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Hobbes o dell'anormalità
di Gianfranco Cordi
“ La necessità degli eventi non implica per se stessa alcuna mancanza di pietà “
THOMAS HOBBES - da Libertà e necessità

1. Una sensibilità esasperata

Una sensibilità esasperata alle prese con un’esistenza che continuamente non fa che sfuggire alle varie rappresentazioni ed interpretazioni che di essa si tentano di dare per rifugiarsi in sfere e complessioni afferenti all’abnorme ed all’oltreumano: Thomas Hobbes descrive le vicissitudini terrene dell’uomo con lo sguardo fermo che ha solo l’anatomo-patologo oltre che con un apparato concettuale di tipo materialistico-meccanicistico-formalistico. In questo modo, egli tratteggia quella che è una condizione umana tutta incentrata su di un punto preciso: l’assenza, in ogni caso, della cosiddetta normalità.
Da mostruosità a mostruosità, il percorso compiuto da Hobbes va a chiudersi non in un cerchio perfetto ma in una figura che ha comunque in sé un certo qual principio della circolarità. E’ una figura comunque geometrica che indica e raffigura in se stessa una direzione precisa e certa.
Si diceva di due mostruosità, una in partenza ed una d’arrivo: quella iniziale dunque sarà la morte, la pura e semplice morte degli esseri umani, autentico mostro inumano per ognuno ( “ il primo di tutti i mali “ per Hobbes ), la mostruosità finale sarà il cosiddetto Commonwealth, in latino Civitas, oppure Stato o ancora e finalmente il mostro biblico nominato nel Libro di Giobbe : il Leviatano. Se un mostro non-umano sarà la morte, il Leviatano avrà i tratti di un mostro del tutto umano perché esso “ non è
altro che un uomo artificiale “ ; questi sono la partenza e l’arrivo dell’ intero discorso di Hobbes che, viceversa, sarà incentrato tutto sullospazio afferente all’umano, all’uomo ed al suo status epistemologico nel mondo.
Un discorso questo che, a partire dalla prima opera edita del filosofo di Malmesbury, la traduzione in inglese della Storia della guerra del Peloponneso di Tucidide (pubblicata all’età di 41 anni nel 1629 ), Hobbes continuerà sempre fino al termine naturale della sua lunga, feconda e percerti aspetti controversa esistenza. Un discorso di cui si cercherà di esporne adesso le tappe principali al fine di chiarire, quanto più ci è possibile, quella che è la nostra tesi di fondo che abbiamo appena esposto.

