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Friedrich August von Hajek - 2
Gli errori del socialismo, dello scientismo e del positivismo

di Renzo Grassano

"Nessuno più di Friedrich von Hajek ha insistito sull'indissolubilità di libertà economica e libertà senz'altri aggettivi." Lo ha scritto Norberto Bobbio e vedremo quanto sia vero. (1)
La libertà in economia è il presupposto di ogni altra e non può essere confusa con la libertà dal prendersi cura dell'economia che i socialisti (leggi soprattutto i sistemi comunisti) hanno voluto imporre.
In realtà, essa ha tolto all'individuo la facoltà di scelta, gli ha imposto restrizioni inaudite, lo ha privato della responsabilità.
In opposizione a questi regimi, l'economia libera di mercato, pur portando con sé molti rischi, valorizza le qualità individuali.
La proprietà privata costituisce "la più importante garanzia della libertà, non solo per coloro che posseggono proprietà, ma anche - non molto meno - per coloro che non ne posseggono." (2)
Come mai? Se i mezzi di produzione -sostiene Hajek - sono divisi tra molte mani indipendenti l'una dall'altra, nessuno ha completo potere su di noi. Se, al contrario, tutta la proprietà è monopolio di un unico centro, noi subiamo questo potere e non abbiamo alternative.
"... è certo che un mondo nel quale il ricco è potente è ancora migliore di un mondo nel quale coloro che sono già potenti possono acquistare la ricchezza." (2)
La libertà economica è odiata in egual misura da fascisti, nazisti, comunisti perchè impedisce loro il controllo totale degli individui, e quindi il totalitarismo.
Hajek perviene qui ad una critica radicale dei regimi totalitari che non si può non prendere in seria considerazione.
Il controllo totale passa per una possente propaganda volta ad inculcare nella gente un fine unico e prevalente. Per convincere gli individui che il fine è unico è giusto, bisogna far loro intendere che anche i mezzi sono giusti. I fatti e le teorie devono diventare oggetto di una dottrina ufficiale. Tutti devono condividere gli stessi valori e nutrire le identiche opinioni. E tutta l'organizzazione per la diffusione della cultura, la scuola la stampa, la radio e il cinema, verranno finalizzati a rafforzare la fede nella giustizia delle decisioni prese dall'autorità; ogni voce di dissenso verrà oscurata.
Che ne è della "verità"?
Sparita. In un regime totalitario esiste solo la verità di regime.

Dobbiamo chiederci il perché di tutto questo. Come mai esistono uomini che vogliono imporci una vita siffatta? Se Popper aveva trovato i prodromi del totalitarismo nientemeno che in Platone, von Hajek preferisce padrini più recenti: Saint-Simon e Comte, ovvero i primi positivisti.
Essi furono la fonte della "hybris scientista", il male della pianificazione scientifica applicata alla società e la conseguente eliminazione di ogni libertà e di ogni spontaneità.
Saint-Simon non ha avuto scrupoli, scrivendo: "chiunque non obbedisce agli ordini, sarà trattato dagli altri come un quadrupede."
Tutti gli errori del socialismo sono ripresi in The Fatal Conceit.
«Noi comprenderemo la nostra civiltà solo quando capiremo che questo ordine - la società di mercato - è sorto non da un progetto intenzionale dell'uomo quanto piuttosto in modo spontaneo. La nostra civiltà nasce da un sistema di regole morali o regole di condotta che si sono evolute spontaneamente e che si sono diffuse tramite selezione evoluzionistica.» (3)
La pretesa socialista di abolire il mercato è frutto di una presunzione fatale della ragione. Non si può dirigere una società proibendo l'iniziativa privata e la ricerca di mercati più vantaggiosi.
Per Hajek, l'espressione giustizia sociale è un espressione priva di senso, e la morale socialista un residuo istintivo e tribale.
Ciò detto, guardiamoci dal classificare von Hajek come un'irrazionalista. Sarebbe un'accusa infondata. La vera ragione, secondo Hajek, c'è, ma è quella che riconosce i propri limiti, non quella che li travalica. La vera ragione è dunque quella rivelata da discipline come l'economia e la biologia, le quali riconoscono (fin dai tempi di Aristotele, ndr) che l'ordine generato senza progetto può sorpassare di molto i piani studiati a tavolino dai programmatori.

