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Il modernismo cattolico
parte seconda
Maurice Blondel
Il defilarsi di Blondel fu probabilmente dovuto al carattere dello stesso, poco incline a sostenere crociate per la fede e la verità, ed intimamente convinto che la verità vera, prima o poi, avrebbe finito con l'imporsi con la più grande evidenza.
Fatto piuttosto raro nella storia nella storia del pensiero filosofico, abbiamo così che l'opera più famosa di Blondel resta la sua tesi di dottorato: L'azione.Saggio di una critica della vita e di una Scienza della pratica, del 1893. Secondo Blondel, l'azione è l'espressione più tipica della vita umana. Essa è il prodotto di una dialettica incessante tra la "volontà volente", che vuole realizzarsi completamente, e la "volontà voluta", ovvero ciò che della volontà riesce a realizzarsi nel concreto reale. Tra le due volontà c'è sempre uno scarto perché la "volontà voluta" non è mai pari alla "volente", cioè alle aspettative. Tale scarto, che rispecchia, anche se non completamente, il contrasto tra l'ideale ed il reale, obbliga l'azione a correggersi di continuo, mentre dallo stesso corso dell'azione rinasce una nuova "volontà volente". Ma lo scarto è destinato a ripresentarsi: i risultati non sono di nuovo pari alle attese. Eppure, osserva Blondel, se tale processo continuasse all'infinito, esso renderebbe vana ed illusoria l'azione. La stessa vita perderebbe di senso. Per questo, conclude Blondel, deve esistere un essere nel quale il contrasto tra volente e voluto, ideale e reale, finalmente si risolve, e nel quale l'ideale si realizzi pienamente. Questo essere è l'Assoluto, cioè Dio.
In altre parole, per Blondel, Dio è la condizione necessaria ad assicurare un senso alle nostre azioni. Sotto un certo aspetto, questo ragionamento diventa una prova per l'esistenza di Dio definito dallo stesso Blondel come metodo dell'immanenza. Infatti, esso muove dal principio che l'esistenza di Dio è immanente alla stessa esistenza dell'uomo. Quest'ultimo è il vero punto di aggancio tra Blondel ed il modernismo. Il metodo di immanenza, infatti, non fa che confermare che il bisogno di Dio è un'esigenza interiore.
Edouard Le Roy (1870-1954)
Più ancora di Laberthonnière e Loisy, Le Roy fu l'alfiere più radicale e conseguente di un approccio modernista al problema della conoscenza umana, un approccio che rovesciò le concezioni conciliari elaborate proprio nell'anno della sua nascita, anche se, come si vedrà dalla lunga citazione che proponiamo, anche Le Roy mosse dall'idea che esistono due piani distinti di conoscenza, quello naturale e quello della rivelazione, che non possono essere confusi..
Le Roy è conosciuto soprattutto come epistemologo. In tale veste succedette a Bergson alla cattedra al Collège de France. Egli rappresentò una versione estrema del convenzionalismo di Duhem e Poincaré, e quindi di una concezione della scienza strumentalista e relativista. Ma ai fini della nostra storia interessa il Le Roy cattolico e teologo, secondo il quale non hanno senso le dimostrazioni dell'esistenza di Dio portatate dalla Scolastica. «L'affermazione di Dio - scrive Le Roy nel Problema di Dio - è l'affermazione della realtà morale come realtà autonoma, indipendente, irriducibile, e anche forse come realtà prima.» Andando molto oltre Blondel, Le Roy crede che Dio abbia una personalità, un carattere. L'uomo può parlare con questo Dio come se fosse davanti ad una persona, un Padre. Noi quasi cerchiamo in lui la nostra personalità. Nel ritrovarla, troviamo quasi la certezza del nostro essere nella verità.
