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Karl Jaspers
E' ben difficile raggiungere il sentiero
Dario Smizer
«La filosofia ha bisogno della sua storia. Il pensiero presente si ritrova nel suo passato. Il modo in cui esso si riferisce al passato è notificato dalla sua stessa essenza.» (1) Jaspers assegna estrema importanza alla storia della filosofia, riscrive una storia della filosofia perché la ricomprensione storiografica è preliminare obbligatorio alla auspicata nascita di una nuova metafisica. Nuova perché antichissima, perché memore della cura di ciò che sta oltre l'ente, l'essere che è. I grandi filosofi, secondo Jaspers, ben oltre ciò che hanno scritto, si rivolsero alla trascendenza dell'ente. Essi «stanno nel tempo al di là del tempo. Ognuno, anche il più grande, ha certo il suo posto storico e porta il suo rivestimento storico, ma il contrassegno della sua grandezza è che egli non appare legato a questi rivestimenti storici, ma assume un carattere sovrastorico. Grande non è colui che coglie il suo tempo in pensieri, ma colui che tocca, con ciò, l'eterno.» (2)
Così Jaspers sfugge alla morsa dello storicismo, compreso quello marxista e oltrepassa quei limiti. Il lettore di filosofi coglie in tal modo l'opportunità di vedere e sentire insieme ai filosofi stessi "la parola dell'essere che esige con-senso". (3) La storia non allinea parole e discorsi come parti di un'unica verità ma, è mediazione cifrale, allo stesso tempo chiarificante e adombrante. Nel prendersi cura della distanza si conserva l'essenza della metafisica, la quale non è altro che il sapere e conoscere la povertà di quegli stessi esseri umani che ignorano l' Umgreifende e così non pervengono alla comprensione. «La metafisica - commenta Umberto Galimberti - che si annuncia nel crepuscolo del nostro tempo come "tramonto della filosofia europea e aurora della filosofia mondiale", nasce dalle ceneri della logica dell'Occidente, che ha preteso di pensare l'essere in concetti, onde poterlo ordinare nei propri sistemi e significati. Da questi era bandita la contraddizione e quindi la grandezza della filosofia che si lascia cogliere proprio là dove produce le massime contraddizioni, rivelando, nella tensione logica, l'impossibilità di concludere a una teoria finita che è negazione della trascendenza.» (4) Per Jaspers, diviene evidente che filosofare veramente non significa voler conciliare le antinomie, oppure decidere per una posizione rifiutando l'altra, bensì trascendere entrambe tendendo all'essere. Su questo percorso, il concetto deve cedere il passo alla cifra, e la pretesa di comprendere alla consapevolezza dell'incomprensibile. Sarebbe persino inutile segnalare quali filosofi furono capaci di tanto. La cifralità di Platone sta nell'esprimere l'impotenza del linguaggio logico. L'essere rimane mistero inafferrabile. Ancora di più Plotino diviene l'emblema del mistico capace di proiettare nell'estasi che supera la scissione logica di un soggetto che pensa l'oggetto del pensiero nel pensiero, sia esso una cosa, un'idea, un 'tu' altro e diverso. Ecco, scrive Galimberti, «La scrittura cifrata trova la sua migliore espressione in Kant, la cui filosofia, dopo la liquidazione della psicologia, della cosmologia e della teologia razionale, non ha più alcun oggetto all'infuori dell'oggetto cifra che è poi il noumeno inoggettivabile. Con Kant la filosofia comincia dove la logica scientifica incontra il limite che è tale anche per la filosofia, ma questa, a differenza della scienza, lo mantiene come indicazione dell'al di là, di cui salvaguarda la possibilità custodita nelle antinomie delle idee che non sono oggetti per noi. La stessa logica cifrata anima la ragion pratica, che non si fonda sugli imperativi ipotetici condizionati da buone ragioni, ma sull'imperativo categorico, che è senza ragione perché è incondizionato, cioè cifra.» (5)
