| home | indice di Kant | indice di filosofia moderna |

Introduzione alla Critica della ragion pura
di Renzo Grassano
La prima edizione della Critica della ragion pura apparve nella primavera del 1781, a Riga, stampata dall'editore J.F. Hartnoch.
Da una lettera che Kant scrisse a Moses Mendelssohn il 18 agosto 1783 possiamo essere relativamente certi di due cose: a) il testo fu composto "di volo" in quattro o cinque mesi. b) Essa, però, fu il risultato di una riflessione lunga dodici anni.
Per ben otto volte, nell'arco di questo periodo, Kant annunciò come imminente la stampa dell'opera, e per sette volte l'attesa venne delusa.

Secondo una interpretazione ormai consolidata, tuttavia, la pubblicazione della prima Critica non rappresentò la conclusione di un progetto a lunga scadenza, ma il frutto di una decisione improvvisa, maturata sul finire del 1780.
In altre parole: Kant, ad un certo punto, decise che gli ultimi dubbi potevano considerarsi superati, e che non si potevano avere esitazioni su quali oggetti sarebbe stato lecito continuare ad avere dubbi.
Non è un gioco di parole. Il problema della Critica della ragion pura fu inizialmente uno solo: fino a che punto si può spingere la ragione? Ovvero, fino a che punto essa può procedere oltre i dati dell'esperienza?
Così esordiva Kant fina dalla prima riga del suo scritto: "In una specie delle sue conoscenze la ragione umana ha il particolare destino di essere tormentata da problemi che non può scansare perchè le sono imposti dalla sua stessa natura, ma ai quali, tuttavia non è in grado di dare soluzione, perchè oltrepassano ogni suo potere.
La ragione cade in questa difficoltà senza sua colpa. Essa prende le mosse da principi il cui uso risulta inevitabile nel corso dell'esperienza ed è da questa sufficientemente convalidata. Attraverso questi principi (come la sua stessa natura comporta) la ragione procede sempre più in alto, verso condizioni sempre più remote.Ma quando si accorge che per questa via il suo procedere è costretto a restare sempre incompiuto, perchè i problemi non cessano di risorgere, si vede costretta a far ricorso a principi che oltrepassano ogni possibile ogni possibile uso d'esperienza e che tuttavia sembrano così al di sopra di ogni sospetto da riscuotere il consenso anche della comune ragione umana. Ma in tal modo essa cade in oscuirità e contraddizioni, a causa delle quali può certamente rendersi conto che in qualche luogo debbono nascondersi errori di base; non le riesce tuttavia di scoprirli, perchè i principi di cui si serve, ponendosi al di là di ogni esperienza, negano all'esperienza ogni possibilità di valere come pietra di paragone. Orbene, il campo su cui si combattono queste lotte senza conclusione si chiama metafisica. " ( Kant, Prefazione alla prima edizione della Critica della ragion pura)

Se la critica della metafisica tradizionale, secondo Kant infondata, costituisce il primo obiettivo della Critica, non bisogna però mettere in secondo piano la non nascosta polemica con le posizioni di Hume. Per quest'ultimo tutto il sapere umano è probabile, e si fonda sull'abitudine e la credenza. Quando poi si fa della metafisica, anche le probabiltà vengono meno, fino ad azzerarsi. Questo scetticismo venne contestato da Kant.
Un sapere autentico esiste, ad esempio la matematica. In secondo luogo, per quanto la metafisica sia infondata e chimerica, dobbiamo constatare, come risulta evidente dalle parole che abbiamo citato, che la tensione dell'uomo che pensa e si fa domande sull'al di là, è reale, risponde ad un'esigenza insopprimibile.
Scriveva l'Abbagnano: " La metafisica stessa, pure nelle nella sua vana pretesa di conoscenza, pone un problema che va risolto cercando nella costituzione dell'uomo il movente ultimo della sua tendenza a trascendere l'esperienza." (Storia della filosofia - vol. IV)
E' l'indagine critica ad autorizzare la ragione nelle sue legittime pretese di sapere, ed allo stesso tempo, è la stessa indagine critica a respingere le risposte e le soluzioni che non hanno fondamento alcuno.
La Critica della ragion pura diviene così, per Kant, un'autocritica che la ragione fa a sé stessa.

