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Introduzione a Marx / 7 - l'economia politica
di Carlo Fracasso
Nonostante la scolastica marxista, specie quella sovietica, abbia teso a "sistemare" il pensiero economico di Marx proponendo, quasi a modo didattico, una precisa successione nella storia di sei tipi diversi di formazioni economico-sociali caratterizzati da distinti rapporti di produzione, in Marx quest'ordine non è perseguito in modo sistematico. Egli ha parlato di paleo-comunismo, schiavitù, feudalesimo, capitalismo, socialismo, comunismo dell'avvenire, ma in maniera puramente orientativa, essendo consapevole che i diversi sistemi si sono spesso intrecciati, convivendo l'uno nell'altro, o l'uno accanto all'altro.
Marx ha suddiviso i periodi storici non esclusivamente in ragione della conformazione di classe delle società, ma anche secondo le fasi evolutive della divisione del lavoro (cfr. L'ideologia tedesca) e sulla base dello sviluppo dello scambio (cfr. "Le forme di valore" nel I volume del Capitale).
Si verifica un preciso cambio di angolazione quando Marx comincia a parlare di economia semplice di scambio, che è poi la base del modo di produzione capitalistico.
Va colto che per Marx il moderno capitalismo non si è sviluppato nel grembo della feudalità, ma al di fuori di essa, nella sfera del commercio, attraverso il formarsi del capitale mercantile e finanziario. Il moderno capitalismo industriale ha quindi, come premessa e come condizione un fatto unico in tutta la storia umana: il libero lavoro salariato che si incontra con un capitale industriale in grado di remunerarlo prima ancora che il prodotto stesso del lavoro venga venduto.

L'economia semplice di scambio
Il cardine dell'analisi economica, come già nell'economista inglese David Ricardo, è per Marx la teoria del valore. Ad essa si aggiunge la particolare dottrina del plusvalore, quintessenza di uno sfruttamento oggettivo, insito nei rapporti stessi di scambio tra lavoro salariato e capitale. A differenza degli economisti che lo hanno preceduto, Marx considera il processo economico non come "il rapporto tra l'uomo ed il mondo dei beni", ma come un rapporto sociale tra gli uomini.
Nel Capitale l'esame parte dalla merce che è la condizione indispensabile affinché due individui sociali (acquirente e venditore) instaurino un rapporto.
La merce ha un valore risultante dal lavoro sociale "astratto" necessario a produrla. E questa è la sua caratteristica essenziale. Ma tale essenza, presenta così dire, due aspetti fenomenicamente diversi: un valore d'uso ed un valore di scambio (che è la grandezza matematica del valore).
La merce deve essere utile e scambiabile. Un oggetto possiede valore d'uso non solo in quanto merce, ma in quanto utilizzabile. Si pensi all'aria: ha un valore d'uso inestimabile, ma non ha, per ora, e speriamo per sempre, valore di scambio alcuno se non per astronauti e sommozzatori.
Un oggetto possiede valore di scambio solo se sono presenti altre merci, e quindi compratori e venditori di prodotti del lavoro.

Marx si chiede che cosa renda comparabili valori di scambio e valori d'uso di genere diverso e accetta la risposta degli economisti classici: le merci sono frutto del lavoro umano. Il loro valore di scambio dipende dal lavoro che le ha prodotte.
Analizzando il lavoro, Marx sostiene che esso va considerato sotto due aspetti: in quanto produce valore d'uso, è lavoro "concreto" e determinato. Può essere il lavoro dell'artigiano individuale. Ma in quanto lavoro che crea valore, esso è lavoro "astratto" e indeterminato, una particella del lavoro generale, cioè parte di una grandezza sociale. Ne viene che le merci possiedono valore come come prodotti del lavoro umano nella loro generalità astratta; e tale valore si configura nel valore di scambio quale sua grandezza misurabile matematicamente.

La misura del valore
Che valore può avere il lavoro? Come entra nella formazione del valore di scambio di una merce (posto che essa abbia comunque un valore d'uso socialmente riconosciuto)?
Il primo criterio dovrebbe essere quello del logoramento delle energie umane. Dato che nel lavoro non vengono impiegate soltanto forze dinamiche ma, col progredire della tecnica, anche energie psichiche, nemmeno la moderna fisiologia, per fare un esempio, è riuscita a cogliere, trovando una scala unitaria, (calorie, ossigeno e simili), i complessi fenomeni del consumo di energia umana, definendo con chiarezza un tasso di affaticamento. L'economia politica classica prima di Marx aveva adottato quale criterio non il consumo di energia, ma il tempo di lavoro. Una scelta condivisa da Marx. E considerando l'ovvia obiezione che l'ora di lavoro di un facchino o di un muratore è sicuramente più dispendiosa di quella di un sarto o di un calzolaio, Marx osserva che non conta il dispendio energetico di ogni singolo lavoratore, ma il "tempo di lavoro necessario in media, ossia socialmente necessario".
Marx risolve la difficoltà partendo quindi dal "lavoro medio semplice" che ogni individuo è in grado di espletare e considera il lavoro più complesso come un multiplo del lavoro medio semplice.

Dal valore al prezzo
Trascurando per il momento l'evoluzione storica della forma del valore, che pure costituisce un campo di ricerca essenziale nello svolgersi della teoria marxiana, andiamo subito al problema cruciale della corrispondenza o meno del valore al prezzo. Che non siano la stessa cosa è già stato chiarito da Ricardo. Marx si distingue da Ricardo perché la sua non è la dottrina delle leggi delle proporzioni di scambio che determina i prezzi, ma una teoria della formazione del valore.
Se in Ricardo troviamo una teoria del valore "relativo" secondo la quale le merci si scambiano "in proporzione" del lavoro in esse impiegato, in Marx emerge una teoria del valore "assoluto", teoria in base alla quale ogni merce è già "valore", anche a prescindere dal fatto che essa realizzi o meno il suo valore specifico attraverso una vendita od una domanda. E con ciò, sembra davvero che il nesso tra valore individuale e prezzo individuale della merce si sia dissolto.
Come affronta Marx, allora, il problema della determinazione del prezzo? Praticamente non lo affronta, ma lo considera come dato, cioè come termine di mediazione del proporzionamento del lavoro sociale complessivo. In altre parole, ciò che conta in Marx è che il valore deve già essere stato prodotto prima che la merce appaia sul mercato; deve perciò essersi sviluppato un potere d'acquisto espresso in redditi adeguati e quindi in grado di procedere alla contrattazione.
Pertanto, sulla formazione dei prezzi Marx si limita a dire: «[...] la legge generale si afferma come tendenza predominante solo in un modo assai complicato e approssimativo, sotto forma d'una media, che non è mai possibile determinare, di oscillazioni incessanti...» (1)

(continua)
note:
1) Capitale, libro III.9

CF - 24 maggio 2004