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Heidegger:dall'ideale di vita cristiano-cattolico a Essere e tempo
Figlio del modesto mastro bottaio Friedrich, sagrestano cattolico di Messkirch, Martin Heidegger nacque di giovedì, il 26 settembre del 1889; fu educato in strutture ecclesiastiche, studiò dai gesuiti e non divenne membro dell'ordine solo perché sofferente di problemi cardiaci; tuttavia rischiò di diventare ugualmente sacerdote. Frequentò corsi di teologia e compose diversi saggi ed alcune poesie. I testi del giovane teologo sono quasi tutti raccolti negli annali della rivista "Der Akademiker" della Katholischen Deutschen Akademikerverband, "araldo dei nostri elevati ideali cristiani, in tutti gli ambiti della vita studentesca".
Il ventunenne Martin Heidegger viveva nella Chiesa, in un ambiente ferocemente ostile alle correnti moderniste e prese posizione secondo quegli ideali. In un articolo intitolato Per mortem ad vitam, apparso sul numero di marzo del 1910, egli parlò della conversione dello scrittore danese Johannes Jörgensen, definito "un moderno Agostino". Una citazione non guasta: «Ai nostri giorni - scriveva lo studente di teologia - si parla molto di personalità e i filosofi trovano nuovi criteri di valore. Accanto a critiche da un punto di vista morale o estetico, essi operano anche "valutazioni di personalità" soprattutto nella letteratura. Viene messa in risalto la personalità dell'artista. Così si sentono molte cose su uomini interessanti. Oscar Wilde "il dandy", Verlaine "il beone geniale", Gorkj "il grande vagabondo", Nietzsche "il superuomo", sono uomini invero interessanti. E quando poi, nell'ora della Grazia divina, un uomo si rende conto della grande falsità della propria vita da zingaro, frantuma gli altari dei falsi dei, e diventa Cristo, allora costui lo chiamano "insipido e disgustoso". Johannes Jörgensen ha fatto il passo. Non lo stimolo delle sensazioni lo spinge alla conversione, ma la sua profonda serietà.» (1) E' uno squillo di tromba quasi apocalittico contro la filosofia menzognera "alla moda".
Ancora nel 1911 Heidegger pubblicò una serie di articoli contenenti "consigli" per gli studenti universitari sull'orientamento filosofico da seguire. Ma accanto alla solita retorica cominciavano ad affacciarsi pensieri più originali: «E in questo volteggiare qua e là, in cui si è diventati a poco a poco palati fini sulle questioni filosofiche, un'occupazione quasi ricreativa, malgrado l'intenzionalità e la vanità, emerge inconsapevolmente il desiderio di risposte definitive sulle questioni ultime dell'Essere, che talvolta lanciano lampi repentini e poi per qualche giorno giacciono insolute nell'anima tormentata, priva di direzione e di meta.» (2)
Fu la cardiopatia ad allontanarlo da una felice carriera ecclesiastica, ed anche da una specializzazione in teologia. Il cuore, per disfunzioni di natura nervosa, sembrava volerlo condurre da un'altra parte. Per continuare a studiare teologia occorreva molto denaro, ed il padre non era più in grado di sostenere le spese. Dopo un periodo di assoluto riposo, pare che Heidegger si trovò in dubbio se dedicarsi allo studio della matematica o a quello della filosofia. Nel semestre invernale 1911-12 intraprese effettivamente lo studio della matematica, ma il suo destino di filosofo era in parte già deciso: solo la domanda filosofica radicale gli avrebbe messo "il cuore in pace".
Dal 1912 Heidegger usufruì di una borsa di studio di 400 marchi che lo liberò dai problemi economici più pressanti. Conobbe Engelbert Krebs, teologo di otto anni più anziano, e ne divenne intimo amico.
Il 26 luglio del 1913 Heidegger sostenne l'esame di laurea alla Facoltà di filosofia di Friburgo, strappando "summa cum laude" per una dissertazione intitolata La dottrina del giudizio nello psicologismo, ovviamente con un relatore cattolico, Arthur Schneider. Ma il rapporto tra cattolicesimo ed Heidegger aveva cominciato ad incrinarsi.