Ed, a questo punto, orrore per ogni empirista, Kant fece affermazioni decise. Vi sono conoscenze indipendenti dall'esperienza. Ogni conoscenza universale e necessaria, infatti, non può che fondarsi su generalizzazioni che l'esperienza stessa non può legittimare. Ogni nostra conoscenza comincia con l'esperienza, ma non deriva tutta dall'esperienza. C'è un valore aggiunto, la nostra riflessione ragionata, il modo in cui impieghiamo la facoltà di critica sui dati dell'esperienza e su come altri hanno ragionato su quei dati.
In sostanza: noi aggiungiamo sempre qualcosa di soggettivo ad ogni esperienza maturata. Questa soggettività non è di natura psicologica e caratteriale, non viene da caratteri individuali di ognuno, ma da criteri universali presenti in ogni individuo razionale, come dimostra, del resto la scientificità della matematica. Se ognuno pensasse la matematica in base a criteri arbitrariamente personali non ci capiremmo più. 2+2 fa 4 per tutti.
Secondo Kant, la matematica e la fisica pura di Newton contengono verità universali e necessarie, quindi indipendenti dall'esperienza, anche se non prive di ogni esperienza, se si presta attenzione al fatto che Newton fu categorico al riguardo: ipotesi non fingo. Tutto quello che dico è frutto di una riflessione sui dati.
Per Kant l'esperienza non può dare luogo, da sola, a giudizi sintetici a priori, quali sono quelli che costituiscono la scienza fisica e matematica.

Per questo, secondo Kant, il primo problema dell'autocritica che la ragione conduce è quello di scoprire gli elementi formali della conoscenza, definiti puri ed a priori. In pratica, il vero problema che abbiamo di fronte non è più quello di penetrare nelle oscure e dubbie regioni della metafisica, ma di fare un passo indietro e vedere cosa c'è nel nostro intelletto e nella nostra ragione di caratteristico, cosa ci consente di capire la realtà nei modi in cui la comprendiamo.
Ma prima di sviluppare questo punto, approfondiamo meglio il ragionamento kantiano.

Siccome credo che le prefazioni siano molto importanti perchè, in genere vengono scritte alla conclusione del lavoro, e non costituiscono, quindi, una semplice dichiarazione di intenti, la migliore spiegazione di cosa sia l'elemento a priori cercato da Kant si trova nella prefazione alla seconda edizione del 1787. Qui Kant precisa che matematica e fisica sono diventate scienze nel momento in cui si è compiuta al loro interno una rivoluzione, e cioè si è compreso che non è il soggetto conoscente (come aveva affermato Aristotele nella Metafisica, e come aveva confermato Tommaso d'Aquino) a doversi adeguare all'oggetto da conoscere, bensì è quest'ultimo che deve adeguarsi al soggetto conoscente.
Le parole testuali di Kant, riferite in particolare a Galileo, a Torricelli ed a Stahl, che tale impresa avevano compiuto, sono: " Si resero allora conto che la ragione scorge soltanto ciò che essa stessa produce secondo il proprio disegno, e compresero che essa deve procedere innanzi coi principi dei suoi giudizi con leggi stabili, costringendo la natura a rispondere alle proprie domande, senza lasciarsi guidare da essa, per così dire, con le dande. In caso diverso le nostre osservazioni casuali, fatte senza un piano preciso, non trovano connessione in alcuna delle leggi necessarie di cui invece la ragione va alla ricerca ed ha impellente bisogno. E' pertanto indispensabile che la ragione si presenti alla natura tenendo, in una mano, i principi in virtù dei quali soltanto è possibile che i fenomeni concordanti possano valere come leggi e, nell'altra mano, l'esperimento che essa ha escogitato in base a questi principi; e ciò al fin e di essere istruita dalla natura, ma non in veste di scolaro che stia a sentire tutto ciò che piace al maestro, bensì di giudice che nell'esercizio delle sue funzioni costringe i testimoni a rispondere alle domande che egli loro rivolge." (Kant, Prefazione alla seconda edizione della Critica della ragion pura)

Si è dunque compiuta una rivoluzione copernicana. Il rapporto tradizionale tra soggetto che conosce ed oggetto è ribaltato. Finisce un senso di sudditanza dell'uomo nei confronti della natura e dell'essere, proprio nel momento in cui l'uomo si rende conto di non essere più al centro dell'universo, oggetto a cui tutta la creazione è finalizzata.

