un
quarantennio di guerre intestine e poi una
spartizione dell'effimero impero macedone
in diversi regni, ognuno dei quali spettò
in sorte a figli e parenti dei generali di
Alessandro. Nacquero così monarchie assolutistiche
che nella forma politica avevano ben poco
di greco e moltissimo di tipicamente orientale.
Gran parte delle nuove classi dirigenti era
costituita da macedoni e da greci. Ai soldati
di Alessandro erano andate in premio terre
da coltivare in varie aree. Gente di lingua
greca controllava le flotte mercantili e
i commerci.
Le più grandi ed importanti monarchie ellenistiche
furono quella dei Tolomei in Egitto, quella
dei Seleucidi in Siria, Babilonia e i territori
orientali, e quella degli Antigonidi in Macedonia
e Grecia. Il piccolo Epiro di Pirro faceva
stato a sé stante; una grande importanza
ebbe anche il regno di Pergamo; l'Asia Minore
risultò divisa in regni più piccoli quali
la Bitinia, il Ponto, la Cappadocia, mentre
in Sicilia esercitava una forte egemonia
la città di Siracusa governata dal dittatore
Agatocle. Ma sembra sia assodato che una
grande civiltà fiorì anche nella lontanissima
Bactriana, un territorio molto vasto comprendente
gli attuali Uzbekistan, Tagikistan ed Afghanistan
da non considerarsi più soltanto come remote
regioni ospitanti Unni, Turcomanni e Mongoli.
Nel periodo ellenistico cambiarono anche
le religioni e qui cercheremo di delineare
a grandi linee quel che avvenne, prestando
particolare attenzione al sostrato filosofico
e psicologico del sommovimento, perchè è
questo il nostro mestiere. Di particolare
interesse fu, per esempio, l'introduzione
del culto del dio Serapide in Egitto, un
Egitto, si badi, ben diverso da quello delle
antiche dinastie. La capitale era diventata
Alessandria, praticamente fondata da Alessandro
Magno nel luogo che fino ad allora aveva
ospitato un semplice villaggio chiamato Racotide.
In tale villaggio si onorava questo dio,
ma in altre parti dell'Egitto era noto con
altri nomi, forse una fusione di culti ancora
più antichi per Osiride e per Api (venerato
a Menfi)
Alessandro aveva fatta propria la divinità
Serapide quasi come un amuleto ed essa lo
aveva accompagnato fino alla valle dell'Indo.
Tolomeo I Sotere, generale di Alessandro
prima e nuovo sovrano dell'Egitto poi, fece
costruire un grande tempio dedicato a Serapide
e praticamente diede inizio ad una nuova
religione ufficiale di stato, imponendone
il culto a greci e macedoni residenti in
Egitto. Approfondiremo la storia di Serapide
e del suo tempio più avanti perchè ne vale
veramente la pena!
Ora cerchiamo di procedere con un certo ordine.
La religione e la religiosità greca classica
erano state qualcosa di complesso e non si
può dire che gli studiosi ne siano venuti
del tutto a capo. Un groviglio inestricabile
di miti e di culti non consente di scorgere
molto al di là della superficie e dei nomi
dei vari dei.
Un criterio di interpretazione è stato individuato
nella formula del do ut des. Qualcosa di molto antico, anzi di arcaico. Sacrificando al dio, o alla dea, considerati
depositari di energia e potere, l'adorante
poteva ottenere l'attenzione divina e quindi
godere di certi benefici, o quantomeno, evitare
di venire danneggiato.
Una pratica che non mancava in nessuna delle
religioni antiche ed a volte sconfinava nella
magia, la quale non era altro che una forma
di preghiera esagerata e prepotente. Non
più il dio elargiva la sua grazia, ma era
l'uomo che riusciva in qualche modo a vincere
le resistenze del dio ed ad usare i suoi
poteri.
Ma non tutte le civiltà espressero eguale
interesse per le pratiche magiche.
Fu soprattutto a Babilonia, per quanto se
ne sa, che si operò una significativa deviazione
con l'astrologia e le pratiche magiche. Esse,
a poco a poco, penetrarono nel rimanente
mondo antico, trovando un terreno fertile
soprattutto in Egitto.
Tutte le civiltà uscirono da una fase di
primordiale timore del divino per passare
alla convinzione che gli dei potessero proteggere
e guidare gli uomini e che si trattasse soprattutto
di guadagnare il loro favore con invocazioni
e sacrifici. E questa fu una convinzione
universale per millenni.
