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Bios Kuhn: le disavventure di una metafora
di Federica De Martino
L'oggetto di questo scritto potrebbe sembrare stravagante: avviene nella vita della scienza qualcosa di simile a quello che avviene nella vita biologica? Due filosofi della scienza tra i più importanti del Novecento, Popper e Kuhn, hanno risposto affermativamente, anche se con qualche interessante differenza. I biologi hanno prima risposto no, poi ripensandoci, hanno risposto sì, ma non alla maniera di Popper e di Kuhn. Personalmente, credo abbiano ragione i biologi.
Come sappiamo, Popper non ebbe esitazione nel trovare nella lotta tra le teorie alternative un carattere selettivo. Ma, a Popper si rimprovera di aver dimenticato di considerare un suo stesso concetto: che nella lotta tra teorie vi è sempre un fine: l'avvicinarsi a rappresentazioni adeguate alla verità del mondo, mentre nella lotta tra le specie e nella specie non vi è altro fine che la sopravvivenza stessa. L'evoluzione biologica non ha un fine "esterno", non è consapevole, non è telecomandata. E' il risultato di una lungo lavoro anonimo e cieco. Una simile differenza non può essere trascurata senza cadere in un equivoco di proporzioni colossali. Popper, inoltre applica il modello filogenetico all'"albero dell'evoluzione" che si sviluppa in più ramificazioni sul tronco comune. Ma questa analogia è l'opposto del suo stesso modello di sviluppo di crescita della conoscenza, visto che in essa i rami convergono, o dovrebbero convergere, anziché divergere. E non bisogna dimenticare che l'uso di termini quali "prova ed errore" per descrivere la lotta tra teorie, è antropomorfico. In natura non esistono "prove ed errori", ma solo il divenire biologico. Una nuova specie non è mai un tentativo riuscito o fallito. E' solo una variazione.
Dovremmo vedere se tali fraintendimenti popperiani entrano direttamente o indirettamente nel lavoro di Kuhn. In effetti, anche Kuhn sembra sedotto dalla potenza della metafora biologica.
A differenza di Popper, Kuhn sembra aver ben presente che l'evoluzione non ha scopo, ed è anche per questa ragione che egli l'adotta come metafora della sua concezione. In Kuhn, il progresso scientifico non ha più un significato positivistico. Non è più un progresso verso qualcosa, ma un progresso a partire da qualcosa. Infatti «le rivoluzioni, che nello sviluppo scientifico producono nuove divisioni tra campi di ricerca, sono molto simili agli episodi di speciazione che avvengono nell'evoluzione biologica.» (1) E subito precisa che «il corrispondente biologico del cambiamento rivoluzionario non è la mutazione, come ho pensato per molti anni, ma la speciazione.» Kuhn vuole «negare ogni significato alle affermazioni in base alle quali le convinzioni scientifiche successive diventano sempre più probabili, o approssimazioni sempre migliori della verità; e allo stesso tempo [...] indicare che l'argomento delle asserzioni di verità non può essere una relazione tra le convinzioni e un mondo che si ritiene indipendente dalla mente, o "esterno".» (2) Con ciò si mette radicalmente in discussione il fondamento di un'epistemologia che si crede capace di una teoria della verità come corrispondenza con la "realtà". Non è possibile riflettere in modo indipendente dalla mente e non è possibile andare, per aspetti decisivi, oltre le possibilità mentali che lo stesso lessico scientifico ci impone. Un'affermazione può essere valutata come vera o falsa solo all'interno di un linguaggio comune in un contesto dato. Ma le regole racchiuse nel lessico non sono né vere né false. Ciò significa esplicitamente che possiamo parlare di verità esclusivamente in contesti determinati e condivisi. Dovremmo respingere l'idea che la struttura categoriale di una teoria rifletta il "mondo" in sé, sia una proiezione delle cose in sé. Come vedremo più sotto, Kuhn rifiuta di considerarsi un relativista e un irrazionalista. Eppure, son queste le accuse che egli riceve quotidianamente.