Per questo Jaspers colloca Kant insieme a Platone e Agostino. Tutti costoro ebbero, per vie diverse, ma non antitetiche, la consapevolezza che la scissione soggetto-oggetto, obiettivante e quindi mirante alla scienza degli enti da dominare, non fosse esaustiva. Tutti questi filosofi criticarono la ragione separante e calcolante. In particolare essi avvisarono che calcolo e anticipazione matematica sono incapaci di cogliere il senso dell'essere. E, procedendo in una direzione precisa, quella del dominio sulla natura, impedisce di seguire l'altra, quella della ricerca del senso. Ecco in quale luce Jaspers interpreta Kant: «L'essenza del pensiero non è nel pensiero matematico che può essere eseguito mediante determinate operazioni, ma nell'invenzione spirituale che si deve compiere con il pensiero stesso. Non si tratta di comprendere qualcosa di non-oggettivo nell'oggettivo.Tutto ciò ha senso solo se un giorno si verifica una scossa, quella dell'intellezione, che non è mistica né morale e non ha il carattere della rivoluzione, ma trascende con il pensiero, nel pensiero razionale, il pensiero stesso.» (6)
Per Jaspers la distinzione tra fenomeno e cosa in sé acquista così tutt'altro significato da quello considerato dai neocriticisti. Non è più il terminale del movimento dualistico della scissione soggetto-oggetto. Questo atteggiamento del pensiero, infatti, si arresta, come in Newton, al confine tracciato dal fenomeno. Non si sa, con Newton, cosa sia l'attrazione. Oltre non si può andare, anche se è l'oltre che interessa veramente. Secondo Jaspers,dunque, la cosa in sé, rivelandosi come limite insuperabile della comprensione scientifica calcolante, diventa immediata opportunità di trascendenza. «In questa luce - osserva Galimberti - si comprende perchè il pensiero di Kant sia, per Jaspers, "unico e decisivo" nella storia dell'Occidente.» (7) Infatti, dopo duemila anni di misconoscimenti della trascendenza dell'essere e di sua riduzione nell'immanenza del pensiero, nella forma dell'idea platonica, dell'intellectus medioevale e del cogito dell'età moderna, una speculazione che mette in guardia dalla riduzione del senso dell'essere all'oggettività anticipata delle categorie del pensiero, e dal risolvimento della sua trascendenza nell'immanenza della soggettività, una speculazione che avverte la necessità di trascendere l'oggettività raggiunta, in vista della trascendenza inoggettivabile, onde evitare di ridurre l'inesauribilità dell'essere che tutto comprende all'orizzonte circoscritto della comprensione umana, dischiude per Jaspers "un sentiero che attende di diventare per la filosofia una strada maestra". (8) A meno che la filosofia non rinunci a sé stessa, alla propria identità essenziale, per dissolversi nella scienza.
C'è un passaggio di Jaspers ne I grandi filosofi che evidenzia quali difficoltà stiano innanzi al filosofante che non voglia rinunciare all'essenza della filosofia per arrendersi alla scienza dei fenomeni. «E' ben difficile raggiungere il sentiero. E' stato sempre così: non si è capito e ci si è adirati, oppure non si è capito e si è pur notato che qui stava il punto decisivo per tutto il nostro filosofare presente, o si è creduto di aver capito e ci si è costruito con la propria interpretazione l'accesso al sentiero. E' come se attraverso un'intricata viabilità, false indicazioni stradali facessero deviare dalla strada che conduce al pensiero kantiano. Oppure è come se nella forza vitale di Kant sia caduta una roccia che deve essere tolta affinché la forza,crescendo, spanda i suoi semi. Sarei contento se fossi riuscito a far sentire ai miei contemporanei che quella roccia non è stata ancora rimossa.» (9)
Il Kant sepolto sotto la roccia non è ovviamente quello considerato come l'uccisore della metafisica. Il Kant indicato da Jaspers va cercato nella cifra del fenomeno. Dal fenomeno si può arrivare all'essere che lo trascende: «trascendere, nelle categorie del pensiero, le categorie stesse per pensare l'impensabile.» (10) Entra così in gioco il rinvio. Come un coccio rinvia al vaso di cui era parte, come la tessera rinvia all'associazione di cui il possessore fa parte, così il fenomeno è tessera di un'associazione infinita: l'essere. Jaspers è convinto che la via scientifica non sia consapevole dei propri limiti, anche se continua a superarli. Per riapririsi alla omnicomprensività, occorre prendere atto che la coscienza umana non è mai "vuota", ma è pur sempre coscienza dell'essere, quanto meno come coscienza della tessera dell'associazione.