Dopo aver rivendicato il diritto dei laici ad occuparsi di problemi religiosi "con amore e assiduità", Le Roy affrontò con decisione e nuovo acume la questione dei dogmi, constatando come la nozione stessa di dogma ripugnasse alla cultura contemporanea, in particolare a quella scientifica e positivista. E scrisse: «Si potrebbe osservare che le proposizioni dogmatiche non sono affatto senza prove. E in realtà è stata più volte tentata una dimostrazione indiretta. Sembra sussista qualche analogia tra questi tentativi di dimostrazione e il comportamento del matematico, che si limiti a volte ad enunciare teoremi di semplice esistenza, e a quello del fisico che accetta spesso fatti di cui è incapace di dare una spiegazione teorica, o a quello dello storico che attinge le sue conoscenze sulla semplice base della testimonianza. Ma un'analogia di questo genere è puramente fittizia. Quando un matematico si contenta di stabilire un teorema di semplice esistenza, vale a dire un teorema affermante l'esistenza di una soluzione inaccessibile in sé stessa, questo matematico ragiona altrettanto rigorosamente in questo punto, come in tutti gli altri della sua scienza. Sul terreno dei dogmi siamo in tutt'altra atmosfera. Occorrerebbe aver dimostrato direttamente che Dio esiste, che Egli ha parlato, che Egli ha detto questo e quello, e che noi possediamo oggi il suo genuino insegnamento. Il che equivale a dire che bisognerebbe aver risolto, attraverso un'analisi diretta, il problema di Dio, quello della rivelazione, quello dell'ispirazione biblica, quello dell'autorità della Chiesa. Ma tali questioni sono appunto del medesimo genere che le questioni puramente dogmatiche, vale a dire questioni a proposito delle quali è letteralmente impossibile addurre ragionamenti comparabili a quelli del matematico. Similmente, quando un fisico accetta un fatto di cui non sa dare una speigazione teorica, questo fatto corrisponde, almeno per lui, ad esperienze precise, a manipolazioni praticamente eseguibili. In una parola, a un gruppo di gesti di cui ha una conoscenza diretta. Nulla di simile invece sul terreno della dogmatica cristiana. Infine lo storico è nella disposizione di spirito che porta a ricevere la verità sulla base delle testimonianze pervenutegli, perché si tratta di fenomeni del medesimo genere cui appartengono i fenomeni di cui egli è, d'altro canto, spettatore diretto. Quando invece si tratta di dogmi, noi abbiamo a che fare con fatti misteriosi, singolari, sconcertanti, a cui non corrisponde nulla di analogo nella nostra esperienza umana. Noi cerchiamo dunque analogie per attutire il senso di diffidenza che certa cultura moderna sembra provare al cospetto delle asserzioni dogmatiche. Diffidenza che è acuita e corroborata dal fatto che le formule dogmatiche appartengono molto spesso al linguaggio di un sistema filosofico particolare, che non si lascia sempre agevolmente decifrare e che spesso non si sottrae neppure al pericolo dell'equivoco, se non delle contraddizioni. C'è qui anzi la difficoltà più grave che fa recalcitrare tanti al cospetto dei dogmi a cui non riescono ad attribuire un significato pensabile. Infine sta di fatto che i dogmi costituiscono nel loro insieme un fascio di proposizioni inconguagliabile con l'insieme delle scienze positive. Né per il loro contenuto, né per la loro natura logica, le formule dogmatiche appartengono al medesimo piano di conoscenza cui appartengono le altre normali proposizioni dell'umano sapere.»
Rispetto a questo livello di considerazioni, la risposta di Le Roy alla sua faticosa domanda, ovvero "come convincere un non-credente?" può essere considerata deludente ma, per un altro verso stimolante. Secondo Le Roy è solo sbagliato concepire i dogmi in modo intellettualistico. Sia i cattolici che i loro avversari non ne considerano il valore pratico e morale. Il dogma intellettualistico assomiglia così all'enunciazione di un teorema indimostrabile. E' inevitabile che dall'altra parte, cioè tra atei e scettici, si concluda per l'illegittimità dei dogmi, dal momento che li si vuole rivestire di una raffigurazione teoretica. Per le Roy è contraddittorio tentare in paritempo di fare del divino una realtà suscettibile di trascrizione concettuale e, insieme, tentare di garantire l'inesplorabilità del mistero. Proseguendo, Le Roy mostrava come nell'insegnamento della Chiesa si fosse finito spesso col confondere i dogmi propriamente detti con opinioni particolari o particolari sistemi teologici, raffigurazioni intellettuali secondarie e accessorie.
Per Le Roy il dogma deve avere un senso puramente negativo: è la condanna di posizioni erronee, non la determinazione di una verità. Come esempio, egli richiama la Resurrezione del Cristo. Affermando questo dogma che è alla base del "credo cristiano" non si pretende di dire alcunché su quale sia stata la "meccanica" e la "fisiologia" di questo evento miracoloso, né di quale specie sia la seconda vita del Cristo. Il dogma della resurrezione non offre una simile concezione; semmai vuole escludere pseudo-concezioni e ci vuole assicurare che non è stato posto alcun termine all'azione di Cristo sulle cose del mondo. Egli vive ancora in mezzo a noi., non come un maestro scomparso (comunque fecondo e vivo), ma è il nostro coetaneo. La sua morte non ha rappresentato la cessazione della sua attività.
Secondo Le Roy, l'unico modo per studiare i dogmi è il metodo storico. E' impossibile comprenderli e giustificarli al di fuori del loro contesto, perché il loro senso genuino si è dissolto man mano che la storia avanzava. Con ciò è evidente la convergenza con Loisy.
C'è, tuttavia, un altro punto da evidenziare: se il dogma ha un valore eminentemente negativo sul piano intellettuale, ha però un valore pratico e positivo rispetto all'organizzazione del pensiero in quanto detta norme e mostra i doveri dell'attività pensante. Infine, secondo Le Roy, si tratta finalmente di capire che il cristianesimo non è un sistema di filosofia speculativa, ma regola di vita, un insieme di di mezzi pratici per conseguire la salvezza. Solo così, molte delle difficoltà che si presentano nell'opera di evangelizzazione vengono a cadere. Infatti, non siamo più di fronte ad uno scandalo logico, i predicatori cristiani non sono più i portatori di una follia, ma quelli che affrontano in modo forte e deciso una questione che riguarda da vicino il rapporto tra pensiero ed azione.
continua
moses - 20 luglio 2005