Il padre di tutte queste accuse fu Imre Lakatos, il quale tacciò Kuhn di irrazionalismo. Secondo l'ungherese, Kuhn considera le rivoluzioni scientifiche come "conversioni religiose". E valuta gli adepti delle scienze normali "fanatici religiosi contemporanei". Lakatos insiste in particolare sull'affermazione di Kuhn secondo cui le rivoluzioni scientifiche sono colpi di genio antidogmatici - quindi critici - ma le rivoluzioni stesse si sviluppano poi come periodi di "normalizzazione" dogmatica. Secondo Lakatos, non c'è nessuna particolare causa razionale dell'emergere di una crisi in senso "kuhniano". Per Kuhn "crisi" è un concetto psicologico e può diventare un panico contagioso. La nascita di un nuovo paradigma impone un cambiamento da interpretarsi come "rottura" perchè senza tale rottura non si entra nel nuovo ordine di idee, la nuova mentalità necessaria. Il nuovo paradigma è incommensurabile, cioè incomunicabile a chi non è "convertito" al nuovo credo. Questo non significa, però che il nuovo paradigma sia superiore al precedente. Non si possono confrontare l'uno e l'altro perché non esistono standard metaparadigmatici. Il mutamento consiste nello schierarsi dalla parte del più forte, quello che promette di più. Si seguono demagoghi anche nelle scienze?
Molti hanno trovato caricaturale la rappresentazione del pensiero kuhniano svolta da Lakatos. In effetti, anche a me sembra esagerare alcuni aspetti. E' buona cosa verificare come lo stesso Kuhn abbia precisato il suo pensiero nell'importante Poscritto 1969 che si trova allegato al testo de La struttura delle rivoluzioni scientifiche. Innanzitutto, Kuhn ricorda che «coloro che svolgono attività all'interno delle scienze sviluppate sono, secondo la mia tesi, fondalmente dei solutori di rompicapo. Sebbene i valori cui essi fanno ricorso nelle situazioni in cui si tratta di scegliere una teoria derivino anche da altri aspetti della loro attività, la dimostrata capacità di formulare e risolvere dei rompicapo presentati dalla natura è, nel caso del conflitto fra valori, il criterio dominante per la maggior parte dei membri di un gruppo scientifico.» Tuttavia, prosegue Kuhn, come «ogni altro valore, la capacità di risolvere rompicapo si dimostra equivoca nella applicazione. Due persone che condividono la stessa capacità possono nondimeno differire l'una dall'altra nei giudizi che esse traggono dal suo uso. Ma il comportamento di una comunità che dà preminenza a tale capacità di risolvere rompicapo sarà molto diverso da quello di una comunità che la valuta diversamente. Nelle scienze, sono convinto, l'alto valore accordato alla capacità di risolvere rompicapo comporta le seguenti conseguenze.
Immaginiamo un albero evolutivo che rappresenti lo sviluppo delle specializzazioni della scienza moderna a partire dalle loro origini comuni nella primitiva filosofia della natura e nelle tecniche artigianali. Una linea tracciata dal basso verso l'alto lungo tale albero, la quale non si ripieghi mai indietro, ma vada dal tronco all'estremità di qualche ramo, individuerà una successione di teorie correlate da rapporti di discendenza. Considerando due qualsiasi di tale teorie, scelte da punti non troppo vicini alla loro origine, sarebbe facile elencare una serie di criteri che permetterebbero ad un osservatore obiettivo di distinguere la teoria più antica da quella più recente di volta in volta. Tra i criteri più utili, vi sarebbero: l'accuratezza della previsione, particolarmente della previsione quantitativa; l'equilibrio tra argomenti esoterici e argomenti quotidiani; e il numero di differenti problemi risolti. Meno utili a questo scopo, anche se costituiscono importanti fattori determinanti della vita scientifica, sarebbero valori come la semplicità, la portata, e la compatibilità con altre specializzazioni. Questi elenchi non sono ancora quelli necessari, ma non ho dubbi che possano essere completati. Se lo possono, allora lo sviluppo scientifico è, come quello biologico, un processo unidirezionale e irreversibile. Le teorie scientifiche posteriori sono migliori di quelle anteriori per risolvere rompicapo nelle circostanze spesso molto differenti alle quali vengono applicate. Una posizione simile non è relativistica, e mostra chiaramente in che senso io sia un convinto credente nel progresso scientifico.» (3)
C'è però una differenza decisiva tra le posizioni di Kuhn, quelle dei positivisti e quelle di Popper sul progresso. Kuhn sottolinea che si ritiene «di solito che una teoria scientifica sia migliore di quelle che l'hanno preceduta non solo nel senso che essa costituisce uno strumento migliore per la scoperta e la soluzione di rompicapo, ma anche perché in un certo modo essa fornisce una migliore rappresentazione di ciò che la natura è realmente. Si sente spesso affermare che teorie successive si avvicinano sempre di più, o rappresentano approssimazioni sempre migliori, alla verità. Apparentemente generalizzazioni di questo tipo fanno riferimento non alle soluzioni di rompicapo e alle previsioni concrete derivate da una teoria, ma piuttosto alla sua ontologia, ossia all'accordo tra le entità con cui la teoria popola la natura, e cio che "v'è realmente".»