2. Per Hobbes l’uomo

Per Hobbes l’uomo è un coacervo di ragione e passioni . Considerato in se stesso, e solo per se stesso, questo è, fin dal principio, preda dal timore della morte violenta. “ La necessità di natura induce gli uomini a volere e desiderare il bonum sibi , ciò che è bene per loro stessi, e a evitare ciò che è nocivo, ma soprattutto quel terribile nemico di natura, la morte, dalla quale ci aspettiamo la perdita di ogni potere, e anche la maggiore
delle sofferenze corporali al momento del trapasso “ . Da questo timore della morte deriva, nell’uomo, una spinta prepotente verso l’autoconservazione. Ma tutto ciò accade in ogni uomo. Tutti gli uomini, atomi sparpagliati e atterriti di fronte alla morte, tendono ora ad evitare ciò che è loro sommamente nocivo. Ma a questo punto intervengono quelli che sono gli altri dati di partenza della concezione che dell’uomo ha Hobbes. Gli uomini nello stato di natura si trovano, infatti, nelle condizioni della
uguaglianza e della libertà. Gli uomini sono liberi di esercitare le loro passioni ed uguali l’uno all’altro nell’esplicitare questa libertà; ma le passioni di cui sono portatori sono delle passioni non-socievoli, egoistiche. Nello stato di natura quella che domina incontrastata dunque è l’aggressività . Ma di fronte alla disunita collettività degli uomini sta sempre la natura ovvero la realtà. Davanti ad essa, gli uomini ( che hanno le caratteristiche di cui si è detto ) si pongono in ogni caso come fossero
davanti ad una preda da catturare. Ognuno di essi è portatore, infatti, di un diritto elefantiaco ed onnipervasivo su tutte le cose da cui è formata la natura. Però, di fronte a questo diritto di tutti su tutto, la natura, per Hobbes, ha delle riserve di beni fruibili che sono necessariamente limitate. La natura, infatti, è come un fondo dal quale l’uomo attinge tutta una serie di provviste ai fini del suo sostentamento e della sua esistenza. Ma perseguendo soltanto la propria conservazione, tutti gli uomini si trovano
ad inseguire soltanto ciò che è il loro utile , il proprio vantaggio. E proprio da tale utile nasce per tutti quanti gli esseri umani “ la certificazione del possesso e dell’uso “ di una determinata cosa appartenente al reale. Ovvero: nasce il diritto che ognuno ha su quella cosa. Ora, questo diritto onnincludente ( rispetto ai beni della natura )
viene, per forza di cose, a configgere con il fatto che quest’ultima, come è stato detto, di per se si trova ad essere come un fondo limitato, finito, pre-stabilito di beni . In definitiva quello che accade è la situazione seguente. Ogni uomo è guidato soltanto dalla ricerca del proprio utile; perquesto egli va a scovare nella natura tutti quei beni che siano atti ad appagare questa sua sete; la natura, però, è costituita da una massa di beni finita; ogni uomo, dunque, non è appagato affatto da questa restrizione (che gli si impone, anzi, suo malgrado ) e, per questo, scoppia il bellum omniem contra omnes, la guerra di tutti contro tutti, il conflitto. Dunque lo stato di natura è diventato adesso uno stato di guerra perpetua ed incessante nel quale stato ogni singolo essere umano è portato, dalle proprie passioni, a procacciarsi la maggiore quantità di scorte che gli sia possibile.

3. Ma la guerra è una condizione comunque da evitare

Ma la guerra è una condizione comunque da evitare pena la sparizione dello stesso uomo dalla faccia della terra. Così i successivi passaggi del ragionamento di Hobbes ci appaiono tutti concatenati e necessari ancorché leggermente complessi e delicati ( oltre che, naturalmente, forieri delle più grandi conseguenze non solo per la successiva storia del pensiero politico moderno ma anche per la genesi di quel nuovo soggetto teoretico che è lo Stato moderno, la cui nascita da più parti, appunto, si fa risalire proprio alle teorie di Thomas Hobbes ). Vediamo di riprendere le fila del discorso per riagganciarlo al punto in cui siamo arrivati. Si è detto sopra che l’uomo è un’essere misto di ragione e passioni. Fino ad ora quelle che sono scese in campo sono state appunto soltanto le passioni di cui è composto l’uomo. Ma adesso ecco che, di fronte a questo stato di conflitto globale che si è venuto a creare, quella che interviene a far prendere alle cose una diversa piega è proprio quella sfera dell’uomo che fino ad ora
abbiamo visto tacere, la parte razionale degli esseri umani. Di fronte alla guerra di tutti contro tutti la ragione si mette in moto e suggerisce ad ogni uomo alcune regole per ostacolare quella originaria inclinazione a nuocere che lo caratterizza e per liberarlo dall’ancor più originaria paura della morte che lo tormenta. La ragione, dunque, per raggiungere il fine della pace indica all’uomo quello che è conveniente o non conveniente al suo comportamento. Gli mette sotto gli occhi solamente delle regole prudenziali. Questi dettami della retta ragione prendono in Hobbes il nome di leggi naturali . Quella contraddizione che si è venuta a creare e che è adesso insita dello stato di natura, dentro al quale vige oramai l’homo homini lupus , come tutte le contraddizioni ha bisogno di una soluzione. Sarà dunque la ragione , per mezzo delle leggi di natura, a fornirla. E tale soluzione avrà le vesti dunque di quell’ accordo che andrà ad intervenire fra tutti gli uomini per mezzo di un contratto stipulato mediante delega ad una Terza Persona.

