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Melisso ed il tramonto della scuola eleatica

di Daniele Lo Giudice

Di Melisso si sa che nacque a Samo, la stessa patria di Pitagora, e fu un capo politico che godeva di popolarità.
Venne nominato navarca, cioè ammiraglio, ed in tale veste guidò la flotta nella battaglia contro gli ateniesi, ottenendo un brillante e storico successo nel 444 a.C. Fu, però, una vittoria di Pirro. Atene vinse la guerra.
Per il resto pare indubbio che Melisso fu fortemente influenzato dal pensiero di Parmenide, e fu quindi un convinto sostenitore della via della ragione che rifiuta l'inganno dei sensi e la via delle opininioni che nascono dalle esperienze sensibili.
Scrisse un'opera Sulla natura, di cui si sono perse le tracce.

A differenza di Zenone, impegnato a contestare il senso comune e le opinioni correnti sulla pluralità ed il movimento, Melisso si impegnò soprattutto nel confutare il divenire, cioè i mutamenti. Ciò significa che per Melisso l'invecchiamento non è una realtà, ma solo un'apparenza, un inganno dei sensi. Fosse vero!
Ma, scherzi a parte, egli riaffermò uno dei concetti cardine dell'eleatismo, ovvero che l'essere è, è uno, ed è immutabile.
Se, per combinazione, mutasse anche un solo capello, tutto andrebbe distrutto.
Il senso di queste affermazioni, che paiono assurde agli occhi del senso comune, è quello che "nulla si crea e nulla si distrugge veramente." Non segue "un tutto si trasforma", perchè la trasformazione è illusoria. Bisogna sbarazzarsi dell'illusione dei sensi per accedere alla suprema verità delle cose.
Con questo spostamento di tiro, avvenuto a partire ovviamente da Parmenide, il pensiero filosofico mosse un passo decisivo verso l'ontologizzazione, ovvero verso il vero oggetto della filosofia, che non è la fisica, o la natura, ma l'essere delle cose stesse.
In questa luce le cose trovano la loro verità ultima, definitiva, inquestionabile.

Gli studiosi si sono ovviamente divisi circa l'interpretazione da dare al significato di essere. Se, con Parmenide, è problematico pensare a qualcosa di solo corporeo e fisico, e non all'esistente in senso totale, fisico e metafisico insieme, qualcosa che appunto si trova al di là del sensibile, e con i soli sensi e le sole esperienze non potremo mai percepire, con Melisso, alcuni hanno avuto l'impressione di una riduzione del senso dell'essere al solo mondo fisico.
Personalmente non sono d'accordo, e semmai, il vero problema della posizione di Melisso sta nel fatto che egli introdusse una variante importante al pensiero di Parmenide, e tale mossa, fu, in certo senso, l'inizio della fine dell'eleatismo, che già con Zenone, per l'evidente pochezza dei suoi argomenti contro la pluralità ed il movimento, era entrato in crisi.
Infatti, Melisso affermò che l'essere non è finito, ma infinito.
Da ciò venne una concessione a tutti gli avversari dell'eleatismo, a mio avviso inaccettabile, perchè l'idea stessa di infinito è contraddittoria rispetto all'affermazione dell'eternità e della perfezione dell'essere.
L'infinito come negazione del finito, infatti, implica persino un'affermazione negativa: l'essere non è finito. In finito, significa non finito. Dunque, di quest'essere si dice che non è...compiuto?!
E' forse questo il motivo che indusse Melisso a negare che l'essere abbia parti, perchè se avesse parti non sarebbe più uno ed unico.
Ma questa precisazione era già il segno di una debolezza, di una intrinseca difficoltà derivante dall'intendere l'essere non come un tutto compiuto e reale in ogni istante, ma come in-finito.
L'idea prevalente, a tutt'oggi, è che Melisso abbia inteso l'essere in un senso solo spaziale, cosmico, ed abbia voluto, in questo senso, affermare che non ci sono volte celesti e barriere che circondano il mondo e lo rinchiudono in una sorta di sfera.
Fosse così, potremmo solo concludere che Melisso ebbe un concetto dell'essere profondamente diverso da quello avanzato da Parmenide, non un concetto puramente fisico, ma nemmeno un concetto totale, capace cioè di abbracciare veramente il tutto, quello che si vede, e quello che non si vede.
Che alla massima lucidità possa seguire, come minimo, una fase di relativa confusione, è un dato con cui, purtroppo, bisogna fare spesso i conti, specie quando si parla di filosofia.

Letture consigliate:
R. Vitali - Melisso di Samo. Un'interpretazione dell'eleatismo - Argalìa - Urbino,1973
Giovanni Reale ( a cura di) - Melisso, Testimonianze e frammenti - La Nuova Italia - Firenze, 1970
Aristotele - Fisica, Libro I


DLG - 1 agosto 2002