filosofia

Moseh Ben Maimon (Mosè Maimonide)
(1135-1204)

di Guido Marenco


Moseh nacque a Cordoba in Spagna il 30 marzo 1135 e visse in varie città spagnole perseguitato dalle autorità religiose arabe (la Spagna era allora occupata dagli Arabi) . Dopo un certo periodo si trasferì in Marocco e successivamente al Cairo, in Egitto, dove morì nel 1204.
Compose commenti alla Bibbia ed al Talmud oltre che un testo filosofico intitolato "Guida dei perplessi". Ovviamente fu influenzato in grande misura dai filosofi arabi, in particolare da Avicenna, del quale riprese punti importanti di dottrina, ma anche da Averroè, dal quale riprese la dottrina dell'immortalità dell'intelletto, negando invece la sopravvivenza metafisica dell'anima. Di Averroè comunque non riprese la teorizzazione della doppia verità, ma si sentì anzi sfidato a mostrare come la tradizione religiosa ebraica non fosse un cioccolatino propinato al popolino per tenerlo buono (la filosofia è riservata ai dotti) ma proprio la Verità.

La "Guida dei perplessi" è un'opera indirizzata a mostrare la possibilità di conciliare la fede ebraica con la filosofia aristotelica.
Siamo quindi fronte ad un nuovo tentativo di armonizzare fede e ragione con l'evidente obiettivo di rivalutare la ragione.
Come sempre in questo caso, Maimonide si trovò ad affrontare sia problemi interni alla teologia, cioè un sapere derivante dalla "rivelazione", trasmesso direttamente da Dio all'uomo attraverso la Bibbia, sia quelli interni alla filosofia, cioè un sapere fondato sull'argomentazione, nonchè a trovare un piano di incontro.
La nostra impressione (che si basa su una riflessione posteriore di quasi mille anni) è che il ritratto di Dio che ci fornisce l'insieme dell'Antico Testamento sia talmente contraddittorio, che senza un lavoro di pulizia, oltre che di vera e propria ermeneutica del testo "contestualizzato", le possibilità di conciliazione siano oggi ridotte al lumicino. Lo erano anche allora, ovviamente, ma allora la ragione non aveva ancora osato la ricerca di Dio nel modo radicale e problematico tentato per esempio in questo secolo da Weischedel.
Non che la filosofia stia meglio, intendiamoci, ma mentre in campo filosofico si possono comunque trovare argomenti coerenti e contributi alla verità in quasi tutti i filosofi, persino nei più assurdi e discutibili, come Berkeley, Spinoza, Parmenide, ed altri ancora, in ambito teologico l'accettazione di tutta la Bibbia come Parola di Dio pone problemi insormontabili.
Basti pensare a questo: tutto il nuovo testamento si fonda sulla realizzazione di una profezia. Ciò che Isaia previde, Gesù Cristo lo realizzò.
In altre parole, poichè Isaia non parlo per sè, ma per conto di Dio, Dio è Colui che mantiene le promesse. E' questo sarebbe un motivo più che sufficiente per credere, tant'è vero che persino uno scettico come Sesto Empirico, scrisse che un "vero dio è quello che mantiene le promesse".
Ma se questo è vero, perchè allora fin dalle prime pagine di Genesi troviamo una sconfessione? Perchè in sostanza, Dio, dopo avere promesso ad Abramo una discendenza, ordina allo stesso di sacrificare Isacco? Dunque gli nega la realizzazione della promessa?
E' per mettere alla prova la sua fede (argomento da quattro soldi, che comunque è ripreso in egual misura sia da San Paolo che da San Giacomo e che tuttora è oggetto di dottrina teologica) o solo per mettere alla prova la sua intelligenza, e quindi persino il suo concetto di Dio?
Non sappiamo rispondere e quindi restiamo più perplessi che mai:-)))