Ciò che Kuhn vuol dire è che una teoria scientifica non succede ad un'altra perchè ontologicamente più capace. Kuhn dichiara di non vedere un miglioramento tra la fisica di Arostotele e la meccanica di Newton per quello che dice sul "mondo"; il miglioramento è dovuto al fatto che Newton risolse dei rompicapo che un approccio aristotelico non avrebbe mai potuto risolvere. Analogamente, si può affrontare anche il rapporto tra Newton e Einstein. Addirittura, sostiene Kuhn, «la teoria generale della relatività di Einstein è più vicina alla teoria aristotelica di quanto l'una o l'altra delle due sia vicina a quella di Newton. Anche se la tentazione di descrivere tale posizione come relativistica è comprensibile, la descrizione mi sembra errata. Inversamente, se la posizione equivale a relativismo, non riesco a vedere come il relativista sia privo di qualche elemento essenziale per spiegare la natura e lo sviluppo delle scienze.»
E' dunque vero che la metafora biologica "funziona" in Kuhn molto meglio che in Popper. Essa rispecchia in modo meno deformante il carattere selettivo della lotta tra teorie e non dimentica che in questa lotta non v'è un fine supremo e ultimo, ma solo un fine immediato:il rompicapo da spiegare. Non a caso esso fu raccolto anche da Feyerabend, il quale in una lettera del 1961 allo stesso Kuhn, notava che le anomalie che provocano una crisi nel paradigma scientifico dominante non sono decisive in sé, quanto per il fatto che esse vengono suggerite dal sorgere di un nuovo paradigma, cioè, sostanzialmente, dall'apparire di una mutazione brusca ed improvvisa nell'orizzonte teorico.
E' una affermazione che potrebbe richiamare la teoria evolutiva di Stephen Jay Gould degli equilibri punteggiati. Lunghe fasi non-evolutive sono così seguite da momenti di cambiamento drastico. Un cambiamento sconvolgente che, nel mondo delle teorie scientifiche, comporta il sorgere di un nuovo paradigma. Kuhn riconosce, nel testo della Struttura delle rivoluzioni scientifiche che «spesso un nuovo paradigma emerge, almeno in embrione, prima che una crisi si sia sufficientemente sviluppata o sia stata esplicitamente riconosciuta» (4)
Se ragionassimo biologicamente, potremmo riconoscere che nelle società umane appaiono, di tanto in tanto, delle menti in grado di un approccio completamente diverso ai problemi, ai rompicapo di cui parla Kuhn. E questa capacità nuova non è solo frutto di un addestramento particolare. Gli individui umani non sono, evidentemente, solo un hardware che riceve software. Hanno in sé un elemento di creatività che sfugge ad ogni tentativo di inscatolamento e predeterminazione programmata. Portando agli estremi un ragionamento di questo tipo, abbiamo l'anarchia metodologica di Feyerabend, che è quanto di meno automatico si possa avere circa le vie (non le regole) dell'andare dall'ignoranza ad una supposta conoscenza, che è sempre meglio dell'ignoranza totale.
