Kant: nove tesi sulla storia
di Renzo Grassano
L'interesse visibile e pubblico di Kant per la storia fu ristretto
ad alcuni aspetti di carattere molto generale.
Non siamo in grado di dire se in privato
egli coltivasse la lettura di libri di argomento
storico. Probabilmente sì, data la sua formazione
veramente completa rispetto alla cultura
dell'epoca, ma egli fu soprattutto attento
ad argomenti di tipo scientifico e filosofico.
Si rivolse alla storia, in senso empirico,
per avere dei dati su cui ragionare, ma il
suo interesse principale rimase quello di
trovare un senso alla storia stessa, un lieto
fine alla tormentosa vicenda dell'umanità.
Dunque era in cerca di una filosofia della storia, un filo conduttore che servisse anche da
lume. Lo trovò in una formula analitica che
possiamo qui riassumere: poiché l'uomo è
fisicamente la più debole delle creature naturali, esso
non esisterebbe se la natura stessa non lo
avesse dotato di socievolezza e quindi di
una propensione alla cooperazione. Ma la
natura lo ha dotato anche di egoismo, una
forza contraria, antagonistica, per la quale
l'uomo sta sempre in società, ma con molte
riserve, spesso in modo scorretto e disonesto,
persino unicamente per approfittare. La consapevolezza
viene dal riconoscimento di entrambe le componenti,
e la ragione gli consente di dare una luce
nuova al senso della storia. La natura costringe
l'uomo alla società, ma essa può diventare
il luogo dell'arbitrio e della crudeltà in
modo ancora più spettacolare del mondo naturale.
Per questo sono necessarie delle leggi, ed
esse non sono qualcosa di artificioso, un'invenzione
ed una convenzione, ma la prosecuzione stessa
della natura, qualcosa che la natura stessa
(o la provvidenza?) vorrebbe ed ha sempre
voluto.
La ragione, inoltre, lo rende libero, quindi
l'uomo non è una creatura automatica, meccanica, che segue gli istinti come se fossero istruzioni
irrevocabili e definitive. E solo nella libertà,
egli può trovare la moralità, che è la massima
forma di rispetto verso gli altri esseri
del suo stesso genere. Le razze, nel pensiero
di Kant, procurano differenze somatiche,
ma non una forma di superiorità o inferiorità.
Se ci sono differenze, sono individuali.
Kant è ancora un giusnaturalista, anche se
con toni nuovi. Rispetto ad Hobbes, per esempio,
c'è molta più ragionevolezza nell'argomentazione,
visto che il capo cattivo, il governante
ingiusto, è riconosciuto non solo come possibile,
ma anche molto probabile, persino inevitabile,
cosa che Hobbes nel Leviathan nega in modo
reciso. E' lecito rovesciarlo, fare rivoluzioni?
E' questo il punto su cui si può rimproverare
a Kant una totale insufficienza. Ma, il problema,
a mio avviso, non è filosofico, o meglio,
non è di principio. Essendo totalmente empirico,
determinato dalla contingenza storica, sarebbe
stato un grave errore definirlo a priori. E questo, almeno parzialmente, giustifica
Kant.
Dopo la fatica della prima Critica, egli
scese in campo con due articoli non semplicemente
occasionali. Probabilmente teneva da tempo
i suoi pensieri pronti. Nei fascicoli di
novembre e dicembre del 1784 la Berlinische Monatsschrift pubblicò Idea di una storia universale dal punto di
vista cosmopolitico e Risposta alla domanda: che cos'è l'illuminismo? (di cui riportiamo il testo integrale).
Se è vero che fu il secondo lavoro a fare
epoca, ed a farla tuttora, trascurare il
primo sarebbe esiziale in quanto le nove
tesi sulla storia ivi contenute costituirono
veramente un punto teorico di grande importanza,
anche se la loro conformazione è a mio avviso
solo abbozzata e quindi passibile di ampi
sviluppi.
Ciò che va compreso è ben evidenziato da
Filippo Gonnelli nel saggio introduttivo
a Kant/Scritti di storia, politica e diritto (1). Con Kant siamo ad una svolta epocale
(oggettiva) di cui l'uomo può essere (soggettivamente)
consapevole. A questo aggiungerei una considerazione
ulteriore: nel filosofo di Königsberg
cominciamo ad intravvedere quella trasformazione
della coscienza in autocoscienza che è uno dei tratti iniziali e finali del
costituirsi del moderno, del lungo transito
che accompagna lo svolgimento del pensiero
da Machiavelli e Cartesio a Marx, Freud e
Nietzsche, filosofi nei quali il moderno
stesso si dissolve, secondo alcuni (i teorici
del pensiero debole, ma non solo, si pensi ad Horkheimer e Adorno),
in un fallimento, e secondo altri in un successo
parziale.
Comunque sia, un'esistenza attiva, volta
a migliorare le condizioni di vita umana
usando la ragione, muove evidentemente da
una diversa consapevolezza della potenzialità
(e dei limiti) del soggetto, i quali sono
forse più esibiti dalla storia che dimostrati
dalla filosofia..
Sono queste condizioni, quelle di partenza
e quelle che noi stessi poniamo via via,
ed incontriamo poi, che non si possono stabilire
a priori. Ma nemmeno le possiamo definire unicamente
conoscibili per via empirica, per dati di
fatto o stati di cose. «Il problema
della determinazione delle condizioni nasce
in effetti da uno dei risultati principali
della Critica della ragion pura, e cioè dal dissolvimento del presupposto
secondo cui la teologia, la morale, e per
l'unione di entrambe, la religione, quindi
i fini supremi della nostra esistenza, dipendono
semplicemente dal potere speculativo della
ragione e da nient'altro.»