Ma una delle conseguenze possibili di questa seconda ipotesi sarebbe che Abramo aveva un ben miserabile concetto di sè oltre che un miserabile concetto di Dio. Eseguì l'ordine con la morte nel cuore, il bravuomo, ma non oppose la benchè minima resistenza. Neppure per un istante dubitò di quell'ordine; neppure un istante osò pensare che Dio era migliore, infinitamente migliore di quello che diede quell'ordine infame. Non si fermò per strada a chieder conto a Dio delle sue contraddizioni. Non imprecò, non bestemmiò.
Ora tutto ciò potrà apparire santo agli occhi dei devoti, e di filosofucci da quattro soldi alla Kierkegaard, ma agli occhi di chi ha un nobile concetto di Dio (e di sé) la cosa è squallida e infamante. Tant'è vero che alla fine Dio si vide costretto ad inviare un angelo per salvare il malcapitato Isacco, ma dovette trarre un ben misero bilancio sul conto dell'uomo che aveva scelto per perpetuare la missione.
Ora è evidente che non facendo mai i conti con questo groviglio di contraddizioni, chi ragiona sul serio non potrà mai essere appagato da tutta la Bibbia, ma solo da una parte di essa, eventualmente, cioè da quella ispirata dalla linea Mosè-Legge-Profeti-realizzazione della promessa.
Nell'ebreo Maimonide viene persino a mancare l'ultimo anello della catena, cioè la persuasione che Dio si sia fatto uomo, sia venuto nella carne, abbia sofferto ogni sorta di umiliazione, per salvarci.
Quindi, mancando questa conclusione della vicenda, tutta la dura verità di questo Dio bizzoso e lunatico risulta ancora più indigesta.
In questo senso si potrebbe dunque parlare di "fallimento" di Maimonide perchè per conciliare sul serio bisogna andare fino in fondo ai motivi della disputa e della contraddizione.
Andrei però sempre cauto con giudizi liquidatori. Il merito di Maimonide sta comunque nell'averci provato: fede e ragione non sarebbero davvero incompatibili se, ed a condizione che, sia la ragione che la teologia fossero davvero capaci di andare alla radice nel confronto, mentre a me pare che l'ipocrisia abbia sempre prevalso, salvo rarissimi casi. Il filosofo non può toccare argomenti biblici senza il terrore di una scomunica.
Il teologo può intervenire in ambito filosofico ma, deve stare bene attento a quello che dice, onde evitare la pesante ironia dei baroni.
Hegel trattò Schleiermacher come uno straccio senza rendersi conto quanto egli stesso fosse lontano dalla verità mostrata da Kant: si può anche essere "religiosi" in modo dignitoso.
Il filosofo cristiano ha sempre affermato da San Tommaso in poi che laddove fede e ragione siano in contrasto, la fede ha sempre ragione. Ciò non è ammissibile, visto cosa ci tocca digerire. Ma se i risultati della ragione sono quelli raggiunti da Spinoza, allora tutto torna in discussione : meglio sarebbe credere al Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe che a quella mostruosa caricatura di Dio elaborata da Spinoza.
Chi ragiona dovrebbe in ogni caso porre alla fede, o meglio ai fedeli, domande precise del tipo di quelle che ho posto sopra. Solo così potrebbe venirne quella dialettica in grado di far luce sugli aspetti più vergognosi ed inaccettabili della fede. Non che la ragione non ne abbia, specie in ambito filosofico.
Tutte le elucubrazioni su Dio della modernità, Kant a parte, da Spinoza a Schelling, da Hegel allo stesso Schleiemacher, hanno un che di oltraggioso o per la fede genuina o per la ragione umana universale. Possibile che non sia possibile trovare una via "unitaria" di ricerca?
Impossibile non partire "prevenuti"? Siamo quasi nel duemilaeuno, forse, chissà...

