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Introduzione a Marx / 6 - il manifesto del partito comunista
di Carlo Fracasso
Il manifesto del partito comunista è probabilmente il libro politico più letto di tutta la storia. Quanto a popolarità, possono sopravanzarlo solo testi di altro genere: libri religiosi come la Bibbia ed il Corano, oppure romanzi, fumetti (penso a Topolino), raccolte di poesia epica e sentimentale.
Quando si cominciò a parlare tra i comunisti dell'esigenza di avere una specie di catechismo da diffondere tra i lavoratori, Marx non era ancora un dirigente comunista, cioè non faceva parte del comitato centrale della Lega dei comunisti. Nemmeno Engels, che tuttavia fu il primo a mettersi al lavoro, abbozzando un testo fatto di domande e risposte del tipo: « Qual'è lo scopo dei comunisti? Organizzare la società in modo che ogni membro di essa possa sviluppare e manifestare tutte le sue attitudini e tutte le sue forze in completa libertà e senza per questo recare pregiudizio alle condizioni fondamentali di questa società.»
Questa bozza non ebbe seguito, perché lo stesso Engels non ne era soddisfatto. Poi, questi si accorse che Moses Hess aveva per conto suo preparato un altro testo, tutto utopia vecchio stile. Noi potremmo dire che il lavoro del vecchio Moses (ogni riferimento al sito è puramente casuale...) non aveva un taglio "marxista", ma allora l'espressione non aveva ancora preso piede.

Engels si affrettò a criticare il documento Hess in una riunione della Lega e vinse la sua battaglia. Il bravo amico di Marx ricevette dalla stessa Lega il compito ufficiale di stendere una nuova bozza, che fu pronta in pochi giorni. Questa guardava di più alla storia, raccontava le origini e lo sviluppo del proletariato moderno; suppongo che buona parte del primo capitolo del testo definitivo raccolga quanto scritto da Engels. Ma, arrivando al nocciolo, cioè alla spiegazione di chi sono i comunisti e cosa si propongono di fare, Engels ricadde nell'errore precedente: di nuovo domanda e risposta. Ci vollero una lettera a Marx, scritta il 23 novembre del 1847 ed un incontro cinque giorni dopo, a Ostenda, perché anche Marx fosse coinvolto. Entrambi andarono a Londra per partecipare al 2° congresso della Lega, e risulta che Engels aveva avuto il suo daffare per farsi eleggere delegato.
«Purtroppo - racconta Gustav Mayer - le lettere di Marx ad Engels di questo periodo sono andate perdute, altrimenti ci avrebbero senz'altro illuminato sull'argomento.» (1) Ci avrebbero cioè spiegato come Marx avesse cominciato a "pensare" l'organizzazione ed il contenuto del documento.
Dopo dieci giorni di dibattito, il congresso diede mandato a Marx di stilare il "Manifesto".
Fu dunque Marx a stendere il testo definitivo, anche se Engels vi apportò molto materiale grezzo. Il risultato è quello che conosciamo: non un libro facile-facile ma, un testo complesso, evidentemente scritto da intellettuali ed, al tempo, poco adatto al livello di istruzione dei lavoratori, spesso analfabeti o poco più. Pensare ad una destinazione "popolare" dell'opera, insomma, fu una scommessa. «Nella forma definitiva - scrive ancora Mayer - questo documento porta l'impronta geniale di Marx, che con le sue rare doti riuscì a coniare frasi di vivo significato e di viva suggestione: egli usa le parole come un metallo fuso colato nello stampo del pensiero...» (1)
Non tutti sanno, tuttavia, che Marx fu minacciato dalla Lega dei comunisti di provvedimenti disciplinari per il grave ritardo nell'esecuzione del lavoro.
Il politburo, il 24 gennaio 1848, emise una sorta di ultimatum: «Il comitato centrale da incarico al comitato regionale di Bruxelles di mettersi in contatto con il cittadino Marx e di comunicargli che qualora il Manifesto del partito comunista, lo scritto che durante il recente congresso si impegnò a produrre, non perverrà a Londra entro il 1 febbraio del corrente anno, verranno prese contro di lui ulteriori misure. Nell'eventualità che il cittadino Marx non assolva il suo compito, il comitato centrale richiederà l'immediata restituzione dei documenti messi a disposizione del cittadino Marx. » (2)

