filosofia |
Moseh Ben Maimon (Mosè Maimonide)
(1135-1204)
di Guido Marenco
Moseh nacque a Cordoba in Spagna il 30 marzo
1135 e visse in varie città spagnole perseguitato
dalle autorità religiose arabe (la Spagna
era allora occupata dagli Arabi) . Dopo un
certo periodo si trasferì in Marocco e successivamente
al Cairo, in Egitto, dove morì nel 1204.
Compose commenti alla Bibbia ed al Talmud
oltre che un testo filosofico intitolato
"Guida dei perplessi". Ovviamente
fu influenzato in grande misura dai filosofi
arabi, in particolare da Avicenna, del quale
riprese punti importanti di dottrina, ma
anche da Averroè, dal quale riprese la dottrina
dell'immortalità dell'intelletto, negando
invece la sopravvivenza metafisica dell'anima.
Di Averroè comunque non riprese la teorizzazione
della doppia verità, ma si sentì anzi sfidato
a mostrare come la tradizione religiosa ebraica
non fosse un cioccolatino propinato al popolino
per tenerlo buono (la filosofia è riservata
ai dotti) ma proprio la Verità.
La "Guida dei perplessi" è un'opera
indirizzata a mostrare la possibilità di
conciliare la fede ebraica con la filosofia
aristotelica.
Siamo quindi fronte ad un nuovo tentativo
di armonizzare fede e ragione con l'evidente
obiettivo di rivalutare la ragione.
Come sempre in questo caso, Maimonide si
trovò ad affrontare sia problemi interni
alla teologia, cioè un sapere derivante dalla
"rivelazione", trasmesso direttamente
da Dio all'uomo attraverso la Bibbia, sia
quelli interni alla filosofia, cioè un sapere
fondato sull'argomentazione, nonchè a trovare
un piano di incontro.
La nostra impressione (che si basa su una
riflessione posteriore di quasi mille anni)
è che il ritratto di Dio che ci fornisce
l'insieme dell'Antico Testamento sia talmente
contraddittorio, che senza un lavoro di pulizia,
oltre che di vera e propria ermeneutica del
testo "contestualizzato", le possibilità
di conciliazione siano oggi ridotte al lumicino.
Lo erano anche allora, ovviamente, ma allora
la ragione non aveva ancora osato la ricerca
di Dio nel modo radicale e problematico tentato
per esempio in questo secolo da Weischedel.
Non che la filosofia stia meglio, intendiamoci,
ma mentre in campo filosofico si possono
comunque trovare argomenti coerenti e contributi
alla verità in quasi tutti i filosofi, persino
nei più assurdi e discutibili, come Berkeley,
Spinoza, Parmenide, ed altri ancora, in ambito
teologico l'accettazione di tutta la Bibbia come Parola di Dio pone problemi
insormontabili.
Basti pensare a questo: tutto il nuovo testamento
si fonda sulla realizzazione di una profezia.
Ciò che Isaia previde, Gesù Cristo lo realizzò.
In altre parole, poichè Isaia non parlo per
sè, ma per conto di Dio, Dio è Colui che
mantiene le promesse. E' questo sarebbe un
motivo più che sufficiente per credere, tant'è
vero che persino uno scettico come Sesto
Empirico, scrisse che un "vero dio è
quello che mantiene le promesse".
Ma se questo è vero, perchè allora fin dalle
prime pagine di Genesi troviamo una sconfessione?
Perchè in sostanza, Dio, dopo avere promesso ad Abramo una discendenza,
ordina allo stesso di sacrificare Isacco?
Dunque gli nega la realizzazione della promessa?
E' per mettere alla prova la sua fede (argomento
da quattro soldi, che comunque è ripreso
in egual misura sia da San Paolo che da San
Giacomo e che tuttora è oggetto di dottrina
teologica) o solo per mettere alla prova
la sua intelligenza, e quindi persino il
suo concetto di Dio?