Torniamo a Maimonide. Egli ebbe il merito di individuare il primo problema del conflitto tra la visione ebraica della creazione del mondo e quella aristotelica. Per la Bibbia il mondo fu creato da Dio, per Aristotele il mondo esiste da sempre e Dio è solo un intellettuale contemplativo attorno al quale tutto ruota per amore.
Se guardiamo alla sostanza delle cose siamo di fronte a due posizioni per le quali la pura ragione non è in grado di decidere, non disponendo ai tempi di Maimonide di dati sufficienti ( e credo che anche ai tempi nostri i dati non siano sufficienti).
Possiamo quindi decidere solo in base ad una "convenienza" provvisoria. In cosa ci conviene credere? E anche: forse è meglio non credere nè a questo, nè a quello e lasciare la cosa in sospeso.
Ma se le cose stanno così da un punto di vista logico, noi rimaniamo insoddisfatti ed amareggiati. Ci viene a mancare qualcosa di vitale, una risposta ai problemi esistenziali più veri, quelli che sgorgano dal cuore.
Maimonide risolse il problema dicendo in sostanza che tra due posizioni dogmatiche (anche quella di Aristotele in questo caso è dogmatica perchè priva di argomenti empirici) la ragione può tranquillamente scegliere la versione biblica, e poi accettare la logica aristotelica per tutto il resto.
Affermò anche che la scelta era dettata dal fatto che la dottrina aristotelica dell'esistenza del mondo dall'eternità era insufficientemente argomentata. Verissimo. Ma si dimenticò di ricordare che anche quella ebraica non era argomentata.
Siamo dunque di fronte ad un modo unilaterale di risolvere il problema. Un modo che non è sufficientemente logico e nemmeno sufficientemente appagante la sfera del sentimento, del sentire Dio come datore di vita. C'è chi storcerà il naso di fronte a questo argomento ma credo sia ora di finirla con il considerare l'uomo esclusivamente come un animale bipede, politico e razionale. L'uomo è anche capace di amore, ne sente il bisogno e spesso sacrifica tutti i suoi interessi economici ed i suoi egoismi solo "per amore" del genere umano. L'animale politico può dunque essere anche "politico" solo per amore del tutto disinteressato. E oggi può esserlo anche riconoscendo che il fine non giustifica i mezzi in nessun caso, o quasi, ma solo a condizione che non si sia costretti a reagire alle belve(La Bibbia racconta ad esempio la strage dei primogeniti d'Egitto dovuta alla irresponsabile testardaggine del faraone, moralmente responsabile di questa strage, esattamente come moralmente responsabili di Hiroshima furono in primo luogo l'imperatore del Giappone ed i suoi shogun, o come dei disastrosi bombardamenti aerei del nord Italia furono responsabili moralmente i fascisti e nazisti e non inglesi ed americani)