Galimberti è molto acuto nel cogliere quale feconda eredità sia il lascito del Kant di Jaspers. La forza di vitale di Kant non è la logica scientifica, bensì la logica simbolica, cioè il linguaggio che sa interpretare la cifra; essa non sta in ciò che è detto, ma in ciò che nel detto è richiamato. «Se "criticismo" - scrive Galimberti - è fondazione delle possibilità umane nella consapevolezza dei limiti, ebbene il limite è proprio quella tessera simbolica che rende presente l'ulteriorità, come ciò che non si esaurisce in quella traccia che nel fenomeno essa lascia di sé. Prenderne coscienza significa trattare l'anticipazione della ragione, la matematicità in cui il pensiero ha risolto se stesso a partire da Cartesio, come una delle possibilità di impiego del pensiero umano, e non come l'assoluto in cui si risolve l'essenza dell'uomo e si decide il senso dell'essere.» (11)
Un ulteriore passaggio di Jaspers chiarisce: «La necessità logica del dover pensare in un certo modo non è la necessità reale dell'essere. Le relazioni logiche non si devono confondere con le relazioni reali. L'essere non si può dedurre né costruire da una necessità logica. La stessa esigenza di non confondere i rapporti logici con quelli reali era ben presente a Kant fin dal saggio: Tentativo per introdurre nella filosofia il concetto di quntità negative del 1763.» (12)
Certamente: la filosofia di Kant può essere interpretata in modo del tutto diverso. Ne sono un esempio i saggi di Daniele Lo Giudice presenti su questo sito. E' il Kant della logica scientifica dei fenomeni e della prescienza del trascendentale. Ma Jaspers ha mostrato la possibilità di trovare in Kant il padre del pensiero dell'essere alla fine della modernità e dell'illuminismo. «Sulla scorta della filosofia kantiana veniamo in chiaro del fatto che noi viviamo nella prigione della scissione soggetto-oggetto, nello spazio, nel tempo e nelle nostre forme di pensiero. Prenderne coscienza è già un liberarsi della prigione.» (13) Meditando la celebre affermazione kantiana - Kein bewusstes Sein ist das Sein - "nessun essere conosciuto è l'essere", Jaspers si convinse che anche Kant avesse riconosciuto l'impossibilità di ridurre l'essere all'essere di fenomeni costituito dalle categorie. Ammettere che questo essere sia l'essere equivale a fare della ragione il senso ultimo dell'essere. E fu per questo che Hegel stroncò la Critica della ragion pura definendola una tautologia nella quale la ragione critica la ragione. «In realtà - osserva Galimberti - le cose stanno diversamente. Kant è consapevole che i due ceppi della nostra conoscenza (sensibilità e intelletto) possono operare solo all'interno della scissione soggetto-oggetto, e quindi solo all'interno di quell'anticipazione soggettiva che oggettiva l'essere, ma, come osserva Jaspers, è anche consapevole che "i due ceppi derivano da un'origine comune a noi sconosciuta.» (14) In altre parole, l'origine non può che risultarci ignota ma, risalendo dalle tracce che essa lascia, siamo in grado di non rappresentare noi stessi come origine, secondo un'arroganza, cioè secondo il pretendere di essere noi stessi l'assoluto. Questo pensiero distrugge alla radice l'ambizione hegeliana di svelare il mistero dell'essere attraverso una arbitraria fenomenologia dello spirito filosofico. Così Jaspers, riprendendo Kant, poteva scrivere: «Il mistero dell'origine ritorna sotto altra forma quando si parla dell'immaginazione che, come termine medio tra intelletto e sensibilità, dà all'uno la possibilità di applicarsi all'altra. E' questa "un'arte nascosta nel profondo dell'anima umana, i cui veri artefici non riusciranno mai a carpire alla natura, né potevano presentarla scoperta ai nostri occhi."» (15)
