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I Principia di Newton - Primo libro

 


Nel 1713 venne pubblicata la seconda edizione dei Principia. La prima risaliva al 1687, stampata in numero limitato di copie sotto il titolo Philosophiae Naturalis Principia Mathematica. Tra la prima e la seconda edizione erano dunque trascorsi ventisei anni. Tanti anche in un periodo assai meno frenetico dell'attuale. Un tempo denso di eventi politici, culturali e scientifici che avevano inciso in vario modo nella vita dell'Inghilterra, dell'Europa, di Newton e nelle sue relazioni sociali. L'amicizia con il filosofo John Locke, probabilmente una tra le più sincere e disinteressate tra le poche coltivate realmente (1) - dato che molte altre furono in qualche misura "sopportate" o finalizzate a qualche utilità - costituiva sicuramente quel tipo di "evento culturale" che non lascia le cose come le trova. Tra i due si era determinata, fino alla morte di Locke nel 1704, un'affinità di vedute sulle principali questioni di ordine filosofico e teologico. Non era esattamente vero che Locke e Newton si fossero occupati di questioni radicalmente diverse. Convinto atomista, il filosofo di Wrington aveva sviluppato riflessioni sulla possibile influenza del movimento fisico dei corpuscoli sulle idee degli uomini. Era, dunque entrato nel merito di questioni tradizionalmente assegnate al dominio della filosofia e della teologia in un modo che richiamava direttamente la costituzione fisica del mondo. D'altro canto, studiando la Bibbia, che anche Locke aveva letto avidamente, Newton si era convinto che il dogma Trinitario fosse stata un'invenzione postuma dei filosofi cristiani e aveva inviato una nota a Locke, che venne pubblicata solo diversi anni dopo la morte di Newton. Simili confidenze non si porgono al primo che capita a tiro.

Entrambi avevano seguito una linea "politica" di moderato e prudente anti-papismo ed osteggiato le ingerenze cattoliche nella vita civile. Un pericolo che aveva preso consistenza nel periodo di re Giacomo ed era finito con lo sbarco di Guglielmo d'Orange in Inghilterra nel 1688. Per Newton, il "liberalismo" propugnato da Locke aveva costituito un ombrello protettivo, più filosofico che reale, contro l'oscurantismo dell'Inquisizione che aveva processato Galilei. Sia Locke che Newton avevano condiviso la strategia delle "sensate esperienze" inaugurata da Galilei e detestato soprattutto la metafisica e la fisica cartesiana, nonché l'assurda teoria dei vortici di materia che sembrava costituire l'intelaiatura di quelle elaborazioni. L'idiosincrasia di Newton per le libere "fantasie" si era condensata nel celebre motto Hypotheses non fingo, passato alla storia ed al vaglio della critica più acuminata come una grande menzogna metodologica. La verità, tuttavia, è che Newton detestava realmente gli eccessi della fantasia, essendo la realtà stessa assai più ricca di ogni fantasia. Memore del detto di Shakespeare nell'Amleto: "Ci sono più cose in cielo ed in terra che nella tua filosofia!", Newton avrebbe potuto applicarlo sia a Cartesio che a Leibniz, come si vedrà.
In quel quarto di secolo, dunque, il pensiero di Newton si era imposto e diffuso. Il trattato sull'ottica, pubblicato nel 1704, era diventato un punto di riferimento obbligato per tutti coloro che pensavano di aver qualcosa da dire in materia di trasmissione e ricezione della luce. Newton era diventato un personaggio rispettato anche oltre la ristretta cerchia dei matematici e degli astronomi, ma non si può dire che fosse anche amato. Si era fatto, anzi, molti "nemici", o meglio, era riuscito a suscitare con i suoi comportamenti una rete di rancori e di invidie che ben poco avevano a che fare con l'antipapismo e l'Inquisizione. Già con la prima edizione dei Principia, curata da Edmund Halley, agli occhi di molti che conoscevano i retroscena, Newton si era rivelato un ingrato nei confronti ad esempio di Robert Hooke, che aveva invece avuto molti meriti nella complessa vicenda della costruzione della teoria. D'altra parte, proprio Hooke, sollevando domande di chiarimento alla Royal Society, ne aveva ritardato la data di pubblicazione. Nel 1713, insomma, il contributo filosofico-scientifico di Newton viaggiava a gonfie vele, ma egli, come essere umano inserito in una comunità di ricerca e in una società più vasta, rappresentava un mezzo fallimento. Si chiacchierava del suo "morboso" rapporto con il più giovane Fatio, un elvetico sbarcato in Inghilterra, più portato all'esibizionismo e alla ciarla salottiera che alla meditazione scientifica. Molti, e forse lo stesso Locke, avevano considerato Isaac Newton un individuo con molti problemi psicologici ed esistenziali.

