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Pierre-Simon de Laplace ( 1746 -1827 )
Laplace nacque nel 1746, da genitori che
erano modesti agricoltori, a Beumont-en-Auge.
A 22 anni giunse a Parigi e venne in contatto
con gli ambienti scientifici e gli enciclopedisti.
L'appoggio di D'Alambert fu fondamentale
per i suoi studi ed un immediato inserimento
nella società culturale parigina. La sua
educazione era avvenuta in un'Accademia militare,
in un clima di ferrea disciplina formale
e mentale, arido sotto il profilo sentimentale,
ma nemmeno troppo stimolante sotto il profilo
intellettuale. Laplace dovette metterci molto
di sè; era già nato con molti handicap sociali,
e se la vita fosse simile ad una corsa di
cavalli, si potrebbe dire che, pur essendosi
trovato subito lontano dalla pole position,
ebbe una partenza bruciante.
L'importanza di Laplace come fisico e come
filosofo della scienza
L'importanza di Laplace nella storia della
scienza e del pensiero filosofico è strettamente
legata al fatto che egli sia diventato il
determinista per antonomasia, ovvero il sostenitore del
carattere di prevedibilità che deve avere la teoria scientifica, perchè
essa enuncia leggi che corrispondono ad un
comportamento necessario degli oggetti fisici.
In sostanza, esiste un ben preciso ambito, non solo del ragionamento, ma anche della
realtà, nel quale non solo è ultragiustificato l'atteggiamento
determinista, ma sarebbe del tutto illogico
predicare l'opposto, ovvero un indetermismo
secondo il quale è possibile che l'acqua
posta in un recipiente sul fuoco non bolla,
o la bistecca posta sulla griglia arroventata
non cuocia, a meno che non si verifichino
eventi che impediscono il normale corso delle
cose. Le macchine costruite dall'uomo secondo
ben noti principi fisici e e meccanici devono funzionare, ed anche i guasti dovuti all'usura
o ad un difetto di costruzione, sono prevedibili.
In medicina pratica è, del resto, altamente
improbabile che una ferita non si rimargini,
o che un raffreddore ed un'influenza non
passino da sè, solo con il caldo ed il riposo.
Questa convinzione era già alla base della
natura vis medicatrix della medicina ippocratica, prima che Galeno
rivoluzionasse tutto il sistema con la teorizzazione
dell'indispensabilità dei farmaci. Ma anche
il farmaco è di per sè legato ad una speranza
determinista; a ben vedere è ancora più determinista
della natura vis medicatrix.
Non vi dovrebbe essere alcun dubbio, pertanto,
che progresso scientifico e atteggiamento
determinista siano fratelli gemelli almeno
fino al secolo appena trascorso.
Il merito indubbio di Laplace fu quello di
estendere l'atteggiamento determinista, in
ambito fisico, ad aspetti della realtà non
sufficientemente toccati dall'esperienza
comune.
Laplace, come vedremo, fu sempre convinto
che la legge di gravitazione universale scoperta
da Newton non solo spiegava la struttura
dell'universo, ma arrivava a spiegare il
motivo per cui gli oggetti fisici, per così
dire, stavano insieme e parevano animati
da una ferrea coesione materiale. Al livello
delle strutture molecolari costituenti la
materia, si aveva un corrispondente della legge
di gravitazione, ovvero una legge di attrazione
tra le molecole.
L'altro evento che lo rese famoso fu quello
della formalizzazione della teoria della
formazione del sistema solare da una nebulosa
originaria, mentre, in ambito matematico,
ma in funzione della teoria fisica, egli
introdusse metodi dotati di grande potenza
di calcolo, quali la trasformazione di Laplace, ovvero l'equazione di Laplace, e l'abbozzo
del calcolo delle probabilità, ovvero un tentativo di passare dal più
disarmante indeterminismo su questioni ripetto
alle quali, prima, non si poteva che ammettere l'impossibilità
di prevedere, ad un atteggiamento di relativa capacità di prevedere.
Recentemente, Bernard Bru, docente all'Université
René Descartes, in una memoria intitolata
Laplace probabilista, pubblicata nei Quaderni de Le Scienze, n 98, ottobre 1997, ha reinquadrato con
grande lucidità la questione probabilismo di Laplace e conviene dare un'occhiata allo
scritto.
« La Natura non si sbaglia mai; essa
non gioca, non sceglie. Essa fissa la successione
"necessaria" degli avvenimenti,
per quanto piccoli siano. Il fine precipuo
della scienza consiste nel precisare questa
determinazione sottomettendola al calcolo,
e solo l'analisi (determinista) può contribuire
a ciò.
Attenendosi a questa osservazione, si conclude
facilmente che Laplace non abbia compreso
l'importanza della statistica nelle scienze,
accecato da quelle "grandi leggi della
Natura" che secondo lui avrebbero determinato
la successione degli eventi più infimi, come
la legge di Newton della gravitazione universale
determina le rivoluzioni dei pianeti intorno
al Sole. Il fatto che Laplace non abbia compreso
il ruolo del caso nella Natura, sarebbe di
per sè il male minore. Ciò che talvolta gli
si rimprovera è piuttosto di avere instradato,
grazie alla sua immensa autorità scientifica,
il corso delle scienze nella via determinista
da cui solo con molta fatica esso si sarebbe
affrancato all'inizio del XX secolo. Si fustiga
così questo determinismo laplaciano, ristretto
e retrogrado, che avrebbe modellato a propria
immagine tutta la fisica matematica, particolarmente
in Francia.
Questa visione dell'opera di Laplace è erronea.
