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La dialettica di Hegel ed il significato di contraddizione

di Renzo Grassano

Il concetto di ragione elaborato da Hegel porta inesorabilmente a riconoscere che ogni cosa è secondo necessità.
Il vero sapere è dunque sapere del necessario. Opponendosi a Schelling, e con lui a Jacobi, Hegel continua a condividere con essi l'identità di finito ed infinito, ma contesta che tale identità possa darsi nell'intuizione immediata o sentimentale.
Ancora nel 1804, Schelling aveva scritto parole inequivocabili su questo punto: "L'Assoluto si presenta all'anima soltanto in alcuni istanti (...) in cui l'attività soggettiva realizza un'inattesa armonia con l'oggettivo, un'armonia che, proprio in quanto inattesa, ha il vantaggio, rispetto alla conoscenza libera e spassionata della ragione, di apparire come un caso felice, come un'illuminazione o come una rivelazione." (1)

Hegel contesta a Jacobi che Dio sia inconoscibile, o conoscibile solo per fede, e contesta a Schelling che anche l'Assoluto sia inconoscibile se non per il balenio di una trovata geniale.
Per Hegel, l'identità di infinito e finito va mostrata e dimostrata nella sua necessità, deve presentarsi come scienza. E poichè la natura e l'essenza della scienza sono dialettiche, la scienza è dialettica.
E la dialettica è, per Hegel, sia il metodo del sapere che la legge di sviluppo della realtà.
Questa unità si realizza per gradi. In un primo momento la ragione si oppone alla realtà, oppone cioè un suo metodo astratto e separante.
In questo momento ciò che prevale è l'intelletto come facoltà che rimane ferma alle differenze ed alle opposizioni che gli paiono inconciliabili nell'esame di quanto accade nel mondo e degli enti che lo costituiscono. L'intelletto produce un sistema, che la ragione, tuttavia si incarica di dimostrare non effettuale, giacchè le opposizioni vengono da essa superate in una conciliazione, come lo stesso Hegel ha scritto:"...invece la ragione riunifica questi elementi in contraddizione, li pone insieme entrambi ed entrambi li risolve." (edizione Lasson, Erste Druckschriften)
L'Abbagnano sottolinea che "questo punto di vista rimase poi fermo in tutto lo svolgimento della filosofia hegeliana."

Un passo che chiarisce ancora meglio anche la concezione hegeliana della dialettica si trova nell'Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio:"La dialettica è questa risoluzione immanente, nella quale l'unilateralità e la limitatezza delle determinazioni intellettuali si esprime come ciò che essa è, ossia come sua negazione. Ogni finito consiste in questo, che sopprime sé stesso. Il momento dialettico costituisce quindi l'anima motrice del progresso scientifico ed il principio in virtù del quale soltanto sono introdotte nel contenuto della scienza la connessione immanente e la necessità. In esso consiste quindi la vera, e non estrinseca, elevazione sul finito. (Enciclopedia, § 81)

Ciò significa che la ragione si pone al di sopra delle opposizioni finite, ad esempio, nella Fenomenologia l'oppposizione servo-signore. Se al principio del rapporto il padrone è il padrone ed il servo è il servo, quindi sono entrambi in ruoli distinti e contrapposti, il processo di sviluppo, che è nelle cose, porta il padrone, secondo Hegel, ma non solo, proprio in base ad esempi che possiamo osservare nella realtà, ad essere dipendente dal servo, a non possedere più l'autosufficienza. Questo processo, se non viene interrotto dal padrone stesso, tramite l'acquisizione di una consapevolezza circa il proprio stato di uomo dipendente dal lavoro di un altro uomo, può essere fatale. Ecco allora che il padrone diviene schiavo, ed il servo, pur non divenendo mai realmente padrone, potrebbe comunque avvalersi del suo potere per trarne cospicui vantaggi.

Questa dialettica è per Hegel la legge del mondo. E nel mondo essa coincide con la ragione che lo governa, al punto da diventare, ancora come evidenziato dall'Abbagnano, "la trascrizione filosofica del concetto religioso di provvidenza."
Questa semplice acquisizione, della cui apparente immediatezza non dobbiamo farci ingannare, perchè non è affatto immediata, costituisce l'esito di un'analisi basata sul presupposto che solo l'individuo in salute, efficiente, padrone delle proprie facoltà, nei limiti del possibile autosufficiente, è in grado di essere padrone e di mantenersi tale. Questo presupposto, per la verità, non è chiarissimo in Hegel, ma c'è un momento nel quale la cosa è detta senza mezzi termini: è diventato padrone perchè, all'inizio, nello scontro tra due volontà, egli si è mostrato più forte. Per essere più forte, doveva essere più completo, più riuscito come uomo, cioè più autosufficiente e determinato dell'altro.