La prefazione di Roger Cotes alla seconda edizione
L'evento "scientifico", ed anche "culturale", costituito dalla seconda edizione dei Principia, non riguardava solo le precisazioni e le sistemazioni di Newton, la più importante delle quali si trovava nello Scolio generale che chiudeva il Terzo Libro, e di cui si parlerà nel capitolo finale. Era di grande interesse anche la prefazione scritta dal matematico Roger Cotes, newtoniano d'acciaio. Questi aveva diviso sommariamente gli studiosi di fisica in tre categorie. I seguaci di Aristotele costituivano il primo gruppo. Gente che pretendeva di analizzare la natura dei corpi, ma che ormai non aveva alcunché da insegnare perché ragionava solo in termini di "nomi delle cose" e non delle "cose stesse". La seconda categoria era costituita dai cartesiani. Costoro desideravano eliminare le troppe complicazioni e ricondurre tutte le spiegazioni ad una più ragionevole semplicità. Questa stessa tendenza, li portava ad esagerare, e quindi ad abbandonare la realtà. Essi - scriveva Cotes - «cadono nei sogni, in quanto hanno trascurato la reale costituzione delle cose.»
La terza categoria, l'unica ad aver scelto la via giusta, secondo Cotes, seguiva la lezione della filosofia sperimentale. Sono coloro che «non assumono come principio niente che non sia stato provato dai fenomeni.» Newton, secondo Cotes, era stato il primo ed il solo capace di dedurre «la spiegazione del sistema mondo dalla teoria della gravitazione.» L'aveva ricavata osservando il cielo e la terra e come si comporta l'acqua messa in un secchio appeso ad un filo, della qualcosa si parlerà più avanti. Sarebbe stato meglio precisare che Newton se l'era cavata, "leggendo le osservazioni fatte dagli astronomi", perché, in realtà, Newton osservava assai poco; calcolava e speculava molto di più. Non era certo stato un assiduo frequentatore dell'Osservatorio di Greenwich, realizzato - è bene ricordarlo - nel giugno del 1675. Aveva il suo telescopio personale, tuttavia non era assiduo e sistematico nell'impiegarlo. Ma, l'entusiasta e fervido Cotes non andò troppo per il sottile. D'altra parte, perché negarlo: la teoria della gravitazione era stata unicamente ricavata partendo dalle osservazioni. O meglio, dalle osservazioni, dal principio d'inerzia affermato da Galilei e sviluppato sul piano speculativo delle ipotesi dal misconosciuto napoletano Giovanni Alfonso Borelli (1608 - 1679). Questi, nel 1666, aveva fatto pubblicare un trattato, il