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La concezione materialistica della storia
di Antonio Labriola
Le idee non cascano dal cielo; né noi riceviamo il ben di Dio in sogno.
La mutazione nei modi del pensiero, che da ultimo ha prodotta la dottrina storica, della quale si fa qui l'esame e la esposizione preliminare, s'è venuta svolgendo, prima con lentezza e poscia con cresciuta rapidità, appunto in questo periodo del divenire umano, in cui s'avverarono le grandi rivoluzioni politico-economiche; ossia in questa epoca, che guardata nelle forme politiche dicesi liberale, ma che guardata nel suo fondo, per effetto del dominio del capitale su la massa proletaria, è l'epoca della produzione anarchica. La mutazione nelle idee, fino alla creazione di nuovi metodi di concezione, è venuta passo passo riflettendo l'esperienza di una nuova vita. Come questa, nelle rivoluzioni degli ultimi due secoli, si è andata via via spogliando degl'involucri mitici, mistici, e religiosi, a misura che è venuta acquistando la coscienza pratica e precisa delle sue condizioni immediate e dirette, così il pensiero, che questa vita assume e teorizza, s'è alla sua volta spogliato dei presupposti teologici e metafisici, per racchiudersi, in fine, in questa prosaica esigenza: nella interpretazione della storia occorre restringersi alla coordinazione obiettiva delle condizioni determinanti e degli effetti determinati. La concezione materialistica segna il culmine di questo nuovo indirizzo nel ritrovamento delle leggi storico-sociali; in questo non è un caso particolare di una generica sociologia, o di una generica filosofia dello stato, del diritto e della storia, ma è il risolvere di tutti i dubbi e di tutte le incertezze che accompagnano le altre forme del filosofare su le cose umane, ed è l'inizio della interpretazione integrale di queste.
Gli è dunque cosa facile, specie per il modo come ci si son messi alcuni volgari criticastri, l'andar ritrovando i precursori di Marx e di Engels, che questa dottrina hanno pei primi precisata nei fondamenti. E quando mai era saltato per il capo ad alcuni seguaci loro, fossero pur quelli della più stretta osservanza, di far passare quei due pensatori per facitori di miracoli? Anzi, se piace di andar cercando le premesse della creazione dottrinale di Marx e di Engels, non basterà fermarsi a quelli che diconsi precursori del socialismo fino a Saint-Simon e più in là, né ai filosofi e segnatamente ad Hegel, né agli economisti, che avean dichiarata la anatomia della società che produce le merci: bisogna risalire a dirittura a tutta la formazione della società moderna, e poi trionfalmente dichiarare, che la teoria è un plagio delle cose che spiega.
Perché, in verità, i precusori effettivi della nuova dottrina furono i fatti della storia moderna, che è diventata così perspicua e rivelatrice di sé stessa, da che si operò in Inghilterra la grande rivoluzione industriale della fine del secolo scorso, e in Francia avvenne quella gran dilacerazione sociale che tutti sanno; le quali cose, mutatis mutandis, si son poi andate riproducendo, in varia combinazione e in forme più miti, in tutto il mondo civile. E che altro è, in fondo, il pensiero, se non il cosciente e sistematico completamento dell'esperienza; e che è questa, se non il riflesso e la elaborazione mentale delle cosee dei processi che nascono e si svolgono,o fuori della volontà nostra, o per opera della nostra attività; e cha altro è il genio, se non la individuata e conseguente ed acuita forma di quel pensiero, che per suggestione dell'esperienza sorge in molti uomini della medesima epoca, ma nella più parte di loro rimane frammentario, incompleto, incerto, oscillante e parziale?

Le idee non cascano dal cielo, e anzi, come ogni altro prodotto dell'attività umana, si formano in date circostanze, in tale precisa maturità di tempi, per l'azione di determinati bisogni, e pei reiterati tentativi di dare a questi soddisfazione, e col ritrovamento di tali o tali altri mezzi di prova, che sono come gl'istrumenti della produzione ed elaborazione loro. Anche le idee suppongono un terreno di condizioni sociali, ed hanno la loro tecnica; ed il pensiero è anch'esso una forma di lavoro. Spostare quelle e questo ossia, le idee e il pensiero, dalle condizioni e dell'ambito di lor proprio nascimento e sviluppo, gli è svisarne la natura ed il significato.
Mostrare come la concezione materialistica della storia fosse nata precisamente in date condizioni cioè non come personale e discutibile opinione di due scrittori, ma come una nuova conquista del pensiero per la inevitabile suggestione di un nuovo mondo che si sta generando già, ossia la rivoluzione proletaria, questo fu l'assunto del mio primo saggio. Il che è quanto dire che una nuova situazione storica si è completata del suo congruo strumento mentale.