Non sappiamo rispondere e quindi restiamo
più perplessi che mai:-)))
Ma una delle conseguenze possibili di questa
seconda ipotesi sarebbe che Abramo aveva
un ben miserabile concetto di sè oltre che
un miserabile concetto di Dio. Eseguì l'ordine
con la morte nel cuore, il bravuomo, ma non
oppose la benchè minima resistenza. Neppure
per un istante dubitò di quell'ordine; neppure
un istante osò pensare che Dio era migliore,
infinitamente migliore di quello che diede
quell'ordine infame. Non si fermò per strada
a chieder conto a Dio delle sue contraddizioni.
Non imprecò, non bestemmiò.
Ora tutto ciò potrà apparire santo agli occhi
dei devoti, e di filosofucci da quattro soldi
alla Kierkegaard, ma agli occhi di chi ha
un nobile concetto di Dio (e di sé) la cosa
è squallida e infamante. Tant'è vero che
alla fine Dio si vide costretto ad inviare
un angelo per salvare il malcapitato Isacco,
ma dovette trarre un ben misero bilancio
sul conto dell'uomo che aveva scelto per
perpetuare la missione.
Ora è evidente che non facendo mai i conti
con questo groviglio di contraddizioni, chi
ragiona sul serio non potrà mai essere appagato
da tutta la Bibbia, ma solo da una parte
di essa, eventualmente, cioè da quella ispirata
dalla linea Mosè-Legge-Profeti-realizzazione
della promessa.
Nell'ebreo Maimonide viene persino a mancare
l'ultimo anello della catena, cioè la persuasione
che Dio si sia fatto uomo, sia venuto nella
carne, abbia sofferto ogni sorta di umiliazione,
per salvarci.
Quindi, mancando questa conclusione della
vicenda, tutta la dura verità di questo Dio
bizzoso e lunatico risulta ancora più indigesta.
In questo senso si potrebbe dunque parlare
di "fallimento" di Maimonide perchè
per conciliare sul serio bisogna andare fino
in fondo ai motivi della disputa e della
contraddizione.
Andrei però sempre cauto con giudizi liquidatori.
Il merito di Maimonide sta comunque nell'averci
provato: fede e ragione non sarebbero davvero
incompatibili se, ed a condizione che, sia
la ragione che la teologia fossero davvero
capaci di andare alla radice nel confronto,
mentre a me pare che l'ipocrisia abbia sempre
prevalso, salvo rarissimi casi. Il filosofo
non può toccare argomenti biblici senza il
terrore di una scomunica.
Il teologo può intervenire in ambito filosofico
ma, deve stare bene attento a quello che
dice, onde evitare la pesante ironia dei
baroni.
Hegel trattò Schleiermacher come uno straccio
senza rendersi conto quanto egli stesso fosse
lontano dalla verità mostrata da Kant: si
può anche essere "religiosi" in
modo dignitoso.
Il filosofo cristiano ha sempre affermato
da San Tommaso in poi che laddove fede e
ragione siano in contrasto, la fede ha sempre
ragione. Ciò non è ammissibile, visto cosa
ci tocca digerire. Ma se i risultati della
ragione sono quelli raggiunti da Spinoza,
allora tutto torna in discussione : meglio
sarebbe credere al Dio di Abramo, Isacco
e Giacobbe che a quella mostruosa caricatura
di Dio elaborata da Spinoza.
Chi ragiona dovrebbe in ogni caso porre alla
fede, o meglio ai fedeli, domande precise
del tipo di quelle che ho posto sopra. Solo
così potrebbe venirne quella dialettica in
grado di far luce sugli aspetti più vergognosi
ed inaccettabili della fede. Non che la ragione
non ne abbia, specie in ambito filosofico.
Tutte le elucubrazioni su Dio della modernità,
Kant a parte, da Spinoza a Schelling, da
Hegel allo stesso Schleiemacher, hanno un
che di oltraggioso o per la fede genuina
o per la ragione umana universale. Possibile
che non sia possibile trovare una via "unitaria"
di ricerca?
Impossibile non partire "prevenuti"?
Siamo quasi nel duemilaeuno, forse, chissà...