Nel 1964, con il saggio Una funzione per gli esperimenti mentali, Kuhn sembra approssimare una grande verità (concetto che è estraneo al suo abito filosofico e che io uso arbitrariamente) quando scrive, nelle conclusioni, che gli «elementi richiesti per la rivoluzione esistevano prima alla periferia della coscienza scientifica; l'emergere della crisi li porta al centro dell'attenzione; e la riconcettualizzazione rivoluzionaria permette di vederli in modo nuovo. (5) Ciò che prima della rivoluzione era conosciuto indistintamente, malgrado l'attrezzatura mentale della comunità, è conosciuto dopo in modo preciso grazie alla sua attrezzatura mentale.» (6) Che è come dire che continuità e innovazione vanno viste dialetticamente, in una dimensione di Aufhebung hegeliana. Cosa si conserva e cosa vien tolto da una rivoluzione scientifica?
Eppure, nonostante queste importanti precisazioni e la sua maggiore consonanza con un darwinismo "corretto", il pensiero kuhniano non incontra particolare successo tra i cultori delle scienze della vita. Un esempio può valere tra i tanti possibili, quello di Ernst Mayr. Chiedendosi se esistano rivoluzioni scientifiche del tipo di quelle descritte da Kuhn, Mayr conclude che in biologia non esistono affatto. Ricorrendo ad esempi concreti, il biologo dimostra che i mutamenti teorici non hanno seguito i principi generali presentati da Kuhn. In macrotassonomia, Mayr evidenzia che sia il modello di classificazione discendente sia quello di classificazione ascendente, non sono affatto successivi, ma coesistettero in quanto la classificazione ascendente venne usata per la prima volta da erboristi, in seguito da Pierre Magnol già nel 1689, e poi da Michel Adanson nel 1772. Eppure, tale sistema cominciò ad essere adottato diffusamente solo negli ultimi tre decenni del XVIII secolo. Non vi fu per Mayr «alcuna sostituzione rivoluzionaria di un paradigma con un altro, perché entrambi continuarono a esistere, pur con obiettivi diversi.» (6)
Ovviamente, sembra giocare un ruolo decisivo a favore di Kuhn l'adozione della teoria dell'origine comune di Darwin. Mayr contesta anche questa come banalità. «Nella classificazione ascendente i gruppi vengono riconosciuti sulla base del maggior numero di caratteri che hanno in comune. Non sorprende, dunque, che i taxa così definiti fossero di solito costituiti dai discendenti dell'antenato comune più recente. Di conseguenza, la teoria di Darwin forniva una giustificazione al metodo della classificazione ascendente; ma la teoria della discendenza comune non portò ad alcuna rivoluzione scientifica in tassonomia.» (7)
Mayr afferma che quando gli effetti persuasivi letterali del racconto biblico cominciarono a dissolversi sotto i colpi della ricerca scientifica, si cominciò a definire concetti come era geologica e e tempo astronomico. Si scoprirono le differenze biogeografiche tra le diverse aree del mondo ed emersero molti scenari nuovi. Tra essi prese piede quello delle "creazioni successive". «Il primo autore a minare gravemente tali concezioni fu Buffon (nel 1749), molte delle cui idee erano in netta antitesi con la concezione generale imperante all'epoca, che sosteneva l'esistenza di un mondo essenzialista-creazionista.» Le idee di Buffon stimolarono Diderot, Blumenbach, Herder, Lamarck. Ma, quando Lamarck propose la prima teoria che postulava la gradualità dell'evoluzione, essa fu respinta. Quei pochi che la seguirono da evoluzionisti come Geoffroy Saint-Hilaire e Robert Chalmers, «adottarono punti di vista che spesso si discostavano profondamente sia dal pensiero di Lamarck, sia fra loro.» Lamarck non riuscì a imporre un nuovo paradigma negando quello precedente.
