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L'ultimo Horkheimer e la nostalgia di Dio

Si è molto discusso attorno all'ultima fase del pensiero di Max Horkheimer, specie, quando lontano dalla scena dell'insegnamento, alcuni suoi scritti ed alcune sue prese di posizione, sembrano in curiosa e sorprendente sintonia sia con alcuni punti fondamentali del pensiero heideggeriano, sia con la revisione antidogmatica dei politici e degli intellettuali marxisti occidentali, in particolare quelli ruotanti nell'area di influenza del Partito comunista italiano. In realtà, le differenze erano molte e significative. Rispetto ad Heidegger, in primo luogo, come osserva Franca D'Agostini (1), la sensazione di una vicinanza tra le tematiche sollevate da Heidegger e quelle affrontate da Horkheimer, si riduce ad una comune denuncia della ragione soggettiva strumentale, che pretende di dominare il mondo. «Ma - secondo D'agostini - la soluzione che Adorno, Horkheimer e Marcuse (per un certo periodo in modo unanime) propongono è un rafforzamento della ragione critica, capace di smentire ciò che le sta dinnanzi come ovvia evidenza, capace di sfuggire in modo sistematico all'"asservimento operato dai sistemi politico-economici.» (1)
«E tuttavia - continua D'agostini - le divergenze sono profonde. L'essere heideggeriano appare, dal punto di vista della teoria critica, molto compromesso con una visione "religiosa" dell'essere, e dunque con un certo "autoritarismo" ontologico. "L'essere heideggeriano", nota Adorno (Dialettica negativa, cit., p.88), "quasi indistinguibile dal suo antipodo, lo spirito, non è meno repressivo di questo"; "dei costumi religiosi non resta in Heidegger che la conferma generale della dipendenza e della sottomissione."» (1)
Sono sottolineature che chiariscono la differenza, ma, in questo caso non possono far dimenticare la convergenza e sminuirne l'importanza: la denuncia del carattere violento, aggressivo, nichilista della ragione strumentale sviluppata dalla scienza e dalla tecnica nei confronti dell'essere e della natura, una denuncia che è quindi sia di sinistra che di destra (posto che Heidegger sia collocabile in una nicchia della destra).

In ogni caso, l'ultimo Horkheimer si rivela sempre più deluso dal marxismo pratico e politico ed anche sempre più insofferente rispetto a quello teorico. Insiste sul valore della libertà (ma come si fa a dimenticare che il marxismo nacque come una teoria della liberazione?), critica duramente le società tecnocratiche, comprese quelle a parvenza liberale, rivaluta la lezione dell'amore giovanile per Schopenhauer e il dolore di vivere, atteggiamento che però non dovrebbe portare ad atteggiamenti rinunciatari, conformi al pessimismo della ragione, ma ad una nuova capacità di resistere al negativo del mondo.
Nel generale impianto teorico marxista, Horkheimer individua sempre più il lato antiumano ed antinaturalistico, vi vede la prosecuzione del progetto borghese con altri mezzi, la pianificazione in luogo dell'anarchia darwiniana dell'impresa. Nonostante le premesse, o forse, proprie per le premesse, il marxismo è stato risucchiato nell'orbita dell'illuminismo ed ha prodotto nei paesi dell'est il mostro della razionalità di stato. Ancora, nell'ultimo Horkheimer l'accento cade sempre più frequentemente sul concetto di libertà individuale che, nel sistema comunista, è negata ancor più che nel sistema borghese. E la critica è spinta fino al punto da riabilitare il minimo di libertà consentito dagli Stati Uniti rispetto al niente consentito dal comunismo reale.
Nell'ultima fase, Horkheimer opera anche un ripensamento dell'orizzonte metafisico entro cui opera la ragione ragionevole e filosofica, arrivando a riconoscere la necessità di una teologia della speranza, al limite una teologia senza Dio, evidenziando la nostalgia che coglie l'ateo nei confronti di un Dio fondato filosoficamente sui concetti di bontà e giustizia. Sperare che Dio esista è forse più importante che credere alla sua esistenza, perché mostra che nell'uomo è comunque presente uno struggente anelito. «... se Dio è un dogma positivo, ha un effetto di separazione, di divisione. Invece il desiderio che la realtà del mondo con tutto il suo orrore non sia la realtà ultima unisce fra loro tutti gli uomini che non vogliono, né possono accettare l'ingiustizia di questo mondo. Dio diventa così l'oggetto dell'anelito e del rispetto umano, cessa di essere oggetto del sapere e del possesso.» (da Bemerkungen zur Liberalisierung der Religion)

note:
1) Franca D'Agostini - Analitici e continentali - Raffaello Cortina Editore, 1997

moses - 28 ottobre 2004