Torniamo a Maimonide. Egli ebbe il merito
di individuare il primo problema del conflitto
tra la visione ebraica della creazione del
mondo e quella aristotelica. Per la Bibbia
il mondo fu creato da Dio, per Aristotele
il mondo esiste da sempre e Dio è solo un
intellettuale contemplativo attorno al quale
tutto ruota per amore.
Se guardiamo alla sostanza delle cose siamo
di fronte a due posizioni per le quali la
pura ragione non è in grado di decidere,
non disponendo ai tempi di Maimonide di dati
sufficienti ( e credo che anche ai tempi
nostri i dati non siano sufficienti).
Possiamo quindi decidere solo in base ad
una "convenienza" provvisoria.
In cosa ci conviene credere? E anche: forse
è meglio non credere nè a questo, nè a quello
e lasciare la cosa in sospeso.
Ma se le cose stanno così da un punto di
vista logico, noi rimaniamo insoddisfatti
ed amareggiati. Ci viene a mancare qualcosa
di vitale, una risposta ai problemi esistenziali
più veri, quelli che sgorgano dal cuore.
Maimonide risolse il problema dicendo in
sostanza che tra due posizioni dogmatiche
(anche quella di Aristotele in questo caso è dogmatica perchè priva di argomenti empirici)
la ragione può tranquillamente scegliere
la versione biblica, e poi accettare la logica
aristotelica per tutto il resto.
Affermò anche che la scelta era dettata dal
fatto che la dottrina aristotelica dell'esistenza
del mondo dall'eternità era insufficientemente
argomentata. Verissimo. Ma si dimenticò di
ricordare che anche quella ebraica non era
argomentata.
Siamo dunque di fronte ad un modo unilaterale
di risolvere il problema. Un modo che non
è sufficientemente logico e nemmeno sufficientemente
appagante la sfera del sentimento, del sentire
Dio come datore di vita. C'è chi storcerà
il naso di fronte a questo argomento ma credo
sia ora di finirla con il considerare l'uomo
esclusivamente come un animale bipede, politico
e razionale. L'uomo è anche capace di amore,
ne sente il bisogno e spesso sacrifica tutti
i suoi interessi economici ed i suoi egoismi
solo "per amore" del genere umano.
L'animale politico può dunque essere anche
"politico" solo per amore del tutto
disinteressato. E oggi può esserlo anche
riconoscendo che il fine non giustifica i mezzi in nessun
caso, o quasi, ma solo a condizione che non
si sia costretti a reagire alle belve(La Bibbia racconta ad esempio la strage
dei primogeniti d'Egitto dovuta alla irresponsabile
testardaggine del faraone, moralmente responsabile
di questa strage, esattamente come moralmente
responsabili di Hiroshima furono in primo
luogo l'imperatore del Giappone ed i suoi
shogun, o come dei disastrosi bombardamenti
aerei del nord Italia furono responsabili
moralmente i fascisti e nazisti e non inglesi
ed americani)
Io credo che in Aristotele vi sia anche "amore",
più amore che in molti altri filosofi "amanti"
dichiarati, anche se non ne parla esplicitamente,
perchè tutta la sua opera è amore per l'umanità
e per la vita, oltre che per la propria orgogliosa ricerca della verità.
Ciò detto, è evidente che proprio da Maimonide
avremmo potuto aspettarci qualcosa di più,
quel qualcosa che ci fa uscire dalla filosofia
astratta e ci ributta nell'attività e nella
realizzazione di sè intesa, anche ma non solo, come realizzazione della volontà cosmica
che chiamiamo Dio.
Nell'uomo la causa finale prioritaria è certamente
la realizzazione di sè, quell'entelechia
di cui parlava Aristotele come presente in
tutte le forme viventi.
Nella Bibbia c'è un di più ed anche un di
meno. Alcuni uomini sono chiamati a missioni
particolari, davvero per conto di Dio come
i Blues Brothers. Tuttavia pur mancando nel
vecchio testamento una teoria generale della
realizzazione, dobbiamo prendere atto che
essa è implicita sia in ciò che Dio dice
all'inizio (andate sulla terra e soggiogatela,
moltiplicatevi) sia perchè ogni storia di
singoli è vista come esemplare, caso particolare
di una possibile generalizzazione.