Theoricae mediceorum planetarium, nel quale asseriva che i pianeti si mantengono nelle loro orbite a causa della combinazione di tre forze: una «forza innata di gravità», una forza tangenziale all'orbita prodotta dalla luce del sole in rotazione, una forza centrifuga che impedisce al pianeta di cadere sul Sole. Lo stesso Newton riconobbe la genialità di Borelli nel De mundi systemate, il Terzo libro dei Principia. Molto probabilmente, inoltre, Newton, si era ancora avvalso delle Prutenicae tabulae, tavole astronomiche compilate da Erasmus Rheinold (1511 - 1553), molto più precise di tutte quelle precedenti, a conferma della superiorità della visione copernicana che trattava la Terra come corpo orbitante attorno al Sole. (2)
Nell'attaccare i "cartesiani", la prefazione di Cotes assumeva i caratteri di un vero e proprio "manifesto filosofico" costituito da una parte "anti" e una parte "per". «Sento - scrisse Cotes - che alcuni disapprovano questa conclusione, e borbottano non so che circa le qualità occulte. Sono soliti ciarlare continuamente del fatto che la gravità specialmente è un quid, e che, per la verità, le cause occulte, debbono essere bandite dalla filosofia. Ma, a costoro si risponde che cause occulte non sono quelle la cui esistenza si dimostra chiaramente per mezzo di osservazioni, ma solamente quelle la cui esistenza è occulta e inventata e ancora non è stata provata. La gravità, dunque, non sarà dunque la causa occulta dei moti celesti; se qualcosa, infatti, è appalesato dai fenomeni, e che questo potere esiste di fatto. Piuttosto, nelle cause occulte si rifugiano coloro che propongono alla guida di questi movimenti non so che vortici di materia interamente immaginata e affatto sconosciuta ai sensi.» Polemica contro Cartesio, dunque, e ancor più, contro i cartesiani del tempo di Newton , nostalgicamente persuasi che i "vortici" fossero alla base delle peripezie della res extensa. Rovesciare l'accusa è da sempre una via percorribile in modo retorico. Medice cura te ipsum. Via percorribile, finché regge. La spiegazione cartesiana non reggeva più, né agli occhi di Newton, né a quelli del fervido Cotes. E soprattutto non spiegava come avvengono i fenomeni palesi.
Il paradosso di Descartes si potrebbe riassumere così: dopo avere costruito una nuova matematica, elaborò una fisica matematica senza matematica. Il tono trionfalistico e irrìdente di Roger Cotes, sotto questo profilo, non era del tutto privo di una giustificazione.