4. Tramite un contratto

Tramite un contratto la ragione suggerisce agli uomini di legarsi l’un l’altro per il resto della loro esistenza. Hobbes afferma che il contratto è ciò che gli uomini definiscono come “ mutuo trasferimento del diritto”. Per diritto nel caso in questione è da intendersi quello relativo a tutte le cose da parte di tutti che era proprio degli uomini nello stato di natura. Adesso, mercè la ragione e per risolvere la contraddizione dovuta all’instaurasi del conflitto fra tutti, ogni essere umano dovrà impegnarsi con ogni altro essere umano a trasferire questo suo elefantiaco diritto ad un’altra persona. Il nuovo soggetto che qui è chiamato in causa non sarà, allora, un altro essere umano e neppure un demone o un Dio, sarà semplicemente una Terza Persona, del tutto artificiale si pure, in se, del tutto umana; ecco che sorge così il Commnwealth formato dalla moltitudine finora sparsa di tutti gli esseri umani riuniti adesso in una nuova persona. Questa sarà quella persona “ dei cui atti una grande moltitudine si è resa autrice in ogni suo singolo componente, attraverso dei patti reciprocamente stipulati, al fine di metterla in condizione di usare la forza e i mezzi di tutti loro nel modo che riterrà opportuno per la loro pace e la loro difesa comune “ . Il fine per il quale viene istituito, dunque, il Commnwealth, cioè lo Stato è quello di procurare la sicurezza di tutto il popolo.
Afferma ancora Hobbes: “ si dice che viene istituito uno stato quando una moltitudine di uomini concorda e pattuisce, componente per componente, che a qualsiasi uomo o assemblea di uomini verrà dato dalla maggioranza il diritto di impersonare tutti quanti ( cioè di essere il loro rappresentante ), ognuno di essi, tanto se ha votato per questo quanto se ha votato contro, dovrà autorizzare tutte le azioni o i giudizi di quell’uomo o assemblea di uomini come se fossero le sue, al fine di vivere pacificamente con gli altri e di essere protetto nei confronti degli altri uomini “ . Sono i singoli a stabilire l’instaurarsi di contratto l’uno con l’altro; è molto rilevante che il sovrano non stipulerà mai alcun accordo o patto con nessuno, esso è l’ Autorità tout-court. In ogni stato che così si viene a creare: la Terza Persona chiamata in causa dall’accordo delle altre ( i sudditi ) verrà ora ad essere il rappresentante assoluto di tutti i sudditi oltre che il legislatore assoluto di ogni controversia che potrebbe sorgere fra essi. A procurare la sicurezza del popolo, il Commnwealth “ è obbligato dalla legge di natura e di ciò deve rendere conto a Dio, l’autore della legge, ed a nessun altro che a lui “. Tale Commnwealth è composto dunque, in se, da questi tre passaggi tutti necessari: 1) i singoli rinunciano al diritto illimitato su tutte le cose che avevano nello stato di natura: cioè fanno assumere all’ambiente, alla natura, un valore nuovo: nello Stato, la natura sarà a misura di ogni uomo, e questo ogni uomo l’ottiene ponendo un freno ed un vincolo alle proprie naturali passioni; 2) i singoli si vengono a togliere di mano l’arma dell’offesa reciproca che aveva reso lo stato di natura uno stato di guerra perpetua di tutti contro tutti e 3) i singoli affidano allo Stato la loro sorte per il fine della difesa di ognuno . La Terza Persona, ora chiamata in causa, utilizza la rinuncia al precedente diritto illimitato dei singoli ed il conseguente loro abbandono dell’arma della reciproca offesa per realizzare una situazione del tutto nuova in cui dalla mancata offesa di A a B egli ottiene la difesa di B nei confronti di A ma anche quella di A nei confronti di B. Lo Stato dunque in Hobbes sorge principalmente come “ disciplina delle passioni “ . Il primo appellativo col quale Hobbes definisce la costruzione razionale dello Stato è quello di Leviatano ovvero il nome di un’ essere mostruoso derivato dalla tradizione biblica che incute timore in chiunque soltanto lo pronunci. Nel caso, ora, di questo Commnwealth, tale Leviatano secondo le analisi compiute dal filosofo tedesco Carl Schmitt sarà almeno quattro cose tutte insieme: un grande uomo, un grande animale, una grande macchina e, per finire, un Dio
mortale. Lo Stato moderno che fa il suo ingresso sulla scena del pensiero politico con Thomas Hobbes nel XVII° secolo si annuncia fin da subito sottole spoglie della mostruosità conclamata, dell’abnorme, dell’anormale . Da mostruosità a mostruosità la figura comunque circolare disegnata da Thomas Hobbes è dunque compiuta. La morte, che era il primo umanissimo mostro da essere evitato a tutti i costi, è diventata adesso questo Leviatano : il mostro stavolta davvero inumano che ogni essere umano, con tutte le proprie forze, deve ricercare, fondare e scegliere.

