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La
lettera sull'umanismo
La
lettera sull'umanismo, originariamente inviata a Jean Beauffret,
chiarisce in maniera decisiva che il pensiero di Heidegger non è
più riconducibile al soggettivismo ed all'esistenzialismo. Nel
1946, Jean Paul Sartre aveva pubblicato L'esistenzialismo è
un'umanismo, testo nel quale veniva enunciata la tesi del
necessario sbocco politico della linea elaborata con L'essere e il
nulla. Se l'esistenza viene prima dell'essenza, questa era la
posizione di Sartre, allora occorre partire dalla soggettività.
L'uomo è in ogni circostanza costretto ad inventare l'uomo; su
di lui cade la responsabilità totale dell'esistenza. Egli deve
cercare uno scopo fuori di sé, solo così si realizzerà
come essere umano.
Heidegger risponde a Sartre, sia pure in
maniera indiretta. «Il pensiero non è solo l'engagement
dans l'action per e mediante l'ente, nel senso del reale della
situazione presente. Il pensiero è l'engagement per e
attraverso la verità dell'essere [...] quel che conta è
l'essere, non l'uomo.»
L'uomo giunge al centro di ogni
discorso solo dopo aver spodestato l'essere dalla sua centralità.
Questa forma mentis è immodificabile se ci si mantiene
all'interno della metafisica che concepisce l'essenza dell'uomo a
partire dalla sua natura animale. Anche se poi, la stessa metafisica
rintraccia all'interno del suo modo di pensare la differenza
specifica che fa dell'uomo un animale diverso dagli altri. Trovata la
diversità nel linguaggio e nel pensiero razionale, questi
aspetti particolari furono ridotti a strumento dagli antichi
metafisici, strumenti al servizio della vita animale da cui si era
partiti per definire l'uomo. Ma proprio ciò ha precluso la via
nella direzione dell'humanitas. Secondo Heidegger, avendo per scopo
solo quello di vivere e conservarsi il più a lungo possibile,
il meglio possibile, l'uomo sarà diverso dagli animali solo
perché impiega linguaggio e ragione in luogo dell'istinto. In
questa mentalità biologista la situazione non può
essere corretta neppure considerando che l'uomo ha un'anima, uno
"spirito" ed una "coscienza". Tutto ciò,
infatti, non fa altro che sviluppare le funzioni del biologismo.
Quindi, anche la coscienza non prescinderà mai dal considerare
l'ente solo in vista della sua utilizzazione, senza mettere in chiaro
che la coscienza comprende non perché spinta dall'istinto
biologico, ma perché fondata su quell'originaria apertura
all'essere in cui consiste l'uomo. L'uomo è cosciente degli
enti perché aperto all'essere. Ma l'uomo, come esserci, non
può decidere dell'essere, come invece pretendono la scienza e
la tecnica moderna. E' l'esserci dell'uomo a essere deciso
dall'essere. Giocando, come suo solito sul significato di alcune
parole e forzandone in buona misura il senso Heidegger insiste in
particolare sui concetti di "destino" e "soggiorno".
Ribadendo che la storia occidentale è tempo dell'oblio
dell'essere, Heidegger riafferma che in essa non può che
prodursi lo smarrimento dell'uomo. Questo è il suo
destino.
Eppure l'uomo dimora e soggiorna nell'essere. Non può
scegliersi altra dimora, se vuole essere uomo. Ma questo soggiornare
nella massima vicinanza all'essere si è smarrita nella
speculazione filosofica occidentale, avendo essa un'esclusiva
attenzione per l'ente. Solo l'essere può porsi come autentico
nómos, non solo legge, ma l'indicazione nascosta che proviene
dalla "ventura dell'essere".
Secondo Heidegger tale
acquisizione sarebbe importante, anzi, decisiva, in quanto solo la
ventura dell'essere che riempie l'apertura originaria all'essere,
quell'esserci in cui consiste l'uomo, può contenere
indicazioni aventi per l'uomo carattere di obbligatorietà.
Altrimenti ogni legge rimarrà un fatto imposto dall'umana
ragione. «Più essenziale di ogni istituzione di regole è
che l'uomo si trovi ad abitare nella verità
dell'essere.»
L'uomo, come manifestazione dell'essere, da un
lato è grande proprio per questa sua caratteristica,
dall'altro, per la sua finitezza, è condannato ad essere solo
spettatore della manifestazione dell'essere. La finitezza dell'uomo,
la sua non-potenza sull'ente, custodisce la sua superpotenza espressa
dalla libertà a proposito di ciò che nell'apertura si
manifesta.
moses - 11 novembre 2004