Moto, tempo e spazio relativi ed assoluti. L'esperimento del secchio.
I Principia sono organizzati in tre Libri. All'inizio si trovano definizioni relative alla «quantità di materia», alla «quantità» di moto e alle «forze», unite a considerazion raccolte in uno Scolio dedicato ai concetti di spazio, tempo e moto. Sono definizioni ancora in uso attualmente. Manca una definizione di momento angolare e l'enunciazione del principio della sua conservazione. Questo potrebbe sembrare strano, perché si tratta di uno dei capisaldi della cinematica classica.
Per Newton occorre distinguere tra spazio assoluto e spazio relativo. Lo spazio assoluto è «per sua natura senza relazione ad alcunché di esterno,» e «sempre uguale e immobile.» Lo spazio relativo è la «misura dello spazio assoluto», ossia il risultato di un'operazione realizzata dagli uomini.
Anche per il tempo valgono le medesime affermazioni.
Pertanto, quando si ricorre al termine moto, bisogna sempre distinguere tra movimento assoluto e relativo. Il moto assoluto è «la traslazione di un corpo da un luogo assoluto a in un luogo assoluto», mentre il moto relativo riguarda la traslazione da punto relativo ad altro punto relativo. Per distinguere si deve pensare a un individuo collocato su una nave in movimento. Esso si sposta sulla nave, la nave si sposta sul mare, la Terra, di cui fa parte il mare, si sposta nello spazio ruotando attorno al Sole. Pertanto, è necessario stabilire il moto vero della Terra nello spazio assoluto, quindi è indispensabile un punto di riferimento preciso, un luogo immobile. «I moti totali e assoluti non si possono definire che per mezzo di luoghi immobili [...]Ma non esistono luoghi
immobili salvo quelli dall'infinito per l'infinito conservano, gli uni rispetto agli altri, determinate posizioni; e così rimangono sempre immobili, e costituiscono lo spazio che chiamo immobile.»
Quindi, Newton è consapevole che ragionando di «cose umane» si è spontaneamente portati a considerare moti e luoghi relativi. Per questo, aggiunge: «nella filosofia occorre astrarre dai sensi.» Come si può distinguere un moto relativo da uno assoluto? Interviene una acutissima analisi circa «gli effetti per i quali i moti assoluti e relativi si distinguono gli uni dagli altri.» I moti circolari vengono esemplificati con l'esperimento del secchio rotante attorno al proprio asse. «Se si fa girare su se stesso un vaso appeso ad una corda, fino a che la corda a forza di essere girata non si possa quasi più piegare, e si mette poi in questo vaso dell'acqua e, dopo aver permesso all'acqua e al vaso di acquistare lo stato di riposo, si lascia che la corda si srotoli, il vaso acquisterà un moto che durerà molto a lungo; all'inizio la superficie dell'acqua contenuta nel vaso resterà piana, come era prima che la corda si srotolasse, ma in seguito, il moto del vaso comunicandosi poco a poco nell'acqua contenuta, quest'acqua comincerà a girare, a elevarsi verso i bordi ed a diventare concava, come ho esperimentato; quindi con l'aumentare del moto il livello dell'acqua crescerà sempre più fino a che, concludendosi le sue rivoluzioni, in tempi uguali ai tempi impiegati dal vaso per fare un giro completo, l'acqua sarà in riposo relativo rispetto al vaso.»
La conclusione di Newton è che il moto relativo dell'acqua rispetto al secchio non può giustificare l'effetto inerziale dell'incurvamento della superficie dell'acqua (visto che il moto relativo è nullo e compatibile sia con la superficie piana sia con la superficie curva dell'acqua): ne viene che l'effetto inerziale è dovuto a un moto non relativo, e quindi a un moto rispetto allo spazio assoluto, il «vero e assoluto moto circolare».
Il movimento dell'acqua «indica lo sforzo di allontanamento dall'asse del moto, e attraverso tale sforzo si conosce e viene misurato il vero e assoluto moto circolare dell'acqua.»
La conclusione è che lo scienziato può superare i limiti delle esperienze e considerare solo i moti relativi. Commentava: «E' difficilissimo in verità conoscere i veri moti dei singoli corpi e distinguerli di fatto dagli apparenti: e ciò perché le parti dello spazio immobile, in cui i corpi veramente si muovono, non cadono sotto i sensi. La causa tuttavia non è affatto disperata.»
Newton sostenne, insomma, che la deformazione della superficie dell'acqua indicava che era in azione una forza. La seconda legge del moto - che viene esposta sotto - associa forza ed accelerazione. Ma questa accelerazione dell'acqua rispetto a che avviene? Newton ne concluse che non è un'accelerazione relativa al secchio, dato che essa assume forma prima piana poi concava, allora dev'essere riferita allo spazio assoluto. (3)