Potremmo dire che ci si può realizzare alla
maniera di Abramo, di Isacco e di Giacobbe
in quanto ognuno di noi potrebbe essere un
Abramo, un Isacco od un Giacobbe, od anche
un Giuseppe, un Giuda od un Beniamino. E
le donne potrebbero guardare a Ruth, perchè
la storia di Ruth è più che esemplare, è
davvero storia di donna e di femminilità
oltraggiata, anche se raccontata da uomo.
Su questo terreno del diritto all'individualità
i punti di contatto tra Aristotele e la "filosofia"
degli autori biblici sono forse più immediati
di quanto sembrerebbe a prima vista. L'etica
problematica di Aristotele si incontra facilmente,
ed ovviamente si confronta, con l'etica "discutibile"
di un Giacobbe che inganna il padre per ottenere
una benedizione fraudolenta ( e se fraudolenta,
perchè dovrebbe essere efficace?). Aristotele
troverebbe semplicemente discutibile il modo
di fare di Giacobbe, ma non credo che il
suo giudizio andrebbe oltre il biasimo, per
il semplice fatto che l'oggetto stesso del
desiderio di Giacobbe, cioè la benedizione
del padre, non avrebbe avuto poi la grande
importanza che l'uomo arcaico, il "rustico"
gli attribuiva.
Il fatto rilevante, tuttavia, è che noi oggi
siamo in grado di valutare i comportamenti
etici di Giacobbe, di David, di Saul, alla
luce di un'etica laica e di norme di "giusto"
comportamento che proprio dalle riflessioni
aristoteliche prendono le mosse.
I teologi in generale oggi non "giudicano"
(nel senso buono ed ammissibile del termine)
solo in base alla Bibbia, ma spesso e volentieri
anche sui fondamenti di quest'etica. In sostanza
si tratta quindi di riconoscere che la filosofia
ha trasformato la teologia più di quanto
gli stessi teologi avrebbero mai voluto,
ed anche senza che quella conciliazione voluta da Maimonide si sia mai realizzata
sul piano teorico.
Legge di Dio e filosofia etica di Aristotele
si possono incontrare, perchè nei fatti si
sono già incontrate.
Si rivela in Maimonide un difetto cronico
di tutta la filosofia medioevale, cioè il
carattere astratto della logica, il suo essere
irrimediabilmente separata dalla vita e dalle
vicende umane, pertanto anche dai sentimenti.
In una parola ecco perchè la scolastica è
"scolastica", ovvero risulta noiosa,
irritante ed inconcludente non solo a moltissimi
studenti costretti alla filosofia ma anche
a molti filosofi.
Per esempio Emanuele Severino la ignora completamente
nei suoi manuali di storia della filosofia
editi da Rizzoli.
Io, al contrario, credo che la scolastica
abbia molto da insegnare per diversi motivi
che scopriremo studiando ogni singolo filosofo.
Questo è un giudizio molto personale, ovviamente,
e va preso con le dovute cautele. Ma lo spirito
di cactus raccomanda sempre due cose:
1) esporre obiettivamente il pensiero altrui
curando anche di contestualizzarlo.
2) dare libero sfogo alle proprie impressioni
per non restare soffocati dall'ipocrisia
ed avviare tutta la dialettica necessaria
a lottare per la verità.
Ciò può portare a diversi inconvenienti,
ad esempio il risentimento degli studiosi,
il biasimo degli accademici e quant'altro.
Chi ha spalle sufficientemente larghe per
sopportare ed una buona dose di umiltà per
riconoscere gli eventuali errori, può comunque
farlo.
Siamo più "liceali" che "accademici",
questo lo si sarà compreso! :-)))
Come molti altri filosofi di questo periodo
Maimonide avvertì l'esigenza di dimostrare
l'esistenza di Dio. Accolse in primo luogo
la prova introdotta da Aristotele basata,
come si dovrebbe sapere, sul "movimento",
cioè sul fatto che occorra un motore affinchè
qualcosa si muova ed il motore è Dio, primo
motore immobile.