La scoperta di questa legge della storia, che è facile riportare dal singolo alla collettività, alle grandi epopee della Grecia, alla storia di Roma, al suo declino per fiacchezza e dipendenza delle sue classi dirigenti al sistema della schiavitù, alla corruzione dei suoi costumi, al ricorso di mercenari barbari e professionisti della guerra, perchè incapace di reclutare ancora uomini validi tra il popolo, è dunque un momento fondamentale nella concezione dialettica di Hegel.
Un popolo od uno stato non sono forti per definizione, ma perchè lo decreta la realtà, e la realtà, in questo senso non è affatto irrazionale e governata dal caso, o da un destino cinico e baro.
Quello che a noi, tante volte, sembra caso, è invece la ragione suprema che è insita nella logica delle cose stesse.
Così, come uno che si ubriaca o si buca, guidando l'auto, finirà prima o poi col provocare un incidente, così chi si conserva lucido e brillante avrà più possibilità di imporsi nella vita.
Ancora l'Abbagnano sottolinea che a differenza della religiosa provvidenza, la quale rimane astratta e generale come giustificazione della realtà (si è nella grazia di Dio, quando si è baciati dalla fortuna, o si è data al diavolo la propria anima?) la dialettica storica di Hegel effettua "il dettaglio di questa giustificazione in modo tale che nulla resti fuori da essa e da dimostrare il senso preciso della sua effettuazione."

Ora, il punto da sviluppare, che invano ho cercato nell'esposizione di Hegel svolta dall'Abbagnano è però ancora più a monte. Se la dialettica è identica al movimento reale, e solo così è vera dialettica, cosa intende realmente Hegel per contraddizione come elemento decisivo e costituente di ogni dialettica?
Ho già accennato nel file introduttivo che Aristotele ed Hegel danno alla parola il medesimo significato, ma lo applicano a soggetti diversi, ed in ambiti diversi.
Aristotele intende per soggetto la sostanza umana individuale, Socrate. Se Socrate è seduto, in quel giorno, a quell'ora, non può essere in piedi, nello stesso giorno ed alla stessa ora.
Hegel intende per soggetto non già la sostanza individuale, Socrate o Mario che sia, ma un soggetto che Aristotele avrebbe chiamato accidente. L'essere padrone non è infatti sostanziale, ma accidentale (non in senso di casuale, probabilmente, come si continua a credere, perchè non è affatto casuale, semmai occasionale). Accidentale significa che il soggetto Socrate è padrone di una casa, di una schiava, di uno schiavo. Questo essere accidentale è determinato dal fatto che se, domani, Socrate non fosse più padrone di schiavi, continuerebbe ad essere comunque Socrate e non un altro. Sarebbe cioè realmente contradditorio solo se Socrate diventasse Platone, ne assumesse l'aspetto, ringiovanisse a vista d'occhio e così via. Mutato in forma e contenuto, una nuova identità. Il che è impossibile. Di questo, era convinto Aristotele, si può aver scienza, e questa scienza ce l'hanno persino gli ubriaconi del Pireo, ma non i filosofi di Megara.
In sostanza, dunque, Hegel intende la contraddizione in modo del tutto diverso da Aristotele: la estende alla sfera dell'accidentale, a quelle che potremmo definire come le caratteristiche psicologiche e sociale di un individuo sostanziale, di un popolo, di una nazione, ai concetti, al movimento dell'idea.
Ora, questa autentica rivoluzione nel concetto di contraddizione ha portato oltre che ad una nuova chiarezza, anche molta confusione. Non tutta la si può addebitare ad Hegel, ma molta sì. In fondo, non gli sarebbe costato molto provare a chiarire la differenza del suo concetto di contraddizione da quello genuinamente aristotelico, il quale vacilla, se vogliamo proprio trovare un punto di crisi, solo alla luce delle più recenti scoperte della microfisica, ed alla difficoltà prospettata come risposta al cosa era essere quella roba che è sfrecciata sullo schermo: onda o particella?
Ma, nel mondo normale, nel mondo dei rapporti quotidiani, sociali, politici, giudiziari, artistici, produttivi e commerciali, possiamo dire che identità e accidente, così come identità e differenza. sono in qualche modo salvi.