Con Darwin, secondo Mayr, le cose andarono in maniera davvero curiosa. Forse non c'è mai stato un paradigma darwiniano nettamente percepibile fin dal 1859. «L'analisi della rivoluzione darwiniana pone anzi considerevoli difficoltà, perché il paradigma di Darwin si componeva di fatto di un intero corpus di teorie, cinque delle quali sono le più importanti. (7) Il problema diventa molto più chiaro se prendiamo in esame la prima e la seconda rivoluzione scientifica di Darwin. La prima riguardava l'accettazione dell'idea di evoluzione da un discendente comune, ed era una teoria doppiamente rivoluzionaria. In primo luogo, al posto del concetto di creazione speciale che presupponeva una spiegazione sovrannaturale, introduceva quello di evoluzione graduale, che forniva una spiegazione naturale, di tipo materialistico. inoltre, sostituiva il modello di evoluzione lineare, adottato dai primi evoluzionisti, con quello di discendenza ramificata, che presupponeva un solo evento di origine della vita. Si trattava, finalmente, di una soluzione convincente al problema per il quale numerosi autori , da Linneo in poi (e addirittura prima di Linneo), avevano tentato di trovare un sistema "naturale". Respingeva ogni sorta di intervento sovrannaturale e, per giunta, presupponeva che la specie umana fosse detronizzata dalla sua posizione dominante, per essere collocata invece nella stessa catena degli altri animali.» (8) Quindi, è vero che la prima rivoluzione scientifica di Darwin divenne un paradigma e venne adottato rapidamente come programma di ricerca. Eppure, secondo Mayr essa coincideva già "perfettamente" con gli interessi scientifici di morfologia e sistematica, poichè forniva una spiegazione teorica per evidenze empiriche rinvenute in precedenza, ad esempio la gerarchia linneiana o gli archetipi di Richard Owen e von Baer. Quindi, secondo Mayr, la rivoluzione darwiniana non implicò alcun drastico slittamento di paradigma! «Per giunta - prosegue Mayr - se qualcuno volesse considerare il periodo compreso fra Georges-Louis Buffon (nel 1749) e l'anno in cui fu pubblicata un'opera come L'origine della specie (1859) un'epoca di scienza normale, dovrebbe privare della loro dignità rivoluzionaria un gran numero di rivoluzioni secondarie che si erano compiute in questo intervallo di tempo. Tra queste vanno annoverate la scoperta dell'antichità della Terra, lo studio delle estinzioni, la sostituzione della scala naturae da parte di tipologie morfologiche, l'individuazione di regioni biogeografiche, la consapevolezza della concretezza delle specie, e molte altre cose ancora. Tutte queste scoperte rappresentavano dei presupposti necessari alle teorie di Darwin e possono essere incluse fra le componenti della prima rivoluzione darwiniana anticipandone l'inizio all'anno 1749.» (9)
La seconda rivoluzione darwiniana consiste nella teoria della selezione naturale. Sebbene fosse stata spiegata esaustivamente fin dal 1959, essa incontrò una ferma, se non feroce, opposizione. Perché, osserva Mayr, entrava in conflitto con ben cinque ideologie dominanti. Fu accettata solo dopo la sintesi evoluzionistica nella prima parte del Novecento. Mayr si chiede quando si verificò realmente la seconda rivoluzione darwiniana, ed è una domanda che dovrebbe imbarazzare i sostenitori più fervidi delle idee kuhniane. Come dobbiamo considerare l'intervallo di tempo tra il 1859 e gli anni '40 del Novecento? Forse come periodo di scienza normale?
«A ben vedere - osserva Mayr - quest'arco di tempo è stato testimone di un considerevole numero di rivoluzioni scientifiche di minore entità: fu confutata l'eredità dei caratteri acquisiti (Weismann, 1883), fu respinta la teoria dell'ereditarietà mista (o per mescolamento) (Mendel, nel 1866), si sviluppò il concetto di specie biologica (E. B. Poulton, K. Jordan, E. Mayr e altri), fu scoperta l'origine della variablità genetica (mutazioni, ricombinazione, diploidia), venne riconosciuta l'importanza dei processi stocastici nell'evoluzione (J. T. Gulick, Sewall Wright), fu stabilito il principio del fondatore (E. Mayr), furono proposti numerosi processi genetici dalle notevoli conseguenze evoluzionistiche, e altro ancora. Molti di questi concetti sortirono effetti alquanto rivoluzionari sui ragionamenti dgli evoluzionisti, ma senza possedere nessuno degli attributi kuhniani che caratterizzano una rivoluzione scientifica.» (10)
Dovremmo chiederci se le osservazioni di Mayr abbiano valore solo in campo biologico, o le critiche a Kuhn siano estendibili ad altre scienze, persino all'insieme della scienza.
