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La critica della ragion pura (in versione "light") - 8

La distinzione di tutti gli oggetti in fenomeni e noumeni
di Daniele Lo Giudice
Giunti a questo punto, all'inizio del III capitolo, Kant dichiara che l'intelletto può usare i concetti a priori solo applicandoli all'esperienza e mai in modo trascendentale, cioè al di là dell'esperienza stessa. Ovvero, l'intelletto si può legittimamente occupare solo di fenomeni e mai di cose in sé, che Kant chiama noumeni.
Kant, probabilmente, doveva aver letto e meditato a lungo le pagine di Cartesio nelle quali il francese aveva parlato di una differenza su cosa sono le cose per noi e su cosa sono le cose in sé stesse. Questa distinzione non ha nulla di psicologico, non riguarda il diverso modo individuale di guardare e pensare lo stesso oggetto secondo particolari disposizioni, ma è schiettamente filosofica, cioè attiene esclusivamente alla consapevolezza che gli uomini in generale possono avere delle cose perché dotati di sensi comuni. Quando Kant, quindi, riprende questa distinzione per portarla alla sua più logica conseguenza, non parla in termini psicologici, ma in termini generali, non di cose come le possiamo diversamente percepire perché io artista e tu scienziato, io agricoltore e tu commerciante, io affamato e tu sazio, ma in quanto uomini dotati di caratteristiche sensibili e sensitive comuni. Noi non possiamo arrivare a percepire le cose in sé semplicemente perché non siamo in grado di vederle per come sono in realtà, ma solo di percepirle per come ci appaiono in quanto individui umani.
Quanto ho detto può evitarci confusioni circa il concetto di noumeno, o cosa in sé, ma non dice ancora cosa sia il noumeno secondo Kant; evidentemente qualcosa che sta oltre le cose per come ci appaiono: è noumenico, ad esempio, chiedersi se l'universo abbia un senso ed un'organizzazione finalistica, finalizzata per esempio all'esistenza della vita in generale e dell'uomo in particolare oppure no. Sono le domande classiche della metafisica, insomma, domande a cui non c'è risposta se interroghiamo i fenomeni soltanto, anche se i fenomeni soltanto possono dire che finora è stato così, cioè che la vita è stata possibile ed anche sostenuta dalla natura.
Ciò non toglie che la ragione possa arrivare a farsi rappresentazioni dei noumeni, tant'è vero che appunto può arrivare a pensare le cose in sé come distinte dal fenomeno. Si tratta però di una rappresentazione indeterminata, cioè di concetti negativi che possono dire "c'è qualcosa", ma non è quello che ci appare.
Noi pensiamo il noumeno solo in senso negativo, come a qualcosa che non è oggetto della nostra intuizione sensibile. Inoltre non possiamo averne neppure un'intuizione puramente intellettuale, situandosi l'oggetto al di là ed al di fuori delle nostre facoltà conoscitive.
«Se diamo il nome di noumeno a qualcosa in quanto non è oggetto della nostra intuizione sensibile, in quanto cioè facciamo astrazione del nostro modo di intuirlo, si ha allora un noumeno in senso negativo. Ma se intendiamo invece designare l'oggetto di una intuizione non sensibile, presupponiamo allora una particolare specie di intuizione, ossia l'intuizione intellettuale, che non ci appartiene e di cui non possiamo comprendere neppure la possibilità; si ha allora il noumeno in senso positivo...[...] ... ma, nel tempo stesso, l'intelletto sa, a proposito di queste cose, che da una tale astrazione deriva un modo di considerarle tale da impedire qualsiasi uso delle proprie categorie; queste infatti, non avendo altro significato che relativo all'unità delle intuizioni nello spazio e nel tempo, sono in grado di determinare a priori tale unità solo esclusivamente per mezzo di concetti generali di congiunzione e sulla base della semplice idealità dello spazio e del tempo. Dove questa unità del tempo non può aver luogo, ossia nel noumeno, viene completamente meno l'intero uso, anzi l'intero significato, delle categorie...» (1)

«Il concetto di noumeno - scrive Enrico Berti - inoltre, è detto da Kant "problematico", ossia non contiene nessuna contraddizione, anzi è necessario, perché si connette con tutti gli altri concetti come esprimente una loro limitazione, ma la sua verità oggettiva non può essere in alcun modo conosciuta. Il noumeno esprime il problema inevitabilmente connesso con la limitazione della nostra sensibilità, quello cioè di una realtà diversa da quella sensibile. Esso è insomma un concetto-limite (Grenzbegriff), cioè serve a circoscrivere le pretese della sensibilità, ed in questo senso è inevitabile.» (2)
Devo dire che qui ho incontrato qualche difficoltà perché a mio avviso un concetto è problematico se, quantomeno apparentemente, contiene qualche contraddizione o difficoltà per l'intelletto. Rileggendo direttamente la pagina kantiana, questa definizione di "problematico" alla fine mi è parsa superflua ai fini dell'intero ragionamento; discutendone con altri, compresi i miei docenti, non ho ricevuto chiarimenti che abbiano soddisfatto la mia modesta capacità di comprendonio. Rimango così dell'idea che sia problematico non in quanto non contenga alcuna contraddizione, ma in quanto solo negativo nei confronti della nostra ragione e della nostra pretesa, ma in realtà sia positivo in quanto riferentesi a qualcosa che è, anzi, che è proprio l'esistente nel suo insieme e nel suo inafferabile essere la fonte di ogni divenire. Questo per Kant è innegabile.
E qui chiudo il discorso, perché proseguendo verrei meno all'impegno di scrivere un riassunto solo "light". Mi propongo però di arrivare ad un approfondimento.
Nel prossimo file tratteremo della Dialettica trascendentale.

(continua)
note:
(1) Immanuel Kant - Critica della ragion pura (introduzione) -
(2) Enrico Berti - Storia della filosofia /vol. II Dal Quattrocento al Settecento - Editori Laterza
DLG - 26 marzo 2004