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Husserl: Le ricerche logiche
Nel primo volume delle Ricerche logiche, cioè nei Prolegomeni ad una logica pura, edito nel 1900, Husserl svolge una considerevole critica delle impostazioni psicologistiche della problematica logica, affermando la "validità dell'idea di una logica pura come scienza teoretica", indipendente da ogni legame di tipo empirico, in primo luogo psicologico-empirico.
Se la logica pura ha piena autonomia; fondarla su verità "non normative", derivate da altre scienze, significa privarla dei suoi stessi fondamenti, levarle la sua stessa autonomia. La logica non può dipendere dalla psicologia, una scienza particolare, avendo essa una validità generale che attraversa e pervade tutte le altre scienze, psicologia compresa.
La logica pura si struttura in conformità a leggi ideali, nei termini di quella "coscienza di una legalità ideale" che le consente di fondarsi come evidenza su una base non psicologistica. Il modello di teoria scientifica offerto dalla logica pura soddisfa pienamente l'esigenza fondamentale della teoria della conoscenza valida: liberare nella misura più ampia possibile il fatto conoscitivo da interferenze di ordine metafisico o psicologico.
Da un lato, Husserl afferma che spetta ai matematici elaborare formalmente tale dottrina della scienza, una nuova mathesis, che significa "cognizione", una vera e propria teoria delle teorie. Dall'altra, però, spetta ai filosofi il compito di "integrare filosoficamente" la mathesis pura, attraverso la definizione delle condizioni generali di possibilità della scienza in generale.
Il compito dei filosofi è dunque di importanza determinante. Essi devono sforzarsi di definire le leggi logiche ideali a priori che costituiscono il "modello" dell'unità teoretica della scienza. E queste, quando si danno sul piano conoscitivo, non si danno nella loro purezza a priori, ma di fatto si esprimono in una serie di "formulazioni normative" riferite a processi specifici. E' per questo che le leggi corrono continuamente il rischio di essere ridotte a "norme" che derivano però la loro verità e validità da dati "non normativi" come in psicologia. In altre parole, Husserl invita i filosofi ad occuparsi non tanto di psicologia, quanto degli argomenti filosofici di cui si occupano ormai prevalentemente gli psicologi.
L'argomento che nutre il cammino di Husserl in questa direzione si trae facilmente dalla lettura dei Prolegomeni. Dopo aver evidenziato che, nonostante "l'elemento teoretico si realizzi in certi vissuti psichici", "non è per nulla lecito concludere, come se fosse cosa ovvia, che questi vissuti psichici rappresentino necessariamente gli oggetti primari delle ricerche logiche", Husserl fa elegantemente notare che ai logici puri (pensava a Frege?) interessa il giudizio logico e non quello psicologico. In altre parole, il logico puro non ha interesse ad abbandonare l'astratto per il concreto. Husserl, invece sì. Infatti, "anche se l'analisi fenomenologica pura dei vissuti concreti del pensiero non appartiene al campo che spetta originariamente alla logica pura, non per questo essa è meno indispensabile per far progredire la ricerca puramente logica." La logica si da in una concreta pienezza solo se "vive" e si "realizza" nel vissuto, nell'atto del conoscere.
Quest'assillo di Husserl per il primato dell'idealità e della logica pura sulla psicologia non può essere unicamente ricondotto ad una preoccupazione di ordine accademico, ad una reazione dei filosofi allo strapotere degli psicologi nelle università tedesche, reazione giustificata dal fatto che era dominante la tendenza di assegnare cattedre di filosofia ai laureati in psicologia, pregiudicando così non solo la carriera dei filosofi, ma gli studi stessi di filosofia e storia della filosofia.
Husserl aveva certamente a cuore la sorte della filosofia come disciplina, ma non in un senso meschino e di bottega. Difendeva la sensibiltà del filosofo come qualcosa di specifico e come valore universale di contro all'invasività dello scientismo positivistico. Come vedremo nei prossimi files, Husserl critica, nella logica e nella psicologia positivista, l'ovvietà della conoscenza. Il mondo è ovviamente dato, sta la fuori, basta uscir di casa ed aprire gli occhi, raccogliere dati, sperimentare o formulare ipotesi. Ma, per Husserl, una logica fondata sulla sola psicologia empirica non potrà mai dare conto del fatto che esistono leggi matematiche vere che non sono ancora state scoperte, che non sono chiare alla nostra coscienza, e di cui nemmeno basta dire che esistono in potenza, in quanto esistono già, e sono solo temporaneamente nascoste al nostro sguardo, non sono ancora entrate nel nostro orizzonte coscienziale come Erlebnis, come "vissuti" d'esperienza.
Ecco come lo stesso Husserl chiarisce la necessità dell'analisi fenomenologica per arrivare alla fondazione gnoseologica della logica. E': « [...] tendenza (per nulla accidentale) della riflessione filosofica scambiare inavvertitamente l'atteggiamento obiettivo con quello psicologico e a fondare insieme le loro datità - che debbono essere tenute distinte in linea di principio, per quanto siano correlative in rapporto al loro statuto essenziale - con la conseguenza che, nell'interpretazione delle obiettività logiche, ci si lascia fuorviare dai fraintendimenti psicologistici. Per loro natura, queste chiarificazioni possono essere date soltanto da una teoria fenomenologica dei vissuti del pensiero e della conoscenza, che consideri costantemente l'oggetto intenzionato che ad essi inerisce per essenza (esattamente nei modi in cui "si manifesta", "si presenta", ecc., come tale in essi). Solo da una fenomenologia pura, che è tutto meno che psicologia intesa come scienza empirica delle proprietà e degli stati psichici delle realtà animali, lo psicologismo può essere radicalmente superato. Solo essa offre anche nella nostra sfera tutti i presupposti per una definitiva e sufficiente determinazione di tutte le evidenze ed i concetti fondamentali puramente logici.» (Ricerche logiche, I, pp. 272-273)
In che cosa consiste propriamente l'analisi fenomenologica secondo Husserl?