Lo stesso Mayr ci aiuta a trovare una risposta. Se nella biologia non troviamo conferme alle idee di Kuhn, cosa ha indotto Kuhn a formulare le sue tesi? «Dal momento - dice Mayr - che in fisica, contrariamente a quanto accade in biologia, buona parte delle spiegazioni riguarda gle effetti delle leggi universali, possiamo ammettere che le spiegazioni relative a leggi universali siano davvero soggette a rivoluzioni di stampo kuhniano. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che Kuhn era un fisico e che la sua tesi, per lo meno quella che egli espone nei suoi primi scritti, riflette gli orientamenti essenzialistico-saltazionisti così diffusi tra i fisici. Per Kuhn, a quell'epoca, ogni paradigma aveva la natura dell'eidos platonico, o essenza, e poteva cambiare solamente se veniva sostituito da un eidos nuovo. In una simile cornice concettuale l'idea di evoluzione graduale risulterebbe inconcepibile.» Mayr conclude il suo dire osservando che la teoria kuhniana si accorda con il pensiero essenzialistico dei fisicalisti, ma «è incompatibile con l'approccio concettuale gradualistico di un darwiniano.»
Non deve sorprendere, conclude Mayr, che gli epistemologi darwiniani abbiano prodotto un'epistemologia evoluzionistica. Essa afferma che la scienza progredisce allo stesso modo del mondo organico. Cioè non come Kuhn, e ancor prima Popper, avrebbero desiderato, ma come avviene realmente.
Mayr descrive il progresso, della biologia come il susseguirsi di rivoluzioni di maggiore e minore entità, ma aggiunge che persino quelle più rappresentative non comportano necessariamente mutamenti paradigmatici improvvisi ed estremi. Diversi paradigmi possono convivere per lungo tempo e non sono incommensurabili. Non necessariamente i settori attivi della biologia produconi o scienza normale o rivoluzioni, non necessariamente quelli inattivi producono solo scienza normale.
A mio avviso, queste riflessioni di Mayr sono utili a comprendere che il tentativo epistemologico del Novecento è fallito perché pretendeva di arrivare ad un unico metodo, prescrivendo a tutte le scienze come dovevano operare, e addiruttura, avvisando che mettersi fuori dall'ambito della prescrizione, significava collocarsi oltre la linea di demarcazione.
Non è così. Il filosofo della scienza, evidentemente, non può limitarsi ad un ruolo descrittivo delle procedure seguite. Ma neppure può ignorarle. Da Kuhn possiamo ancora imparare qualcosa: tracciare un quadro descrittivo molto accurato, come egli fece con La rivoluzione copernicana, prima di cominciare a riflettere sui caratteri generali dell'impresa scientifica. Caratteri che ovviamente esistono, e non mutano significativamente nemmeno dopo la più radicale delle rivoluzioni.
(1) T. S. Kuhn - Dogma contro critica - R. Cortina 2000
(2) idem
(3) T. S. Kuhn - Poscritto 1969 ora in La struttura delle rivoluzioni scientifiche - Einaudi ed. 1999
(4) T. S. Kuhn - La struttura delle rivoluzioni scientifiche - Einaudi ed. 1999
(5) nelle note Kuhn richiama il fatto che N. R. Hanson "ha già dimostrato che quello che gli scienziati vedono dipende dalle loro precedenti dalle loro precedenti credenze e dal loro addestramento".
(6) E. Mayr - L'unicità della biologia - R. Cortina 2005
(7) E. Mayr - Un lungo ragionamento: genesi e sviluppo del pensiero darwiniano - Bollati e Boringhieri 1994
(8) E.Mayr - L'unicità della biologia - R. Cortina 2005
(9) idem, si veda in proposito anche E. Mayr - The nature of the darwinian revolution - in "Science" 176, pp 981-989 (1972)
(10) idem
FDM - 7 ottobre 2006