Ora immaginare che cotesta produzione intellettuale potesse avverarsi in ogni tempo e luogo, gli è come assumere a regola delle proprie ricerche l'assurdo. Trasferire le idee a capriccio, dal terreno e dalle condizioni storiche in cui sono nate, in qualunque altro terreno, ciò è come prendere a base del ragionamento il semplice irrazionale. E perché non si dovrebbe immaginare del pari, che la città antica, nella quale nacquero l'arte e la scienza greca e il diritto romano, rimanendo pur città antica di democrazia con gli schiavi, acquistasse medesimamente e sviluppasse tutte le condizioni della tecnica moderna? Perché non credere che la corporazione artigiana medioevale, rimanendo qual essa era nel suo quadro fisso, s'avviasse alla conquista del mercato mondiale, senza le condizioni della concorrenza sconfinata, che cominciarono appunto dall'eroderla, e negarla? Perché non congetturare un feudo, che, pur rimanendo feudo, fosse officina da produrre esclusivamente merci? Perché Michele di Lando non avrebbe dovuto scriver lui il Manifesto dei comunisti? Perché non si avrebbe a pensare che i trovati della scienza moderna potessero venir fuori dal cervello degli uomini di ogni altro luogo e tempo; cioè prima che determinate condizioni facessero nascere determinati bisogni, e alla soddisfazione di questi si dovesse provvedere con una reiterata ed accumulata esperienza?
La nostra dottrina suppone lo sviluppo ampio, chiaro, cosciente ed incalzante della tecnica moderna; e con questa la società che produce le merci negli antagonosmi della concorrenza,la società che suppone come sua condizione iniziale, e come mezzo indispensabile al suo perpetuarsi, l'accumulazione capitalistica nella forma della proprietà privata, la società e riproduce di continuo i proletarii, e a reggersi ha bisogno di rivoluzionare incessantemente i suoi istrumenti,compreso lo stato e gli ingranaggi giuridici di questo. Questa società, che, per le leggi stesse del suo movimento, ha messa a nudo la sua propria anatomia, produce di contraccolpo la concezione materialistica. Essa, come ha prodotto nel socialismo la sua negazione positiva, così ha generato nella nuova dottrina storica la sua negazione ideale. Se la storia è ilprodotto, non arbitrario, ma necessario e normale, degli uomini in quanto si sviluppano, e si sviluppano in quanto socialmente esperimentano, ed esperimentano in quanto perfezionano e raffinano il avoro, ed accumulano e serbano i prodotti ed i risultati di questo, la fase di sviluppo in cui noi ora viviamo non può esser l'ultima e definitiva, e i contrasti a questa intimi ed inerenti sono le forze produttive di nuove condizioni. Ed ecco come il periodo delle grandi rivoluzioni economiche e politiche di questi due ultimi secoli ha maturato nelle menti questi due concetti: l'immanenza e costanza del processo dei fatti storici, e la dottrina materialistica, che in fondo è la teoria obiettiva delle rivoluzioni sociali.

Non v'ha dubbio che il risalire attraverso i secoli e il rifarsi studiatamente col pensiero su lo sviluppo delle idee sociali, per quanto ce n'è documento negli scrittori, è cosa che riesce tuttora assai istruttiva,e giova soprattutto ad accrescere in noi la consapevolezza critica, così dei nostri concetti come dei nostri procedimenti. Tale ritorno della mente su le sue premesse storiche, quando non ci porti a smarrirci nell'empirismo di una sconfinata erudizione, o non c'induca nella tentazione di stabilre frettolosamente delle vane analogie, giova senza dubbio a dare pieghevolezza ed efficacia di persuasione alle forme della nostra attività scientifica. Nell'insieme delle nostre scienze si deriva ora, in via di fatto e per approssimativa continutà di tradizione, l'ottimo di quanto fu mai ritrovato, escogitato e provato, non che nei tempi moderni, fin da quelli dell'antica Grecia, con la quale comincia appunto in modo definitivo per tutto l'uman genere, lo svolgimento ordinato del pensiero cosciente, riflesso e metodico. Non ci sarebbe dato di fare un solo passo nella ricerca scientifica senza l'uso dei mezzi da gran tempo trovati e pronti; come sarebbe a dire, tanto per addurre alcuni dei più generali, della logica e della matematica. Ad avere una opinione contraria occorrerebbe di voler dire, che ogni generazione debba ricominciare da capo, rimbamboleggiando.
Ma né gli antichi autori, nell'angusto ambito delle loro repubbliche di città, né gli scrittori della Rinascenza, incerti sempre tra un immaginato ritorno all'antico e il bisogno di afferrare intellettualmente il mondo nuovo, che era in gestazione, fu dato di giungere all'analisi precisa degli elementi ultimi dai quali resulta la società, che il genio insuperato di Aristotele non vide e non comprese di là dai confini in cui si spiega la vita dell'uomo cittadino.