Assiomi o Leggi del movimento
Dopo le definizioni e lo Scolio, Newton introdusse un gruppo di assiomi o leggi di movimento, cui seguivano alcuni corollari. Essendo assiomi, non c'era necessità di dimostrazione. In un ulteriore Scolio, si limitò a commentare: «Fin qui ho riferito i principi accolti dai matematici e confermati da numerosi esperimenti.» Il primo ed il secondo assioma, ad esempio, erano già stati presentati da Galilei.
Legge I
«Ciascun corpo persevera nel proprio stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, salvo che sia costretto a mutare quello stato da forze impresse.»
Legge II
«Il cambiamento di moto è proporzionale alla forza motrice impressa, ed avviene lungo la linea retta secondo la quale la forza è stata impressa.»
Legge III
«Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria: ossia, le azioni di due corpi sono sempre uguali fra loro e dirette verso parti opposte.»

Alle tre leggi seguono alcuni corollari. Uno dei più densi di conseguenze è il cosiddetto parallelogramma delle forze: «Un corpo spinto da forze congiunte, descriverà la diagonale di un parallelogramma nello stesso tempo nel quale descriverebbe separatamente i lati.»

Il moto dei corpi
Inizia ora l'esposizione del Primo Libro dedicato al moto dei corpi. E' quasi completamente svolto in termini matematici ed è presentato come il «metodo delle prime ed ultime ragioni col cui aiuto si dimostrano le cose che seguono.»
Dopo l'esposizione di un insieme di Lemmi, Newton avvisa che le dimostrazioni potrebbero venir trattate seguendo il «metodo degli indivisibili». Ma, vi ha rinuciato, essendo via troppo ardua, anche perché «quel metodo è stimato meno geometrico.» E' lecito pensare che i Principia non siano un trattato di analisi infinitesimale, ma è altrettanto lecito chiedersi se sarebbe stata possibile, indipendentemente dai progressi matematici realizzati da Newton (e da Leibniz) una costruzione teorica di tale portata. Lo stesso Newton spargeva un po' di briciole sulla pista da lui seguita effettivamente precisando: «Si obietta che poiché non esiste l'ultimo rapporto di quantità evanescenti, in quanto esso prima che le quantità siano svanite non è l'ultimo, e allorché svanite non c'è affatto. Ma con lo stesso ragionamento si può giustamente sostenere che non esiste la velocità ultima di un corpo che giunga in un certo luogo.» L'obiezione, secondo Newton, dovrebbe svanire di fronte alla seguente argomentazione. «Per velocità ultima si intende quella con la quale il corpo si muove, non prima di giungere al luogo ultimo nel quale il moto cessa, né dopo, ma proprio nel momento in cui vi giunge.» Ricorrendo all'analogia fisica, Newton dimostra il concetto geometrico. «Similmente, per ultime ragioni delle quantità evanescenti si deve intendere il rapporto della quantità non prima di diventare nulle e non dopo, ma quello col quale si annullano. Parimenti, anche la prima ragione delle quantità nascenti è il rapporto col quale nascono.»

Il teorema IV della seconda sezione è quello su cui si imperniano le principali deduzioni. «Le forze centripete dei corpi che descrivono cerchi con moto uniforme, tendono ai centri dei medesimi cerchi, e stanno fra loro come i quadrati degli archi descritti in tempi uguali divisi per i raggi dei cerchi.» Il teorema è accompagnato da corollari. Il sesto afferma: «Se i tempi periodici sono in ragione inversa della potenza 3/2 dei raggi e, per conseguenza, le velocità inversamente proporzionali alla radice quadrata dei raggi, le forze centripete saranno inversamente proporzionali ai quadrati dei raggi e viceversa.» Questo è proprio il caso dei corpi celesti.
La successiva sezione interessa i teoremi che riguardano il moto dei corpi nelle sezioni coniche eccentriche, e presenta la soluzione di diversi problemi, tra i quali il seguente: «Posto che la forza centripeta inversamente proporzionale al quadrato della distanza dei luoghi dal centro, e che sia conosciuta la quantità assoluta di quella forza, si ricerca la linea che un corpo descriverà muovendo da un luogo dato con una velocità assegnata secondo una data retta.»
La soluzione del problema evidenzia che a seconda dei valori assunti dalla velocità del corpo, questo potrà percorrere un'ellisse, una parabola, oppure un'iperbole.

Le rimanenti sezioni del primo libro trattano altri argomenti di meccanica. Nelle sezioni XII e XIII si parla di teoremi sulle forze attrattive esercitate rispettivamente dai corpi sferici e da quelli non sferici. Newton dimostra che, dato «un corpuscolo» collocato esternamente alla superficie di una sfera, il corpuscolo «è attratto verso il centro della sfera con una forza inversamente proporzionale al quadrato della sua distanza dallo stesso centro.»
Con ciò, Newton pensava di aver posto i fonadamenti matematici per una teoria soddisfacente delle interazioni gravitazionali.
Nell'ultima sezione del primo libro sono brevemente affrontati i movimenti dei «corpi piccolissimi», ossia quei moti che provocano i fenomeni ottici della riflessione e della rifrazione.