Io credo che in Aristotele vi sia anche "amore", più amore che in molti altri filosofi "amanti" dichiarati, anche se non ne parla esplicitamente, perchè tutta la sua opera è amore per l'umanità e per la vita, oltre che per la propria orgogliosa ricerca della verità.
Ciò detto, è evidente che proprio da Maimonide avremmo potuto aspettarci qualcosa di più, quel qualcosa che ci fa uscire dalla filosofia astratta e ci ributta nell'attività e nella realizzazione di sè intesa, anche ma non solo, come realizzazione della volontà cosmica che chiamiamo Dio.
Nell'uomo la causa finale prioritaria è certamente la realizzazione di sè, quell'entelechia di cui parlava Aristotele come presente in tutte le forme viventi.
Nella Bibbia c'è un di più ed anche un di meno. Alcuni uomini sono chiamati a missioni particolari, davvero per conto di Dio come i Blues Brothers. Tuttavia pur mancando nel vecchio testamento una teoria generale della realizzazione, dobbiamo prendere atto che essa è implicita sia in ciò che Dio dice all'inizio (andate sulla terra e soggiogatela, moltiplicatevi) sia perchè ogni storia di singoli è vista come esemplare, caso particolare di una possibile generalizzazione.
Potremmo dire che ci si può realizzare alla maniera di Abramo, di Isacco e di Giacobbe in quanto ognuno di noi potrebbe essere un Abramo, un Isacco od un Giacobbe, od anche un Giuseppe, un Giuda od un Beniamino. E le donne potrebbero guardare a Ruth, perchè la storia di Ruth è più che esemplare, è davvero storia di donna e di femminilità oltraggiata, anche se raccontata da uomo.
Su questo terreno del diritto all'individualità i punti di contatto tra Aristotele e la "filosofia" degli autori biblici sono forse più immediati di quanto sembrerebbe a prima vista. L'etica problematica di Aristotele si incontra facilmente, ed ovviamente si confronta, con l'etica "discutibile" di un Giacobbe che inganna il padre per ottenere una benedizione fraudolenta ( e se fraudolenta, perchè dovrebbe essere efficace?). Aristotele troverebbe semplicemente discutibile il modo di fare di Giacobbe, ma non credo che il suo giudizio andrebbe oltre il biasimo, per il semplice fatto che l'oggetto stesso del desiderio di Giacobbe, cioè la benedizione del padre, non avrebbe avuto poi la grande importanza che l'uomo arcaico, il "rustico" gli attribuiva.
Il fatto rilevante, tuttavia, è che noi oggi siamo in grado di valutare i comportamenti etici di Giacobbe, di David, di Saul, alla luce di un'etica laica e di norme di "giusto" comportamento che proprio dalle riflessioni aristoteliche prendono le mosse.
I teologi in generale oggi non "giudicano" (nel senso buono ed ammissibile del termine) solo in base alla Bibbia, ma spesso e volentieri anche sui fondamenti di quest'etica. In sostanza si tratta quindi di riconoscere che la filosofia ha trasformato la teologia più di quanto gli stessi teologi avrebbero mai voluto, ed anche senza che quella conciliazione voluta da Maimonide si sia mai realizzata sul piano teorico.
Legge di Dio e filosofia etica di Aristotele si possono incontrare, perchè nei fatti si sono già incontrate.

Si rivela in Maimonide un difetto cronico di tutta la filosofia medioevale, cioè il carattere astratto della logica, il suo essere irrimediabilmente separata dalla vita e dalle vicende umane, pertanto anche dai sentimenti. In una parola ecco perchè la scolastica è "scolastica", ovvero risulta noiosa, irritante ed inconcludente non solo a moltissimi studenti costretti alla filosofia ma anche a molti filosofi.
Per esempio Emanuele Severino la ignora completamente nei suoi manuali di storia della filosofia editi da Rizzoli.
Io, al contrario, credo che la scolastica abbia molto da insegnare per diversi motivi che scopriremo studiando ogni singolo filosofo.
Questo è un giudizio molto personale, ovviamente, e va preso con le dovute cautele. Ma lo spirito di cactus raccomanda sempre due cose:
1) esporre obiettivamente il pensiero altrui curando anche di contestualizzarlo.
2) dare libero sfogo alle proprie impressioni per non restare soffocati dall'ipocrisia ed avviare tutta la dialettica necessaria a lottare per la verità.
Ciò può portare a diversi inconvenienti, ad esempio il risentimento degli studiosi, il biasimo degli accademici e quant'altro.
Chi ha spalle sufficientemente larghe per sopportare ed una buona dose di umiltà per riconoscere gli eventuali errori, può comunque farlo.
Siamo più "liceali" che "accademici", questo lo si sarà compreso! :-)))