Pur considerando, come dice Mayer, che nel leggere il Manifesto non si sfugge all'impressione che non vi sia un solo pensiero non contenuto già nell'Ideologia tedesca, si deve considerare questo lavoro come la vera pietra su cui poggia l'intero edificio della teoria marxiana. Lontano da ogni condanna moralistica, Marx riconosce alla borghesia il merito di aver rivoluzionato la società.
«La borghesia ha avuto nella storia una parte sommamente rivoluzionaria.
Dove ha raggiunto il dominio, la borghesia ha distrutto tutte le condizioni di vita feudali, patriarcali, idilliache. Ha lacerato spietatamente tutti i variopinti vincoli feudali che legavano l'uomo al suo superiore naturale, e non ha lasciato fra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, il freddo "pagamento in contanti". Ha affogato nell'acqua gelida del calcolo egoistico i sacri brividi dell'esaltazione devota, dell'entusiasmo cavalleresco, della malinconia filistea. Ha disciolto la dignità personale nel valore di scambio e al posto delle innumerevoli libertà patentate e onestamente conquistate, ha messo, unica, la libertà di commercio priva di scrupoli. In una parola: ha messo lo sfruttamento aperto, spudorato, diretto e arido al posto dello sfruttamento mascherato d'illusioni religiose e politiche.
La borghesia ha spogliato della loro aureola tutte le attività che fino allora erano venerate e considerate con pio timore. Ha tramutato il medico, il giurista, il prete, il poeta, l'uomo della scienza, in salariati ai suoi stipendi.
La borghesia ha strappato il commovente velo sentimentale al rapporto familiare e lo ha ricondotto a un puro rapporto di denaro.
La borghesia ha svelato come la brutale manifestazione di forza che la reazione ammira tanto nel medioevo, avesse la sua appropriata integrazione nella più pigra infingardaggine. Solo la borghesia ha dimostrato che cosa possa compiere l'attività dell'uomo. Essa ha compiuto ben altre meraviglie che le piramidi egiziane, acquedotti romani e cattedrali gotiche, ha portato a termine ben altre spedizioni che le migrazioni dei popoli e le crociate. » (3)
La sua incessante azione di rinnovamento ha avuto poi effetti non solo sul piano delle condizioni di vita, ma ha modificato il modo di pensare, i costumi,le tradizioni.
Ha creato il mercato mondiale rendendo interdipendenti le economie locali.
Ma così facendo, ha originato un meccanismo che non riesce più a gestire. Le moderne forze produttive sono diventate "troppo potenti"«per quei rapporti e ne vengono ostacolate, e appena superano questo ostacolo mettono in disordine tutta la società borghese, mettono in pericolo l'esistenza della proprietà borghese. I rapporti borghesi sono divenuti troppo angusti per poter contenere la ricchezza da essi stessi prodotta. Con quale mezzo la borghesia supera le crisi? Da un lato, con la distruzione coatta di una massa di forze produttive; dall'altro, con la conquista di nuovi mercati e con lo sfruttamento più intenso dei vecchi. Dunque, con quali mezzi? Mediante la preparazione di crisi più generali e più violente e la diminuzione dei mezzi per prevenire le crisi stesse. » (3)