Avvertenza: i testi non cadono dal cielo come le mele sulla zucca di Newton ma, si costruiscono quotidianamente con un faticoso lavoro di scrittura, preceduto da un appagante - ma non meno faticoso - lavoro di lettura e scrematura. Spesso ci si imbatte in testi noiosi, che aggiungono assai poco.
In questo caso, si è approfittato di una "intelaiatura" e ad essa si sono aggiunte note, chiose, arricchimenti utili di vario genere. Si è particolarmente utilizzato l'impianto offerto dal saggio di Enrico Bellone
Isaac Newton in (a cura di Paolo Rossi) Storia della scienza moderna e contemporanea - volume I - UTET 1988
Note:
1) Si veda la biografia romanzata scritta da Jean-Pierre Luminet - La parrucca di Newton - LA LEPRE edizioni 2011
2) Thomas S. Kuhn - La rivoluzione copernicana - Einaudi 1972
3) Considerazioni sul secchio e gli assoluti
Consigliamo chi legge queste note di non piantarsi sulle evidenti o presunte difficoltà ed obiezioni che potrebbero sorgere in ogni individuo desideroso di capire. L'esperimento in sé dimostra solo che esiste un trascinamento dell'acqua contenuta nel secchio, non che esiste un moto in uno spazio assoluto e, per di più, in un tempo assoluto. Nulla impedisce di immaginare un "tempo ed uno spazio vuoti di eventi" che si estendono ben al di là delle regioni del cosmo visibili. Ossia di concedere esistenza sostanziale al nulla o, se si preferisce, al vuoto. Ma, dove non c'è nulla, non c'è nemmeno nulla da misurare. Per avere un tempo ed uno spazio inclusivi di un tutto, bisognerebbe: i) accettare la teoria di un unico Big Bang originario per tutto il cosmo; ii) essere in grado di individuare nello spazio-tempo il punto-momento esatto dell'evento. E' un miliardo di volte più complicato che cercare un ago in un pagliaio. La complicazione massima è data dal fatto che non si sarebbe alla ricerca di un punto materiale, una sorta di pompa centrale ancora funzionante ma, di un punto ormai senza dimensioni nell'infinità. Tuttavia, costituirebe la possibiità, l'unica sul piano logico, di avere un punto di riferimento superiore - se non assoluto - rispetto al quale misurare tutti i movimenti e le successioni dall'origine ai giorni nostri. Si tenga presente, inoltre, che non è affatto esclusa la possibilità di un cosmo inflazionario teorizzata da Andrei Linde. Un cosmo, cioè, in cui, ora qui ed ora là, germogliano big bang che danno luogo a vari ed innumerevoli universi.
Se si rinuncia all'impresa del ritrovamento dell'origine, non resta che assoggettarsi ad una disciplina matematica che consenta di calcolare il movimento dei corpi materiali in un sistema di riferimento dato.
Il bello del capitolo "Newton" nella storia della fisica, è che il suo sistema di calcolo funziona in modo eccellente ancor oggi, indipendentemente dalla querelle filosofica sull'esistenza di dimensioni spazio-temporali assolute. Ci vollero oltre due secoli per arrivare ad un superamento rivoluzionario, con Einstein. Questi, tuttavia, scrisse: « È necessario quindi, per giustificare la necessità della propria scelta specifica [di un sistema di riferimento], cercare qualcosa che sia al di fuori di ciò che è oggetto della teoria stessa (masse, distanze). Per questa ragione Newton introdusse in modo del tutto esplicito, come partecipante attivo onnipresente in tutti gli eventi meccanici, un elemento primario e determinante, lo "spazio assoluto".»
( da Albert Einstein - Autobiografia scientifica - Bollati Boringhieri 1979)

