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La critica della ragion pura (in versione
"light") - 13
L'ideale della ragione e le pseudo-prove dell'esistenza di Dio
di Daniele Lo Giudice
Prima di arrivare al nocciolo, cioè alla contestazione delle prove dell'esistenza di Dio basate sul solo ragionamento logico, è bene seguire in modo più approfondito il lungo e complesso preambolo che Kant pone all'inizio della trattazione.
Di solito i manuali scolastici trascurano questo passaggio, che non è tra i più semplici, ma pure ha una sua fondamentale importanza metodologica. Chiarisce come e perché ci sono idee ed ideali, e quale funzione negativa e positiva possono svolgere.
Le idee prodotte dalla ragione sono lontane dalla realtà oggettiva, «non esiste infatti fenomeno in cui le idee siano rappresentabili in concreto.» (1)
Nelle idee, secondo Kant, la ragione umana tende a realizzare un'unità sistematica e verso di essa volge l'unità delle esperienze empiriche: ma questa unità delle unità, ideali ed empiriche, non riesce mai a raggiungerla.
«Più lontano ancora dalla realtà oggettiva di quanto stia l'idea pare si trovi ciò a cui do il nome di ideale; esso consiste nell'idea non semplicemente in concreto, ma in individuo, ossia come cosa singolare, determinabile, o determinata, esclusivamente per mezzo dell'idea.» (1)
E «pur non salendo tanto in alto», cioè ai livelli intravisti da Platone circa il potere creativo delle idee, Kant invita a riconoscere, che la ragione possiede oltre le idee, anche ideali che, «anche se non hanno, come quelli platonici, una capacità creativa, sono tuttavia dotati d'una capacità pratica (in quanto principi regolativi), e fungono da fondamento della possibilità di perfezione di certe azioni. » (1)
Va detto che Kant non riconosce ai concetti morali lo statuto di concetti puri della ragione, avendo essi un qualcosa di empirico originato da piacere e dolore. Tuttavia, essi hanno una funzione consistente, dovrebbero averla, nel regolare la libertà sfrenata.
A questo proposito, annota Kant, sia la virtù che la saggezza non sono che idee. E persino il saggio è un uomo esistente solo nel pensiero. Ma questo ideale, che però è vivente in noi, serve da archetipo. Non abbiamo altro termine di confronto e paragone che questo saggio ideale. Che non è una chimera. Infatti fornisce alla ragione «un criterio che le è indispensabile, visto che essa abbisogna del concetto di ciò che è perfetto nella propria specie, per procedere alla valutazione e alla commisurazione del grado e delle deficienze di ciò che risulta imperfetto.» (1)
Se le cose stanno così rispetto all'ideale della ragione, che si può dire allora rispetto ai prodotti dell'immaginazione? Qui Kant allude certamente ai racconti mitici che costituiscono gran parte dei libri sacri di ogni religione, compresa quella ebraica e cristiana. Ebbene, nessuno di essi è in grado di offrire un concetto intellegibile, cioè accessoriato anche di elementi empirici.
La ragione, al contrario, vuole una determinazione esauriente, basata sulle sue regole a priori. Kant spiega cosa cerca la ragione, ricorrendo al principio di non contraddizione, per mostrare che, quando due predicati sono in opposizione parlando di un solo oggetto, uno solo può appartenergli. E' un principio logico puro.
Ma passando dal momento dei fatti empiricamente verificabili a quello del possibile, non basta il principio di non contraddizione. Infatti, proprio la possibilità allarga lo spettro dei predicati attribuibili ad un oggetto, investe la totalità dei predicati. Ed ecco allora: «... il principio della determinazione completa si riferisce dunque al contenuto e non alla semplice forma logica.» (1)
Il predicato può rappresentare (significare) essere e "non"-essere. E riguardo a questo "non" - dice Kant - che essa particella non è costituitiva di un concetto, ma soltanto della relazione che nel giudizio ha luogo tra due concetti. E precisa: «L'espressione "non mortale" non è di certo tale da far conoscere che nell'oggetto è rappresentato un non-essere, ma lascia impregiudicato ogni contenuto.» (1)
L'opposizione tra essere e non-essere è quindi trattata da Kant come una dialettica ideale che si risolve nella determinazione dei rispettivi concetti: l'affermazione esprime già un essere (un esistere) nel concetto; la negazione esprime una deficienza. Pensata da sola, non significa che la soppressione di una realtà, o di ogni realtà.
E per spiegare in che rapporto stanno il piano logico-formale e quello schiettamente empirico che comunque si deve percorrere per riempire di contenuto la logica stessa, Kant osserva:«Nessuno è in grado di pensare determinatamente una negazione, senza porre a fondamento l'affermazione opposta.
Chi nasce cieco non può formarsi la benché minima rappresentazione del buio, essendo privo di ogni rappresentazione della luce; così il selvaggio non può formarsela dell'indigenza, mancando di quella del benessere. L'ignorante non possiede alcun concetto della propria ignoranza, mancandogli quello della scienza ecc...
Dunque, tutti i concetti della negazione sono derivati, le realtà contengono i dati, e, per così dire la materia, cioè il contenuto trascendentale della possibilità e della determinazione complete di tutte le cose. » (1)
L'idea di "tutto" è un sostrato trascendentale posto nella nostra ragione, che si muta nell'idea di un essere singolo, fino a diventare l'unico vero e proprio ideale di cui la ragione è capace. Perché?
Perché solo in questo caso si ha la completa determinazione di un concetto in sé universale.
Quale corrispondenza c'è tra questo concetto ricavato dalla riflessione e la realtà vera?
La difficoltà della risposta sta tutta nell'ultima parte del ragionamento kantiano, il quale sbocca in un "è facile rendersi conto che la ragione non presuppone che esista un essere conforme all'ideale accontentandosi dell'idea di esso..."
L'ideale è il modello (prototypon) di tutte le cose e tutte le cose, in quanto copie inadeguate (ectypa) guardano a quel modello come ad una propria possibilità di perfezionamento.
Dio, in altre parole, è un ideale della ragione.
Non occorre alcuna prova per dimostrare l'esistenza di un ideale.
Occorrono però prove per dimostrare l'esistenza di Dio realmente.
Finora, dice Kant, si sono avute una prova ontologica, che deduce l'esistenza di Dio dalla sua essenza di essere perfettissimo.
La prova cosmologica, che dalla contingenza del mondo argomenta la necessità di un essere necessario come causa del mondo stesso.
La prova fisico-teologica, che dall'ordine finalistico del mondo argomenta la necessità di un essere intelligente come autore di tale ordine.
Nessuna di queste prove regge.
L'esistenza non è una perfezione che possa essere compresa accanto ad altre nell'essenza di alcunché, esattamente come l'esistenza o meno di cento talleri nelle mie tasche non è qualcosa che entri nella nozione di 100 talleri in modo da farne variare il numero. Perciò essa non può essere dedotta, ma solo constatata.
Non si può applicare il concetto di causa ad un ente del quale non si abbia esperienza. La causa è una categoria della ragione che interviene solo ad operare sintesi tra le rappresentazioni empiriche.
La prova desunta dall'ordine del mondo è un argomento empirico, dedotto da un'analogia con l'arte umana. Non prova l'esistenza di un creatore; al più potrebbe provare l'esistenza di un architetto del mondo (il demiurgo platonico).
(continua)
note:
(1) Immanuel Kant - Critica della ragion pura
DLG - 11 maggio 2004