Il rapporto con Krebs era da un lato stimolante e dall'altro curiosamente conflittuale. Di fatto, entrambi aspiravano alla cattedra di filosofia di Friburgo, e Krebs, apparentemente avvantaggiato dall'età e dal volume delle pubblicazioni, in realtà portava l'handicap di aver giurato fedeltà all'antimodernismo cattolico e questo non poteva che dispiacere alle autorità universitarie del tempo, che allora vi vedevano un pregiudizio alla libertà ed all'indipendenza dello studioso.
Nel 1915 Heidegger ottenne la libera docenza con un lavoro avente per oggetto La dottrina delle categorie e del significato di Duns Scoto. E' significativo che in questo scritto egli mise a confronto il sistema di vita dell'uomo contemporaneo "che procede in modo piatto" con l'atteggiamento dell'uomo medioevale volto alla trascendenza. Heidegger non riteneva che la filosofia potesse rinunciare ad interrogare la metafisica e la teologia: "La filosofia non può a lungo rimanere lontano dalla sua vera prospettiva, la metafisica. Ciò comporta nell'ambito della ricerca intorno al concetto di verità il compito di un'ultima interpretazione metafisico-teologica della coscienza. In ciò vive già originariamente il valore di senso, azione che non è neppure lontanamente compresa se viene neutralizzata nel concetto di una realtà biologica cieca." E ancora nel 1915, Heidegger dichiarava di volersi impegnare "per la futura lotta spirituale in nome dell'ideale di vita cristiano-cattolico." (3)
Passò poco tempo, ed egli maturò una prima svolta cui non fu estranea l'influenza di pensatori protestanti, in particolare Schleiermacher. Non a caso, nella spesso citata lettera del 9 gennaio 1919 a Engelbert Krebs, Heidegger scrisse: "convinzioni gnoseologiche coinvolgenti la teoria del conoscere storico hanno reso per me problematico ed inaccettabile il sistema del cattolicesimo, non però il cristianesimo e la metafisica (quest'ultima, tuttavia, in un senso nuovo)." (4)
Con questa lettera Heidegger abbandonava la teologia per volgersi completamente alla filosofia. E' curioso che questa prima svolta si sia pienamente realizzata dopo aver seguito un corso del teologo cattolico Carl Braig e dopo aver letto molto attentamente una sua opera, Dell'essere - Compendio di ontologia, esperienza che aveva vivamente impressionato il giovane Heidegger. Certo, il fatto filosoficamente più significativo fu l'incontro con Husserl. Heidegger aveva trovato ultrainteressanti le Ricerche logiche e cominciò a cercare soluzione ai problemi che via via vi aveva incontrato. Era sostanzialmente deluso dalla filosofia di Heinrich Rickert. Uno sguardo al rapporto con Rickert aiuta a comprendere meglio il passaggio alla fenomenologia.
La stessa tesi di dottorato sostenuta con Schneider nel 1913 era il risultato delle influenze di Rickert. Le prime autentiche ricerche filosofiche di Heidegger si svolsero dunque secondo una linea neokantiana, e rivolgevano una particolare attenzione alla distinzione tra atto psicologico e contenuto logico e alla differenza tra il processo del pensiero e il "senso" ideale, fino a mettere in questione il rapporto tra essere e validità. Spingendosi su tale terreno, egli approvò per un certo periodo la distinzione attuata da Rickert tra ambito della logica pura (ambito della validità) e ambito della matematica. Ma la filosofia di Rickert si era infilata in una sorta di vicolo cieco. In particolare diventava sempre più evidente che, una volta delimitato in modo netto l'ambito della logica pura, diventava problematico connettere logica e mondo reale, intendendo per questo sia il mondo empirico che quello psicologico dei "vissuti" e dei "giudizi". In tale contesto veniva a a cadere proprio l'elemento capace di mediare tra rappresentazione interiore e mondo esteriore. Per superare tale difficoltà, Rickert si impegnò a sviluppare una "psicologia trascendentale". Heidegger non lo seguì per il semplice fatto che una "psicologia trascendentale" esisteva già, ed era la fenomenologia proposta da Husserl. Nell'articolo del 1911, La filosofia come scienza rigorosa, Husserl aveva già spiegato che la fenomenologia non si basa su una psicologia empirica perché cerca di arrivare alle strutture a priori dei fenomeni psicologici.