"Così - scrive Cassirer - è già annunciato il primo caratteristico contrasto che divide la dottrina di Kant dai sistemi del passato. La vecchia metafisica era o n t o l o g i a: cominciava senz'altro con determinate convinzioni generali sull''essere' e a partire da queste cercava di addentrarsi nella conosc enza delle determinazioni particolari delle cose. Ciò in fondo vale sia dei sistemi che si autodesignavano dottrine 'empiristiche' sia di quelli che facevano professione di 'razionalismo', infatti, si dividono sì nelle rispettive concezioni degli specifici mezzi conoscitivi con cui noi ci appropriamo dell'essere; ma la prospettiva di fondo che un siffatto 'essere' esista, che vi sia una realtà effettuale delle cose che la mente deve accogliere in sé e in sé riprodurre a mo' di copia, è comune ad entrambi." (Cassirer - Vita e dottrina di Kant)

Sia il razionalismo che l'empirismo sono dunque viziati, per Kant, da un eccesso di realismo. Ora, per chi pensa che la realtà sia quella che percepisce, la posizione kantiana potrebbe apparire davvero astrusa.
Ma, cominciamo a chiarire almeno questo: essa ha il merito di farci intendere che non siamo assoluti, ma relativi. Il nostro modo di percepire è umano, non cosmico. Noi vediamo le cose nei limiti delle nostre percezioni e ragioniamo su di esse nei limiti della nostra ragione.
Cassirer spiega bene questo punto: "L'altero nome dell'ontologia, la quale, si arroga il diritto di dare nozioni universalmente valide e necessarie delle 'cose in generale' in una dottrina sistematica, deve far posto al modesto titolo di una semplice analitica dell'intelletto puro. Mentre nell'una si domandava in primo luogo che cosa è l'essere per poi dimostrare come esso 'venga a intelletto', ossia come si rappresenti e si esprima in concetti e nozioni, qui all'opposto si deve cominciare con lo stabilire che cosa significhi in generale la domanda intorno all'essere; mentre nel primo caso l'essere valeva da punto di partenza, qui figura come problema o come postulato. Laddove prima si prendeva come cominciamento sicuro una determinata struttura, qual poi si fosse del mondo oggettico (Gegenstandwelt) e il compito consisteva solo nel mostrare in che modo tale forma dell''oggettività trapassi nella forma della 'soggettività', divenga nozione e rappresentazione, qui si esisge che prima di esibire una qualunque teoria intorno a questo trapasso, si spieghi anzitutto che cosa significhi anzi tutto il concetto di realtà effettuale, che cosa voglia dire quell'accampare una oggettività." (Cassirer - Vita e dottrina di Kant)

Ma, acquisito questo, occorre guardarsi da eccessive semplificazioni. Per Kant, conoscere non significa affatto creare bensì, unificare i dati dell'esperienza. Pur riconoscendo che noi siamo in grado di percepire la realtà solo per come essa ci appare nei fenomeni, nulla ci autorizza ad interpretarla libermente, fino al punto di crearla fantasiosamente negando l'oggettività stessa dei fenomeni.
Con Kant, la vecchia dottrina parmenidea è completamente rovesciata. Per quello, si poteva avere scienza solo dell'essere ed i fenomeni erano oggetto di opinione; per Kant, ma già era implicito in Newton, dei fenomeni si può aver scienza, del vero essere no.

A questo punto, dovrebbe esser chiaro, allora, che i punti fermi del ragionamento kantiano sono due: da un lato individuare gli elementi a priori dell'intelletto, dall'altro il problema del metodo scientifico.

Nell'introduzione alla Critica abbiamo un prima importante messa a punto. Qui Kant distingue i giudizi, ovvero gli atti conoscitivi coi quali noi attribuiamo un predicato ad un oggetto, in giudizi analitici e giudizi sintetici.
I primi equivalgono ad un'analisi, o scomposizione del concetto che noi abbiamo dell'oggetto; i secondi consistono nell'attribuire al soggetto un predicato non contenuto nel concetto di esso, quindi equivalgono ad una sintesi, o meglio, ad una composizione di due concetti diversi.
E' una distinzione completamente diversa da quella tra metodo analitico, consistente nel risalire dalle conclusioni di un ragionamento alle sue premesse, e metodo sintetico, consistente nel discendere dalle premesse alle conclusioni.
I giudizi analitici, secondo Kant, sono sempre a priori. Non necessitano di esperienza perchè derivano da concetti puri; in quanto tali sono universali e necessari, ovvero valgono in tutti i casi necessariamente. Inoltre, sono tautologici, cioè non aggiungono nulla a quanto già era implicito nella definizione; ripetono la stessa cosa (tauto). Dire che tutti i corpi sono estesi è una tautologia. Infatti se parliamo di corpo, pensiamo a qualcosa di esteso nello spazio.
I giudizi sintetici hanno invece bisogno di una esperienza per poter ricavare un predicato che non è compreso nella definizione. Quindi i giudizi sintetici devono venire a posteriori dell'esperienza, salvo che nel caso della matematica, dove sappiamo che 7+5= 12 sempre, ovvero non occorre che contiamo tutte le volte sette unità e ve ne aggiungiamo cinque per avere la prova della validità dell'enunciato. Analogamente, anche la definizione di retta come linea più breve tra due punti posti sullo stesso piano è giudizio sintetico a priori. Infatti, non può essere detto giudizio analitico in quanto il concetto di retta non implica quello della brevità, eppure non c'è dubbio che la definizione sia universale e necessaria.
Ma anche i giudizi della fisica (che Kant pensava in termini di meccanica newtoniana) sono sintetici a priori.
Tale ad esempio il giudizio secondo il quale nel mutamento la quantità di materia resta invariata, dove il concetto di quantità di materia non contiene di per sè il predicato dell'invarianza, anche se questo è un dato universale e necessario, che però va dimostrato tramite esperimenti.