L'aumento del proletariato è inarrestabile. Il suo stesso sviluppo è antagonistico alla borghesia. La classe operaia, prendendo coscienza delle proprie condizioni di classe oppressa si rende conto che essa è l'unica in grado di liberare l'intera umanità dallo stato di alienazione in cui vive l'uomo all'interno della società capitalista.
Il proletariato appare quindi investito di una missione storica universale: potrà eliminare definitivamente la società umana dalle condizioni strutturali di oppressione che hanno sempre accompagnato ogni epoca storica.
L'eliminazione della proprietà privata dei mezzi di produzione è il passaggio decisivo della trasformazione rivoluzionaria. Privata significa in primo luogo borghese, «giacché il comunismo non toglie a nessuno la facoltà di appropriarsi dei prodotti sociali: toglie soltanto la facoltà di appropriazione per asservire lavoro altrui.» (3)

Già ai tempi di Marx il pensiero politico borghese obiettava al comunismo l'incitazione alla pigrizia, ovvero la caduta dell'interesse al lavoro, motivata dal guadagno. «Si è obiettato che con l'abolizione della proprietà privata cesserebbe ogni attività e prenderebbe piede una pigrizia generale.
Da questo punto di vista, già da molto tempo la società borghese dovrebbe essere andata in rovina per pigrizia, poiché in essa coloro che lavorano, non guadagnano, e quelli che guadagnano, non lavorano. Tutto lo scrupolo sbocca nella tautologia che appena non c'è più capitale non c'è più lavoro salariato.
Tutte le obiezioni che vengono mosse al sistema comunista di appropriazione e di produzione dei prodotti materiali, sono state anche estese alla appropriazione e alla produzione dei prodotti intellettuali, come il cessare della proprietà di classe è per il borghese il cessare della produzione stessa, così il cessare della cultura di classe è per lui identico alla fine della cultura in genere.
Quella cultura la cui perdita egli rimpiange, è per la enorme maggioranza la preparazione a diventar macchine.» (3)

Non meno rivoluzionarie sono le parole sulla famiglia e le donne. Marx ed Engels erano persuasi che non vi fossero in proposito verità eterne e inclinazioni naturali, ma che i costumi fossero storicamente determinati dalla struttura economica. «Abolizione della famiglia! Anche i più estremisti si riscaldano parlando di questa ignominiosa intenzione dei comunisti.
Su che cosa si basa la famiglia attuale, la famiglia borghese? Sul capitale, sul guadagno privato. Una famiglia completamente sviluppata esiste soltanto per la borghesia: ma essa ha il suo complemento nella coatta mancanza di famiglia del proletario e nella prostituzione pubblica.
La famiglia del borghese cade naturalmente col cadere di questo suo complemento ed entrambi scompaiono con la scomparsa del capitale.
Ci rimproverate di voler abolire lo sfruttamento dei figli da parte dei genitori? Confessiamo questo delitto. Ma voi dite che sostituendo l'educazione sociale a quella familiare noi aboliamo i rapporti più cari.
E anche la vostra educazione, non è determinata dalla società? Non è determinata dai rapporti sociali entro i quali voi educate, dalla interferenza più o meno diretta o indiretta della società mediante la scuola e così via? I comunisti non inventano l'influenza della società sull'educazione, si limitano a cambiare il carattere di tale influenza, e strappano l'educazione all'influenza della classe dominante.
La fraseologia borghese sulla famiglia e sull'educazione, sull'affettuoso rapporto fra genitori e figli diventa tanto più nauseante, quanto più, per effetto della grande industria, si lacerano per il proletario tutti i vincoli familiari, e i figli sono trasformati in semplici articoli di commercio e strumenti di lavoro.
Tutta la borghesia ci grida contro in coro: ma voi comunisti volete introdurre la comunanza delle donne.
Il borghese vede nella moglie un semplice strumento di produzione. Sente dire che gli strumenti di produzione devono essere sfruttati in comune e non può naturalmente farsi venire in mente se non che la sorte della comunanza colpirà anche le donne.
Non sospetta neppure che si tratta proprio di abolire la posizione delle donne come semplici strumenti di produzione.
Del resto non c'è nulla di più ridicolo del moralissimo orrore che i nostri borghesi provano per la pretesa comunanza ufficiale delle donne fra i comunisti. I comunisti non hanno bisogno d'introdurre la comunanza delle donne; essa è esistita quasi sempre.
I nostri borghesi, non paghi d'avere a disposizione le mogli e le figlie dei proletari, per non parlare neppure della prostituzione ufficiale, trovano uno dei loro divertimenti principali nel sedursi reciprocamente le loro mogli.
In realtà il matrimonio borghese è la comunanza delle mogli. Tutt'al, più ai comunisti si potrebbe rimproverare di voler introdurre una comunanza delle donne ufficiale e franca al posto di una comunanza delle donne ipocritamente dissimulata. del resto è ovvio che, con l'abolizione dei rapporti attuali di produzione, scompare anche quella comunanza delle donne che ne deriva, cioè la prostituzione ufficiale e non ufficiale. » (3)

