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Considerazioni sul secondo capitolo del Manifesto
di Renzo Grassano

Ho qualche riserva sul modo acritico di presentare le tesi sulla concezione comunista della famiglia e della nazione raccolte nel II capitolo del Manifesto. Sono i punti più deboli e discutibili di tutta l'opera e testimoniano il prevalere dell'economicismo marxiano, o in termini ancora più rozzi, del suo inguaribile materialismo, un materialismo che ignora i sentimenti di identità e di appartenenza, e che quindi non rende conto appieno di cosa sia davvero l'uomo, anche l'uomo concreto in carne ed ossa, l'uomo inserito in una determinata formazione economico-sociale, l'uomo assoggettato alla potenza economica che lo sovrasta, alienato dal suo lavoro e dalla sua libertà. O, per dirla con Heidegger, gettato nell'esistenza, considerato nel suo esserci.
Siccome in altre pagine sto parlando della critica popperiana di Marx ed in particolare della sua presunta derivazione dall'aristotelismo essenzialistico, mi pare molto opportuno precisare qui che proprio il vero essenzialismo va perduto. Non c'è in questo capitolo, quantomeno, alcuna essenza umana, ma solo un'essenza oggettiva, l'uomo considerato unicamente come oggetto e determinato unicamente da condizioni esterne e non da qualcosa di interno. Mi pare una critica estendibile a tutto il pensiero di Marx, ma è in questo caso che il difetto di fondo appare con maggiore evidenza.
Senza contare poi, che parlare con così tanta disinvoltura di comunanza delle donne, senza nemmeno un accenno umoristico alla corrispettiva comunanza degli uomini, porta comunque ad una visione autoritaria e maschilista, ad un regresso anziché ad un progresso. Le donne sono trattate qui come un bene, una qualsiasi merce sociale. E ciò procura da pensare, non poco.

Più in generale, ancora nel II capitolo, intitolato Proletari e comunisti, emerge un approccio all'identità comunista quantomeno confusa. I comunisti non sono una parte del proletariato, ma il proletariato. Carlo Fracasso tace su questo punto, forse lo riprenderà, non lo so. Ovviamente si tratta di una tesi inaccettabile che viene dal profondo, viene cioè dalla persuasione di essere nella verità, essendo la teoria comunista poggiante su basi scientifiche.
Potrebbe darsi. Una parte di questa teoria è, o era, innegabilmente scientifica. Ma come può essere scientifico il confondere una parte con il tutto?
Come si può ammettere che un partito rappresenti il tutto? Cioè tutto il proletariato?
Questo spiega molta della storia successiva e quindi spiega l'involuzione totalitaria del marxismo, come oggi spiega la pretesa di alcune forze, di alcuni sindacati, di alcuni grupposcoli, di essere rappresentativi del tutto, del mondo del lavoro e dei suoi interessi scientificamente spiegati. Saccenza marxista, saccenza bolscevica, saccenza comunista. Fortunatamente, oggi questa tendenza sta venendo definitivamente meno, anche tra chi si considera ancora marxista. Meno male. Ma, per intanto, perdurano ancora forme di lotta, penso ai picchetti duri, che purtroppo inquinano e stravolgono il clima democratico e di per sé smentiscono le reiterate dichiarazioni di Bertinotti a favore di una definitiva opzione non-violenta.
Certo: è facile rispondere che è l'esasperazione che porta all'esplosione della violenza, e che la responsabilità va dunque cercata in chi esaspera e non in chi risponde.
Ma se questo è vero, allora cade il teorema della superiorità morale ed intelletuale della classe operaia. Gramsci e non Marx, si dirà. Sì, ma questa è stata la strategia vincente del movimento comunista italiano, una strategia che ha consentito il successo di grandi battaglie per il lavoro e la dignità dei lavoratori.
Siccome la democrazia,quale componente essenziale del primato morale ed intellettuale, ci sta a cuore più di ogni altra cosa, diventa semplicemente doveroso criticare questi residui comportamentali che affondano le proprie radici in precisi contesti di origine teorica.

Purtroppo, questo tipo di saccenza intellettuale si fa strada in altre correnti di pensiero. Meno bene. Quella che preoccupa di più è la saccenza pseudo religiosa, ma dovremmo essere preoccupati anche per la saccenza scientista. O, persino per la saccenza popperiana, candidamente nascosta da quel I may be wrong messo sempre avanti. In certi casi fare continua professione di fallibilsmo non è che un modo per sentirsi autorizzati a dire qualunque sciocchezza. Rispetto a quanto osservato, I'm sure, I'm not be wrong. Saccenza la mia?
RG - 16 maggio 2004