La ricerca su la struttura sociale, considerata nei suoi modi di origine e di processo, si fece viva ed acuta nei secoli decimosettimo e decimoottavo,quando si formò la Economia, e insieme a questa, sotto ai vari nomi di Diritto e Natura, di saggi su lo Spirito delle Leggi e di Contratto Sociale, si fece strada il tentativo di risolvere in cause, in fattori, in dati logici e psicologici, il multiforme e non sempre chiaro spettacolo di una vita, in cui si preparava la più grande rivoluzione che si conosca. Coteste dottrine, quale che fosse l'intento subiettivo e l'animo degli autori - come è il caso antitetico del conservatore Hobbes e del proletario Rousseau - furon tutte rivoluzionarie nella sostanza e negli effetti. In fondo a tutte tu ritrovi sempre come stimolo e come motivo i bisogni materiali e morali dell'età nuova; che per le condizioni storiche erano quelli della borghesia: - e perciç conveniva di combattere, in nome della libertà, la tradizione, la chiesa, il privilegio, le classi fisse, ossia gli ordini e i ceti, e per conseguenza lo stato che di questi era o pareva autore, e poi i privilegi del commercio, delle arti, del lavoro e della scienza. Onde si mirò all'uomo in astratto, ossia ai singoli individui emancipati e liberati, per virtù di astrazione logica, dai loro vincoli storici e di necessaria dipendenza sociale; e nella mente di molti il concetto della società si venne come a ridurre in atomi, e anzi parve, ai più, naturale il credere che la società stessa non sia se non una somma di individui. Le categorie astratte della psicologia individuale si trovarono come spinte sul davanti, o messi in cima, della spiegazione di tutti i fatti umani; ed ecco come in tutti cotesti sistemi ed escogitazioni non si parli che di paura, di amor proprio, di egoismo, di obbedienza volontaria, di tendenza alla felicità, di originaria bontà dell'uomo, di libertà di contrattare; e poi della coscienza morale, e dell'istinto o del senso morale, e di altrettali cose astratte e generiche, come quelle che fossero sufficienti a spiegare la concreta storia esistente, e a crearne di sana pianta una nuova.
Nell'atto che tutta la società entravain una strepitosa crisi, l'orrore dell'antico, del vieto, del tradizionale,dell'organizzato da secoli, e il presentimento di di una rinnovazione di tutta l'esistenza umana, ingenerarono da ultimo un oscuramento totale delle idee di necessità storica e di necessità sociale; ossia di quelle idee, che, accennate appena dai filosofi antichi, e venute poi in tanto sviluppo nel secolo nostro , in quel periodo di razionalismo rivoluzionario non ebbero che rari rappresanti, come Vico, Montesquieu, e in parte Quesnay. In questa situazione storica, che fa nascere una letteratura acuta, agile, sovvertitrice, penetrante e popolarissma, sta la ragione di ciò che Louis Blanc, con una certa enfasi, chiamò individualismo, con la qual parola altri dopo di lui han poi creduto di dare espressione ad un fatto permanente della natura umana, che possa soprattutto servire come di argomento decisivo contro il socialismo.
Singolare spettacolo; anzi singolare contrasto! Il capitale, formatosi come che si fosse, tendeva a vincere ogni altra precedente forma di produzione, rompendone i vincoli e gli impedimenti, tendeva ad essere, cioé, il signore diretto o indiretto della società, come di fatti è divenuto nella più gran parte del mondo; dal che si poi è proceduto, che, oltre a tutti i modi di moderna miseria e di nuova gerarchia in cui ora ci aggiriamo, si avverasse la più stridente antitesi di tutta la storia, ossia quella presente tra la anarchia della produzione nel complesso della società, e il ferreo dispotismo del modo del produrre nelle singole aziende, officine e fabbriche! Ebbene, i pensatori, e i filosofi, ed economisti, e divulgatori d'idee del secolo decimottavo non vedeano che libertà ed uguaglianza! Tutti ragionavano allo stesso modo, tutti partivano dalle stessa premesse; o che arrivassero a conchiudere, doversi ottenere la libertà da un governo di pura amministrazione, o che fossero addirittura democratici,, o per fino comunisti. Il regno prossimo della felicità stava innanzi agli occhi di tutti, come d'indubbio avvento; pur che fossero tolti i vincoli e gli impedimenti, che all'uomo di sua natura buono e perfettibile, aveano imposto la forzata ignoranza e il dispotismo della chiesa e dello stato. Costesti impedimenti non pareano condizioni e termini, nei quali gli uomini si fossero trovati per le leggi del loro sviluppo, e per gl'intrecci inevitabili del moto antagonistico, e per ciò incerto e flessuoso della storia, come paiono finalmente a noi per il prevalere dello storicismo obiettivo: ma anzi, pareano dei semplici imbarazzi, dei quali l'uso retto della ragione dovesse liberarci. In cotesto idealismo, che raggiunse il suo apice in alcuni degli eroi della Grande Rivoluzione, germogliò una fede sconfinata nel sicuro progresso di tutto l'uman genere. Per la prima volta il concetto di umanità apparve in tutta la sua estensione, e senza mescolanza d'idee o di presupposti religiosi. I più risoluti tra cotesti idealisti furono appunto i materialisti estremi; come quelli, che, negando ogni obietto alla fantasia religiosa, assegnavano al bisogno della felicità questa terra qual sicuro dominio, pur che la ragione schiudesse la via.