Il grande lavoro di dissacrazione razionale
del mito e della superstizione compiuto dai
filosofi greci portò, poco alla volta, a
diffondere un'idea del divino più matura.
Così, già prima che Alessandro Magno venisse
a sconvolgere il mondo antico, nella civiltà
greca, e soprattutto nelle città più grandi
quali Atene, o Siracusa, o Taranto, venne
ad insinuarsi l'idea che l'universo non era
un caos di di forze cieche in lotta ma un
cielo di divinità responsabili ed in fondo
benigne, disponibili ad aiutare l'uomo per
assicurargli salute, benessere e prosperità.
Il leggendario medico Asclepio (Esculapio)
venne divinizzato, sorse un santuario ad
Epidauro, e proprio in epoca ellenistica
fiorì un culto di Asclepio all'isola di Cos.
Ma sia nella Grecia arcaica che un quella
classica c'era qualcosa di superiore perfino
agli dei: il fato. Questa era la forza determinante
di ogni destino e contro di essa ogni sforzo
era vano. Anche la filosofia finì con l'arrendersi
al fato, soprattutto con lo stoicismo, anche
se proprio gli stoici, sulla scia di Socrate
e Platone, riuscirono ad evidenziare un potente
farmaco: imperturbabilità e ricerca del vero
bene.
Nel libretto di Cicerone De natura deorum, un epicureo, uno stoico ed un accademico
esponevano i rispettivi punti di vista sul
divino ai tempi di Augusto e della nascita
di Cristo, e l'operetta dimostra quanto strada
fosse stata percorsa nella consapevolezza
delle cose.
Tuttavia, l'idea di una progressiva liberazione
del genere umano dalla superstizione religiosa
e magica rischia di essere fuorviante. Il
bene della speculazione filosofica era riservato
a pochi privilegiati. Persino tra le classi
dominanti vi erano personaggi illustri permeati
di una religiosità timorosa ed insicura.
Lo stesso Alessandro Magno, sebbene educato
( ma non si saprà mai fino a che punto) da
Aristotele, fu molto religioso in un senso
che potremmo definire arcaico e certamente assai poco filosofico.
Poco gli importava dell'ordine dell'universo,
se esistesse una divina armonia delle cose,
un fine ultimo e persino una concezione del
divino quale custode delle leggi morali.
Gli interessavano gli dei solo per venire
a sapere se lo avrebbero favorito od ostacolato
nella realizzazione dei suoi disegni.
In Macedonia si onorava Zeus, come in gran
parte della Grecia. Ed egli celebrò una gran
festa in suo onore prima di partire alla
conquista del mondo.
Ovunque capitasse cercava di rendersi propizie
le deità locali, facendo quel "commercio"
col divino già denunciato da Platone nell'Eutifrone.
Onorò il Melkart di Tiro, pur credendo di
poterlo assimilare ad Eracle, il semidio
greco; in Egitto fu incoronato faraone e
non ebbe scrupolo a presentarsi come "figlio
del dio Ra" ed incarnazione di Horus;
giunto a Babilonia, si rese adoratore di
Bel e di Marduk. Attraversando la Persia,
si interessò vivamente delle concezioni mazdeistiche
e zoroastriane. Si dice che nessun greco
si sia mai permesso di offendere la religiosità
degli altri popoli, pur considerandoli barbari.
E certamente anche Alessandro aveva appreso
la lezione. Portando rispetto ai loro dei,
si accattivò quantomeno il favore degli uomini
che in quegli dei credevano.
I generali ed i soldati di Alessandro che
gli sopravvissero e si spartirono il potere
ed il bottino di guerra, dimostrarono di
non pensarla molto diversamente dallo stesso
Alessandro. Ne seguirono l'esempio ed imposero
entro certi limiti anche il culto del sovrano
quale dio che Alessandro aveva incominciato
ad introdurre provocando insieme il sorriso
e la preoccupazione dei filosofi greci del
suo tempo.
Se adorare dei fasulli era già riprovevole,
che dire della pretesa di uomini che volevano
farsi dei?