Se è vero che la scuola laplaciana ha privilegiato
l'approccio meccanicista, essa è nondimeno
all'origine dell'approccio statistico delle
scienze dure, fisiche e biologiche, approccio
che non consiste nell'esprimere le proprie
convinzioni sulla Natura, ma a osservarlo,
descriverlo e comprenderlo. Nella sua opera
probabilista, è Laplace stesso a porre le
basi di tale approccio statistico. »
Il bello di questo articolo è che esso si
conclude con una affermazione lapidaria:
"La natura è sottomessa alle leggi del
caso." Affermazione che Laplace non
avrebbe certamente condiviso e che uno dei
più lucidi e conseguenti eredi di Laplace,
il matematico Renè Thom, ha più volte contestato,
al biologo Monod ed ad altri, con pregevoli
argomentazioni. Dire chi abbia ragione non
è scopo di questa scheda informativa.
Tuttavia sarebbe sempre bene precisare che
quando si parla di caso, si parla sempre di una dimensione selezionata
e ristretta della realtà, rispetto alla quale
è accaduto un evento le cui ragioni non si
possono trovare nel sistema descritto, ma
solo al di fuori di questa area ristretta,
oppure al di sopra o al di sotto del livello
e del modello di descrizione scelto. E' un
caso che un uccello entri nel motore di un
aereo e lo faccia sfracellare al suolo. Ma
non si può dire che questo caso fosse imprevedibile.
Per Thom, ad esempio, finchè si rimane nell'indescrivibile,
è ovvio che tutto è casuale. Ma nel momento
stesso in cui emerge dall'indescrivibile
il descrivibile, nella nostra testa, ovvero
una linea di ragionamento in grado di spiegare
perchè un cavallo brocco ha vinto una corsa
battendo fior di rivali, parlare di caso
è semplicemente un assurdo. Il caso esiste
solo perchè siamo ignoranti. E nella fattispecie
del cavallo brocco vincitore, una volta stabilito
che tutti gli altri concorrenti sono andati
meno velocemente del normale, si potrà legittimamente
sospettare che la corsa sia stata truccata,
mentre nel caso che il nostro brocco sia
andato molto più veloce del suo standard,
altrettanto più logicamente potremmo sospettare
che fosse imbottito di pillole dopanti.
Il determinismo di questo tipo ha sempre
fornito modelli più che attendibili per il
sospetto, e dunque per la ricerca della verità.
Ciò detto, occorre tuttavia prendere atto
che una parte della scienza moderna ha decisamente
imboccato la via del probabilismo e che è
nata un'epistemologia indeterminista che
ha il suo fulcro nel pensiero di K.Popper.
Ciò non significa, ovviamente, che la realtà
sia in sè determinista, o all'opposto, indeterminista.
Significa solo che il nostro approccio ad
essa può gradualmente passare da un indeterminismo
totale, infantile, animistico (oserei dire
religioso e superstizioso) ad una forma mentale
nella quale la nostra stessa conoscenza,
forte di sensate esperienze e strumenti di
calcolo, può articolarsi sia per certezze
che per sensate e probabili previsioni, riservando
all'incertezza nientaltro che il suo ruolo
logico: non solo l'irruzione dell'imprevedibile,
ma anche la certezza di non sapere come andranno
certe cose, ed anche di temere che esse andranno
male.
Ciò su cui varrebbe sempre la pena di essere
indeterministi ( nel senso di sentirsi ignoranti)
è dunque il futuro che ci riguarda, come
singoli, come gruppi, come nazioni, non il
futuro della Terra in quanto terra, o dell'Universo
in quanto universo: su queste cose si tratta
solo di estendere le nostre conoscenze secondo
l'ideale propugnato da Laplace. Non avremo
mai certezze al mille per mille, ma nemmeno
avremo la più totale ignoranza.
Grande opportunista, incapace come politico,
talentuoso come scienziato
E' certamente rilevante notare come Laplace
sia appartenuto ad una generazione che aveva
prodotto dei veri talenti matematici: Lagrange
era nato nel 1736; Gaspard Monge nel 1746,
Legendre nel 1752 e Lazare Carnot nel 1753.
E il gruppo si potrebbe allargare al filosofo
Condorcet, nato nel 1743, grande appassionato
di matematica ed importante sostenitore del
progetto di riforma del sistema scolastico
francese dopo la rivoluzione.
Dalla biografia di Laplace possiamo intendere
che distribuì le proprie forze tra studi
scientifici ed attività politica e governativa,
passando tra l'altro indenne tra diversi
e repentini cambiamenti rivoluzionari: sopravvisse,
al contrario di Condorcet, al periodo del
terrore giacobino; sopravvisse alla caduta
dei giacobini e coesistette al direttorio
di cui fu membro anche Carnot; poi entrò
nelle grazie di Napoleone; infine sopravvisse
anche alla rovinosa caduta di Napoleone e divenne
persino marchese nel 1817, terminando la
propria vita come sostenitore di Luigi VIII,
re di Francia.
Nel 1773 era entrato nell'Accademia parigina
delle scienze e nel 1796 ne divenne presidente.
Sempre nel 1773 diede un'importante contributo
allo sviluppo della matematica con la cosiddetta
trasformazione di Laplace, un'operazione funzionale analoga alla trasformazione
di Fourier, ma probabilmente più importante.
Si tratta infatti di un'applicazione possibile
a tutti i generi. Un'equazione differenziale
lineare a coefficienti costanti può venire
ridotta a un'equazione algebrica lineare
nella trasformata della funzione incognita.
Da qui è poi possibile risalire, senza troppe
difficoltà, alla cosiddetta funzione generatrice.