Ma accolse anche quella introdotta dal filosofo
arabo Avicenna fondata sulla distinzione
tra "possibile" e "necessario".
In breve si tratta di questo: per Avicenna
l'essere è un'essenza unica e indeterminata,
comune a tutti gli enti, che in fasi successive
si determina nelle singole entità.
Per Avicenna tutti gli enti, cioè tutte le
cose, gli animali, le piante, che incontriamo
sono enti possibili in quanto non hanno in sè
la causa della loro esistenza. Perciò devono
avere ricevuto l'esistenza da un altro ente.
A sua volta questo ente sarà sia possibile
che necessario. Se solo possibile questo
avrà per forza di cose ricevuto la sua esistenza
da un altro ente, e così via, fino ad incontrare
l'essere veramente necessario, cioè Dio,
il quale non ha ricevuto la sua esistenza
ma l'ha sempre posseduta.
Tra gli argomenti strettamente logici questo
è in assoluto il più logico ma, come sappiamo,
la scienza moderna lo smentisce in quanto
è dimostrato che l'esistenza della vita non
dipende da un ente necessario, bensì da un
insieme di condizioni irripetibili nello
stato dell'universo.
Il che non smentisce la "creazione"
di per sè, ma semplicemente riconosce che
ci fu un momento che accadde qualcosa di
molto particolare, cioè che la materia divenne
"vita", originando non "enti",
ma forme specifiche di esistenza in vita,
embrioni di vita futura molto differenziata.
Ci sarà un "ente" necessario alle
spalle di tutto ciò, ovvero un direttore
d'orchestra in grado di far cantare la materia
e far suonare l'energia?
Lasciamo questa risposta ad altri momenti
della ricerca che cactus conduce e rimaniamo
sui due argomenti richiamati da Maimonide.
Di certo il più profondo, anche se non il
più abbagliante per la sua logica stringente
come quello di Avicenna, rimane quello del
motore presentato da Aristotele.
Se tutto muove, dice Aristotele, occorre
un motore. L'ipotesi è affascinante, ma si
può confutare osservando che ogni aggregato
di materia, gli elementi della chimica, gli
atomi e le particelle della fisica, hanno
in sè tanta energia, da poter dire che i
motori sono ovunque e che ogni particella
è motore. In secondo luogo si può aggiungere
che ogni essere vivente è motore autonomo
che trae combustibile dalla natura, e che
a tutto pensa tranne che a ruotare attorno
a Dio per amore:-)))
La dottrina aristotelica del motore, è dunque
fisicamente sbagliata, sia alla luce della
meccanica classica, sia alla luce della relatività,
sia alla luce della quantistica. Credo lo
sia anche metafisicamente, e credo anche
che la religione dovrebbe sbarazzarsene alla
luce di quello che dissero i profeti e più
tardi anche Kant. Dio non vuole che gli si
ruoti attorno "per amore" facendo
piroette e genuflessioni acrobatiche davanti
agli altari.
Vuole che si metta in pratica la sua Parola
e la sua Giustizia.
Questa dottrina aristelica è veramente metafisica
ed in quanto tale, dogmatica, cioè fondata
esclusivamente sull'ipse dixit (se lo dice
lui...che ha visto cose che voi umani non
avete mai visto...)
Qualcuno potrebbe osservare che un fondamento
di verità si potrebbe trovare nella legge
di gravitazione. Ok. Però se è gravità, non
è "amore"!!!
In definitiva anche qui Maimonide farebbe
clamorosamente cilecca se guardassimo semplicemente
alla storia del pensiero filosofico come
ad una dossografia, cioè una storia di opinioni
che si succedono in un salotto, tra risate
di scherno, lievi scoppi di entusiasmo, subito
seguiti da sbadigli o da un caffè ristoratore.
Ma questo modo di fare storia del pensiero
è completamente sbagliato. La storia della
filosofia ha senso come archeologia del pensiero.
Ogni testo filosofico è un reperto archeologico
pieno di indizi. Dagli indizi si può pervenire
a qualche ipotesi. Con le ipotesi si possono
ricucire osservazioni che in qualche modo
ci riportano alle intenzioni di chi ha scritto.