Certo, se a mio avviso il problema così posto chiarisce quel po' di legittimità alle operazioni speculative di Hegel sulla contraddizione quale motore del mondo, non risolve comunque altri aspetti della questione.
Sarebbe molto più semplice parlare di conflitto, anzichè di contraddizione, ma, forse, questo non avrebbe reso l'idea del fatto che il processo di opposizione non avviene solo nella realtà, ma si rispecchia nella dialettica interna, nell'attività mentale del soggetto.
Inoltre, vi sono altri problemi.
Vi è in primo luogo una concezione del movimento reale delle cose e delle idee incentrata sulla regola triadica di tesi, antitesi e sintesi che appare semplicistica. Se è vero, in linea generale, che nella sintesi, attraverso il celebrato Aufhebung, abbiamo qualcosa che rimane della tesi, qualcosa che non c'è più (Hegel dice: tolto) e qualcosa dell'antitesi, è anche vero che lo scontro reale tra tesi opposte non è mai un match di tennis o di pugilato tra due contendenti (protagonista ed antagonista) ma, una partita assai più complessa che si gioca tra diversi contendenti. Esistono in teoria una pluralità di tesi, così come in pratica, nella realtà, esistono volontà diverse e non sempre in antitesi su tutto, ma solo su qualcosa. L'attuale polarizzazione della vita politica italiana non deve trarre in inganno, tanto più che abbiamo all'interno stesso degli schieramenti posizioni davvero diverse ed incrociate, sia sull'insieme della strategia da seguire, sia su singoli punti.
Sotto questo profilo, dunque Hegel risulta sia buon maestro, nel senso di aver evidenziato il nocciolo duro di ogni dialettica, cioè l'opposizione, la negazione, il contrasto reale; ma anche cattivo maestro, nel senso che a volte questa sintesi delle opposizioni, e delle stesse tesi, in una sola, pare davvero difficile, se non impossibile.
Più che alla filosofia, bisognerebbe allora rivolgersi alla diplomazia, all'arte dello scambio di favori, concessioni e vantaggi. Poichè in democrazia, direbbe Machiavelli, quando l'avversario non si può spegnere con un colpo da K.O., conviene vezzeggiarlo.

In una prospettiva storiografica mi pare sensato affermare che, in generale, la concezione dialettica di Hegel, per quanto certamente originalissima, si spiega, proprio hegelianamente, come reazione negativa, ovvero antitesi, alla logica intellettualistica fiorita nel '700, in epoca illuministica e razionalistica.
In questo tipo di logica, inaugurata da Leibniz con il principio di identità per il quale A è A e non può essere B, si manifesta il rischio di una sterile tautologia alla maniera della vecchia scuola megarica che contestava a Platone ed Aristotele la possibilità di fare affermazioni del tipo A è B, cioè è buono. Per i megarici di A si può solo dire che è A, identico ad A, pertanto di buono si può solo dire che è buono. Il che non trasmette alcuna conoscenza e non ne consente alcuna, perchè nella conoscenza è implicito, se non un giudizio morale, certamente una valutazione di qualità, o di quantità o di altro ancora. Già negli scritti giovanili, come evidenziato, la preoccupazione fondamentale di Hegel fu quella di mostrare che, "se si vuole compendiare in un'unica proposizione l'intero sistema della verità", bisogna che questa proposizione esprima l'unione dell'identità con la non-identità. Il che significa, in altre parole, che un'automobile non è solo un'automobile, ma una FIAT, il suo sterzo, i suoi freni, una vettura di serie, le sue ruote, i suoi cilindri, la sua tenuta di strada e così via. Nessuna delle proprietà e degli oggetti nominati sono l'automobile, cioè la sua identità, ma essa è un'identità proprio in quanto è la successione di questi momenti e di queste parti. Non solo: una vettura efficiente trova la sua negazione in un guasto, mentre, secondo Aristotele, una vettura in quanto vettura non ha contrario ( a meno che non si consideri il contrario di una vettura l'andare a piedi, che è invece il contrario che l'andare in vettura).
Sempre secondo Aristotele, una vettura efficiente avrebbe invece il contrario nella vettura guasta. L'opposizione si gioca sul binomio efficiente-guasto e non su quella vettura-nonvettura.
In Hegel, al contrario, l'opposizione si gioca, in modo davvero affascinante e misterioso su vettura e non-vettura, dove, per non-vettura, dobbiamo intendere sia la vettura guasta, sia le sue parti, sia tutto ciò che trasforma una vettura in una casa (camper o roulotte), sia altre cose ancora, ad esempio l'essere fonte di soddisfazione, status symbol, gioia e dolori (come le donne), un'assicurazione da pagare, qualcosa da rottamare, la causa dell'inquinamento ecc...
In altre parole ogni cosa è inserita in un sistema di relazioni, ed è, ed esiste non solo in quanto è, ma in quanto in relazione con il tutto.

Non sono sottigliezze anche se, immediatamente, non servono a mangiare. Ci serviranno domani per non farci confondere da discorsi del cacchio, ma fatti ad arte da qualche imbonitore.

note:
(1) Schelling - Scritti sulla filosofia, la religione e la libertà - a cura di L. Pareyson, Milano 1974 p.39

RG - 17 gennaio 2003