Durante il periodo del terrore mantenne contatti
con scienziati considerati sospetti dal regime,
e non è escluso che corse anche qualche rischio,
presentendo in più di un'occasione il gelido
contatto tra il suo collo e la sottile lama
della ghigliottina, ma il suo opportunismo,
nonchè i meriti scientifici acquisiti, gli
consentirono di navigare a vista fino alla
fine dell'incubo.
Quando più tardi Napoleone lo fece ministro
della Pubblica Istruzione, sembra che egli
non riuscì a dimostrare una particolare attitudine
per la carica. Lo stesso Napoleone fece sul
suo conto una battuta sarcastica: "Laplace
ha introdotto lo spirito dell'infinitamente
piccolo negli affari di stato."
Non geniale come politico, Laplace si rivelò
tuttavia ai limiti del geniale come scienziato.
« I lavori di Laplace - scrive Carl
B. Boyer - comportavano una considerevole
applicazione dell'analisi superiore. Tipico
sotto questo profilo, era il suo studio sulle
condizioni di equilibrio di una massa fluida
in rotazione, argomento da lui considerato
in relazione all'ipotesi cosmologica della
nebulosa come origine del sistema solare
[...] Secondo la teoria di Laplace, il sistema
solare si sarebbe formato a partire da un
globo gassoso, o nebula, incandescente ruotante
intorno al proprio asse. Raffreddandosi,
questo globo si sarebbe contratto, causando
una rotazione sempre più rapida per effetto
della conservazione del momento angolare,
fino a che dalla superficie esterna si sarebbero
staccati uno dopo l'altro diversi anelli
di materia che, condensandosi, avrebbero
formato i pianeti. Il Sole, ruotante su stesso,
costituirebbe il nucleo centrale rimanente
della nebula.»
Ovviamente l'idea della nebulosa originaria
non era affatto originale; prima di Laplace
erano già intervenuti Thomas Wright e Immanuel
Kant; tuttavia Laplace, nel Trattato della meccanica celeste aveva saputo dare una formulazione matematica
alla teoria.
Ma prima del Trattato, composto in un ampio ventaglio di anni,
con l'ultimo volume pubblicato solo nel 1825,
Laplace aveva scritto, e pubblicato nel 1796,
L'exposition du système du monde, testo nel quale egli espose anche la sua
filosofia della scienza, ovvero la sua concezione
di ricerca scientifica.
« Secondo Laplace - scrive Enrico Bellone
- la conoscenza era fondata sulla possibilità
di interpretare i fenomeni, osservabili in
natura, alla stregua di conseguenze matematiche
di un ristretto gruppo di leggi. Di qui discendeva,
a suo avviso, il ruolo centrale della matematica
e dell'astronomia. La matematica consentiva
infatti di enunciare i problemi mediante
apparati formali rigorosi e l'astronomia
era un modello per l'impresa scientifica
in quanto le leggi del moto erano controllabili
con particolare precisione negli spazi celesti.
L'astronomia, intesa come teoria del sistema
mondo, era una scienza che secondo Laplace
godeva di privilegi specifici. I suoi progressi
avevano infatti consentito di abbracciare
gli stati passati e futuri dell'intero universo
e di giungere alla comprensione del principio
dal quale tutti i fenomeni dipendono: il
principio della gravitazione. A partire da
quest'ultimo era possibile, con la matematica,
ridiscendere sino alla spiegazione completa
di tutti i fenomeni celesti, fino alle loro
più piccole particolarità.»
Ed ora, già che ci siamo, guardiamo proprio
a queste piccole particolarità nell'esposizione che ne fa Laplace, avvisando
che Laplace parla qui di molecole di luce, secondo la vecchia teoria newtoniana della
composizione corpuscolare della luce, che
si sarebbe dimostrata sbagliata, almeno in
parte, visto che i quanti di luce, ovvero i fotoni della scienza contemporanea, possono essere
descritti sia sotto la forma di un modello
ondulatorio che sotto quella di un modello
corpuscolare.
La materia è soggetta all'impero delle forze
attrattive
« L'attrazione -scrisse Laplace - sparisce
tra i corpi di una grandezza poco considerevole:
essa riappare nei loro elementi sotto un'infinità
di forme. La solidità, la cristallizzazione,
la rifrazione della luce, il sollevamento
e l'abbassamento dei liquidi negli spazi
capillari, e in generale tutte le combinanzioni
chimiche sono il risultato di forze la cui
conoscenza è uno dei principali obiettivi
dello studio della natura. Così la materia
è soggetta all'impero di diverse forze attrattive:
una di esse, estendendosi indefinitamente
nello spazio, regge i movimenti della terra
e dei corpi celesti; tutto ciò che riguarda
la costituzione intima delle sostanze che
li compongono dipende principalmente dalle
altre forze la cui azione è sensibile solo
a distanze impercettibili. E' quasi impossibile,
per questa ragione, conoscere le leggi della
loro variazione con la distanza; fortunatamente,
la proprietà di essere sensibili soltanto
assai vicino al contatto basta per sottomettere
all'Analisi un gran numero di fenomeni interessanti
che ne dipendono. Passo qui a presentare
brevemente i risultati principali di quest'analisi,
e completare così la teoria matematica di
tutte le forze attrattive della natura.
Si è visto nel Libro I che un raggio luminoso,
passando dal vuoto in un mezzo trasparente,
si inflette in modo che il seno dell'angolo
di incidenza e quello dell'angolo di rifrazione
hanno un rapporto costante. Questa legge
fondamentale della diottrica è il risultato
dell'azione del mezzo sulla luce, supponendo
che questa azione è sensibile solo a distanze
percettibili. Concepiamo in effetti, il mezzo
limitato da una superficie piana; è evidente
che una molecola di luce, prima di attraversarla,
è ugualmente attratta da tutti lati rispetto
alla perpendicolare di questa superficie,
poichè ad una distanza sensibile dalla molecola
vi è da tutti i lati lo stesso numero di
molecole attiranti; la risultante delle loro
azioni è dunque diretta secondo questa perpendicolare.