Eppure, rispetto ai bassi livelli di religiosità
diffusi tra le grandi masse dell'antichità,
in fondo era persino più semplice e realistico
venerare un potente in carne ed ossa che
un dio invisibile. Agli occhi della maggioranza
era più realistico pensare di ottenere benessere
da un sovrano che da un oracolo. Quando i
profeti ebrei si scagliavano contro la cosiddetta
prostituzione degli israeliti, in fondo coglievano
una tendenza universale presente in tutti
i popoli: la stessa che in tempi più recenti
porterà molto popolino italico a non far
differenza tra padroni stranieri. "Franza
o Spagna, pur che se magna!"
A che serve stupirsi o indignarsi? La convenienza
egoistica dettata dalla lotta quotidiana
per la sopravvivenza è uno dei fondamentali
motori della storia e viene ben prima della
coscienza di classe o quella di popolo e
di nazione. Annulla ogni senso di gratitudine
e di fedeltà. Rende gli individui peggio
che ignobili. Ma non facciamo del moralismo,
per carità! Si tratta solo di sapere come
effettivamente vanno le cose. Da sempre.
Accanto al culto del sovrano, l'ex generale
macedone di turno, fiorirono tuttavia culti
e teologie tra le più curiose e stravaganti.
Un po' come oggi, in piena new age e globalizzazione,
non si è alla moda se non ci si professa
buddhisti, sciamanici, taoisti o quant'altro,
in epoca ellenistica non si era alla moda
se non ci si apriva a deità straniere ed
aliene.
In ogni caso, accadde in epoca ellenistica
che molte della vecchie divinità del pantheon
greco, la maggioranza delle quali era ad
immagine dell'uomo (e dei suoi difetti),
andassero in pensione, oppure assumessero
nomi nuovi o persino un nuovo significato.
Lo Zeus cantato nell'inno omonimo dal filosofo
stoico Cleante era un tipo di divinità che
si avvicinava al modello delle grandi religioni
monoteistiche (ed all'epoca ce n'era una
sola).
Afrodite, dea della bellezza e dell'amore,
assumeva sempre più simboliche valenze di
fertilità sulla scia di influenze derivate
dal culto di Cibele, di Astarte o di Iside.
La stessa cosa accadeva per Artemide e persino
per Hera consorte litigiosa e gelosa dell'olimpico
Zeus.
Secondo lo storico Michael Grant: «La
religione pagana era tuttaltro che morta
al momento di venire sopraffatta dal cristianesimo,
al contrario più viva che mai. Solamente
aveva deviato e continuava a deviare durante
tutto l'ellenismo, dai culti olimpici dell'età
classica. Gli dei continuavano ad essere
oggetto di culti cerimoniali solenni, ma
i fedeli riponevano la propria fede non più
in loro, ma in una varietà di salvatori divini.
Questi salvatori erano depositari di fede
appassionata a causa di due distinte e miracolose
virtù nelle quali i vari culti alimentavano
le diverse speranze: quella del conferimento
della forza e della santità necessarie alla
sopportazione della vita terrena, e quella
del dono dell'immortalità e della beatutudine
dopo la morte. [...]
Le garanzie di vita eterna offerte dai culti
misterici impressionarono enormemente la
coscienza ellenistica. Si aprì un'epoca,
destinata a durare oltre due millenni, in
cui le ansie della società s'incentrarono
principalmente sulla vità dell'al di là.»
(1)
Fu in questo periodo che anche gli Ebrei
cominciarono a credere nella sopravvivenza
dell'anima e che una setta particolare, quella
dei farisei, iniziò a propugnare il credo
della resurrezione della carne. Nemmeno loro,
depositari da sempre di un senso religioso
affatto diverso e sicuramente superiore al
rimanente mondo antico, furono impermeabili
alla new age del tempo ellenistico.
Ma l'idea di un messia salvatore era nata
in ambiente giudaico ben prima che essa apparisse
in ambito ellenistico. Si può correttamente
pensare che vennero quindi a realizzarsi
diverse e reciproche contaminazioni. Perchè,
per far quadrare il cerchio, dobbiamo anche
vedere come l'idea di un messia maestro spirituale
e non capo politico-militare in grado di
restaurare la potenza di David e Salomone,
fu probabilmente derivata dall'esterno.
Il culto di Dioniso ed i misteri
Una di queste divinità salvatrici fu indubbiamente
Dioniso: il culto di questo dio era di origine
tracia. Cominciò ad avere una certa fortuna
in Grecia molto prima dell'inizio dell'età
ellenistica, ma è certo che in molte città
fosse considerato semiillegale. Probabilmente
non era gradita la truculenza di alcuni riti
in cui ci si ubriacava e che certamente culminavano
in orgie e baccanali.