Come molti altri filosofi di questo periodo Maimonide avvertì l'esigenza di dimostrare l'esistenza di Dio. Accolse in primo luogo la prova introdotta da Aristotele basata, come si dovrebbe sapere, sul "movimento", cioè sul fatto che occorra un motore affinchè qualcosa si muova ed il motore è Dio, primo motore immobile.
Ma accolse anche quella introdotta dal filosofo arabo Avicenna fondata sulla distinzione tra "possibile" e "necessario".
In breve si tratta di questo: per Avicenna l'essere è un'essenza unica e indeterminata, comune a tutti gli enti, che in fasi successive si determina nelle singole entità.
Per Avicenna tutti gli enti, cioè tutte le cose, gli animali, le piante, che incontriamo sono enti possibili in quanto non hanno in sè la causa della loro esistenza. Perciò devono avere ricevuto l'esistenza da un altro ente.
A sua volta questo ente sarà sia possibile che necessario. Se solo possibile questo avrà per forza di cose ricevuto la sua esistenza da un altro ente, e così via, fino ad incontrare l'essere veramente necessario, cioè Dio, il quale non ha ricevuto la sua esistenza ma l'ha sempre posseduta.
Tra gli argomenti strettamente logici questo è in assoluto il più logico ma, come sappiamo, la scienza moderna lo smentisce in quanto è dimostrato che l'esistenza della vita non dipende da un ente necessario, bensì da un insieme di condizioni irripetibili nello stato dell'universo.
Il che non smentisce la "creazione" di per sè, ma semplicemente riconosce che ci fu un momento che accadde qualcosa di molto particolare, cioè che la materia divenne "vita", originando non "enti", ma forme specifiche di esistenza in vita, embrioni di vita futura molto differenziata.
Ci sarà un "ente" necessario alle spalle di tutto ciò, ovvero un direttore d'orchestra in grado di far cantare la materia e far suonare l'energia?
Lasciamo questa risposta ad altri momenti della ricerca che cactus conduce e rimaniamo sui due argomenti richiamati da Maimonide.
Di certo il più profondo, anche se non il più abbagliante per la sua logica stringente come quello di Avicenna, rimane quello del motore presentato da Aristotele.
Se tutto muove, dice Aristotele, occorre un motore. L'ipotesi è affascinante, ma si può confutare osservando che ogni aggregato di materia, gli elementi della chimica, gli atomi e le particelle della fisica, hanno in sè tanta energia, da poter dire che i motori sono ovunque e che ogni particella è motore. In secondo luogo si può aggiungere che ogni essere vivente è motore autonomo che trae combustibile dalla natura, e che a tutto pensa tranne che a ruotare attorno a Dio per amore:-)))
La dottrina aristotelica del motore, è dunque fisicamente sbagliata, sia alla luce della meccanica classica, sia alla luce della relatività, sia alla luce della quantistica. Credo lo sia anche metafisicamente, e credo anche che la religione dovrebbe sbarazzarsene alla luce di quello che dissero i profeti e più tardi anche Kant. Dio non vuole che gli si ruoti attorno "per amore" facendo piroette e genuflessioni acrobatiche davanti agli altari.
Vuole che si metta in pratica la sua Parola e la sua Giustizia.
Questa dottrina aristelica è veramente metafisica ed in quanto tale, dogmatica, cioè fondata esclusivamente sull'ipse dixit (se lo dice lui...che ha visto cose che voi umani non avete mai visto...)
Qualcuno potrebbe osservare che un fondamento di verità si potrebbe trovare nella legge di gravitazione. Ok. Però se è gravità, non è "amore"!!!
In definitiva anche qui Maimonide farebbe clamorosamente cilecca se guardassimo semplicemente alla storia del pensiero filosofico come ad una dossografia, cioè una storia di opinioni che si succedono in un salotto, tra risate di scherno, lievi scoppi di entusiasmo, subito seguiti da sbadigli o da un caffè ristoratore.
Ma questo modo di fare storia del pensiero è completamente sbagliato. La storia della filosofia ha senso come archeologia del pensiero. Ogni testo filosofico è un reperto archeologico pieno di indizi. Dagli indizi si può pervenire a qualche ipotesi. Con le ipotesi si possono ricucire osservazioni che in qualche modo ci riportano alle intenzioni di chi ha scritto. Le intenzioni mostrano il grado di consapevolezza, cioè il grado di coscienza raggiunto dal filosofo.
Dunque per noi la filosofia non è altro dalla storia del formarsi di una coscienza. Nel caso dei filosofi si tratta di coscienza d'avanguardia, o di retroguardia, a seconda dei casi.
In questo quadro dunque Maimonide non solo non fa cilecca ma, rappresenta uno dei momenti più alti e consapevoli del tentativo di ricucire fede e ragione.
Non a caso il Gilson sottolinea come Maimonide precorra San Tommaso d'Aquino: "Se Maimonide non avesse insegnato una dottrina dell'anima fortemente influenzata da quella di Averroè e che lo conduceva ad una dottrina tutta particolare dell'immortalità, si potrebbe dire che le loro filosofie sono d'accordo su tutti i punti veramente importanti."
Per la verità non tutti, ad esempio in campo politico, come vedremo.