Dopo essere penetrata nel mezzo, la molecola
di luce continua ad essere attirata secondo
una perpendicolare alla superficie, e se
si immagina il mezzo diviso in strati paralleli
a questa superficie e di uno spessore infinitamente
piccolo, si vedrà che, essendo l'attrazione
degli strati superiori alla molecola attirata
distrutta dall'attrazione di un numero uguale
di strati inferiori, la molecola di luce
è attirata esattamente come lo era alla stessa
distanza dalla superficie, prima di attraversarla;
l'attrazione che essa subisce è dunque insensibile,
quando è penetrata sensibilmente nel mezzo
trasparente, e il suo movimento diviene allora
uniforme e rettilineo.» (da Exposition du système du monde, in P.S. Laplace, Ouvres, Tome VI, Paris, Gauthiers-Villars, pp.
349-350 - trad. it di Arcangelo Rossi - pubblicata
in Materia ed energia - antologia di testi - Feltrinelli, Milano
1978)
Questo passo mostra di quanto ci si possa
sbagliare muovendo da una assiomatizzazione
errata, in questo caso muovendo dal principio
che la luce, composta di molecole, è attirata
da forze analoghe a quella di gravità. .
L'errore di Laplace è tuttavia spiegabile
con la particolare venerazione che ancora
un secolo dopo si portava a Newton, l'ipse dixit del '600. Già Huygens aveva avanzato l'ipotesi
di una natura ondulatoria della luce, ma
la sua interpretazione rimase minoritaria,
come spesso succede, e fu solo grazie a Fresnel
ed Thomas Young, un medico di professione
e fisico dilettante per passione, che la
teoria della luce come onda venne ad imporsi.
Ma in Laplace, rispetto a Newton e rispetto
alla trattazione settecentesca della teoria
matematica dell'ottica, c'era anche qualcosa
di nuovo. Nelle note che accompagnano il
testo di Laplace tradotto in italiano, Angelo
Baracca & Arcangelo Rossi scrivono: «1)
la rinuncia a congetturare leggi di variazione
con la distanza delle forze di attrazione
molecolare in assenza di esperienze precise;
2) la derivazione della variazione costante
della velocità della luce nel passaggio da
un dato mezzo ad un altro dal principio di
conservazione delle forze vive, secondo un
punto di vista "energetico". Come
già in Lagrange, ancora su un piano puramente
matematico, il principio di conservazione
delle forze vive diviene cioè uno strumento
di deduzione liberato il più possibile da
implicazioni metafisiche e ipotesi su meccanismi
inosservabili, e tale da giustificare a sua
volta, e non già per presupporre, quel principio
di minima azione, cui erano invece legate
in particolare nel passato le discussioni
metafisiche. Tali punti di vista nuovi vengono
però ancora conciliati in Laplace con quella
concezione corpuscolare che portava alla
conclusione, rivelata poi empiricamente incosistente
da L. Foucault nel 1850, della maggiore velocità
della luce, perchè maggiormente attratta,
in un mezzo più denso che in uno meno denso.»
Proseguendo la lettura del testo laplaciano,
si ricava la netta sensazione di quanto egli
fosse ancora del tutto fedele alle impostazioni
newtoniane, condivise peraltro dai chimici
Berthollet e Gay-Lussac.
« L'attrazione molecolare è la causa
dell'aggregazione delle molecole omogenee
e della solidità dei corpi. Essa è la fonte
delle affinità delle molecole eterogenee.
Simile alla pesantezza, non si arresta affatto
alla superficie dei corpi, ma la penetra,
agendo al di là del contatto a distanze impercettibili:
è ciò che i fenomeni capillari mostrano con
evidenza. Da ciò dipende l'influenza delle
masse nelle affinità chimiche, o questa capacità
di saturazione di cui Berthollet ha così
felicemente sviluppato gli effetti. Così
due acidi, agendo sulla stessa base, se la
spartiscono in ragione della loro affinità
con essa; ciò che non avrebbe affatto luogo,
se l'affinità agisse solo per contatto; poichè
allora l'acido più potente riterrebbe l'intera
base. La figura delle molecole, l'elettricità,
il calore, la luce ed altre cause, combinandosi
con questa legge generale, ne modificano
gli effetti. Alcune esperienze di Gay-Lussac
sui fenomeni capillari delle mescolanze formate
di proporzioni diverse di acqua ed alcool
sembrano indicare queste modificazioni; infatti
questi fenomeni non seguono affatto esattamente
le leggi che risultano dalle attrazioni reciproche
dei due fluidi mescolati insieme e dai pesi
specifici.
Si presenta qui una questione interessante.
La legge di attrazione molecolare relativa
alle distanze è la stessa per tutti i corpi?
Ciò sembra risultare dal fenomeno generale
osservato da Richter, e che consiste nel
fatto che i rapporti tra le basi che saturano
un acido sono gli stessi per tutti gli acidi;
in questo caso, la legge della capillarità
è la stessa per tutti i liquidi.