5. Se fissiamo un’occhiata globale

Se fissiamo un’occhiata globale alla teoria dello Stato di Thomas Hobbes ci accorgiamo che il passaggio dallo stato di natura allo stato civile è un passaggio ravvisabile sotto molteplici guise e dimensioni. In qualche maniera, infatti, si tratta di un transito dall’opinione alla scienza, dall’immoralità alla moralità, dalla bruttezza alla bellezza, dall’impolitica alla politica, dall’arbitrio al diritto, dal disordine al consenso dalla contraddizione alla ragione, dall’uguaglianza alla differenza, dalla libertà alla necessità, dall’insicurezza alla sicurezza, dall’anarchia all’obbedienza ma soprattutto: dalla menzogna alla verità. Per Hobbes, infatti, quella della verità è una dimensione che non appartiene alle cose ma ai nomi. Nello stato di natura, da questo punto di vista, il conflitto si viene a verificare proprio nel momento in cui due uomini diversi attribuiscono i due nomi “ mio “ e “ tuo “ alla stessa cosa. Tutto questo, all’interno del regolare stato civile, istituzionalizzato e scandito dall’andata in vigore delle leggi civili: non si può mai verificare. Il Commnwealth stabilirà infatti ( definitivamente e razionalmente ) la proprietà di ogni uomo dentro di esso in modo che ognuno non possa nuocere il suo vicino a causa della propria sete di potere dovuta all’istinto di autoconservazione. Ecco dunque che, dallo stato dove regnava la menzogna ( dell’attribuzione di nomi
diversi ad una stessa cosa da parte di persone diverse ), con l’avvenuta instaurazione del Commnwealth, si è adesso passati allo stato della verità. Ed, ancora, ecco che quella stessa paura, che era originaria e comunque da evitare nello stato di natura ed auto-imposta e da rispettare in quello civile, assume ora una dimensione che può essere definita metafisica. La paura, infatti, per quello che si è appena detto non è altro che il referente costante di tutto il filosofare del filosofo di Malmesbury: da
essa, che lo voglia o no, il singolo uomo di cui Hobbes traccia il profilo e lo stesso Hobbes, nel suo disegno, non riescono ad uscire mai.