Testi
Isaac Newton - Principi Matematici della filosofia naturale - Utet prima edizione 1965, ristampa 1997
Isaac Newton - Scritti di ottica - Utet, prima edizione 1978, ristampa 1997
Isaac Newton - Trattato sull'Apocalisse - Bollati Boringhieri 1994, 2011, trad. e cura Maurizio Mamiani, (con testo a fronte)

Moses - dicembre 2012

Roger Cotes
La "fisica" di Cartesio

Identità di Newton

Teoria binomiale
Serie di Newton-Mercator



La legge di gravitazione

La formula su esposta non deve spaventare chi da tempo è a digiuno di fisica, oppure che non l'ha mai studiata. Scritta in questo modo, persino Newton redivivo faticherebbe a comprenderla. In realtà, vuol semplicemente dire che la "gravità" non è una faccenda unilaterale. Un corpo attrae l'altro e viceversa. Quando facciamo un salto in alto, non è solo la Terra che attrae il corpo, ma è anche il corpo che attrae la Terra, fatte le debite proporzioni.
Richard Feynman la espose così:«La legge della gravitazione dice che due corpi agiscono l'uno sull'altro con una forza che varia in proporzione inversa al quadrato della distanza tra loro, e che varia in proporzione diretta al prodotto delle loro masse.»
Se la scrivessimo così, avremmo un'idea meno complicata:
F = (G x m x m') diviso r2
ovvero:
F = forza gravitazionale
G = costante universale
m = massa del corpo 1, ad esempio la Terra
m' = massa del corpo 2, ad esempio la Luna
r = distanza
La formula può essere applicata a tutti i rapporti tra corpi celesti (Sole - Terra; Sole - Urano ecc...)

Rimase tuttavia aperto il problema del valore numerico della costante universale "G". I valori approssimati da Newton erano imprecisi
Qui si possono trovare interessanti spiegazioni
Ed anche qui

Come prosegue Feynman, «una costante moltiplicata per il prodotto delle due masse, diviso per il quadrato della distanza. Ora, se aggiungo l'osservazione che un corpo reagisce a una forza accelerando, ossia cambiando ogni secondo la sua velocità in maniera inversamente proporzionale alla sua massa, cioè che la sua velocità varia di più se la massa è più piccola, allora sulla legge di gravitazione ho detto tutto quello che c'è da dire. Tutto il resto è una conseguenza matematica di queste due cose.» (Richard Feynman - La legge fisica - Bollati Boringhieri 1971)




L'importanza di Isaac Newton nella storia della scienza
Si deve allora partire da qui per districare l'apparente mistero del come mai i pianeti seguano determinate orbite e non cadano dal cielo sulla Terra o sul Sole. «Quando - scrisse Kuhn - Newton affrontò il problema, attorno al 1666, riuscì a determinare matematicamente la velocità alla quale un pianeta deve "cadere" verso il Sole oppure la Luna verso la Terra, per rimanere in un'orbita circolare stabile. Poi, dopo scoperto come variasse questa velocità matematica di caduta con la velocità del pianeta e con il raggio della sua orbita circolare, Newton fu in grado di dedurre due conseguenze fisiche di estrema importanza. Se la velocità dei pianeti e i raggi delle loro orbite erano legati tra loro dalla terza legge di Kepler, Newton trovò che l'attrazione che guidava i pianeti verso il Sole doveva diminuire in misura inversamente proporzionale al quadrato della distanza che li separava dal Sole. A distanza doppia dal Sole, un pianeta avrebbe bisogno solo di un quarto della forza di attrazione necessaria per farlo rimanere nella sua orbita alla velocità con cui viene osservato.