Non è possibile stabilire in cosa i riti
dionisiaci differissero dai misteri eleusini
e da altre religioni misteriche. L'idea prevalente
tra gli storici oggi è quella di una seconda
e misteriosa dimensione della religiosità
greca, assai diversa da quella olimpica ed
ufficiale, sotterranea e riservata agli iniziati.
Di Eleusi sappiamo che ogni anno vi si svolgevano
cerimonie in onore della dea Demetra. Al
centro di esse vi era la rappresentazione
di un matrimonio sacro tra la vergine del
grano Persefone ed il dio degli inferi Plutone,
conosciuto come Ade. Originariamente erano
legati al ciclo naturale delle stagioni.
Ma col tempo assunsero un significato nuovo.
Agli iniziati veniva cioè assicurato il il
favore di Ade e Persefone. Diventava il modo
migliore per assicurarsi una vita migliore
dell'al di là. Ma ciò non aveva nulla a che
fare, con i comportamenti in vita.
Durante la processione eleusina in onore
di Demetra, gli officianti invocavano anche
il nome di un dio Iacchos, da molti identificato
proprio con il Dioniso tracio.
Si ha traccia certa dei comportamenti inquietanti
dei seguaci di Dioniso nella celebre tragedia
Baccanti composta da Euripide.
Dioniso, secondo Grant, divenne la divinità
distintiva dell'espansione macedone in oriente.
I misteri di Dioniso divennero così un culto
tra i più importanti dell'area ellenistica.
Simboleggiava la vita rinascente a primavera,
la linfa degli alberi, il seme animale ed
umano. Adorandolo, ci si poteva aspettare
di risorgere a propria volta e di trovare
una successiva pace dionisiaca, cioè un sommo
piacere nella vita eterna, consistente non
già nella visione di Dio e del Bene, come
nei filosofi greci, e poi tra farisei e cristiani,
ma in eterno stato di ebbrezza procurata
dal vino supremo.
Demetrio I Poliorcete si compiacque di venerare
Dioniso come dio della gioia e della liberazione,
ma furono i Tolomei in Egitto che più si
spesero per affermarne il culto, vantandosi
innanzi tutto di essere suoi discendenti,
cioè figli di un dio.
Questo accadde già con Tolomeo I Sotere,
ma fu soprattutto con Tolomeo II Filadelfo
che il culto dionisiaco visse una sorta di
apoteosi.
E ancor dopo, Tolomeo IV Filopatore divenne
il più zelante e convinto patrocinatore del
culto dionisiaco, anche per motivi finanziari
e fiscali. Tramite il rigoroso controllo
statale delle attività dei sacerdoti dionisiaci,
l'erario incamerava cifre considerevoli senza
nemmeno dare l'impressione di far pagare
tributi ai sudditi.
Così Dioniso divenne patrono della bella
vita e dell'eterna ebbrezza anche nell'al
di qua. Musica, teatro, arti visive, feste
e banchetti furono considerate attività dionisiache
per eccellenza. Dioniso divenne il protettore
degli artisti, qualcosa di simile ad un nostro
santo patrono, anche se con grandissime differenze.
Quando il culto di Dioniso giunse anche in
Italia, il senato romano, preoccupato per
gli eccessi ed i fanatismi che procurava
con vere e proprie possessioni, assunse misure
proibitive e repressive nell'anno 186 a.C.
Iside e Serapide
I sovrani macedoni dell'Egitto non ebbero
ritegno nel propugnare nuovi culti religiosi
e nel favorire il rinnovamento dei vecchi.
Avevano certamente un tornaconto economico
e politico, come s'è visto, ma erano convinti
sia della necessità di un pluralismo in grado
di accontentare tutti, sia del fatto che
un popolo altamente religioso fosse comunque
più felice.
Per questo Iside da un lato e Serapide dall'altro
divennero in qualche modo i contraltari di
Dioniso.
Specie tra chi credeva che il viaggio nell'al
di là non sarebbe stato una passeggiata,
il culto di Iside poteva dare qualche rassicurazione
un po' meno superficiale. Da sempre simbolo
della Gran Madre e dunque simile, se non
identica, a deità quali le antichissime Micene
ed Europa (tra gli Achei la prima, tra i
Cretesi la seconda), Ishtar o Astarte tra
i semiti delle varie nazionalità, Iside rappresentava
la natura, la luna, la fertilità, il ventre
materno, la verginità, la protezione della
gravidanza, e secondo molti seguaci della
psicologia del profondo, anche la società
protettiva, sicura, assistenziale, la città
cinta di alte mura, la casa inaccessibile
ai ladri ed ai maleintenzionati.