Le molecole di un corpo solido hanno la posizione
nella quale la loro resistenza a un mutamento
di stato è massima. Ogni molecola, quando
è infinitesimalmente spostata da questa posizione,
tende a ritornarvi in virtù delle forze che
la sollecitano. Ciò costituisce l'elasticità
di cui si può supporre che tutti i corpi
siano dotati, quando si muta di pochissimo
la loro figura. Ma quando lo stato reciproco
delle molecole subisce un mutamento considerevole,
queste molecole ritrovano nuovi stati di
equilibrio stabile, come capita ai metalli
battuti a freddo e in generale ai corpi che
per la loro mollezza sono suscettibili di
conservare tutte le forme che si danno loro
premendoli. La durezza e la viscosità dei
corpi mi sembra non sia altro che la resistenza
delle molecole a questi cambiamenti di stato
d'equilibrio. Essendo la forza espansiva
del calore opposta alla forza attrattiva
delle molecole , essa diminuisce sempre più
la loro viscosità o la loro aderenza reciproca
per i suoi incrementi successivi, e quando
le molecole di un corpo oppongono solo una
resistenza assai leggera ai loro spostamenti
reciproci al suo interno e alla sua superficie,
esso diviene liquido. Ma la sua viscosità,
per quanto assai debole, sussiste ancora
finchè, per un incremento di temperatura,
diviene nulla o insensibile. Allora, ritrovando
ogni molecola in tutte le sue posizioni le
stesse forze attrattive e la stessa forza
repulsiva del calore, essa cede alla più
leggera pressione e il liquido gode della
più perfetta fluidità. Si può verisimilmente
congetturare che ciò ha luogo per i liquidi
che, come l'alcool, hanno una temperatura
assai superiore a quella a cui cominciano
congelare. E' in questi liquidi che si osservano
con esattezza le leggi dei fenomeni capillari,
come quelle dell'equilibrio e del movimento
dei fluidi; poichè le forze da cui dipendono
i fenomeni capillari sono così piccole che
l'ostacolo più leggero, come la viscosità
dei liquidi e il loro attrito contro le pareti
del recipiente, basta per modificarne sensibilmente
gli effetti. L'influenza della figura delle
molecole è assai notevole nei fenomeni del
congelamento e della cristallizzazione, tanto
che questi si rendono assai più rapidi immergendo
nel liquido un pezzo di ghiaccio o di cristallo
formato dallo stesso liquido, le molecole
della superficie di questo solido presentandosi
alle molecole liquide che le toccano nella
situazione più favorevole alla loro unione
con esse. Si comprende che l'influenza della
figura, quando aumenta la distanza, deve
decrescere ben più rapidamente della stessa
attrazione. E' così che, nei fenomeni celesti
che dipendono dall figura dei pianeti, come
il flusso e il riflusso del mare e la precessione
degli equinozi, questa influenza decresce
in ragione del cubo della distanza, mentre
l'attrazione diminuisce solo in ragione del
quadrato della distanza.
Sembra dunque che lo stato solido dipenda
dall'attrazione delle molecole, combinata
con la loro figura, di modo che un acido,
per quanto eserciti su una base un'attrazione
a distanza minore che su un'altra base, si
combina e cristalllizza di preferenza con
essa se, per la forma delle sue molecole,
il suo contatto con questa base è più intimo.
L'influenza della figura, ancora sensibile
nei fluidi viscosi, è nulla in quelli che
godono di una fluidità completa. Infine tutto
porta a credere che, nello stato gassoso,
non solo l'influenza della figura delle molecole,
ma anche quella delle loro forze attrattive
è insensibile in rapporto alla forza repulsiva
del calore. Queste molecole non sembrano
allora nient'altro che un ostacolo all'espansione
di questa forza; perchè si può in un gran
numero di casi, senza cambiare la tensione
di un gas contenuto in uno spazio dato, sostituire
a molte delle sue parti parti di un altro
gas, di eguale volume. E' la ragione per
cui diversi gas messi a contatto finiscono
finiscono alla lunga per mescolarsi in modo
uniforme; perchè solo allora sono in uno
stato di equilibrio stabile. Se uno di questi
gas è vapore, l'equilibrio è stabile soltanto
nel caso che questo vapore disseminato sia
in quantità uguale o minore di quella dello
stesso vapore che si spargesse, alla stessa
temperatura, in uno spazio vuoto uguale a
quello che occupa la mescolanza. Se il vapore
è in quantità maggiore, l'eccesso deve, per
la stabilità dell'equilibrio, condensarsi
sotto forma liquida.» (da Exposition du système du monde, in P.S. Laplace, Ouvres, Tome VI, Paris, Gauthiers-Villars, pp349-350,
388-390 - trad. it di Arcangelo Rossi - pubblicata
in Materia ed energia - antologia di testi - Feltrinelli, Milano
1978)
Il lettore contemporaneo, abituato a ragionare
per quanto attiene il mondo microscopico
in termini di legami chimici, di scambi di
elettroni ed orbitali liberi, troverà forse
ingenue e superate queste osservazioni laplaciane;
del resto è così: esse appartengono ad un
modello descrittivo di scienza non più attuale,
e mostrano che il sapere scientifico non
è cumulativo, ma selettivo, che le teorie
meno soddisfacenti vengono accantonate e
perfino dimenticate, e che potrebbe persino
provocare una certa confusione il sottoporre
queste letture a giovani impegnati nello
studio della chimica e della fisica.
Ma, chi conosce almeno i principi fondamentali
della fisica, troverà anche che la stessa
fisica procede per piccole approssimazioni,
e che spesso le rivoluzioni non sono altro
che approssimazioni del tutto nuove. Le attuali
conoscenze sono il frutto di studi e scoperte
precedenti, ma anche di errori, spesso colossali.
E' solo in base a questo passato che si è
raggiunta una relativa conoscenza che consente
di comprendere che utilizziamo modelli di descrizione, e che questi non sono la realtà, ma solo
una selezione di essa, quella che ci consente di descrivere
quanto accade e calcolare cosa potrebbe accadere.
