| home | la filosofia del Novecento | la filosofia oggi e domani | Scuola di Francoforte | indice altri files su Habermas |destra-sinistra | dizionario | discussioni |
La teoria discorsiva ideale ed il concetto di verità in Habermas
di Daniele Lo Giudice
I presupposti della teoria dell'agire comunicativo cominciano ad essere posti da Habermas in diversi testi degli anni '70, in particolare Teorie della verità. Qui egli precisa cosa si può intendere per situazione discorsiva ideale. Essa è caratterizzata dall'esclusione di qualsiasi distorsione dei contenuti della comunicazione. Tutti i partecipanti non nutrono altro intento se non quello di offrire il loro contributo ad una ricerca comune attraverso argomentazioni critiche in loro possesso che vengono offerte ai partecipanti.
La situazione discorsiva ideale dovrebbe in un certo senso anticipare la forma ideale di vita, quella della cooperazione solidale.
Tale carattere produttivo della situazione discorsiva ideale diventa ancora più chiaro se proiettata sul tema specifico dell'ambizione di determinare la verità. Se è vero che molti atti linguistici sollevano una pretesa di verità, Habermas è allora costretto a chiedersi, non cosa sia la verità, ma che cosa intendiamo noi quando reagiamo ad una certa affermazione asserendo che essa o è vera o è falsa. Se accettiamo una teoria della verità come corrispondenza del discorso alla realtà, la risposta è semplice: enunciati e realtà devono corrispondere. Però un'impostazione simile non consente di uscire da un circolo tautologico: gli enunciati veri corrispondono alla realtà; la realtà è quella descritta dagli enunciati veri. Habermas sente il bisogno di uscire dalla circolarità e ci prova ipotizzando la possibilità di definire il senso della verità riferendosi al possibile riscatto discorsivo della pretesa di verità. «Chi solleva una pretesa di verità per una certa affermazione assume - osserva Stefano Petrucciani - che ogni altro parlante competente dovrebbe dare il suo assenso a quella affermazione. Questo è il nucleo, derivante dalla pragmatica linguistica, di quella Konsensustheorie der Wahrheit che più esattamente dovrebbe essre definita, scrive Habermas, una Diskurstheorie della verità, e cioè una teoria discorsiva della verità.» (1) Ma il consenso non è ovviamente il criterio della verità. Questa teoria andrebbe intesa come il legare il concetto di verità ad una procedura. Ciò che è vero, anche nel senso di autentico e genuino, è l'atto del cercare in comune la verità, e questo è ancora più importante e certo viene prima, della pretesa di affermarla.
Pertanto, quando facciamo una certa affermazione, non prevediamo di raccogliere consenso, affermiamo semmai che essa ha una tale qualità e pregnanza che in un contesto discorsivo ideale, essa potrebbe raccogliere il consenso. Messa così, risulta ancora più evidente che il consenso che si raccoglie nelle situazioni discorsive concrete non è certamente il canone della verità. Non possiamo confondere Habermas con un propugnatore di demagogia. Il consenso in una situazione discorsiva ideale potrebbe tutt'al più essere paragonato a quello di una comunità scientifica impegnata in una ricerca di vitale importanza. Da una discussione di tale livello, condotta tra interlocutori competenti in vista di un unico fine, ad esempio, la cura dei tumori, noi ci potremmo effettivamente aspettare contributi in grado di arricchire e precisare il quadro conoscitivo.
Sotto questo profilo, pertanto, sarà importante che la struttura dei discorsi risponda il più possibile alle richieste che pone una situazione discorsiva ideale. La struttura dei discorsi non dovrà essere assimilata né alla logica formale, né a quella trascendentale; dovrà semmai orientarsi ad una logica pragmatica, in cui prevalga lo scambio e la libera esposizione di argomenti e controargomenti. Allora, una tesi si mostrerà valida quando essa non avrà trovato smentite di peso rilevante. Habermas, in sostanza, dice che la validità discorsiva non può essere assimilata né alla validità logico-deduttiva, né essere ricavata semplicisticamente dall'esperienza.
«Questo punto assume particolare rilievo, scrive Petrucciani, se, conformemente alla distinzione introdotta da Habermas tra due tipi di pretesa di validità discorsivamente riscattabili (pretese di verità e pretese di giustezza normativa), si entra ora nella distinzione tra due tipi di discorso, il discorso teoretico e il discorso pratico. Nel discorso teoretico vengono sottoposte al vaglio dell'argomentazione critica affermazioni relative a questioni di fatto.poiché ci si chiede se certi stati di fatto sussistono o meno (p. es. una certa combinazione di farmaci è efficace contro il cancro oppure no?) si dovrà per rispondere far ricorso a dati di osservazione che nelle scienze moderne sono espressi in misure quantitativamente estese.Tuttavia, non sono semplicemente i fatti a convalidare le pretese di verità sollevate con determinate affermazioni, ma sempre dei processi argomentativi.» (2)
Un esempio concreto mostra così il possibile scenario di una situazione discorsiva ideale. Discutendo dell'efficacia di un certo numero di farmaci per combattere un morbo, i fatti, cioè le statistiche, non bastano da soli a fondare la verità. Il ricorso a dati sperimentali per argomentare a favore di una linea terapeutica presuppone infatti l'accettazione da parte dei partecipanti al confronto della validità del "principio di induzione". Solo esso consente di fare da ponte, quindi "giustificare" "il passaggio logicamente discontinuo da un numero finito di singole asserzioni (dati) a una asserzione universale (ipotesi)". (3)
Ben diversamente vanno le cose sul piano pratico, perché ottenere il consenso su regole d'azione non ha niente a che vedere con la giustezza delle azioni stesse. Per di più, Habermas è consapevole del fatto che è tesi prevalente tra i filosofi che non sia possibile fornire risposte dotate di validità universale alle questioni di giustizia.
Ciò significa che per questo tipo di etiche, definibili come non-cognitive, il giudizio su tali questioni è destinato a rimanere soggettivo.
Habermas ritiene invece sia possibile introdurre anche nel campo delle questioni pratiche un principio-ponte, facente le stesse funzioni del principio d'induzione nelle questioni teoretiche. Questo principio è presentato da Habermas come principio di universalizzazione. Esso ci può servire da orientamento alla ricerca di quelle norme "che tutti possono volere", ovvero quelle norme meritevoli di consenso razionale, le cui "conseguenze dirette ed indirette" potrebbero essere accettate da tutti in quanto adeguate ad interpretare i loro interessi generalizzabili. In sostanza, dice Habermas, anche in presenza del politeismo dei valori mostrato da Weber, è possibile sempre trovare una soluzione in grado di risultare soddisfacente. E' una forma di ottimismo razionale basato sulla volontà di intesa che nelle moderne democrazie potrebbe vincere tutti i pessimismi dettati dai vari tipi di ragione e razionalità esistenti. In sostanza, se ne parliamo approfondidamente, apertamente e senza pregiudizi, è possibile anche che ci ritroviamo con opinioni diverse, e, soprattutto, ad un grado diverso di coscienza.
1) Stefano Petrucciani - Introduzione ad Habermas - Laterza 2000
2) idem
3) J. Habermas - Teorie della verità, traduzione parziale in Agire comunicativo e logica delle scienze sociali - Il Mulino 1982
DLG - 24 agosto 2005