In altre parole, il culto di Iside era propiziatorio
nei confronti del matrimonio, della vita
domestica e pacifica, del riposo e del sonno,
dell'infanzia protetta. Estensivamente diventava
la protettrice delle brave donne di casa,
delle matrone timorate e di tutti i mammoni
di questo mondo... ce n'erano anche allora!
Specie in epoca ellenistica, dunque, il culto
di Iside, che in origine aveva una qualche
torbida valenza sessuale, divenne più verginale
e più simile, quindi all'attuale culto cattolico
per Maria madre di Dio. Rappresentava dunque l'aspetto più rispettabile
delle religioni, anche se, beninteso, continuava
a presentare aspetti enigmatici ed inquietanti.
Il culto di Iside si potenziò considerevolmente
sotto la dinastia macedone in Egitto durata
fino a Cleopatra Filadelfo, cioè l'ambiziosa
amante di Cesare e Marco Antonio.
Per la dea militavano sia sacerdoti di sesso
maschile, tutti rigorosamente col cranio
rasato (ritenuto ermeneuticamente un segno
di autocastrazione), sia almeno due ordini
di sacerdotesse, la vergini e quelle che,
al contrario, praticavano la prostituzione
sacra per aumentare le entrate del tempio
ed anche dello stato. Probabile che alcune,
se non tutte, fossero in origine schiave.
A conferma del fatto che alcuni aspetti della
liturgia cattolica molto debbano all'antichità
pagana, sappiamo che il culto di Iside aveva
anche un lato contemplativo. Più volte all'anno,
vestita di lino e coperta da un manto fregiato,
la statua della dea veniva portata in processione,
mentre i fedeli assiepati ai margini delle
strade assistevano in religioso silenzio.
L'aspetto virginale ed insieme grazioso della
dea era anche molto compassionevole. Attraeva
irresistibilmente le donne e senza dubbio
anche gli uomini ed i bambini. Incarnava
quella magia che tanto affascinava gli spiriti
del tempo, forse non una divinità, ma tutte le divinità in una essendo la Madre. Era la "dea dai diecimila
nomi".
«E poichè s'era in un'età di sincretismo
popolare - scrive Grant - (ovvero di parificazione
o fusione delle dvinità, di graduale svanire
delle differenze tra dio e dio... entro una
sorta di monoteismo comprensivo) Iside assorbì
in sè ogni altra divinità, non solo in Egitto,
ma in ogni paese del mediterraneo. "Nella
tua persona", proclamava un inno del
primo secolo, "tu sei tutte le dee proclamate
dalle genti".» (1)
Uomini e donne potevano avere Iside in visione
onirica dormendo nel tempio, ovviamente pagando
per il disturbo. In sogno si ricevevano dalla
dea preziosi consigli Rivelava ai malati
medicine e droghe salutifere, alle donne
prediceva futuri matrimoni e gli esiti delle
gravidanze. A tutti rivelava i misteri dell'universo
e la via per arrivare alla vita eterna.
In sostanza divenne la Sapienza personificata,
dispensatrice delle conoscenze supreme. Venendo
incontro a tutti, compresi, i poveri, elargiva
compassione e pietà, cioè aspetti che certo
non si trovavano nei culti dionisiaci.
In un certo senso, Iside fu per i pagani
dell'epoca ellenistica, ciò che sarà poi
il Verbo, cioè il Logos divino, per i cristiani
ammaestrati da Giovanni.
Infatti, fin dall'inizio della nuova era
di Iside, la dea aveva promesso di "salvare
l'universo" donando altresì l'immortalità
individuale.
Serapide, al confronto della potenza e della
venerazione che godeva la dea, un po' impallidisce.
Eppure non mancarono le trovate ingegnose
e cialtrone per renderlo dio popolare e desiderabile.
Il tempio di Serapide offriva uno spettacolo
grandioso. La statua in ferro del dio Ares
era congiunta tramite magneti a fili invisibili
ad una Afrodite che calamitava il dio. Era
la celebrazione dell'adulterio e del tradimento,
in quanto, si sa, Afrodite era sposata al
dio deforme Efesto, il fabbro degli dei.