Per questo Heidegger si volse così decisamente in direzione della fenomenologia, la quale guardava invece ai vissuti di coscienza. Nel 1916 fu proprio Husserl a succedere a Rickert a Friburgo, mentre Heidegger svolgeva il servizio militare, anche se in forma ridotta per la cardiopatia. E finalmente, nel 1919, Heidegger potè iniziare a collaborare con Husserl. Heidegger era interessato soprattutto alla V ed alla VI ricerca delle Ricerche logiche. La V trattava tra l'altro del "significato della delimitazione brentaniana dei fenomeni psichici". La VI lo interessava soprattutto per la distinzione tra l'intuizione sensibile e quella categoriale, non disgiunte dal tema dell'intenzionalità e della problematizzazione dell'a-priori.
Ben presto, tuttavia, Heidegger prese a seguire un percorso indipendente da Husserl. Nei corsi che tenne a Friburgo dal 1919 al 1923 mise al centro il problema della storicità e della fatticità della vita, e ciò a relativo dispetto al disinteresse di Husserl per la tradizione filosofica.
In tale direzione, Heidegger si proponeva di cogliere la vita stessa nei suoi caratteri più propri ed originali,ovvero nella sua storicità. Tale era il programma dell'ermeneutica della fatticità, programma nel quale i riferimenti storici preferiti erano costituiti da Aristotele, Paolo, Agostino, Lutero, Kierkegaard e Dilthey. Tuttavia erano frequenti anche esercitazioni sulle opere di Husserl, e questi era entusiasta di Heidegger al punto di dire: "La fenomenologia siamo io e Heidegger e nessun altro." La fama di Heidegger crebbe rapidamente negli ambienti filosofici. Lo stesso Paul Natorp, neokantiano di Marburgo, ne riconobbe il valore e lo volle professore a Marburgo. Qui Heidegger rimase fino al 1928. Nel frattempo si costruì una baita a Todtnauberg nella Selva Nera, dove era solito soggiornare nei periodi liberi dall'insegnamento.
A Marburgo, Heidegger sviluppò stimolanti rapporti con Natorp, Hartmann ed il teologo protestante Rudolf Bultmann; inoltre ebbe come allievi figure destinate ad un'importante carriera filosofica: Karl Löwith, Hans-Georg Gadamer, Hannah Arendt e Hans Jonas.
Gli anni di Marburgo culminarono nell'opera Sein und Zeit (Essere e tempo) pubblicata nel 1927. Pur sentendosi ancora interno alla fenomenologia, era evidente ormai che egli la intendeva in modo diverso e nuovo rispetto ad Husserl. In Essere e tempo la definiva come "un lasciar vedere da se stesso ciò che si manifesta così come si manifesta da se stesso." Heidegger, insomma, sollecitava il motore della fenomenologia a ruggire in modo molto più potente, sviluppandonne la dinamica speculativa in maniera più radicale. Ne venne un ripensamento del carattere soggettivo-trascendentale della fenomenologia in direzione di quella che Heidegger chiamò ontologia fondamentale. In tal senso modificò il concetto di riduzione, che Husserl aveva inteso come "riconduzione dello sguardo fenomenologico dall'atteggiamento naturale dell'uomo che vive nel mondo delle cose e delle persone alla vita trascendentale della coscienza e dei suoi vissuti noetico-noematici." Heidegger intendeva la "riduzione" in senso ontologico, quindi come "riconduzione dello sguardo fenomenologico dall'ente alla comprensione dell'essere di questo ente".
Heidegger proponeva inoltre un'articolazione del metodo fenomenologico capace di integrare la riduzione con due momenti che ad essa si connettono strettamente: distruzione e costruzione. La distruzione comporta un confronto con gli elaborati della tradizione filosofica che non vanno rimossi, ma nemmeno assunti passivamente. Semmai vanno decostruiti.