Contro lo storicismo
Davvero impietoso con tutto ciò che odora di positivismo, Hajek non esitò ad imputare alla legge dei tre stadi individuata da Comte una responsabilità fondamentale nella deriva storicista e nella costruzione di quell'immane falso ideologico che è la filosofia della storia.
Comte come Hegel, e forse più.
Comte ha cercato leggi proprio dove non se ne possono trovare. E questo approccio nega la possibilità dell'unico genere di storia che ci porta a comprendere, una teoria della storia che muova dalla dispersione e dalla eterogeneità del mondo reale e dei suoi dati.
Lo storicismo discende, insomma, da un'altra presunzione della ragione, quella che la vorrebbe capace di intuire le grandi regole dello sviluppo anzichè ricavarle da un esame attento e da vaste ricognizioni.
«Da Hegel a Comte, e soprattutto da Marx, giù giù fino a Sombart e Spengler, queste false teorie sono riuscite ad imporsi come rappresentative dei risultati delle scienze sociali e, propagandando la credenza che ad un dato sistema debba succedere, per necessità storica, un nuovo e diverso sistema, hanno esercitato una profonda influenza sull'evoluzione sociale... [...] il marxismo più di tutti gli altri, è diventato il veicolo per mezzo del quale questi frutti dello scientismo hanno acquistato tanto prestigio che persino molti dei suoi oppositori pensano allo stesso modo dei propugnatori, in termini marxisti.» (4)

Tutt'altro che acritico nei confronti delle democrazie occidentali...
von Hajek giudicò il sistema americano piuttosto severamente, nonostante il tentativo di separare i poteri fissato fin dall'inizio nella Costituzione. Scrisse che "il primo tentativo di assicurare la libertà individuale per mezzo di forme costituzionali è evidentemente fallito." (5)
Perché?
Perché l'idea che la democrazia sia l'espressione della volontà della maggioranza in ogni dominio è sbagliata.
Essa ha portato ad una dittatura della maggioranza. E questi sono i motivi: "perdita della fede in una giustizia indipendente dagli interessi personali", "l'uso della legislazione per autorizzare la coercizione e favorire particolari gruppi", "la fusione nelle medesime assemblee legislative di compiti del tutto diversi quali l'attività normativa e quella governativa."
Ecco perchè le democrazie sono diventate tirannie della maggioranza.
Laddove "il modello predominante di istituzioni democratiche liberali, in cui è lo stesso corpo legislativo a porre le regole di giusta condotta e le direttive per l'attività di governo, conduce necessariamente ad una graduale trasformazione dell'ordine spontaneo di una società libera verso un sistema totalitario asservito a qualche coalizione rappresentativa di interessi organizzati." (5)
In sostanza: anche un governo democraticamente eletto non può avere poteri illimitati. Servono controlli e contrappesi, limitazioni particolari.
Ciò è particolarmente vero negli Stati Uniti, o in Francia, dove il Presidente gode di questi grandi poteri, ma vale soprattutto per i paesi in via di maturazione, tentati dal plebiscitarismo e dalla delega ad un "uomo forte".

Scrive Dario Antiseri: «La democrazia scivola necessariamente verso un sistema totalitario quando essa si configura come un governo illimitato. E per guarire da questa malattia, per instaurare una società di uomini liberi, Hajek non vede altra via che la rivalutazione teorica e il ritorno effettivo al dominio della legge, di quel rule of law che la politica non può mortificare e al quale essa va soggetta. » (6)