Le intenzioni mostrano il grado di consapevolezza,
cioè il grado di coscienza raggiunto dal
filosofo.
Dunque per noi la filosofia non è altro dalla
storia del formarsi di una coscienza. Nel
caso dei filosofi si tratta di coscienza
d'avanguardia, o di retroguardia, a seconda
dei casi.
In questo quadro dunque Maimonide non solo
non fa cilecca ma, rappresenta uno dei momenti
più alti e consapevoli del tentativo di ricucire
fede e ragione.
Non a caso il Gilson sottolinea come Maimonide
precorra San Tommaso d'Aquino: "Se Maimonide
non avesse insegnato una dottrina dell'anima
fortemente influenzata da quella di Averroè
e che lo conduceva ad una dottrina tutta
particolare dell'immortalità, si potrebbe
dire che le loro filosofie sono d'accordo
su tutti i punti veramente importanti."
Per la verità non tutti, ad esempio in campo
politico, come vedremo.
Un altro punto essenziale del pensiero di
Maimonide è che egli rifiuta all'uomo il
diritto di affermare che Dio abbia attributi.
Di Dio, dice Maimonide con vigore, possiamo
solo dire ciò che non è. Scrive Gilson:"Noi
di Dio sappiamo ciò che non è, non che cosa
egli è, e la sola risorsa che ci resta se
vogliamo parlare di lui è di accumulare gli
attributo negativi che, negando ogni imperfezione
di Dio, ci faranno almeno conoscere ciò che
egli non è. Sotto questa dottrina si ritrova
la preoccupazione, eminentemente ebraica
di eliminare tutto ciò che potrebbe sembrare
un attacco anche apparente alla rigorosa
e totale unità di Dio."
E' singolare che Gilson accolga queste affermazioni
senza cogliere una qualche contraddizione
con le affermazioni che Dio fa di sè stesso
nella Bibbia.
Nella Bibbia egli dice:" Io sono colui
che sono". Pertanto a rigor di logica
noi dovremmo comunque accogliere questa affermazione
positiva, seguita poi da tutte le altre,
cioè: "Io vi ho portato in Egitto, morti
di fame, io vi ho tratto dall'Egitto, se
no eravate ancor là a prender frustate e
costruire piramidi sudando sangue, io vi
ho dato la Legge, se no vi scannavate tra
voi per niente, ecc... Io sono la vostra
guida, e voi mi girate le spalle per adorare
idoli, brutti bastardi!" Così si capisce
perchè esiste un muro del pianto contro il
quale sbattere la capoccia.
Ma se questo è vero, ne viene che quantomeno
spetterebbe a Dio l'attributo di salvatore.
Questo è il Dio della Legge e dei profeti.
Maimonide in sostanza qui fece davvero cilecca
incominciando a fare filosofia, o teologia
filosofica, cioè cedendo alla tentazione
della teologia negativa, che proprio in quanto
negativa porterà ai deliri mistici di Meister
Echardt ed ad una sostanziale negazione dell'esistenza
di Dio. Se Dio è solo non è, cosa è? Niente.
Gli attributi di Dio, che Dio stesso si è
dato e ci ha trasmesso attraverso la rivelazione
sono questi, pur rimanendo in ambito strettamente
vetero testamentario. E un Ebreo ha il dovere
di ribadirlo, se vuole rimanere fedele.
Su questo piano non credo ci siano particolari
problemi di compatibilità con le teorie aristoteliche,
che comunque andrebbero precisate almeno
in un punto: tutti gli uomini concorrono
alla verità, ma solo Dio è in grado di mostrarla
nella sua interezza.
Di un certo interesse è la tesi di Maimonide
secondo il quale, in netto contrasto con
il filosofo arabo Ibn Gebirol, esistono intelligenze
pure non contaminate da materia terrestre,
e che inoltre esiste una materia dei corpi
celesti diversa da quella dei corpi terrestri.