La costruzione significa che riduzione e decostruzione non vanno intesi come fine a se stessi, ma praticate in vista di un momento costruttivo.
Un'altra differenza che emerse tra Husserl e Heidegger fu quella dell'ente che si distingue da ogni altro ente per la capacità di cercare le cose stesse, che è la filosofia, cioè l'uomo che filosofa, se non l'uomo in generale. Per Husserl, l'ente della soggettività trascendentale è superiore in virtù di un suo primato nella scala del conoscere. In Heidegger diviene esplicito che questo primato non sta solo nella teoria, ma in tutti gli atteggiamenti fondamentali: quindi anche pòiesis e pràxis, che vanno considerate nella loro radice unitaria. L'uomo non è solo teoria.
Se poi si guarda con più attenzione nelle pieghe di Essere e tempo, troviamo motivi di divergenza persino più clamorosi., soprattutto in ordine alle considerazioni attorno al filosofo-chiave della modernità: Descartes. Husserl ha visto in Descartes l'iniziatore di una svolta rivoluzionaria. Heidegger lo valuta all'interno di uno schema prigioniero di un fatale pregiudizio. Come ha ben visto Pier Aldo Rovatti: «In Descartes il pregiudizio resta fissato sotto il peso dell'eredità medioevale: in questo senso non è un iniziatore, ma un epigono. "Quello che all'apparenza di un nuovo inizio del filosofare si rivela dunque come l'innesto di un fatale pregiudizio". Con il cogito sum Descartes pretende una riconsiderazione radicale della filosofia: ma Heidegger obietta che si tratta di una falsa radicalità. Resta infatti indeterminata la caratteristica più importante: Descartes radicalizza il cogito ma non si interroga sull'essere, sul senso d'essere della res cogitans, in definitiva sul sum. La filosofia moderna si inaugura su un'omissione decisiva che risulterà fatale per tutto lo svolgimento successivo del pensiero: per Descartes "il senso d'essere dell'ens è quello stabilito dall'ontologia medioevale, che intende l'ens come ens creatum, al di là del quale sta solo l'ens infinitum, il solo increatum, cioè Dio.» (5)
Rottura con Husserl
Nonostante l'evidente critica alle sue impostazioni, Husserl, dimostrando grande apertura intellettuale, fece ancora del suo meglio perché Heidegger gli succedesse alla cattedra di Friburgo. Nell'inverno 1928-29 questi tornò per assumere l'incarico, mantenuto fino al 1944. Ma la rottura era nell'aria e non solo negli scritti di Heidegger. Nella Postilla del 1930 alle Idee e nella conferenza tenuta a Berlino il 10 giugno del '31, Husserl giunse ad una specie di resa dei conti con Heidegger e con Max Scheler, rei di sviluppi "antropologistici".
Heidegger, dal canto suo, proseguiva deciso, e come critica indiretta alla posizione husserliana si può leggere Che cos'è metafisica del 1929, dove viene dato risalto in chiave esistenzialistica all'angoscia come stato d'animo che, sperimentando il niente, motiva l'uomo a convertirsi da un atteggiamento naturale ad uno filosofico. Husserl aveva spiegato tale conversione come finzione attuata dal filosofo per motivi di superiore intellettualità.
Ancora nell'ottobre del 1927 Husserl aveva invocato la collaborazione di Heidegger per la stesura della voce "fenomenologia" per l'Enciclopedia Britannica. E gli aveva inviato la bozza da lui stesso compilata. Heidegger mosse diverse obiezioni, tutte centrate sull'idea di "ego puro" che, ormai, gli pareva un'astrattezza. In Heidegger,ormai, la vera questione era diventata quella dell'essere-parte, dell'appartenenza dell'uomo all'essere.
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(1) citazione tratta da Hugo Ott - Martin Heidegger: sentieri biografici - Sugarco 1990
(2) idem
(3) idem
(4) idem
(5) Pier Aldo Rovatti - La posta in gioco / Heidegger, Husserl, il soggetto - Bompiani 1987