Fatte queste considerazioni, Kant si chiede: è possibile che anche in metafisica si possano utilizzare giudizi sintetici a priori? E come sarebbero possibili gli stessi giudizi sintetici a priori? Che cosa garantirebbe la loro validità? Ed, in ultima analisi ed estrema sintesi: come è possibile la metafisica come scienza?
Nel paragrafo VI dell'introduzione, egli ci da una prima risposta di carattere metodologico e di sapore negativo.
"La critica della ragione - scrive Kant - alla fine, conduce dunque necessariamente alla scienza; mentre il suo uso dogmatico, privo di critica, conduce ad affermazioni prive di fondamento, alle quali sarà sempre possibile contrapporne di altre parimenti fornite di falsa apparenza, sfociando così nello scetticismo.
Questa scienza, d'altra parte, non potrà avere un'ampiezza eccessiva e scoraggiante, perchè non ha a che fare con oggetti della ragione, il cui numero è senza confini, ma solo con la ragione stessa, cioè con problemi che sorgono esclusivamente dal suo seno, e sono presentati non dalla natura delle cose, da essa differente, ma dalla natura della ragione stessa; così una volta che essa abbia, prima di tutto, imparato a conoscere completamente le proprie capacità conoscitive rispetto agli oggetti che possono presentarlesi nell'esperienza, potrà agevolmente procedere alla determinazione completa e sicura dell'ambito e dei limiti del proprio uso, quando tenti di oltrepassare i confini dell'esperienza.
Si possono e si devono quindi considerare inesistenti tutti i tentativi finora fatti per costruire dogmaticamente una metafisica; infatti quando vi è nell'una o nell'altra metafisica di analitico, ossia la mera scomposizione dei concetti giacenti a priori nella nostra ragione, non è per nulla ancora lo scopo, bensì solo un preparativo, per l'autentica metafisica, cioè per l'estensione sintetica a priori della sua conoscenza; a tale estensione; la scomposizione non basta, perchè si limita a mostrare quanto è già contenuto nei concetti e non il modo in cui noi giungiamo a priori in possesso di tali concetti, e come sia, di conseguenza, possibile determinare anche la validità del loro uso rispetto gli oggetti di ogni conoscenza in generale. Basta solo un po' di abnegazione per rinun ciare a tutte queste pretese, visto che le innegabili, e - nel procedimento dogmatico - inevitabili contraddizioni della ragione con se stessa hanno privato già da molto tempo la metafisica della sua reputazione."

Nel paragrafo VII dell'introduzione, Kant enuncia così l'idea 'd'una scienza speciale, che può prendere il nome di Critica della ragion pura'..."Una scienza siffatta non dovrebbe chiamarsi dottrina, ma soltanto critica della ragion pura; e rispetto alla speculazione, la sua utilità sarebbe solo negativa, poichè servirebbe, anzichè all'allargamento, alla semplice purificazione della nostra ragione, liberandola dagli errori..."
"Chiamo trascendentale - prosegue Kant - ogni conoscenza che si occupi - in generale non tanto di oggetti quanto del nostro modo di conoscere gli oggetti nella misura in cui questo deve essere possibile a priori. Un sistema di tali concetti potrebbe esser detto filosofia trascendentale. Ma questa, d'altronde, per cominciare, è ancora troppo."
Qui ci interessa solo chiarire i principi della sintesi a priori - conclude Kant - e una ricerca non è dottrina, ma solo critica trascendentale. Non si propone di ampliare le conoscenze, ma semplicemente rettificarle, e trovare la 'pietra di paragone' per determinare il valore o il non valore delle conoscenze a priori.


--------------------------------------------------------------------------------

RG - 4 maggio 2004