Kant pre-critico
1 - Irriverente verso la tradizione, ma non
ribelle
di Carlo Fracasso
Tutti quelli che hanno studiato un po' di
filosofia sui banchi di scuola lo sanno:
Kant, ad un certo punto, rifiutò l'idea tipica
della vecchia metafisica di come avviene
la conoscenza. In particolare, egli disse
che l'intelletto umano non si limita a ricevere
fedeli copie della realtà attraverso i sensi.
Nemmeno si accontentò della spiegazione fornita
da Leibniz, ovvero dell'esistenza di un'armonia prestabilita tra il dentro ed il fuori, tra l'anima e
il mondo.
Nacque così la Critica della ragion pura, il testo che rivoluzionò la filosofia,
e che per molti aspetti costituì l'esito
più alto dell'illuminismo.
Ma come arrivò a questo?
Cercherò di ripercorrere a grandi passi il
tragitto nel tempo di quando Kant non era
ancora "Kant", cioè il filosofo
che noi conosciamo e che ci ha dato tanto
da pensare e "tribolare", ma uno
dei tanti studenti e studiosi attratti sia
dalle certezze meccaniche che la fisica moderna
andava costruendo, a partire da Galileo e
Newton, sia dalle clamorose incertezze che
ormai proponeva la metafisica scolastica.
Ho preferito scrivere una serie di brevi
articoli anzichè un saggio ponderoso e quello
state leggendo è il primo della serie.
L'uomo che ebbe la maggiore influenza sulla
formazione scientifico-filosofica di Kant
fu certamente Martin Knutzen.
Questi fu suo maestro praticamente su tutto
lo scibile umano, dalla matematica al diritto
naturale, dall'astronomia alla filosofia.
Fatto non raro nel Settecento. Ma nemmeno
scontato.
Tra i docenti dell'università di Königsberg,
Knutzen era il solo ad avere un concetto
europeo (leggi franco-inglese) di scienza
ed anche uno dei pochi a guardare oltre i
limiti dell'erudizione costruita su compendi
e dispense. Interessato sia da Newton che
da Wolff, potremmo rappresentarcelo come
infilato in una giacca troppo stretta e tirato
in direzioni opposte e non ancora complementari.
Non fu un grande perché mancava forse della
spinta a specializzarsi in una direzione
precisa.
L'influenza di Knutzen su Kant si esercitò
in particolare sulle questioni del rapporto
tra fisica e metafisica. E nel semestre estivo
del 1746 Kant realizzò una prima e basilare
performance con il trattatello Pensieri sulla vera estimazione delle forze
vive.
La pubblicazione del saggio fu laboriosa
ed intralciata da qualche intoppo. Cominciata
nello stesso anno, fu ultimata solo tre anni
dopo.
L'interesse per quest'opera è persino superiore
al suo oggettivo valore filosofico-scientifico
per il fatto che entrava subito in media res, nel dibattito che allora opponeva cartesiani
e leibniziani in particolare. I primi, sostenitori
di una concezione geometrica delle forze
come "pura estensione", i secondi
come alfieri della vis viva, che quindi negavano la semplicistica opposizione
di res cogitans e res extensa.
Senza contare che un secondo fronte, molto
più importante, era aperto nella disputa
tra newtoniani e leibniziani, ovvero tra
quelli che come Clarke vedevano nella Monadologia di Leibniz una semplice restaurazione della sostanza in termini aristotelico-medioevali
e i leibniziani stessi, che continuavano
a criticare le forze agenti a distanza di Newton. Si può avere un'idea più precisa
di questo dibattito consultando le opere
di Alexandre Koiré, in particolare Studi newtoniani (1).
Se si confronta l'opera di Kant con due trattati
importantissimi usciti in precedenza ma di
poco, ovvero la Mechanica sive motus scientia di Eulero e l'Essay de Dinamique di d'Alembert, si noterà una certa insufficienza.
Kant non era ancora pienamente padrone della
materia e delle ultime novità del dibattito
tra i fisici.