Ed ancora: non meno rivoluzionarie sono le considerazioni sulla patria e la nazionalità: «Gli operai non hanno patria. Non si può togliere loro quello che non hanno. Poiché la prima cosa che il proletario deve fare è di conquistarsi il dominio politico, di elevarsi a classe nazionale, di costituire se stesso in nazione, è anch'esso ancora nazionale, seppure non certo nel senso della borghesia.
Le separazioni e gli antagonismi nazionali dei popoli vanno scomparendo sempre più già con lo sviluppo della borghesia, con la libertà di commercio, col mercato mondiale, con l'uniformità della produzione industriale e delle corrispondenti condizioni d'esistenza.
Il dominio del proletariato li farà scomparire ancor di più. Una delle prime condizioni della sua emancipazione è l'azione unita, per lo meno dei paesi civili.
Lo sfruttamento di una nazione da parte di un'altra viene abolito nella stessa misura che viene abolito lo sfruttamento di un individuo da parte di un altro.
Con l'antagonismo delle classi all'interno delle nazioni scompare la posizione di reciproca ostilità fra le nazioni. » (3)

Quando si attacca genericamente il comunismo come totalitarismo dai toni profetici, spesso si citano queste frasi, come se fossero foriere di menzogna e di illusione. Ripensarle oggi, può al contrario far bene. Tolta una certa enfasi da "manifesto", appunto, da testo che può apparire persino propagandistico in alcuni tratti, appare evidente che nessuna profezia ha mai viaggiato così rapidamente come questa. Abbiamo una patria, ma ne vogliamo una più grande, vogliamo l'Europa unita: vogliamo un governo mondiale che ci lasci sempre più liberi; o no? E non è forse vero che questo dipende non solo dalla nostra volontà e dalle nostre aspirazioni, ma dallo sviluppo storico oggettivo, dalle attuali potenzialità di sviluppo delle forze produttive?
Per chiudere, consiglio vivamente la lettura del III capitolo del Manifesto, quello dedicato alla letteratura politica. Anche queste sono pagine attuali, paradossalmente, proprio perché apparentemente inattuali. Contengono una critica all'impotenza letteraria del filosofo e della filosofia in generale, in particolare quella politica che tocca aspetti affrontati dai nostri autori di Moses con particolare passione... certamente degna di miglior causa.
Il marxismo, in altre parole, o è praxis, quindi militanza, o non è altro che letteratura, esattamente come quella attaccata da Marx ed Engels.
Ma il messaggio finale del Manifesto è quello della strategia e delle alleanze. Essere marxisti, oggi, non può voler dire chiudersi in messianica attesa, ma ripigliare da capo il filo critico dell'iniziativa politica.


note:
1) Gustav Mayer - Friedrich Engels - Einaudi, 1969
2) Francis Wheen - Marx - Mondadori, 2000
3) Marx /Engels - Manifesto del partito comunista - edizione linkata su internet

CF - 16 maggio 2004