In altre parole - sembra dire Kant - il pensiero
non ha il potere di decidere il mondo come
dovrebbe essere, ma solo di auspicarlo, e
quindi ha poco senso cercare di dimostrare
la potenzialità di alcunché per via unicamente logica. Non
potendo appoggiarci ad alcun fondamento metafisico,
non resta che pensare la storia e la politica,
ma soprattutto il futuro della storia, su
nuovi fondamenti.
Cassirer evidenzia che Kant "parla ancora
il linguaggio di Rousseau", ma le sue
idee sono del tutto diverse. Accantonata
la visione ingenua del ginevrino circa presunte
condizioni di felice innocenza e bontà dei
cacciatori solitari dell'epoca pre-civile,
ammise che la società civile conteneva ovviamente
in sè i germi di una corruzione. Ma che fosse
la società civile cosmopolitica la meta finale
dell'uomo sulla Terra non era affatto discutibile.
Lo recita la quinta tesi:
«Il massimo problema del genere umano, alla
cui realizzazione la natura lo costringe,
è il raggiungimento di una società civile
che faccia valere universalmente il diritto.»
A commento aggiunse: «Dato che solo
nella società, e precisamente in quella che
possiede la massima libertà e quindi un generale
antagonismo dei suoi membri ma insieme la
rigorosa determinazione e assicurazione dei
limiti di tale libertà, così che essa possa
consistere con la libertà degli altri - dato
che solo in tale società può essere raggiunto
nell'umanità il supremo scopo della natura.,
ossia lo sviluppo di tutte le sue disposizionu,
e dato che la natura vuole anche che l'umanità
debba attuare da sé questo fine, come ogni
fine della sua destinazione, allora il supremo
compito affidato dalla natura al genere umano
è una società in cui la libertà sotto leggi esterne sia congiunta al massimo possibile grado
con una forza irresistibile, vale a dire
una costituzione civile perfettamente giusta, perché la natura può raggiungere i suoi
ulteriori scopi solo per mezzo della soluzione
e dell'esecuzione di tale compito.»
La sesta tesi spiega contro quali ostacoli ci si imbatte:
«Questo problema è insieme il più difficile
e quello che verrà risolto più tardi dal
genere umano.» Nel commento emergono parole persino
sconcertanti, tanto suonano dure: "l'uomo
ha bisogno di un padrone ... è legno storto."
«Questo padrone è però altrettanto
un animale che ha bisogno di un padrone.
Può dunque cominciare come vuole, ma non
si vede come l'uomo possa procurarsi un capo
della giustizia pubblica che sia egli stesso
giusto, che lo cerchi in una persona singola
o in un'associazione di molte persone prescelte
a tal fine. Perché ciascuna di queste abuserà
sempre della sua libertà se non ha nessuno
sopra di sé che eserciti su di lei la forza
secondo leggi.» Per questo, secondo
Kant, dobbiamo mirare non alla piena realizzazione
dell'idea, ma realisticamente al suo "avvicinamento".
Nella settima tesi è annunciato il tema di fondo della necessità
di un organismo sovranazionale che costringa
gli stati a rispettare le leggi che essi
vanno valere al loro interno: «Il problema della instaurazione di una costituzione
civile perfetta dipende dal problema di un
rapporto esterno fra Stati secondo leggi
e non può essere risolto senza quest'ultimo.»
L'ottava tesi precisa in che senso l'uomo, provando a
realizzare una società civile governata dalla
giustizia, non fa che completare l'opera
della natura. In altre parole, secondo Kant,
nelle leggi giuste, non vi è alcun artificio:
«Si può considerare la storia del genere umano,
in grande, come il compimento di un piano
nascosto della natura volto ad instaurare
una perfetta costituzione statale interna
e, a questo fine, anche esterna, in quanto
unica condizone nella quale la natura possa
completamente sviluppare nell'umanità tutte
le sue disposizioni.»
La nona tesi enuncia infine la possibilità stessa di
elaborare una filosofia della storia che
accompagni ed orienti l'agire umano consapevole.
«Un tentativo filosofico di elaborare la storia
universale del mondo secondo un piano della
natura che tenda alla perfetta unificazione
civile nel genere umano deve essere considerato
possibile e anzi tale da promuovere questo
scopo naturale.»
Il commento: «Una tale giustificazione
della natura - o meglio della provvidenza
- non è un movente di scarsa importanza per
scegliere un particolare punto di vista nella
considerazione del mondo.A cosa serve, infatti,
lodare la magnificenza e la saggezza della
creazione nel regno naturale, privo di ragione,
e raccomandarne lo studio, quando le porte
del vasto teatro della suprema saggezza che
contiene il fine di tutto quanto - la storia
del genere umano deve restare una permanente
obiezione in contrario, la cui vista ci costringe
con disgusto a distogliere lo sguardo da
essa e, poichè disperiamo di trovarvi mai
un un compiuto disegno razionale, ci induce
a riporre la speranza in quest'ultimo solo
in un altro mondo?
Che con quest'idea di una storia universale,
la quale in certo modo ha un filo conduttore
a priori, io voglia respingere l'elaborazione
della vera e propria storia redatta solo
empiricamente, sarebbe un'errata interpretazione
del mio intento; è solo un pensiero su ciò
che una mente filosofica (che dovrebbe comunque
essere molto esperta di storia) potrebbe
tentare da un altro punto di vista.»
note:
1) Kant - Scritti di storia,politica e diritto- Laterza 1995
RG - 24 ottobre 2004