Tuttavia, lo scritto è interessante, più
per quello che promette che per quello che
da. Lo stesso Kant lo definì e lo circoscrisse
ad un ambito metodologico.
E' importante notare che proprio su questo
fronte il giovane Kant colse nel segno, asserendo
che il dissidio non riguardava fatti particolari
ed osservabili, ma i principi stessi della
filosofia della natura.
Fu critico nei confronti di Leibniz. Non
tanto per le sue conclusioni, bensì per il
suo metodo.
In particolare scriveva: «Si deve avere
un metodo per mezzo del quale, mediante un
esame generale dei principi su cui è costruita
una certa opinione, e mediante la comparazione
di certi principi (Grundsätze) con la conclusione (Folgerung) che se ne è tratta, si possa arguire in
ogni caso se anche la natura della premesse
contenga in sé tutto ciò che viene richiesto
riguardo alle teorie inferitene. Ciò avviene
quando si osservano rigorosamente le determinazioni
dipendenti dalla natura della conclusione,
e si bada con molta cura se anche nel costruire
la dimostrazione siano stati scelti principi
tali da essere limitati alle determinazioni
particolari presenti nella conclusione. Se
non si trova rispettata questa condizione,
è lecito solo pensare che tali inferenze
siffattamente difettose non dimostrino nulla...
In una parola: tutta questa trattazione va
intesa unicamente ed esclusivamente come
un prodotto di questo metodo. » (2)
Ma sbaglieremmo un poco se intendessimo la
critica a Leibiniz come una sorta di scelta
per Newton, cioè ad una semplice scelta tra due autorità in materia.
In Kant comincia ad intravvedersi infatti
un ritorno alla soggettività, anche se in
termini un po' diversi da quelli sostenuti
da Cartesio. Cassirer nota che c'è un pathos soggettivo, ma questo è rivolto esclusivamente
alla "cosa", rispetto alla quale
ogni "opinione" perde la sua importanza,
anche quando legata ad un nome celebre, sia
esso Aristotele o perfino Newton.
Leggiamo infatti a proposito delle autorità: « Vi fu un tempo in cui in una siffatta
impresa vi era molto da temere; ma mi immagino
che tale tempo sia ormai trascorso e che
l'intelletto umano si sia già felicemente
liberato dei ceppi che lo tenevano nell'ignoranza
e nell'ammirazione. Ormai si può avere l'audacia
di non tenere in alcun conto l'autorità dei
Leibniz e dei Newton, quando essa dovesse
opporsi alla scoperta del verità, e di non
obbedire altro che alla spinta dell'intelletto.»
(2)
Ora a noi queste potrebbero sembrare banalità,
ma quel tempo non lo erano. Il valore di
un sapere si basava sull'autorevolezza di
una fonte più che sulla forza oggettiva e
soggettiva dell'argomentazione.
Ma, detto questo, non sfugga che, come accadrà
regolarmente anche dopo la svolta critica,
Kant non fu mai malato di ribellismo fine
a sé stesso, di semplicistica carica antiautoritaria.
Le sue contestazioni ai pensatori del passato
andavano al cuore dei problemi, all'insufficienza
delle argomentazioni.
Spesso, proprio come accade nei Gedanken von der wahren Schätzung der
lebendingen Kräfte, egli fu anzi molto corretto non tanto per
trovare mediazioni e giusto mezzo tra tesi
opposte, quanto per cercare e spesso trovare
un punto di osservazione più adeguato alla
risoluzione dei problemi in gioco. Una tendenza
innata, direi, ma certamente portata a maturazione
nel periodo di apprendistato presso Martin
Knutzen, grande mediatore ma mai in grado
di andare oltre la mediazione stessa.
note:
(1) Alexandre Koiré - Studi newtoniani - Einaudi, 1972
(2)la citazione è tratta da Gedanken von der wahren Schätzung der
lebendingen Kräfte nella versione che ne da Ernst Cassirer
in Vita e dottrina di Kant - La Nuova Italia, 1977