Ma nelle democrazie attuali non c'è più distinzione tra legge e legislazione. Questo è il grande problema.
Infatti, ogni atto legislativo diventa legge.
Proviamo a spiegarci meglio. Von Hajek mette effettivamente il dito su quella che potrebbe sembrare una piaga italiana, ma in realtà è una concezione molto diffusa nel mondo delle democrazie occidentali..
La confusione tra legge ed atto legislativo è dovuta al fatto che vengono chiamate leggi sia le regole del codice penale, che le norme del codice civile, che semplici provvedimenti governativi che introducono autorizzazioni provvisorie a spendere o investire in un determinato settore. Legge è anche la cosiddetta "finanziaria", legge è l'organizzazione della scuola, legge è il regolamento pensionistico, insomma tutto è "legge", anche il più semplice dei provvedimenti amministrativi come la tassa sugli alcoolici, e persino l'indirizzo di bilancio preventivo è legge, anzichè rapporto di previsione.
Si tratta evidentemente di un'aberrazione giuridica, che affonda le proprie radici in una tradizione, ma non saprei dire quale, perchè non sono un giurista.
Mi pare però che tutto sommato von Hajek abbia ragione. Non c'è alcun bisogno di fare "leggi" per organizzare un'Olimpiade o finanziare l'Università. Occorre solo approvare delle spese. E per quanto attiene ai programmi scolastici, ad esempio, posto che si dovrebbe dare ampia autonomia al corpo docente, potrebbero bastare delle linee di indirizzo, non occorrono "leggi".
Da quando ho smesso di fumare apprezzo e condivido le leggi che vietano di fumare nei luoghi pubblici, ma proprio questo costituisce il classico esempio di una legge "morale" che lede non tanto il diritto di proprietà, ma quello di responsabilità. Sono i proprietari dei treni e degli autobus, dei ristoranti e dei cinema che hanno il dovere di preoccuparsi del divieto di fumare, non lo stato. Lo stato dovrebbe solo consigliare, indirizzare, ed anche vigilare contro ogni abuso del diritto di vietare e del diritto di non rispettare divieti assurdi.
Analogamente, trovo insopportabili tutte le forme di proibizionismo relative alle droghe ed agli alcoolici, tanto più che esse concorrono a fomentare il mercato nero e la criminalità organizzata, mettendo al contempo fuori-legge migliaia di persone che si trovano in condizioni di dipendenza.
Hajek ha pienamente ragione quando scrive:«... lo Stato cessa di essere un pezzo di un congegno utilitario destinato ad aiutare gli individui a sviluppare pienamente la loro responsabilità e diventa un'istituzione "morale", dove la parola "morale" non è usata in contrapposizione a immorale ma indica un'istituzione che impone ai suoi membri le proprie opinioni su tutte le questioni di indole morale, opinioni che possono essere morali, o altamente immorali. In questo senso lo Stato nazista o qualsiasi altro Stato collettivista sono "morali", mentre lo Stato liberale non lo è.» (2)

Per von Hajek tutte le democrazie occidentali soffrono di questo vizio. Non c'è parlamentare che non si senta investito di una salvifica missione moraleggiante e che allo stesso tempo non consideri illimitati i poteri dello stato e quindi di sé stesso come parte perennemente costituente dello stato.
In questo quadro, tuttavia, occorre «ricordare che, se le istituzioni peculiari della democrazia illimitata che abbiamo oggi dovessero fallire, ciò non significherebbe che la democrazia stessa è stata uno sbaglio, ma solo che l'abbiamo sperimentata nel modo sbagliato. »
Sbagliato, semmai, distruggere il primato del diritto e del governo che si assoggetta alla legge. Sbagliato accettare che un Parlamento degeneri fino al punto da sentirsi "sovrano" assoluto e che una particolare maggioranza possa imporre il suo punto di vista e le "sue" regole a tutta la società.

(continua)


Note:
(1) Norberto Bobbio - Liberalismo e democrazia - Franco Angeli, 1988
(2) F.A. von Hajek - Verso la schiavitù - Rizzoli, 1948
(3) F.A. von Hajek - The Fatal Conceit. The Errors of Socialism - Routledge an Kegan Paul, 1988
(4) F.A. von Hajek - L'abuso della ragione - Vallecchi, 1967
(5) F.A. von Hajek - Legge, legislazione e libertà - Il Saggiatore, 1986
(6) sta in N.Abbagnano - Storia della filosofia - Vol.X - TEA