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Il mezzo ha da essere giusto in sé
di Guido Marenco
caro, Fracasso
né Dio-Padre, né Gesù Cristo sono riusciti a dettare regole senza possibili eccezioni, sarà che solo io sono obbligato a farlo? Non scherziamo!
Comunque, non credo di aver scritto una regola, od un comandamento. L'espressione "il fine non giustifica i mezzi, in nessun caso" è nient'altro che l'obiezione ad una massima comunemente accettata da molta gente. E' una contromassima. In guerra, in politica, in amore, nella "lotta di classe a Beverly Hills", nella scalata ai vertici della piramide sociale ed aziendale ed altro ancora, persino nello sport, molti ritengono che "tutto" o "molto" sia lecito. Le ragioni dello sviluppo economico hanno ormai prevalso su quelle del rispetto della natura. La ricerca scientifica non guarda sempre con la necessaria cautela al rispetto dei fondamenti etici e morali.
Governi e capi di stato continuano a credere che sia legittimo ricorrere all'eliminazione fisica di oppositori ritenuti particolarmente pericolosi. In moltissimi stati del mondo la violazione dei diritti umani è sistematica. In Cecenia Dio solo sa cosa stiano combinando i russi.
Contesto l'uso della violenza, della calunnia, della coercizione anche se impiegati a fin di bene. Ma il più delle volte constato che sono impiegati a fin di male e che il fin di bene è solo propaganda e smoke in the eyes.
Io affermo l'esatto contrario. Non so bene a cosa appellarmi per dimostrare di aver ragione se non alla ragione stessa o quel qualcosa di vago che molti chiamano senso di giustizia. Entrambe le cose sono componenti diffuse nell'umanità, ma fatico a trovare gente che abbia abbastanza senso di giustizia per capire che non si combatte l'ingiustizia con l'ingiustizia.

Ovviamente, non voglio eludere la questione che hai posto. Dici: se condividi il principio che esistono guerre giuste, che cosa giustifica il ricorso ad un mezzo come la guerra se non il fine? Che cosa la rende giusta, se non la giustizia che vuole perseguire?
Certo, la guerra è giusta, solo se il fine è giusto. Ma, io questo lo do per scontato. Al contrario, non do per scontato quanto mi permetto di aggiungere, ovvero che il mezzo deve essere giusto in sé. Nessun essere umano può essere considerato solo come un mezzo, o come un ostacolo alla realizzazione di un qualsiasi fine.
C'è modo e modo di condurre le guerre, specie se si possiede una netta superiorità tecnologica.
La guerra deve essere in primo luogo evitata, se possibile, perchè la vita umana, compresa quella dei soldati, non ha prezzo. Poi, nel caso non sia possibile giungere ad accordi, deve essere combattuta con metodi leali, rispettando il diritto alla vita dei civili. I prigionieri innanzi tutto si fanno e poi vanno trattati come dice la Convenzione di Ginevra, se possibile anche meglio.
Dopo l'esperienza di Hiroshima e Nagasaki, temo si debba mettere nel conto che moralmente era preferibile perdere qualche migliaio di vite di soldati americani piuttosto che ammazzare un milione di giapponesi in un colpo solo. La guerra sarebbe durata qualche mese in più, ma avremmo evitato un secondo olocausto.
Lo dico col senno di poi. Ma l'avrei detto anche col senno di prima, se fossi stato un generale americano od un fisico impegnato nella costruzione della bomba, quindi posto nella condizione di conoscerne gli effetti.
Come sappiamo bene, fare la bomba era necessario perché anche i tedeschi ci stavano lavorando e sarebbe davvero stata una tragedia se vi fossero riusciti prima degli americani.
Ma non era necessario sganciare le bombe sul Giappone.
Orbene, lungi dal rivendicare una seconda Norimberga ad hoc, ormai non avrebbe alcun senso, mi permetto solo di ricordare a chi spasima di parzialità filooccidentali che gli olocausti sono stati due, ed il secondo non fu meno terribile del primo.
Anche l'Occidente ha le sue colpe, ma una distorsione ottica procurata da troppi libri di storia partigiani ci impedisce di vederle se non quando ci cominci a ragionar sopra.
Ciò detto, spero in misura sufficientemente chiara, veniamo alla seconda questione: perché mai dovremmo marxistizzare Moses?
Questa mi sembra una pretesa assurda. Non ho nulla in contrario al fatto che tu scriva qualcosa su Marx. Però, al punto in cui è giunto Moses, il contenuto dovrà rispettare alcuni standards. Abbiamo stabilito, prima che arrivassi tu, che occorreva una sorta di comitato scientifico, come hanno le case editirici, ovviamente pluralistico. Poi ci siamo fatti una grossa risata su tutta la faccenda, ed abbiamo rimesso i piedi a terra, limitandoci a considerare che sarebbe bastato un coordinatore unico per tutto il progetto "storia della filosofia", il più possibile aperto. Renzo Grassano era il meglio disponibile sulla piazza e dava garanzie in senso pluralistico maggiori delle mie, perché, com'è noto, io sono particolarmente vulnerabile, molto reattivo alle provocazioni ed alle sciocchezze.
Forse, sto migliorando, ma la guarigione è ancora lontana.
Ma scrivere di Marx non porterà ad una conversione al marxismo.
Non già perché io lo trovi particolarmente ideologico, visto che ci sono autori liberali ed autorevoli rappresentanti del "pensiero unico" dominante molto più ideologici di Marx, ed anche tristemente noti per la loro faziosità.
Trovo piuttosto che il marxismo abbia alla base alcuni vizi e difetti sostanzialmente incurabili dal di dentro. Occorrerebbe una difficile e laboriosa operazione di chirurgia per rimetterlo in gamba, ma c'è da chiedersi a che servirebbe avere oggi un marxismo geneticamente corretto, e quindi stravolto, quando sarebbe largamente sufficiente che ognuno cominci davvero ad uscire dallo stato di minorità nei confronti di tutte le ideologie, le religioni, il culto degli idoli, delle supefiche e dei supercazzi, e tutto ciò che è considerato mitico nel mondo contemporaneo. Compresa la scienza? Diciamo: compresi un certo numero di scienziati e di correnti scientiste.
La nostra missione, in altre parole, non è quella di resuscitare cadaveri, ma di risvegliare la ragione e quel qualcosa di vago che molti si ostinano a chiamare senso di giustizia. Il mondo potrebbe essere molto migliore se la gente ragionasse di più, indipendentemente da quanto facciamo nelle piazze, gridando slogan che il più delle volte riescono solo a spaventare chi ragiona, a volte non benissimo, ma ragiona.
gm - 28 marzo 2004