Lo studioso della storia, ed in particolare
la storia della scienza e della filosofia,
ha ovviamente il compito di conoscere e valutare
le vecchie teorie, onde misurare criticamente
il livello di consapevolezza scientifica
raggiunta in determinate epoche. E qui corre
l'obbligo di denunciare allora il ritardo
con il quale non solo queste stesse opere
sono state tradotte, o addirittura non lo
sono state, ed anche il fatto che moltissime
biblioteche territoriali non contengono nè
le opere in lingua originale, nè le poche
traduzioni disponibili.
Riuscirà internet a colmare questo deficit?
Non senza la buona volontà di operatori culturali
che gratuitamente forniranno il loro contributo.
Non mi stancherò mai di ripetere che invece
di predicare, occorre dare buoni esempi.
Emerge comunque da questo testo un elemento
che smentisce un certo luogo comune secondo
il quale Laplace era contrario all'empirismo,
e che egli propugnasse un razionalismo di
tipo cartesiano. Si tratta, evidentemente,
di un equivoco legato alla confusione che
induce un certo uso dei termini. Laplace
si dichiarò contro un certo tipo di empirismo,
l'empirismo degli scettici e dell'uso limitato
dell'intelligenza, l'empirismo di chi, anche
in presenza di fatti rilevanti, che "parlano"
da soli, si ostina a non voler ricavare da
essi alcuna ipotesi fondata, derivata dai
fenomeni stessi, secondo la fondamentale
lezione di Newton.
Scrive ancora in proposito Enrico Bellone:
« La storia dell'astronomia diventa
dunque, per Laplace, la storia di un metodo
vincente. Sono state necessarie, indubbiamente
molte osservazioni sui movimenti dei pianeti,
del Sole e della Terra prima di poter cogliere
effettivamente quei movimenti nella loro
realtà. Ma gli astronomi non si sono limitati
a comporre elenchi di osservazioni. Essi
hanno cercato di individuare i rapporti teorici
esistenti tra i dati empirici, elevandosi
gradualmente sino alle leggi dei moto planetari
e, infine, sino al principio generale della
gravitazione universale. Dopo di che l'astronomia
ha potuto ridiscendere alla "folla dei
fenomeni" osservabili, spiegandoli completamente
come conseguenze necessarie di "un piccolo
numero di cause" fondate appunto sulla
gravitazione. Come si vedrà nel seguito,
questa visione della scienza torna spesso
nelle riflessioni di Laplace: non si tratta
di dare scarso rilievo agli esperimenti,
ma di insistere sull'idea che i soli esperimenti
non riescono a dare una spiegazione scientifica
ai fenomeni.
La funzione della matematica è, in questo
senso essenziale. Nelle Leçons Laplace tratta ad esempio l'aritmetica come
"una lingua particolare il cui oggetto
è costituito dai numeri" e, seguendo
in ciò alcune idee diffuse nella cultura
dell'illuminismo francese, parla di linguaggi
matematici assimilandoli agli altri linguaggi
dell'uomo: "La lingua filosoficamente
perfetta sarebbe quella in cui si potesse
esprimere il massimo numero di idee con il
più piccolo numero possibile di termini."
Questa concezione del linguaggio è da Laplace
collegata alla regola secondo la quale "tutte
le idee complesse sono composte da idee semplici,
combinate tra loro, secondo dei modi generali."
»
Il modello di conoscenza a cui dovremmo aspirare
e non raggiungeremo mai
« Tutti gli avvenimenti - scrisse Laplace
nel Trattato sulle probabilità - anche quelli che per la loro piccolezza
sembrano non ubbidire alle grandi leggi della
natura, ne sono la conseguenza necessaria
come lo sono le rivoluzioni del Sole. Ignorando
i legami che li uniscono al sistema intero
dell'universo, li si è fatti dipendere dalle
cause finali e dal caso, a seconda che che
si manifestassero e si succedessero con regolarità
o senza ordine apparente; ma queste cause
immaginarie sono state successivamente arretrate
sino ai limiti delle nostre conoscenze e
spariscono del tutto davanti alla sana filosofia
la quale non vede in esse che l'espressione
dell'ignoranza in cui ci troviamo circa le
vere cause.
Gli avvenimenti attuali hanno coi precedenti
un legame fondato sul principio evidente
che nulla può cominciare ad essere senza
una causa che lo produca. Quest'assioma,
noto sotto il nome di principio della ragion sufficiente, si estende anche alle azioni che giudichiamo
indifferenti. Neppure la volontà più libera
può dar loro nascita senza un motivo determinante;
giacchè, se essa stimando perfettamente simili
le circostanze di due posizioni, agisse in
una e si astenesse dall'agire nell'altra,
opererebbe una scelta che sarebbe un effetto
senza causa; che sarebbe insomma, dice Leibniz,
il caso cieco degli epicurei. Ma l'opinione
contraria alla nostra è un'illusione dello
spirito che, perdendo di vista le ragioni
fugaci della scelta della volontà nelle cose
indifferenti, si persuade che essa si determini
da sé e senza motivo.
Dobbiamo dunque considerare lo stato presente
dell'universo come l'effetto del suo stato
anteriore e come la causa del suo stato futuro.
Un'Intelligenza che, per un dato istante,
conoscesse tutte le forze da cui è animata
la natura e la situazione rispettiva degli
esseri che la compongono, se per di più fosse
abbastanza profonda per sottomettere questi
dati all'analisi, abbraccerebbe nella stessa
formula i movimenti dei più grandi corpi
dell'universo e dell'atomo più leggero: nulla
sarebbe incerto per essa e l'avvenire, come
il passato, sarebbe presente ai suoi occhi.