6. Una volta instaurata la pace

Una volta instaurata la pace, il Leviatano si rende responsabile del rispetto di quelle leggi civili che vigono dentro di esso. Le leggi civili, per ogni suddito, sono “ quelle regole che lo stato, verbalmente, per iscritto o con un altro segno sufficiente della sua volontà, gli ha comandato di utilizzare per distinguere il bene dal male, vale a dire ciò
che è contrario e ciò che non è contrario alla regola” . Mentre le leggi naturali più che delle leggi vere e proprie erano dei dettami della ragione, le leggi civili sono adesso la parola di chi comanda per diritto su tutti gli altri. “ Nessuno oltre allo stato può fare ( tali ) leggi “ è ora la conseguenza che Hobbes trae subito dalla sua definizione. La ragione, che aveva fatto capo alle precedenti leggi naturali, nello stato civile si fa essa stessa tutta legge andando ad incarnarsi nella figura del Sovrano-Legislatore che controlla, ora, l’intero gioco delle relazioni umane finalmente non lasciate più libere nella totale anarchia delle passioni. Ma le leggi naturali non sono del tutto sparite nello stato civile. Hobbes afferma che “ la legge di natura e la legge civile si contengono a vicenda e sono di uguale estensione. Infatti, le leggi di natura, che consistono in equità, giustizia, gratitudine ed altre virtù morali che dipendono da queste, nella condizione meramente naturale ... non sono propriamente delle leggi, ma delle qualità che dispongono gli uomini alla pace e all’obbedienza. Solo una volta che lo stato si è istituito diventano realmente leggi e non prima; cioè quando sono comandi dello stato e quindi anche leggi civili, perché è il potere sovrano che obbliga gli uomini ad obbedire ad esse. Viste, infatti, le differenze con cui i privati dichiarano che cos’è l’equità, che cos’è la giustizia e che cos’è la virtù morale e le differenze con cui le rendono vincolanti, c’è bisogno dei decreti del potere sovrano e delle pene stabilite per chi li viola; tali decreti fanno parte della legge civile . La legge di natura è dunque una parte della legge civile in tutti gli stati del mondo e, reciprocamente, la legge civile è una parte dei dettami della natura “ . Le leggi civili sono dunque una coestensione delle leggi naturali che, però, non hanno esaurito solo in questo la loro funzione. In tutti quei casi in cui quelle civili tacciono, vigeranno infatti, anche nel Commnwealth, ancora le leggi naturali che avranno così la funzione di integrarle.

7. Tutto il discorso fatto da Hobbes

Tutto il discorso fatto da Hobbes si è dunque svolto nel transito razionale da quel primo mostro, la morte, dato per natura, a quello artificiale, il Leviatano stabilito per convenzione. Prima subita poi fatta subire, inalterata è rimasta sempre la paura. In un secolo come il XVII° che fu, anche, nel suo insieme fortemente rappresentato da certe forme di sensibilità esasperata , l’inglese Thomas Hobbes getta le fondamenta di quello che, poi, diventerà lo “ Stato moderno “ basandosi principalmente
sulla paura. La razionalità e la legalità dell’intero edificio architettonico da lui costruito, così, verrà a poggiare su fondamenta umanissime e, se ci è consentito, assai tenui. Il Settecento, in seguito, tenderà a celebrare la sola ragione come unica qualità umana degna di essere presa in considerazione. Mentre i secolo a noi più vicini porranno sull’ altare prima la scienza ( frutto più immediato della ragione ) e poi la tecnica ( che è, in se, un precipitato della scienza ) con metodo assiduo e successo generale.
Thomas Hobbes, che, per più di un motivo, può essere considerato uno dei padri di tutto questo processo, venne invece spinto a ragionare e teorizzare soltanto dalla paura. E, da essa, venne spinto ad imbattersi in due grosse anormalità: la morte fisica dell’uomo ed il Leviatano. Ovvero in due soggetti mostruosi che sfuggono allo standard più consueto relativo all’esistenza di ogni persona e di ogni giorno. Di modo che l’intera sua opera può essere caratterizzata dalla presenza di quello spazio particolarissimo e delicato che è dedotto dall’assenza di quella dimensione di vita che è corrente, consueta, normale.
GFC - 5 dicembre 2005