Qui siamo in piena metafisica non autorizzata
da Dio (non ti farai immagine ecc...) e il
povero Maimonide sconta l'eccessivo interesse
per la filosofia araba. Ma tant'è, una volta
iniziato a fantasticare, non la si finisce
più...ed è comunque su questa base piuttosto
fantasiosa che egli fonda anche la sua teoria
dell'immortalità, che si differenzia in modo
sensibile da quella di Averroè.
Dunque vediamo come la racconta il Gilson:
"Si riconosce l'esistenza di dieci intelligenze,
delle quali le nove superiori presiedono
le nove sfere e la decima è l'intelletto
agente, che esercita la sua diretta influenza
su tutti gli uomini. Al di sotto dell'ultima
sfera si trova il mondo sublunare che è il
luogo dei quattro elementi, sottoposto all'azione
delle sfere superiori.. Composto d'un corpo
e di un'anima che ne è la forma, l'uomo è
dotato di cinque facoltà: nutritiva, sensitiva,
immaginativa, appetitiva e intellettiva.
Personalmente egli non possiede in proprio
che un'intelletto passivo ed è sotto l'influenza
dell'intelletto agente (decima inteligenza,
emanata da quella della sfera lunare) che
si costituisce in lui come intelletto acquisito.
Ogni uomo acquisice così una specie di capitale
intellettuale, variabile secondo il grado
dei suoi meriti, che si riunisce all'intelletto
agente dopo la morte. Dipende dunque da ciascuno
di noi di salvare il più possibile di sè
stesso arricchendo il proprio inteletto con
l'esercizio della filosofia."
Negare all'uomo un intelletto attivo significa
di fatto negargli autonoma capacità di iniziativa
nell'apprendimento, il che non quadra affatto
con le teorie aristoteliche. Sotto questo
profilo purtroppo Maimonide rimane bocciato
in psicologia.:-)))
In Aristotele, infatti, la descrizione dell'apprendimento
è più complessa. Il nous rende intellegibile
la struttura del mondo, ma è l'intelletto
individuale che la coglie sia passivamente
(facendosi impressionare) sia attivamente
(cioè cogliendo, afferrando).
Altri due punti importanti per ricostruire
il pensiero di Maimonide sono stranamente
omessi dal Gilson. Maimonide si schierò apertamente
per la libertà dell'uomo contro la teoria
islamica della predestinazione (teoria che
è anche presente in qualche passo biblico
e che quindi non può essere del tutto rigettata
senza un ragionamento "contestuale"
del tipo "in che senso e su quale piano
sono predestinato ed in che senso sono libero".)
In secondo luogo Maimonide riprende la teoria
di Averroè della necessità di un capo religioso
e politico insieme, di cui sarebbe modello
perfetto la figura biblica di Mosè.
Anche questo tema meriterebbe più di una
considerazione perchè Mosè non fu in senso
stretto un capo religioso, tant'è vero che
la Bibbia racconta che fu suo fratello Aronne
a ricevere l'incarico di sacerdote. Mosè,
come capo politico, fu semmai costretto dall'esagerata
acquiescenza ed indulgenza mostrata da Aronne,
nel caso del vitello d'oro, (simbolo di tutte
le indebite concessioni che le autorità religiose
fanno alla credulità popolare per mantenere
il loro potere, quando non sono loro stesse
a fomentarla con truffe) ad intervenire energicamente,
con sdegno e rabbia contro le degenerazioni
del religioso.
Forse tutto l'equivico di cui siamo vittime
dall'inizio dell'era cristiana, è pensare
che Dio esiga una religione, dimenticando
stranamente che Cristo fu messo a morte (con
Caifa che si strappava i capelli e le vesti
per lo sdegno) per vilipendio della religione( della religione di Caifa e dei suoi scagnozzi).
<<Tu dici di essere figlio di Dio!>>
<<Tu l'hai detto>> <<Aaaargg!!!>>
(saremo allora figli della lupa?)
25 luglio 2000, Guido Marenco - proprietà riservata. Vietato riprodurre totalmente od in parte il contenuto di questo testo senza il permesso dell'autore. guernica@playful.com