La seconda scoperta di Newton fu egualmente di grande portata. La stessa legge quadratica di proporzionalità inversa, egli trovò, avrebbe potuto benissimo spiegare la differenza di velocità con cui cadono verso la Terra la Luna lontana ed una pietra contigua. Tredici anni più tardi, riportato al problema da una controversia con Hooke, generalizzò ulteriormente i suoi risultati e dimostrò che una legge quadratica di proporzionalità inversa poteva spiegare esattamente sia le orbite ellittiche specificate dalla prima legge di Kepler sia la variazione di velocità descritta nella seconda.Queste deduzioni matematiche non avevano precedenti nella storia della scienza.» (T.S. Kuhn - La rivoluzione copernicana)


Leggi di Kepler

Come tornare da Newton a Kepler


Sistema di riferimento

Ascesa e caduta della fisica classica
(da wikipedia, l'Enciclopedia galattica)

«Con il nome di fisica classica si raggruppano tutti gli ambiti e i settori della fisica che non fanno uso né della relatività generale, né di teorie quantistiche. Per tale motivo è possibile classificare come fisica classica tutte le teorie prodotte prima del 1900, l'anno in cui Max Planck pubblicò i primi lavori basati sull'ipotesi dei quanti. Alcune teorie successive, come la relatività ristretta, possono essere considerate classiche o moderne. Sono quindi comprese le teorie sulla meccanica, inclusa l'acustica, sulla termodinamica, sull'elettromagnetismo, inclusa l'ottica, e la gravità newtoniana.
La fisica classica ricomprende teorie che avevano avuto la loro origine già prima della nascita del metodo scientifico, anche se fu solo dopo la codifica di quest'ultimo, attribuita a Galileo Galilei, che si ebbe la maggior parte delle scoperte. Già prima delle scoperte galileiane, infatti, e fin dall'inizio delle prime civiltà, l'uomo aveva iniziato a indagare la natura, seppur utilizzando metodi non necessariamente basati sul confronto diretto con l'esperienza e, per questo, più speculativi.
A seguito dei lavori dello scienziato pisano, si aprì una fase di indagine approfondita, che si sviluppò a partire dai problemi meccanici, con particolare attenzione verso la meccanica celeste, attraversata dal confronto fra la teoria geocentrica e quella eliocentrica. La curiosità della comunità scientifica si estese poi ai fenomeni elettrostatici e magnetici, con la formulazione del concetto di carica elettrica, termodinamici e infine elettrodinamici. Non bisogna dimenticare, nel definire la storia dello sviluppo di questa particolare branca della fisica, che i suoi molti settori attuali si sono evoluti parallelamente nel corso del tempo e hanno subito più volte scissioni e ricombinazioni fino ad assestarsi con le suddivisioni oggi comunemente accettate. Ad esempio l'attuale elettromagnetismo classico è frutto dell'unificazione di elettricità, magnetismo e ottica, operata grazie alla sintesi matematica che ne fece James Clerk Maxwell.
Fu proprio grazie agli studi di Maxwell che si posero le basi perché la fisica classica entrasse in crisi. Lo studio della forma dello spettro di corpo nero, l'impossibilità di spiegare termodinamicamente il comportamento del calore specifico a bassissime temperature, la scoperta di fenomeni come l'effetto fotoelettrico, e perfino la formulazione stessa delle equazioni di Maxwell generavano una serie di contraddizioni che in breve tempo mise in crisi il complesso apparato della fisica classica, e portò alla formulazione della relatività speciale prima e della meccanica quantistica successivamente.
Infine è necessario ricordare che fu solo grazie al progressivo sviluppo della matematica che fu possibile l'evoluzione di nuove teorie fisiche che necessitavano di nuovi strumenti, come il calcolo differenziale, per poter essere studiate. Infatti la storia della fisica classica è intrecciata con quella della matematica, da cui attinse e al cui impulso contribuì non poco, per lo meno a partire da quando i fisici accettarono come conveniente il servirsi di formule matematiche per sintetizzare le proprie teorie».