Essendo Kant troppo serio per farsi tentare da soluzioni mistiche, e illudendosi perciò di poter ricomporre la scissione soggetto-oggetto, condizione naturale del nostro pensiero, in modo razionale, egli provò ad esaminare il problema dal di fuori. In realtà, ci siamo sempre dentro. Jaspers annotò: «Kant cerca di comprendere la relazione soggetto-oggetto in cui ci troviamo, pensando come se potessimo starne al di fuori, mentre siamo costretti a starvi sempre dentro. Si spinge ai limiti dell'esserci di ogni essere per noi, per vedere al limite l'origine della totalità, pur essendo costretto a rimanere entro questi limiti Con il metodo trascendentale si propone di trascendere mediante le forme dello starvi dentro. Pensa al di là del pensare, ma non potendo fare di un punto di vista esterno al pensiero lo fa in quanto già pensa.» (16)
Rispetto a ciò, siamo di fronte ad una contraddizione: come si può cogliere, infatti, il non-oggettivo - nel senso di non oggettivato da noi, dai nostri sensi - se il nostro modo di pensare e la nostra logica sono oggettivanti? Risponde Jaspers: «[...] il non-oggettivo, che deve essere chiarificato nell'origine di ogni essere oggettivo (nell'orizzonte della scissione soggetto-oggetto), anche se non si lascia cogliere oggettivamente, non può essere pensato che oggettivamente. Ciò che si è così pensato, per non consolidarsi come falso oggetto, deve formalmente naufragare in tautologie, circoli e contraddizioni.» (17)
E aggiunge: «Circoli, tautologie, contraddizioni non si possono quasi evitare nel filosofare. Essi sono il contrassegno che distingue il conoscere filosofico da quello scientifico. Quello filosofico è diretto alla totalità che non ha nulla fuori di sé, quello scientifico a oggetti determinati che si contrappongono ad altri. Il primo vuole superare tutti i presupposti per arrivare a librarsi nella totalità, il secondo ha il suo valore necessitante nei presupposti che valgono nella determinatezza di ciò che si può ricercare. Ma quando il sapere filosofico si dà come oggetto la totalità comprensiva che non è un oggetto, e presuppone l'estensione della mancanza di presupposti, allora esso deve imbattersi in circoli, tautologie e contraddizioni, perché vuol riguardare la totalità in base alla totalità stessa e non in base a qualcos'altro, vuol riguardare il suo pensiero in base a sé stesso e non in base a qualcosa che lo preceda. Quegli errori logico-formali si devono presentare quando si deve pensare ciò che non si adatta a essere catturato adeguatamente da queste forme.» (18)
Provare a pensare in questo modo, trovare e immettersi su tale 'sentiero' porta inevitabilmente al circolo e alla contraddizione. E' un anticipo del 'naufragio' jaspersiano. Seguendo Jaspers, siamo impossibilitati a congelare il pensiero di Kant nel suo risultato, a considerarlo alla pari di una conquista scientifica, o nient'altro che un commento filosofico alle conquiste scientifiche realizzate da Galileo e Newton. Il pensiero filosofico non è mai un risultato, non è un'operazione aritimetica che dà risultati numerici, o un'equazione algebrica che dà risultati simbolici. Esso è atto della coscienza. «Ciò che filosofando, qui avverto è il pensiero che fa sorgere circoli, tautologie e contraddizioni, affinché, mentre esso vede consumarsi queste figure nelle fiamme della negazione logica, possa venire in chiaro di se stesso nella situazione del suo essere.Il fondamento originario della verità, infatti, è il volo della coscienza dell'essere nella distesa della presenzialità di tutto ciò che ci si mostra come essere, o, che è lo stesso: la presenza della profondità da cui proviene il tutto ciò che è per noi e che noi siamo.» (19)
(1) K. Jaspers - I grandi filosofi -
(2) idem
(3) U. Galimberti - Il tramonto dell'Occidente- Universale Economica Feltrinelli 2005
(4) idem
(5) idem
(6) K. Jaspers - I grandi filosofi - Longanesi 1973
(7) U. Galimberti - Il tramonto dell'Occidente
(8) K. Jaspers - I grandi filosofi -
(9) idem
(10) idem
(11) U. Galimberti - Il tramonto dell'Occidente
(12) K. Jaspers - I grandi filosofi -
(13) idem
(14) U. Galimberti - Il tramonto dell'Occidente
(15) K. Jaspers - I grandi filosofi -
(16) idem
(17) idem
(18) idem
(19) idem
DS - 2 agosto 2006