Lo spirito umano offre, nella perfezione
che ha saputo dare all'astronomia, un pallido
esempio di quest'Intelligenza. Le sue scoperte
in meccanica e in geometria, unite a quella
della gravitazione universale, l'hanno messo
in grado di abbracciare nelle stesse espressioni
analitiche gli stati passati e quelli futuri
del sistema mondo.
Applicando lo stesso metodo ad altri oggetti
delle sue conoscenze, è riuscito a ricondurre
a leggi generali i fenomeni osservati ed
a prevedere quelli che devono scaturire da
circostanze date. Tutti i suoi sforzi nella
ricerca della verità tendono ad avvicinarlo
continuamente all'Intelligenza che abbiamo
immaginato, ma da cui resterà sempre infinitamente
lontano. Questo tendere, che è proprio della
specie umana, è ciò che ci rende superiori
agli animali, ed i progressi nel campo della
scienza distinguono le nazioni ed i secoli
e rappresentano la loro vera gloria. Ricordiamoci
che un tempo, ed in un'epoca che non è ancora
molto lontana, una pioggia od una siccità
eccessive una cometa che trascinasse dietro
di sè una lunga coda, le eclissi, le aurore
boreali ed in genere tutti i fenomeni straordinari,
apparivano come altrettanti segni della collera
celeste. Si invocava il cielo per allontanare
la loro funesta influenza. Non lo si pregava
invece di sospendere il corso dei pianeti
e del Sole: l'osservazione ben presto fece
capore l'inutilità di queste preghiere. Ma,
poichè quei fenomeni si manifestavano e sparivano
dopo lunghi intervalli, essi sembravano contrari
all'ordine della natura; si supponeva che
il cielo li facesse nascere e li modificasse
a suo piacimento per punire i delitti della
Terra. Così la lunga coda della cometa del
1456 sparse il terrore nell'Europa, già prostrata
per il rapido successo dei Turchi che avevano
abbattuto il Basso Impero. Quest'astro, dopo
quattro rivoluzioni, ha suscitato in noi
un interesse ben diverso.
La conoscenza delle leggi del sistema del
mondo, acquista acquisita in questo intervallo
di tempo, ha dissipato i timori prodotti
dall'ignoranza dei veri rapporti dell'uomo
con l'universo; ed Halley, riconosciuta l'identità
della cometa con quella del 1531, 1607 e
1682, annunziò il suo ritorno per la fine
del 1758 o l'inizio del 1759. Gli scienziati
attesero con ansia questo ritorno, che doveva
confermare una delle più grandi scoperte
che fossero mai state fatte nelle scienze
e compiere la predizione di Seneca, quando,
a proposito della rivoluzione di questi astri
che vengono da remore distanze, disse: "Verrà
giorno in cui, dopo uno studio di parecchi
secoli, le cose attualmente incomprensibili
saranno evidenziate, e la posterità si meraviglierà
che verità così tanto chiare ci siano sfuggite."
Clairaut sottomise allora ad analisi le perturbazioni
che la cometa doveva aver provato per l'azione
dei due maggiori pianeti, Giove e Saturno:
dopo lunghi calcoli fissò il suo prossimo
passaggio al perielio per l'inizio circa
dell'aprile 1759, cosa che l'osservazione
non tardò a verificare. La regolarità. che
l'astronomia ci presenta nel movimento delle
comete, ha luogo, senza dubbio in tutti i
fenomeni. La curva descritta da una semplice
molecola di aria o di vapore è regolata con
la medesima certezza delle orbite planetarie;
non v'è tra di esse nessuna differenza, se
non quella che vi pone la nostra ignoranza.»
La probabilità: rapporto e frazione
Proprio a questo punto Laplace comincia esplicitamente
a descrivere la probabilità, presentandolo
come un concetto che appartiene all'ambito
logico ed all'ambito empirico. "La probabilità
- scrive Laplace - è relativa in parte a
questa ignoranza, in parte alle nostre conoscenze.
Sappiamo, ad esempio, che su tre o più eventi
uno solo si verificherà; ma nulla ci porta
a credere che uno debba accadere a preferenza
degli altri. Data la nostra indecisione,
ci è impossibile pronunciarci con certezza
sul loro accadere. Tuttavia è probabile che
uno di essi, preso ad arbitrio, non si verifichi,
perchè vediamo che più casi ugualmente possibili
ne escludono l'esistenza, mentre uno solo
la favorisce. La teoria dei casi consiste
nel ridurre tutti gli eventi dello stesso
genere ad un certo numero di casi ugualmente
possibili, cioè tali da renderci indecisi
circa la loro esistenza, e nel determinare
il numero dei casi favorevoli all'evento
di cui si ricerca la probabilità. Il rapporto
tra questo numero e quello di tutti i casi
possibili è la misura della probabilità,
la quale perciò non è che una frazione, il
cui numeratore è il numero dei casi favorevoli
ed il cui denominatore è il numero di tutti
i casi possibili."
L'esempio da cui mosse Laplace è quello di
tre urne, due delle quali contengono solo
palline bianche, mentre la terza contiene
solo palline nere. Sapendo in anticipo come
sono distribuite le palline, ma non dove
sono, è ovvio che la frazione che descrive
la probabilità di trarre da una delle tre
urne una pallina bianca è di una su tre,
pertanto la frazione che esprime il rapporto
sarà 1/3.
Il calcolo delle probabilità risulta dunque
particolarmente efficace quando conosciamo
con esattezza il contesto entro il quale
le possibilità che dobbiamo prevedere sono
limpidamente distribuite.