Un altro trucco notevole consisteva nell'uso
di sifoni per la trasformazione miracolosa
dell'acqua in vino.
Quando la massa dei fedeli entrava nel tempio,
un ingegnoso sistema di mantici idraulici
accuratamente nascosti mettevano in moto
delle trombe suonate a fanfara. Contemporaneamente
facevano divampare una grande fiamma posta
sull'ara centrale. Non solo, la forza dell'aria
calda prodotta dai fuochi delle offerte sacrificali
veniva utilizzata per spalancare delle grandi
porte interne. Aprendosi queste, l'immagine
del dio avanzava, dando l'impressione di
farsi incontro ai fedeli. Un altrettanto
ingegnoso sistema di fuochi sembrava illuminare
le statue dall'interno. L'effetto prodotto
era incredibile giacchè sembrava che le statue
avessero occhi vivi!
Attorno alle meraviglie del Serapeon crebbero
molte leggende e credenze, alcune delle quali
testimoniate da illustri personaggi. Si disse
ad esempio che il governatore macedone di
Atene, Demetrio Falereo, fosse stato guarito
da un male alla vista che l'avrebbe portato
alla cecità attraverso invocazioni a Serapide.
Al pari dei templi di Iside, anche il tempio
di Serapide divenne una sorta di santuario
nel quale si poteva trascorrere la notte
per ottenere visioni dell'al di là e ricevere
particolari servizi oracolari.
Cibele
Ben diversa dall'immagine salvifica e santa
di Iside, era quella di Cibele, divinità
di origine anatolica e quindi assimilabile
alle più antiche Ma ed Enyo. Come Iside rappresentava
la Gran Madre, ma nel suo aspetto più sessuale
e torbido (ctonio, direbbero gli psicologi
del profondo).
Cibele era venerata sopratutto nei regni
dell'Asia Minore, tra i Galati, in Cappadocia
e nel Ponto. Probabilmente aveva delle equivalenti
in figure divine come Demetra e Rea presenti
nel mondo greco arcaico e classico. Sia quel
che sia, troviamo templi e santuari dedicati
a Cibele anche in altre aree ellenistiche
e persino nella Grecia continentale.
Sembra che il culto di Cibele si realizzasse
in cerimonie molto simili ai misteri di cui
s'è già parlato. Al centro della cerimonia
vi era la sacra rappresentazione del dio
Attis, giovane consorte della vegliarda,
che prima moriva e poi veniva a risorgere,
come Osiride in Egitto.
I riti iniziavano con sette giorni di digiuno.
Poi aveva luogo una processione nella quale
veniva portato a spalle un pino tagliato
fresco, simboleggiante Attis.
Dopo un giorno di lamentazioni e lacrime
per il dio defunto, seguiva un terribile
ed inquietante "giorno del sangue"
nel quale sacerdoti e giovani iniziandi al
sacerdozio davano vita ad uno spettacolo
invero disgustoso. I primi si straziavano
le carni lacerandosi prima le vesti. I secondi,
dopo danze sfrenate ritmate dai tamburi,
si tagliavano, o si strappavano, reciprocamente
i testicoli.
Al culmine di questo macello una voce d'oltretomba
esclamava: "Gioite, o iniziati, perchè
il dio è stato salvato, e noi pure! Dopo
tanti travagli troveremo la salvezza!
Persino alcuni poeti non propriamente fanatici
e invasati, come Ermensianatte di Colofone
ed il romano Catullo, scriveranno degli inni
a Cibele, mostrando la forza liberatoria
dei riti connessi al suo culto.
Sotto certi aspetti, dunque, il periodo ellenistico
segnò persino un imbarbarimento del vivere
civile. Se questo fosse stato la sola nota
dominante, avremmo molti motivi per considerarlo
un'epoca buia., di regresso antropologico.
Come vedremo in prossimi interventi, al contrario,
dall'anno 300 all'anno 1 a.C fiorirono le
scienze, si svilupparono matematica, fisica,
geografia ed astronomia. Emersero figure
come quelle di Archimede di Siracusa, Euclide,
Eratostene, Stratone di Lampsaco, Ctesibio,
Dicearco di Messina, Aristarco di Samo, i
medici Erofilo ed Erasistrato.
Ed anche in campo letterario sorsero nuovi
moduli espressivi e si sviluppò un realismo
del tutto nuovo, anche nelle arti figurative.
note:
1) Michael Grant - From Alexander To Cleopatra - Michael Grant Publications ltd 1982