Un altro punto essenziale del pensiero di Maimonide è che egli rifiuta all'uomo il diritto di affermare che Dio abbia attributi.
Di Dio, dice Maimonide con vigore, possiamo solo dire ciò che non è. Scrive Gilson:"Noi di Dio sappiamo ciò che non è, non che cosa egli è, e la sola risorsa che ci resta se vogliamo parlare di lui è di accumulare gli attributo negativi che, negando ogni imperfezione di Dio, ci faranno almeno conoscere ciò che egli non è. Sotto questa dottrina si ritrova la preoccupazione, eminentemente ebraica di eliminare tutto ciò che potrebbe sembrare un attacco anche apparente alla rigorosa e totale unità di Dio."
E' singolare che Gilson accolga queste affermazioni senza cogliere una qualche contraddizione con le affermazioni che Dio fa di sè stesso nella Bibbia.
Nella Bibbia egli dice:" Io sono colui che sono". Pertanto a rigor di logica noi dovremmo comunque accogliere questa affermazione positiva, seguita poi da tutte le altre, cioè: "Io vi ho portato in Egitto, morti di fame, io vi ho tratto dall'Egitto, se no eravate ancor là a prender frustate e costruire piramidi sudando sangue, io vi ho dato la Legge, se no vi scannavate tra voi per niente, ecc... Io sono la vostra guida, e voi mi girate le spalle per adorare idoli, brutti bastardi!" Così si capisce perchè esiste un muro del pianto contro il quale sbattere la capoccia.
Ma se questo è vero, ne viene che quantomeno spetterebbe a Dio l'attributo di salvatore. Questo è il Dio della Legge e dei profeti. Maimonide in sostanza qui fece davvero cilecca incominciando a fare filosofia, o teologia filosofica, cioè cedendo alla tentazione della teologia negativa, che proprio in quanto negativa porterà ai deliri mistici di Meister Echardt ed ad una sostanziale negazione dell'esistenza di Dio. Se Dio è solo non è, cosa è? Niente.
Gli attributi di Dio, che Dio stesso si è dato e ci ha trasmesso attraverso la rivelazione sono questi, pur rimanendo in ambito strettamente vetero testamentario. E un Ebreo ha il dovere di ribadirlo, se vuole rimanere fedele.
Su questo piano non credo ci siano particolari problemi di compatibilità con le teorie aristoteliche, che comunque andrebbero precisate almeno in un punto: tutti gli uomini concorrono alla verità, ma solo Dio è in grado di mostrarla nella sua interezza.