Innanzi tutto nel considerare le logiche ideali nella loro connessione specifica con gli "stati di coscienza", i vissuti in cui esse si "realizzano". Occorre poter verificare come la legge logica, pur nel momento della sua formulazione astratta, possiede un significato che la riferisce, per così dire, la "riporta", ad un ben definito stato di cose. La logica è così un ponte discorsivo gettato tra soggetto ed oggetto: tra stato di coscienza e stato di cose oggettivo deve vivere, giacchè non basta dire che sussiste, deve realizzarsi.
Parlando di realizzazione soggettiva delle leggi ideali, Husserl non si sottraeva all'impegno del prendere in esame il DARSI delle leggi ideali ed oggettiva livello soggettivo. Nel vederle, l'io le realizza nell'evidenza. Dall'evidenza delle leggi si va così all'evidenza del giudizio e più precisamente al problema dell'atto soggettivo di giudizio. Husserl definisce evidente l'atto di giudizio allorché questo acquista consistenza sul piano conoscitivo, quindi da quando si determina e si definisce rispetto allo stato di cose al quale, esso, come atto, mira come al suo contenuto intenzionale.
L'atto di giudizio si esprime in un enunciato che è consistente solo se l'intenzione significante viene "riempita", cioè dotata di un riferimento al piano dell'oggettività della conoscenza. A questo punto, si ha così che l'atto di giudizio assume due diverse valenze. Nella prima è il realizzarsi nel vissuto di un atto psicologico soggettivo. Nella seconda, è ciò che da una precisa misura della consistenza conoscitiva e dell'evidenza di quelle leggi logiche-ideali che di fatto, sul piano del soggetto conoscente, si danno solo nei termini della loro "realizzazione" nel vissuto come "formulazione normativa".
Eppure, dice Husserl, anche in tale evidenza, di corrispondenza tra stato di coscienza e stato di cose, si presentano difficoltà. Tra queste, la più grande è quella che l'analisi fenomenologica è caratterizzata da un atteggiamento riflessivo "innaturale" e porta ad un cambiamento totale e radicale dell'impostazione del problema di una teoria della conoscenza. Mentre l'atteggiamento "naturale" si limita a prendere in esame gli oggetti, l'analisi fenomenologica considera gli atti soggettivi della conoscenza, quelli nei quali le leggi logiche si esprimono in "formulazioni normative", rendendole oggetto della sua riflessione.
Husserl si mostra così ben consapevole che la riflessione fenomenologica costringe ad assumere un atteggiamento innaturale, diverso da quello cui siamo portati, ma forse non comprende che proprio la natura foggia in ogni istante tipi capaci di andare contro-natura (o anche solo contro-corrente) in tutti i campi della vita, compreso il pensare.
Certo è che, rispetto alla generalità, l'approccio fenomenologico che impone di sospendere gli atti conoscitivi nel loro tendere al piano dell'oggettività provoca qualche scompenso. Al punto che, probabilmente la fenomenologia husserliana è forse la meno compresa e la più fraintesa tra le dottrine filosofiche, anche rispetto al kantismo, che pure presenta difficoltà enormi.
In sostanza, si tratta di intendere questo: una volta posti e riconosciuti come tali approccio soggettivo ed oggetto, l'atteggiamento naturale tende a ridurre anche l'atto soggettivo ad oggetto, mentre continua a trattare da oggetti tutti gli oggetti e i loro contenuti.
L'analisi fenomenologica intende al contrario superare tale tradizione, ed impostare lo studio degli atti conoscitivi, sulla base dell'intenzionalità, la quale, per Husserl è comunque sinonimo di tensione alla verità. Non ci sono per intenderci "cattive" intenzioni, intenti di falsità in una ricerca filosofica.
Nel 2° volume del lavoro, intitolato Ricerche sulla fenomenologia e la teoria della conoscenza (1901), Husserl procede decisamente nella "descrizione" del fenomeno conoscitivo partendo dal suo svolgimento nella soggettività come un vissuto (Erlebnis), propriamente esperienza vissuta, un vissuto nel quale le leggi ideali si presentano in termini soggettivi, si "realizzano soggettivamente", pur esistendo, per noi, oggettivamente.
A questo punto, per capire cosa sia un vissuto intenzionale, è meglio lasciare la parola direttamente ad Husserl, il quale, a sua volta, citava Franz Brentano: «Nella percezione viene percepito qualcosa, nella rappresentazione immaginativa qualcosa viene rappresentato in immagine, nell'enunciazione, qualcosa viene enunciato, nell'amore qualcosa viene amato, nell'odio qualcosa viene odiato, nel desiderio qualcosa viene desiderato, ecc. Brentano pensa a ciò che si può cogliere di comune in questi esempi, quando dice:"Ogni fenomeno psichico è caratterizato da ciò che gli scolastici del medioevo hanno chiamato in-esistenza intenzionale (o anche mentale) di un oggetto e che noi chiameremmo, non senza qualche ambiguità, riferimento ad un contenuto, direzione verso un oggetto ( e ciò non vuol dire che si tratti di una realtà) oppure oggettualità immanente. Ogni fenomeno psichico contiene in sé qualcosa come oggetto, benché non sempre in egual modo". Questa "modalità di riferimento della coscienza ad un contenuto" (come Brentano spesso si esprime in altri passi) è appunto, nella rappresentazione, la modalità del rappresentare, nel giudizio, la modalità del giudicare, ecc.» (Ricerche logiche, II, p.160)
moses - 19 novembre 2004