Le cose sono ovviamente più complicate quando
questo non si verifica.
In questi Essai philosophique sur les probabilites, Laplace si avvalse di un teorema scoperto
da Jacques Bernouilli (1654-1705) e sviluppato
Abraham de Moivre (1667-1754), e ne produsse
uno di suo, nel 1810, dopo avervi riflettuto
per oltre trentanni.
Il teorema di Bernouilli e il perchè tutte
le generazioni animali ed umane producono
maschi e femmine in un rapporto costante
Il teorema di Bernouilli era stato esposto
in trattato divenuto classico intitolato Ars Conjectandi, pubblicato solo nel 1713, otto anni dopo
la sua morte. Ma è corretto ricordare che
la prima parte di questo testo era stata
scritta da Huygens.
E' solo nella terza parte che Bernouilli
trattò la teoria della probabilità, ed è
nella quarta che egli enunciò, dopo una lunga
corrispondenza con Leibniz su questo punto,
la "legge dei grandi numeri", poi
ripresa da un allievo di Laplace, Denis Poisson
(1781-1840)
la versione elementare del teorema di Bernouilli
afferma che tirando per lungo tempo a testa e croce una moneta perfettamente equilibrata, la
frequenza delle "teste" si avvicina
sempre più ad un valore fisso, pari ad ½.
Laplace commentava così: « Consegue
da questo teorema che, un una serie di avvenimenti
indefinitamente prolungata, l'azione delle
cause regolari e costanti deve prevalere
alla lunga su quella delle cause irregolari.
E' ciò che rende i guadagni del banco della
lotteria certi quanto i prodotti dell'agricoltura...»
Ma anche il rapporto dei numeri di nascite
maschili e femminili è tendenzialmente fisso.
( E questo tra l'altro è anche qualcosa che
finora nessuno è riuscito a spiegare in maniera
convicente: perchè non succede quasi mai
su larga scala, che si verifichi un'esorbitante
variazione del numero delle nascite a favore
dell'uno o dell'altro sesso?)
La teoria degli errori di Laplace
Il secondo teorema utilizzato fu propriamente
di Laplace ed il nostro ci meditò attorno
per circa trentanni prima di enunciarlo nel
1810.
Per Laplace i rapporti, o medie che si ricavano
dall'osservazione dei lanci della moneta
o dal numero delle nascite, non sono veramente
costanti se non dopo una lunga serie. Pertanto
ogni grande serie varia, ed ancora di più
possono variare le serie piccole.
Tuttavia, per Laplace anche le variazioni seguono una certa legge.
Scrive Bernard Bru: «Esse si concentrano
attorno ad un valore fisso, che corrisponde
al vero rapporto costante che si otterrebbe
dopo un numero infinito di lanci. Le frequenza
dei rapporti osservati diminuiscono via via
che esse si discostano da questo valore medio.
Così, quale che sia l'ordine fisico o morale
al quale si riferiscono i rapporti misurati,
i loro valori si distribuiscono su una curva
a campana, descritta da una formula matematica
unica.» (da Laplace probabilista, cit.)
Muovendo da questa considerazione Laplace
formulò la teoria degli errori, applicandola
in particolare alla pratica delle misurazioni,
che è alla base di qualsiasi procedura di
fisica meccanica.
Ad esempio, anche utilizzando strumenti di
massima precisione, se proviamo a misurare
il perimetro della casa in cui viviamo, ben
difficilmente, otterremo il medesimo risultato,
ma solo valori molto prossimi l'uno all'altro.
Non solo: una delle prime cose che si imparano
in fisica è che la precisione dello strumento non deve essere confusa con la precisione della misura.
La media dei risultati di ogni misurazione
garantisce che il valore della misurazione
potrebbe approssimarsi alla reale lunghezza
della casa, ma non fornisce la certezza dell'esattezza.
Questa teoria degli errori di Laplace è ancora
universalmente utilizzata per ridurre al
minimo le imprecisioni.
Il tentativo di interpretare i fenomeni termici
Pur forte dell'abito mentale determinista
e meccanico, Laplace riconobbe esplicitamente
la difficoltà di spiegare matematicamente
i fenomeni termici. La sua ipotesi poggiava
su di una complicazione, ovvero che il calore
fosse un fluido composto di particelle e
che quindi occorresse studiare l'interazione
tra molecole di gas e particelle di calorico per dedurre le leggi.
Il modello di descrizione che si ricavava
da questa ipotesi portava ad immaginare molecole
di gas circondate da particelle di calorico
come in una serie di microsistemi poco stabili
nei quali le molecole acquisivano e perdevano
particelle, pur rimanendo nel tempo una certa
costanza.
Ciò comportava la conseguente affermazione
che il calorico esistesse all'interno del
gas in due modalità distinte: come calorico
libero costituito di particelle in movimento
ad alta velocità e come calorico annesso
alle molecole di gas.
Questo tipo di spiegazione, basata comunque
sempre sulla forza attrattiva della materia,
si scontrava tuttavia con il problema della
propagazione del calore. Se era certo che
il calore fluiva spontaneamente dai corpi
caldi a quelli freddi, era altrettanto certo
che non accadeva il contrario, ovvero che
un corpo freddo diventasse ancora più freddo
a vantaggio di un corpo già caldo, rendendolo
ancora più caldo.
In sostanza, la meccanica laplaceana sembrava
impotente di fronte a questi apparenti anomalie
(anomalie, ovvio, rispetto al modello di
descrizione prescelto).
Un forte contributo al superamento di queste
difficoltà verrà da Joseph Fourier (1768-1830),
ma questo è un altro capitolo.
gm - 27 dicembre 2001