Di un certo interesse è la tesi di Maimonide secondo il quale, in netto contrasto con il filosofo arabo Ibn Gebirol, esistono intelligenze pure non contaminate da materia terrestre, e che inoltre esiste una materia dei corpi celesti diversa da quella dei corpi terrestri.
Qui siamo in piena metafisica non autorizzata da Dio (non ti farai immagine ecc...) e il povero Maimonide sconta l'eccessivo interesse per la filosofia araba. Ma tant'è, una volta iniziato a fantasticare, non la si finisce più...ed è comunque su questa base piuttosto fantasiosa che egli fonda anche la sua teoria dell'immortalità, che si differenzia in modo sensibile da quella di Averroè.
Dunque vediamo come la racconta il Gilson: "Si riconosce l'esistenza di dieci intelligenze, delle quali le nove superiori presiedono le nove sfere e la decima è l'intelletto agente, che esercita la sua diretta influenza su tutti gli uomini. Al di sotto dell'ultima sfera si trova il mondo sublunare che è il luogo dei quattro elementi, sottoposto all'azione delle sfere superiori.. Composto d'un corpo e di un'anima che ne è la forma, l'uomo è dotato di cinque facoltà: nutritiva, sensitiva, immaginativa, appetitiva e intellettiva.
Personalmente egli non possiede in proprio che un'intelletto passivo ed è sotto l'influenza dell'intelletto agente (decima inteligenza, emanata da quella della sfera lunare) che si costituisce in lui come intelletto acquisito.
Ogni uomo acquisice così una specie di capitale intellettuale, variabile secondo il grado dei suoi meriti, che si riunisce all'intelletto agente dopo la morte. Dipende dunque da ciascuno di noi di salvare il più possibile di sè stesso arricchendo il proprio inteletto con l'esercizio della filosofia."

Negare all'uomo un intelletto attivo significa di fatto negargli autonoma capacità di iniziativa nell'apprendimento, il che non quadra affatto con le teorie aristoteliche. Sotto questo profilo purtroppo Maimonide rimane bocciato in psicologia.:-)))
In Aristotele, infatti, la descrizione dell'apprendimento è più complessa. Il nous rende intellegibile la struttura del mondo, ma è l'intelletto individuale che la coglie sia passivamente (facendosi impressionare) sia attivamente (cioè cogliendo, afferrando).

Altri due punti importanti per ricostruire il pensiero di Maimonide sono stranamente omessi dal Gilson. Maimonide si schierò apertamente per la libertà dell'uomo contro la teoria islamica della predestinazione (teoria che è anche presente in qualche passo biblico e che quindi non può essere del tutto rigettata senza un ragionamento "contestuale" del tipo "in che senso e su quale piano sono predestinato ed in che senso sono libero".)
In secondo luogo Maimonide riprende la teoria di Averroè della necessità di un capo religioso e politico insieme, di cui sarebbe modello perfetto la figura biblica di Mosè.
Anche questo tema meriterebbe più di una considerazione perchè Mosè non fu in senso stretto un capo religioso, tant'è vero che la Bibbia racconta che fu suo fratello Aronne a ricevere l'incarico di sacerdote. Mosè, come capo politico, fu semmai costretto dall'esagerata acquiescenza ed indulgenza mostrata da Aronne, nel caso del vitello d'oro, (simbolo di tutte le indebite concessioni che le autorità religiose fanno alla credulità popolare per mantenere il loro potere, quando non sono loro stesse a fomentarla con truffe) ad intervenire energicamente, con sdegno e rabbia contro le degenerazioni del religioso.
Forse tutto l'equivico di cui siamo vittime dall'inizio dell'era cristiana, è pensare che Dio esiga una religione, dimenticando stranamente che Cristo fu messo a morte (con Caifa che si strappava i capelli e le vesti per lo sdegno) per vilipendio della religione( della religione di Caifa e dei suoi scagnozzi). <<Tu dici di essere figlio di Dio!>> <<Tu l'hai detto>> <<Aaaargg!!!>> (saremo allora figli della lupa?)


25 luglio 2000, Guido Marenco - proprietà riservata. Vietato riprodurre totalmente od in parte il contenuto di questo testo senza il permesso dell'autore. guernica@playful.com


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